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Autore: Hikari93    03/07/2011    13 recensioni
[SasoSaku]
Sakura è un'alunna molto diligente, troppo. Un nuovo professore, alquanto "velenoso" comincerà a renederle la vita impossibile. Come finirebbe se i due fossero costretti alla stessa gita scolastica?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akasuna no Sasori , Sakura Haruno
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Scorpioni rosa


 

 

 
A Sakura piaceva andare a scuola. In quel luogo che tanti odiavano, lei riusciva a dare il meglio di sé, ad essere superiore – per una volta – a qualcun altro, a sentirsi realizzata. La chiamavano secchiona, ma lei avrebbe trascorso la vita col naso tra i libri, tra formule e ricerche. Del resto, con cos’altro avrebbe potuto occupare il suo tempo?
 
Aveva ufficialmente rinunciato a Sasuke Uchiha, il ragazzo per il quale aveva avuto una cotta sin da quando era bambina. Aveva capito che a lui non interessava, per cui era stato meglio farsi da parte. Sulle prime era stata dura. Poi, il sentimento – che  più che tale, era diventato un’ossessione – si era affievolito, lasciando il suo cuore vuoto. Quindi, non poteva utilizzare le sue ore per coccolare un ipotetico fidanzato.
Poi c’era stata Ino, la sua migliore amica. Erano passati ormai mesi, da quando si era trasferita, ma le mancava da morire. La Yamanaka era l’unica che l’aveva sempre capita, che se anche la prendeva in giro, lo faceva con un sorriso contagioso sulle labbra. No, le sue offese non la toccavano minimamente, perché sapeva che tutto sommato non erano reali. Ma ora che se ne era andata, non poteva più trascorrere giornate con lei, distrarsi un po’ dallo studio. Niente più shopping in compagnia, niente di niente.
Farsi dei nuovi amici? Ci aveva provato, eccome. Purtroppo, lei era sempre stata una ragazzina decisa, determinata, ma chiusa in sé stessa se non supportata. Se avesse dovuto prendere una qualunque iniziativa, non ci sarebbe riuscita, anche – e soprattutto – con i suoi stessi compagni di classe. Questo lato del suo carattere la faceva sentire immensamente stupida, ancora una bambina.
E il fatto che non fosse la sola a pensarlo, la incupiva. Molti suoi compagni, infatti, l’avevano più volte rinominata “infantile”, perché adorava primeggiare sugli altri a scuola, godeva nel vedere che il suo voto era il più alto di tutti, che le sue spiegazioni erano sempre le più esaurienti, che i professori le riservavano lodi in ogni momento. Tutti i docenti era soddisfatti di lei, e di questo Sakura era fiera, anche se questa felicità rappresentava l’odio degli altri.
“Io non faccio nulla per istigarli. Non è colpa mia se loro non si impegnano, mentre io mi spezzo la schiena. Il mio successo è tutto meritato.”, pensò, naso all’insù.
 
Ma cosa sarebbe successo se anche quel punto fermo fosse stato messo in discussione? Tutte le conferme di Sakura erano cadute una ad una e, presto, sarebbe stata la volta anche di quella.
 
 
Come tutte le mattine, Sakura si stava preparando per recarsi a scuola. Si svegliava sempre presto, timorosa di arrivare in ritardo. Tanto l’unica cosa che le rimaneva era quella vita da scolara incallita, quindi tanto meglio farla fruttare al massimo. Anche perché quella era una giornata speciale: ricominciava un nuovo anno.
Si sistemò bene la divisa che aveva indossato e rimise al proprio posto una ciocca ribelle di capelli. Si concesse un’ultima occhiata allo specchio, prima di afferrare lo zaino e di recarsi alla porta. Il tonfo riecheggiò nella casa vuota.
Mentre camminava, si assicurò di aver portato tutto il necessario. L’aveva già fatto la sera prima e prima ancora di vestirsi, ma la prudenza non era mai troppa. Nello zaino erano sparsi i diversi quaderni e libri, su cui aveva svolto per bene tutti i compiti delle vacanze.
“Ottimo”, si disse. “Sono pronta ad un nuovo anno!”
 
Arrivata nella nuova classe che le era stata assegnata, le sembrava finalmente di respirare aria di casa. I banchi, la cattedra, la lavagna… tutte cose che incutevano paura e discusso agli altri, ma non a lei. Sorrise felice, per poi prendere il solito posto: in prima fila, davanti alla cattedra. Gli altri suoi compagni non erano ancora arrivati: come al solito, era stata la prima.
Si appoggiò sul banco, distendendosi a pensare. Doveva impegnarsi, ma non solo nello studio. Quella stupida solitudine in cui si stava immergendo era terribile, la stava corrodendo. Forse era davvero giunto il momento di abbassare la cresta. Forse quel suo atteggiamento da “so tutto io” infastidiva.
Avrebbe rimediato. Sarebbe riuscita a fare qualcosa che non era mai stata in grado di compiere, ovvero socializzare.
D’un tratto, un rumore di passi la riscosse.
Qualcuno era entrato nell’aula, ma Sakura non lo riconobbe come suo compagno. Si chiese istintivamente chi fosse e, soprattutto, perché era lì. Aveva i capelli rossi e gli occhi nocciola. Indossava una giacca grigio scuro e, a detta dei lineamenti del viso, doveva essere molto giovane. A vederlo, sembrava avere poco più della sua età. E lei aveva diciannove anni.
-E tu chi sei?- disse, infine, ergendosi quasi a difesa del suo territorio.
Se ne pentì un secondo dopo, quando vide la tipica cartella da insegnante tra le mani di quello. Si tappò la bocca, a voler esprimere il suo dispiacere. Si sentì in imbarazzo, e molto. Oltretutto era arrossita come un pomodoro.
-Avrei potuto concederti: “e lei chi sarebbe”- disse questi, un ghigno stampato sul volto. Aveva volutamente ignorato le sue scuse silenziose.
-Mi scusi.- fece lei, inchinandosi.
Lui ignorò il suo gesto, disponendosi sulla sedia dedicata ai docenti.
Sakura si risedette, ancora paonazza, e cercò di guardare altrove, fuori dalla finestra. Dannazione, aveva proprio fatto una brutta figura! E quello sembrava essere una specie di “nuovo professore”. Lei non aveva mai temuto i nuovi insegnanti, ma chissà perché in presenza di quel tizio sentiva altro. Si sentiva come in soggezione, sia per come si erano conosciuti, e sia per lo sguardo da saccente che questi le aveva rivolto. Pareva voler dire: “te la farò passare nera”.
Eppure, perché doveva essere così? Lei si era solo sbagliata, probabilmente gli aveva mancato di rispetto, ma non l’aveva fatto intenzionalmente. Avrebbe provveduto a scusarsi immediatamente. Come quando doveva interagire con un suo superiore, alzò la mano e fece per aprir bocca, ma il rumore dei passi degli altri studenti che si apprestavano ad entrare, sbuffando o chiacchierando, la interruppe.
Poco male, si sarebbe rifatta durante l’intervallo.
In quel momento, però, si fece spazio un’altra domanda nella sua mente: che materia avrebbe insegnato quel tizio inquietante?
 
-Mi chiamo Akasuna No Sasori, e da oggi sarò il vostro nuovo insegnante di matematica.- proferì questi, squadrando singolarmente ogni alunno.
Sakura avrebbe giurato che gli occhi marroni si erano soffermati molto di più su di lei. Deglutì nervosa.
Poi, fece l’appello. Quando chiamò il suo nome, la ragazza fu a malapena capace di balbettare un “presente” e il che attirò lo sguardo incuriosito, non solo dei compagni, ma anche di Sasori.
In quel momento Sakura poteva giurarlo: non aveva mai desiderato così ardentemente l’arrivo dell’intervallo e la fine dell’ora di matematica, fino a poco prima sua materia preferita.
-Ragazzina, alla lavagna.- sibilò l’Akasuna, lasciando tutti di stucco. Nessuno si sarebbe mai aspettato una simile mossa. Di solito, i nuovi insegnanti cercavano di colloquiare con gli studenti, di conoscerli… almeno così avevano pensato. Invece, si erano ritrovati una iena al posto di un umano.
Sakura si alzò titubante. Cercò di farsi coraggio, ricordandosi che non aveva mai avuto problemi con gli esercizi. Anzi, ne avrebbe approfittato per far mettere a tacere quel professore, grazie alla sua bravura. Perché, se aveva capito bene come era fatto, l’avrebbe sicuramente messa in difficoltà.
Prese il gessetto e attese istruzioni.
Sasori cominciò a dettare: era un esercizio particolarmente semplice per una come Sakura. Infatti, lo fece senza battere ciglio. Probabilmente, per altri sarebbe stato un’impresa disperata, ma l’Haruno viveva per i numeri e per le incognite.
-Scrivi questo.- ordinò lui.
Lei obbedì. Mentre il gesso scorreva sulla superficie della lavagna, la ragazza aveva già pensato ad una possibile via per risolverlo. Sorrise, soddisfatta di sé stessa.
I passaggi che dovette svolgere durono molti, alcuni anche abbastanza complicati ma, dopo aver esitato per un solo istante, terminò. Col cuore in gola e il petto gonfio di orgoglio per sé stessa, attese il giudizio.
-Siediti.- disse questi, scioccandola.
Ma come? Aveva svolto senza errori uno tra gli esercizi – lo sapeva – più difficili del libro. E lui la voleva congedare senza nemmeno quel tipico “ben fatto” oppure  “ottimo lavoro” a cui era sempre stata abituata. Indugiò, ferma al proprio posto.
-Beh? Ho detto siediti.- ripeté l’altro, visibilmente scocciato.
Sakura parve riscuotersi e, annuendo, si diresse al suo posto.
Non era più così sicura di voler avere un colloquio con quel Sasori, durante l’intervallo.
 
Alla fine la campanella suonò.
“Finalmente”, pensò Sakura, contro ogni sua vecchia aspettativa. Avevano fatto solo due ore di matematica, ma alla ragazza erano parse infinite. Si era soffermata più e più volte ad osservare lo sguardo del docente. Questi, aveva fatto quella che gli altri alunni avrebbero definito come strage. Dopo di lei, infatti, aveva chiamato alla cattedra anche altri, chi più intimorito, chi meno. Nessun cambiamento di espressione nel suo viso. Non un sopracciglio inarcato, né un rimprovero per chi sbagliava. No. Sia ai bravi che ai… meno bravi, era stato rivolto lo stesso trattamento.
E, questo, a Sakura dava fastidio. Era come se un’abitudine fosse stata ostacolata, diventando un vecchio ricordo.
Persa in questi pensieri, la ragazza non vide che l’oggetto del suo interesse era già uscito. Appena se ne accorse – fortunatamente ancora in tempo – si alzò di scatto e si diresse di corsa verso il corridoio.
Lo vide, era davanti a sé, ad un centimetro dai suoi piedi. Come era uscita, se l’era trovato innanzi, tanto da non poter fare nulla per fermarsi. Prevedibilmente, le andò a sbattere contro.
-Mi scusi.- disse, urtando contro di lui.
Senza ancora spostarsi del tutto, alzò gli occhi verdi e incontrò quelli di Sasori. Il cuore le prese a battere incessantemente, con forza. Ma lei attribuiva la causa di ciò alla figuraccia che stava facendo, non a qualche altra causa.
Sasori le poggiò le mani sulle spalle, poi l’allontanò da lui. La fissò a fondo, come se potesse perforarla solo guardandola.
-Hai qualche problema, Haruno?- sussurrò questi.
Dapprima, rimase in silenzio, impossibilitata a parlare, trovando solo in seguito il coraggio di scuotere la testa. Si morse fortemente la lingua, tanto da farsi male. Sperava che concentrandosi sul dolore che il gesto le procurava, si sarebbe distratta dalla figura dell’Akasuna, trovando così il coraggio di spiegarsi. Si portò le mani dietro la schiena, prendendo a torturarsele.
-Allora? Cosa vuoi?-
Sakura riflettette, non poteva permettersi di inguaiare maggiormente la sua situazione. Ma per quale motivo quello ce l’aveva con lei?
-Ti stai chiedendo perché non ti ho detto che sei stata brava?- sorrise beffardo lui, ferendo l’orgoglio della ragazza.
Difatti, alzò la testa – che aveva abbassato prima, sia per timore che per rispetto – esibendo l’aria più sbalordita che poté.
-Che sciocchezze sta dicendo?- sbottò, senza riflettere. Era consapevole che quello era uno dei problemi, che Sasori aveva centrato in pieno, ma sentirselo dire era terribile. Sentirselo dire dopo solo due ore che l’aveva vista, significava che lui aveva capito molto di lei, più di quanto Sakura stessa avesse mai concepito.
-Oltre a peccare di superbia, è anche maleducata, signorinella.- la derise l’uomo.
Sakura si accorse che le aveva dato del lei e non più del tu, segno evidente che si stava facendo beffe di lei. Poi, sgranò gli occhi, arrossendo ancora di più: aveva dimostrato proprio quello che l’Akasuna aveva detto. Era stata un’arrogante e aveva reagito in modo non consono alle loro rispettive posizioni. Avrebbe voluto scusarsi, ma le parole le morivano in gola. Non si attribuiva tutta la parte della colpa, per quello che stava accadendo. Anche il professore aveva contribuito ad istigarla.
-Le conviene darsi una calmata… con me.- le sussurrò, prima di girarsi di spalle. -Non mi piace chi se la crede troppo. Anche perché, è sempre una nessuno.-
L’Haruno lo vide allontanarsi. Improvvisamente era diventata una statua di sale. Voleva sistemare la situazione e invece? L’aveva peggiorata, e parecchio anche. Non aveva saputo resistere alla tentazione di rispondergli e qualcosa gli diceva che sarebbe continuato ad andare così.
 
Erano passati sette mesi da quell’inizio scolastico disastroso.
Alla fine del primo quadrimestre, Sakura si era ritrovato un terribile sette in matematica. Aveva stretto i denti, infastidita da quel numero. Lei era abituata a giudizi più alti, come quelli delle altre materie, ma non condannava del tutto Sasori. Infatti, da quel giorno in poi, i suoi sospetti si erano avverati.
L’Haruno e l’Akasuna, infatti, non si erano più visti di buon occhio. La ragazza continuava a seguire diligentemente tutte le lezioni, allo stesso modo andava benissimo alle interrogazioni, e ai compiti il voto più alto era sempre il suo.
Ma c’era un problema.
Sasori sembrava divertirsi nello stuzzicare Sakura. Questa, dal canto suo, non si lasciava mettere i piedi in testa, ancora marchiata dalla frase che le era stata detta.
 
“E’ sempre una nessuno”
 
Tuttavia, questo non era l’unico problema. Senza che la ragazza se ne accorgesse, dentro di lei stava nascendo qualcosa per quell’insegnante che le aveva rovinato la media. Lei pensava che fosse soltanto profondo disprezzo. Eppure, quando rincasava e stava da sola, non poteva fare a meno di pensare continuamente a lui. Ricordava quando gli era finito addosso, quando aveva percepito il suo respiro su di lei. Senza che potesse opporsi, diventava tutta rossa e avvertiva qualcosa di strano in fondo allo stomaco.
“Rabbia, perché non posso farci nulla. Devo sopportare, altrimenti nemmeno più sette mi becco!”, si ripeteva convinta, intenzionata a scacciare del tutto il viso divino di Sasori. Ma, una volta addormentatasi, non poteva fare a meno di sognarlo.
 
-Bene, e con Kiba, tutti avete portato l’autorizzazione e i soldi per la gita di quest’anno.- parlò Kakashi.
Quell’anno, la classe di Sakura sarebbe andata a Kiri per tre giorni. Avrebbero potuto osservare i vari luoghi storici del paese. Sarebbero partiti tra una settimana.
-E chi ci accompagnerà?- domandò uno, dal fondo dell’aula.
-Ci saranno due insegnanti.- cominciò Kakashi.
“Non posso essere così sfortunata!”, pensò Sakura.
-Uno sarò io.- continuò il docente.
“E’ praticamente impossibile che l’altro sia proprio lui. Impossibile.”
-E l’altro…-
“Ti prego, ti prego! Fa che non sia lui!”, sotto al banco giunse le mani in preghiera.
-Sarà il professor Akasuna.- concluse, sorridendo.
Sakura trattenne a stento uno sbuffo. Sentì qualcuna lanciare un gridolino d’approvazione. Ebbene, Sasori era molto ambito tra le ragazze.
-Che bello!- bisbigliò quella voce, tutta emozionata.
Sakura storse il labbro, nervosa. Era infastidita. Sentiva una strana sensazione di torpore alla pancia, come dopo essere stata colpita da un pugno nello stomaco. Si morse la lingua: lo faceva sempre quando c’era lui o quando c’entrava lui.
“Gelosia”, le riferì una voce dentro di lei.
Scosse la testa, poi si sbatté le mani sulle guance. Non voleva pensarci. E, poi, di cosa doveva essere gelosa? Si sentiva una stupida.
Inoltre, lui era un professore. Seppur giovane, era qualcosa impossibile da pensare. Loro due. Insieme. Impossibile.
Era questo il vero problema.
 
La settimana era passata alla svelta.
Non poteva credere che la gita fosse cominciata. Di sicuro, lei non si sarebbe divertita per niente, ma avrebbe fatto fruttare la cosa in altro modo e cioè apprendendo tutto quanto poteva.
Per la durata del viaggio, se ne era stata in silenzio, appoggiata al finestrino. La sola presenza di Hinata che le so era seduta accanto.
-C’è qualcosa che non va, Sakura-chan?- le chiese, timida.
L’interpellata scosse la testa, per poi ritornare alla visuale che scorreva oltre il vetro del finestrino del pullman.
La compagnia di Hinata non la infastidiva, tutt’altro, ma la sua mente era occupata da un pensiero fisso, pensiero che solo in quei giorni si stava delineando alla perfezione: Akasuna No Sasori.
Aveva capito che quell’individuo tanto odiato la attraeva. Era giunta alla conclusione che il suo modo di fare altezzoso nei confronti dell’uomo, fosse dovuto alla voglia di farsi vedere, alla voglia di ottenere l’attenzione desiderata. Non voleva capire cosa stava succedendo realmente, ma sapeva che, qualunque cosa fosse, era impossibile da realizzare.
 
I primi due giorni passarono alla svelta, tra una visita guidata e l’altra. Il cervello di Sakura era in azione e la sua mente carpiva informazioni su informazioni. Così, riuscì a distrarsi dal professore che talvolta, senza che lei lo sapesse, la guardava più del dovuto.
Il vero problema giunse l’ultimo giorno, quello in cui avrebbero potuto divertirsi. Sakura era rimasta a casa, decisa a non muoversi di lì. Era simile ad un’eremita.
Tuttavia, non era capace di restare ferma del tutto. Camminava avanti e indietro per la stanza, le mani giunte dietro la schiena, i passi decisi. Era irrequieta, voleva parlare con Sasori, ma, anche facendolo, non avrebbe saputo cosa dirgli. Che avrebbe fatto? Confessato i suoi sentimenti a tutto spiano? Non le sembrava il caso.
All’improvviso, il telefono le squillò, facendola sobbalzare. Lo afferrò e rispose alla chiamata. Aveva letto il nome sul display: Hinata.
-Cosa c’è?- disse, sorridendo.
-Ma dove sei?- chiese la Hyuga.
-Beh, sono in albergo.- affermò innocentemente Sakura.
-Bene. Il professor Kakashi ha detto che ha lasciato dei documenti in sala da pranzo. Potrebbe prenderli lui, al ritorno, ma è sempre meglio che li custodisca tu. Puoi andarli a prendere, per favore?-
-Certo, vado subito.-
-Grazie, ciao.-
-Ciao.-
Attaccato il telefono, Sakura si recò giù e cercò quanto chiesto. Ma che avrebbe dovuto farne ora? Le venne un’idea: li avrebbe portati in camera dei professori… magari… lo avrebbe trovato lì. Divenne rossa per l’ennesima volta, poi andò.
 
Bussò alla porta in legno, sperando con tutto il suo cuore che fosse proprio chi voleva ad aprile. Sentì un lieve “avanti” e il cuore già le finì in gola.
-Ho portato questi.- affermò timidamente.
L’Akasuna fissò i pezzi di carta incuriosito, poi allungò la mano, ordinando all’alunna di consegnarglieli.
Lei lo fece.
Godette della visione di lui che inforcava gli occhiali e li leggeva. Le iridi marroni s spostavano da un capoverso all’altro e, seppur non la guardassero, riuscivano ad incantarla, a tenerla ferma sul posto.
La magia durò finché l’osservato non divenne l’osservatore. La vide fissarlo e un risolino gli si allargò sul viso, uno di quel ghigni che Sakura aveva pensato di detestare.
-Che ci fai lì impalata? Ti serve altro, Haruno?-
-No.- avrebbe voluto dire tante cose, ma se ne era uscita con quel semplice monosillabo.
-Allora vai.-
-No!- stavolta quasi gridò. No, non voleva andarsene. Desiderava stare lì, assaporare quelle labbra agognate. Fino a quando le era stata lontano, aveva potuto resistere, ma adesso non ci riusciva più.
-Come scusa?- fece questo, inarcando un sopracciglio.
-Voglio restare.- si interruppe. -Insieme a lei.- disse d’un fiato.
L’altro sghignazzò.
-E’ una cosa sbagliata, mocciosa. Quello che vuoi da me, intendo.- disse suadente, guardandolo fisso. Sembrava che potesse leggerle dentro.
-Ma io sono maggiorenne! Decido io quello che voglio!- ribatté la ragazza, armata di tutto il coraggio a sua disposizione. Teneva i pugni stretti, la testa che le girava. Sentiva le farfalle nello stomaco e il cuore a mille.
 
“Così ci si sente quando si è innamorati?”
 
-Decisa, senza dubbio.- sentenziò Sasori.
-Io la am…- stava urlando, quando fu zittita da una mano dell’uomo. Questi le intimò di fare silenzio, portandosi un dito alle labbra.
-Non. Si. Può- sibilò, vicino al suo orecchio.
-Perché?- frignò lei, ostinata.
-Perché così sono le cose, ragazzina.-
-Voglio infrangerle queste cose, queste norme!- sussurrò.
-Sei una sciocca. Le regole non si possono infrangere.- sorrise lui, quel solito ghigno.
Lei abbassò lo sguardo, pronta a ricaricarsi per tornare all’attacco. Lottava contro l’istinto di piangere. Anche per questo era infantile. Il tempo passava, ma lei non cambiava.
-Però.- riprese l’insegnante, prima che l’allieva si decidesse a parlare. -Questo sarà uno strappo alla regola.-
Sakura spalancò gli occhi quando avvertì le labbra di lui sulle sue. Le guance le si imporporarono ancora di più, quasi se stessero per scoppiare. Ma ci sarebbe stato altro tempo per questo. Lei non pensava che quella sarebbe stata la sua ultima occasione, anche perché avrebbe continuato ad insistere, per ottenere quanto voleva. Però, voleva comunque godersela al meglio, inebriandosi del profumo di quell’uomo che l’aveva fatta sentire un nulla, ma che ora le permetteva di sentirsi un tutto.

 
 

FINE

 
 







 
Che bello! Ho scritto un’altra SasoSaku! *^*
Personalmente, mi sono divertita a scriverla (anche se mi hanno interrotta più volte -.-“). La “sentenza finale”, però, spetta a voi.
Prego! ^.^
 
Il titolo: beh, ho pensato: ci sono le mosche bianche (amanti ShikaIno) , quelle nere (ShikaTema), le pantere nere (SasuSaku)… e gli scorpioni rosa? (Sasori significa scorpione… Sakura ha i capelli rosa… beh è una sciocchezza >////>)
 
Grazie per aver letto! Perdonate eventuali errori!
Secondo voi i personaggi sono OOC? >////>
Per Sasori sono abbastanza sicura, ma Sakura non tanto…
   
 
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