A Thousand Suns
-God Save us
everyone-
Jornada Del Muerto
*Mochiagete,
tokihanashite*
[Lift me up, let me
go]
Sarà disonorevole, ma è da anni,
ormai, che
odio l’Obon.
Ah, probabilmente se facessi una confessione del genere in molti si
sorprenderebbero…
“Ma come, Takao? Un giapponese come te?!”
Sì, cazzo, sì.
Ritengo che le celebrazioni in onore dei morti siano qualcosa di
terribilmente
macabro e spaventoso: avanti, su, spiegatemi cosa
diavolo ci sarebbe da
festeggiare!
I defunti non possono ringraziare per queste futili
attenzioni o ancor meno
prendervi parte…
Ricordo che
mia madre trascorreva in
assoluto silenzio queste giornate, pregando per quei parenti che non
avevo mai
avuto l’occasione di conoscere.
Io le stavo accanto, osservando ogni singola espressione che si
scolpiva sul
suo volto pallido e mi intristivo.
Perché non avevo idea di come
consolarla.
Perché non sapevo come comportarmi o
come agire di fronte al ricordo d’una perdita.
Perché ero solo uno dei tanti
stupidi
bambini che attendevano l’ultimo giorno di festività unicamente per
poter
ammirare la propria lanterna sollevarsi in volo, ignari di cosa essa
rappresentasse.
Oggi in questo gesto non vi vedo
più uno gioco o
un’antica tradizione.
Solo stupidità.
Solo inutili speranze.
Quando mia madre morì, ero solo
–mio fratello
e mio padre erano in chissà quale località esotica per degli scavi
archeologici; il nonno, invece, era nella
nostra palestra.
Lei mi fissava dal letto con occhi ormai ciechi, stringendomi la mano
nella sua
fredda e rigida ed io, che desideravo ardentemente fuggir via, ero
paralizzato
dal terrore.
Temevo quello sguardo e la profondità del vuoto che vi si nascondeva
con
ferocia…
Rimasi forse per ore -forse per alcuni
istanti- immobile ed in ginocchio a ricambiare lo sguardo
della morte.
Se avessi pianto, se avessi gridato, se mi fossi limitato semplicemente
a
tremare non so dirlo.
Per un tempo infinitamente lungo restai assieme al cadavere
della donna che mi aveva partorito, nutrito e cresciuto e,
guardandolo, mi limitavo semplicemente a chiedergli cosa fosse
successo, perché
non mi rispondesse.
Che idiota, nevvero..?
«Mamma… Posso fare qualcosa per
aiutarti..?»
E davvero non voleva entrarmi in testa il concetto che,
ormai, fosse troppo
tardi.
Uhm, probabilmente è da allora che è iniziato il mio inevitabile
regredire
verso l’attuale stato di stupidità in cui mi crogiolo pigramente.
Eppure, imparai a conoscere il dolore.
Quello che si scolpisce nella mente, nel corpo e nell’animo di ogni
essere
umano per la perdita di una persona unica ed insostituibile.
Quello che strappa l’ingenuità o la tenera gioia.
Quello che trasforma tutto in inutilità e superficialità.
In tanti mi hanno dato del babbeo
e sono arrivato a
convincermene, sapete?
È stato un po’ come venire al mondo, ma
al contrario..!
Mi è stata affibbiata, a poco a poco, un’etichetta alla quale, infine,
mi sono
adattato.
Perché alle volte così è più semplice.
Fingiamo idiozia per cicatrizzare ferite che altrimenti ci renderebbero
fin
troppo seri e tristi.
Che noia mortale, sarebbe..!
Allora, io preferisco indossare un po’ di trucco ed infilare la mia
maschera.
Come un pagliaccio.
Come un morto che pretende di vivere.
Oggi, ultimo giorno dell’Obon,
verranno
liberate le lanterne.
Credo che per la prima volta, dopo tanti anni, resterò a guardarle
librarsi in
volo o galleggiare sull’acqua.
Conterò quelle bianche, per puro spirito investigativo -eccitante
indagare sulla quantità di morti in un anno, vero..?- poi
tornerò al dojo, restandomene a fissare il bit-chip ormai vuoto di
Dragoon fino
ad addormentarmi.
Un programma davvero ricco di vita, me ne rendo conto, ma non ho
proprio voglia
di starmene a poltrire..!
…
Già.
Nel silenzio più totale della mia casa ormai infestata dagli
spettri del
passato, resterò immobile ad ascoltare ciò che la coscienza –gran bastarda..!- ha da rimproverarmi.
Udirò gli insulti dell’oscurità e, zitto, proverò a ricordare ogni
singolo
sorriso che ha lustrato la mia esistenza, a partire da quello dolce ed
in decomposizione della mamma.
E come al solito, la sentirò, la mia
anima.
Mi prenderà a calci e a pugni e a morsi.
Mi graffierà, mi scuoterà e mi schiaffeggerà.
Poi griderà, per terminare il suo delirio in un pianto disperato.
Io, dunque, in risposta pieno di lividi e ferite mi limiterò a
sorriderle come
ho sempre fatto e lei supplicherà –eccome
se lo farà!-, chiedendo di poter riacquistare ancora quel
carattere
combattivo di cui tanto si gloriava con ricca boria e
spregiudicatezza.
«Sollevami, lasciami andare..!»
Oh, inizio a pensare –niente
battute
al riguardo, grazie..!- che un giorno, forse, dovrei renderla
felice.
E magari, chissà… l’anno prossimo potrebbe esserci la mia
lanterna bianca a solcare i cieli.
Ahah, povero me! Prego ogni volta
che
sia così…
*Mochiagete, tokihanashite*
[Lift me up, let me go]
Fine.
Questa è
la prima volta che scrivo qualcosa su Takao, quindi spero che non sia
risultata
una roba terribile ed improponibile…
Dunque,
piccoli chiarimenti!
Sul fatto che
il papà di Takao fosse un archeologo, lo si dice nell’anime ^^!
Lo stesso che il fratello, Hitoshi, seguisse il genitore ^^.
L’Obon è il
giorno dei morti Buddhista e si tiene verso la metà agosto.
In questi
giorni vi sono diverse celebrazioni, tra le quali danze tradizionali
e simili, e la festa si conclude liberando delle lanterne che
simboleggiano lo
spirito del defunto.
Inoltre, tra
le tante lanterne, quelle bianche rappresentano i morti durante
l’anno ^^.
Questo piccolo
intermezzo musicale dell’album dei Linkin Park è in giapponese,
ecco perché ho pensato a Takao come protagonista…
Bhé, spero che
il capitolo possa esservi piaciuto –in un modo o nell’altro.
Grazie a chiunque abbia
letto ed un grazie
più grande a chi recensirà ^^!
Un bacio!
Iria.