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Autore: Tury    04/07/2011    1 recensioni
Un fischio, il silenzio e dopo l’esplosione. Se dovessi dare un suono alla mia vita, darei quello prodotto da una bomba. Da quel che ricordo la guerra è sempre stata la mia realtà. Correre, nascondersi, uccidere. Uccidere, uccidere, uccidere. Perché questa è la politica che vige sul campo di battaglia, perché è sempre il più forte a sopravvivere, perché…
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vuoto. In questa cella, tra questi muri. In questo cuore. Freddo. In questa mente. Un freddo che ti prende l’anima e te la dilania, te la tortura, ci gioca per poi calpestarla. Mi manca l’aria, divenuta improvvisamente troppo poca per soddisfare le mie necessità. O forse sono io che mi sono dimenticata di come si respira? Heiwa è ancora lì, attende una mia reazione. Che giunge, ma forse non è quella che si aspettava. Senza pensarci rompo le catene che mi tenevano prigioniera, una forza nuova mi anima. È l’ira del dolore. Subito, mi avvento su di lui, sul mio drago. Perché la sua non può che essere una sporca menzogna. Perché lei non può essere morta.
“Farah…”
No, non voglio ascoltarlo. Non voglio che parli, non voglio che mi riempia ancora la testa con le sue bugie. Non voglio che ripeta quelle parole. E così fuggo, come ho sempre fatto nella mia vita. Farah, settimo signore della guerra, arma temuta da questo popolo come da quello avversario. Ma a chi voglio far ridere. Farah è solo una vigliacca, ecco perché Sophie è morta. Heiwa mi raggiunge bloccandomi la strada.
“Farah, smettila di scappare! Non ho ancora concluso.”
“Non le voglie le tue bugie, voglio solo tornare da lei!” gli urlo in faccia.
Heiwa resta in silenzio, mi fissa, chissà che cerca.
“E sia! Ti porterò da lei. Sali sul mio dorso, così impiegheremo meno tempo.”
Non so se le sue intenzioni rispecchino le sue parole, ma cos’altro ho da perdere?  E così faccio quanto dice, arrampicandomi sul suo dorso, sedendomi poco più sopra dell’attaccatura delle sue ali. E lui parte, le sue zampe che accarezzano dolcemente l’oscurità che ci ha inghiottito, mentre io vorrei squarciarla, ucciderla, dilaniarla. Corre, il vento che mi infastidisce, gli occhi che vorrebbero chiudersi ma io glielo impedisco. E poi ad un tratto si ferma, improvvisamente. Non riparte né parla. È assorto, in contemplazione. Sembra stia pensando quale strada scegliere. O cosa fare. Faccio per scendere ma lui mi blocca.
“Aspetta, Farah, aspetta. C’è una cosa di cui dobbiamo parlare.”
Mi rassegno all’inevitabile.
“Va bene, drago, parla.” Sospiro.
“Porto un nome, Farah. Un nome che ti è noto.”
“Non perdere tempo!”
“Cosa ti sta succedendo? Possibile che ancora tu nutra dubbi? Non sono stato io ad apparire quando mi hai invocato? Non sono stato io a narrarti la tua vita?”
“E ora sarai tu a condurmi da lei.”
E detto ciò scendo dal suo dorso, perché ho sempre odiato non poter guardare negli occhi il mio interlocutore, ed Heiwa non è certo un’eccezione. Consapevole del fatto che questa discussione non è ancora volta al termine.
“Prima dobbiamo parlare, devi sapere ma devi anche fidarti di me.”
“Dannazione Heiwa, parla, parla!”
“Finalmente ti sei decisa.”
Gli rispondo con lo sguardo, uno sguardo impaziente, ferito, irato. Uno sguardo assassino.
“Sai cos’è la morte per overdose?”
“A che gioco stai giocando, Heiwa? Ti pare una domanda da fare a chi ha vissuto tutta una vita su un campo di battaglia? Guarda che di morti per overdose ne ho visti tanti e se vuoi saperlo hanno drogato anche me.”
“Come convincere altrimenti dei bambini ad impugnare le armi e uccidere i propri fratelli?”
“Heiwa se era di questo che dovevi parlarmi potevi anche risparmiarti questa pausa inutile!”
Faccio per superarlo ma le sue parole mi bloccano.
“C’è un modo per salvarla.”
Mi volto di scatto. Lo guardo, lui sostiene il mio sguardo. Mi immergo ancora in quella luce dorata che caratterizza i suoi occhi, incapace di parlare.
“Anche lei-comincia- anche lei è morta per overdose.”
E riecco, la terra di nuovo aprirsi sotto i miei piedi. Divorare quest’anima ormai troppo logora.
Sferro un pugno nell’aria nera, trovando ad aspettarmi un muro di nera pece, impossibile da vedere.
“Sai, Farah, a volte- parla piano, come se stesse cercando le parole giuste per sputarmi in faccia quella verità che già conosco, quasi temesse di ferirmi- a volte le persone per sfuggire al dolore di una grave perdita decidono di abbandonarsi a determinate sostanze, quasi come se vedessero in esse il loro rifugio.”
E non avverto più nulla, né il mio corpo tremare, né il freddo che caratterizza questo luogo, né il suo nero manto. Solo lacrime. Quelle lacrime che ormai conoscono perfettamente il mio volto, quelle lacrime che si versano come prova della propria colpa. Quelle lacrime che, per quanto ci provino, non possono ripulire l’animo dai suoi innumerevoli peccati. E piango, appoggiata a questo muro di oscurità, incapace di altro, incapace di muovere i miei muscoli per andare da lei. Heiwa tace ancora, e nel suo silenzio riaffiorano nella mia mente le sue parole: io posso salvarla.
“Heiwa- dico senza voltarmi- Heiwa, ti prego, dimmi come salvarla.”
“È pericoloso, Farah. Se tu decidessi di ascoltarmi non potresti più tornare indietro.”
Sospiro. Possibile che non abbia ancora capito che sono disposta a tutto pur di salvarla?
“Dimmi come fare.”  
Mi volto a guardarlo, lui sostiene il mio sguardo.
“Devi donarle la tua vita.”
Sul mio viso compare spontaneamente un sorriso.
“D’accordo.”
Heiwa continua a fissarmi.
“Sicura che sia quello che vuoi?”
“Sono domande da fare, Heiwa?”
“Farah, non potrai più tornare indietro.”
“Non ha importanza. Per favore, Heiwa, portami da lei.”
Lui annuisce e io, come successo prima, salgo di nuovo sul suo dorso, riprendendo così quella corsa contro il tempo. Improvvisamente, un’esplosione ci arresta. Piano scendo per comprendere cosa sia successo e ciò che vedo mi paralizza. Un campo di battaglia, tante persone armate che corrono. Una guerra. E lì, riversa per terra, la sagoma del soldato vittima di quell’esplosione. Un suono indistinto giunge alle mie orecchie, qualcuno invoca un nome. Volto il capo verso l’origine di quel suono e la vedo. I suoi capelli biondi, i suoi occhi azzurri bagnati di lacrime, il suo viso pallido tirato in una smorfia di sofferenza. Prende tra le braccia quel corpo ormai privo di vita, urlando il suo nome. E mi vedo, lì, tra le sue braccia. Morta.
“Sophie…” chiamo, ma sembra non udirmi. Riprovo ma senza risultati.
“Perché non mi sente?” chiedo ad Heiwa.
“Perché è preda del suo incubo.”
“Cosa?”
“È così, Farah. Lei sta vivendo il suo più grande incubo in questo momento e, per quanti sforzi tu faccia, non riuscirai a sottrarla da quella sofferenza.”
“Vuoi farmi credere che il suo incubo più grande è la mia morte?”
“Sì, Farah. Non ti dovresti sorprendere poi tanto, il tuo riguarda la sua.”
“Ma io sono qui, sono viva!” gli urlo ma il suo volto resta impassibile.
“Non è questo che dovrebbe importarti adesso, Farah.”
“Che intendi di..” improvvisamente la testa comincia a girare, i miei occhi si chiudono, sento distintamente il mio corpo urtare il pavimento nero di questo mondo. Un attimo prima che il mio cervello si spenga sento una voce.
Vedi, Farah, la tua sfida inizia ora.
  
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