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Autore: Atzlith    05/07/2011    5 recensioni
Leo è un ragazzo bruttino, gay e maltrattato dai compagni di classe comandati da Mario, un ragazzo per cui ha perso così tanto la testa da credere a qualsiasi cosa lui gli dica.
Riccardo è un ragazzo mediocre, bullo e pieno di rabbia, il volto di Leo lo irrita a tal punto da volerlo picchiare ogni volta che lo vede e i suoi ormai lo vedono come una "causa persa".
Generalmente questi due ragazzi non avrebbero niente in comune, anzi, persino sulle piccole cose che li circondano trovano differenze abissali... ma allora cos'è che li avvicinerà?
La verità è che, in modo incompresibile, non siamo noi a decidere il nostro futuro. Ma siamo noi che lo plasmiamo un po', in modo tale che anche due esseri così diversi si capiscano contro la loro stessa volontà.
[Si sa, il bullo finisce sempre nei guai, a questo almeno ci avevo fatto l'abitudine.
Mi accasciai al suolo dopo aver chiuso a chiave la porta, avrei voluto dormire su quel pavimento ghiacciato, il calore che avevo in corpo, reso per colpa della rabbia che avevo rilasciato, mi stava facendo impazzire e in più, stranamente, quella distesa di mattonelle pareva morbida e confortante.
] - Cap.2
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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La verità è un dolore che a volte si nega_cap01
Presentazione:
Leo è un ragazzo bruttino, gay e maltrattato dai compagni di classe comandati da Mario, un ragazzo per cui ha perso così tanto la testa da credere a qualsiasi cosa lui gli dica.
Riccardo è un ragazzo mediocre, bullo e pieno di rabbia, il volto di Leo lo irrita a tal punto da volerlo picchiare ogni volta che lo vede e i suoi ormai lo vedono come una "causa persa".
Generalmente questi due ragazzi non avrebbero niente in comune, anzi, persino sulle piccole cose che li circondano trovano differenze abissali... ma allora cos'è che li avvicinerà?
La verità è che, in modo incompresibile, non siamo noi a decidere il nostro futuro. Ma siamo noi che lo plasmiamo un po', in modo tale che anche due esseri così diversi si capiscano contro la loro stessa volontà.

Premessa: esattamente non so cosa dirvi per cui leggete e basta, mi è venuta in mente in vaporetto, mentre tornavo in convitto. 


Vittima e carneficE


"Tu mi piaci."

Tre parole che io non avrei mai voluto udire, avrei preferito che le mie orecchie fossero sorde in quel momento, poiché l'unica cosa che riuscii a dire chiaramente, a colui che mi era di fronte, fu:
"Ti stai prendendo gioco di me?"
con stupore, il suo sguardo si accese e nel contempo la mia vista si annebbiò per colpa delle lacrime.
Era logico che io reagissi in quel modo poiché sapevo che la vita stessa non era come un romanzetto rosa o un film bellissimo la cui fine si poteva intuire che sarebbe andata sempre bene, essendo conscio di questo, ero pure consapevole che questa era la vita vera e quindi le cose sarebbero accadute solo con la propria volontà.
Il destino non esisteva.
E poi, a dir la verità, io mi detestavo.


Il mio nome era Leonardo Chiari, non ero niente di speciale, potevo benissimo passare per lo stupido ragazzo del momento.
La mia media scolastica era atroce, i miei capelli erano di un castano schifoso e quasi sbiadito (chiamato color pelo di topo per molti che mi conoscevano), indossavo gli occhiali con le lenti grosse e la mia corporatura era secca come uno stuzzicadente... decisamente un obbrobrio. Avevo persino dell'acne in alcuni punti del corpo per cui potevano bellamente schernirmi, non ne avrei fatto un caso politico e quindi, per questo motivo, i ragazzi si divertivano a farlo. Spesso ero vittima di bullismo ma ciò non m'impediva di andare a scuola e continuare la mia sofferente vita di tutti i giorni.
Come se non bastasse, io ero anche gay.
Solo che non l'avevo detto a nessuno poiché non volevo essere preso di mira pure per quello, perciò me ne stavo in disparte a guardare da lontano Mario, il ragazzo più bello della nostra classe e uno dei bellocci della scuola. Le ragazze gli andavano dietro proprio per la sua bellezza e quando lui mi prendeva di mira assieme agli altri, non dicevo nulla.
La verità era che la vita non era come spesso scrivevano nei libri, se fosse stato tutto così semplice ci sarebbero state alcune cose da cambiare nella mia:
1. non avrei avuto l'acne;
2. Mario sarebbe innamorato di me, non il contrario (in fondo lo sapevo che era sempre il bello che s'innamorava dell'impiastro);
3. io avrei ceduto dopo molti tentativi andati a vuoto di Mario;
4. avrei perso la verginità con lui e avremmo vissuto felici e contenti per sempre.
Fine.
Ogni volta che mi mettevo a leggere libri d'amore e fanfictions su internet, arricciavo il naso pensando che sarebbe stato bellissimo se la mia vita avesse avuto questo tipo di risvolti.
Peccato che la mia vita non fosse una fanfiction.


Certe volte mi chiedevo perché fossi così sfortunato, tutti quelli che conoscevo o vedevo erano mille volte migliori di me, avrei voluto essere un minimo come loro, non pretendevo troppo.
Le piccole cose che vedevo ogni giorno sembravano dirmi che io non piacevo a loro eppure a me piaceva abbastanza roba che si trovava in giro... era per questo che la mia frustrazione verso il mondo intero si riversava su un'unica persona che avrei voluto si moltiplicasse per avere altri da maltrattare quanto lui.
Ero furioso con me stesso per ciò che vedevo.
Il bullismo era una cosa brutta e assurda, ti risucchiava come se ti facessi di droga, sapevo anche che il mio gruppo, capitanato da Mario, era la cosa più orrenda che potesse esistere al mondo eppure non riuscivo a capacitarmi di come fossi felice nel torturare chi era più debole di me, era il solo modo che avevo per uccidere me stesso e la mia umanità.
"Sentite, perchè oggi non facciamo a meno di picchiare Chiari? Scegliamo un'altra vittima."
fu la mia lamentela dato che ero piuttosto contrario a prenderla sempre con una sola persona:
"E perché? Provi pietà per lui, Riccardo?"
"No."
risposi alla domanda di Mario, m'irritai un po':
"Voglio una nuova vittima."
mi sorrise:
"Perché? E' così orribile prendersela con quello stupido? Non ti fa venir voglia di rovinargli quel faccino?"
m'indicò la finestra e vidi Chiari chinarsi per allacciarsi le scarpe. Il suo volto colmo di acne mi fece arrabbiare per come fosse così disgustosamente in vita, sembrava che riflettesse tutto ciò che non mi andava a genio in questo odioso mondo, per questo mi alzai ed uscii dall'aula vuota dov'ero col mio gruppo.
I miei passi furono svelti, precisi, come se si muovessero seguendo un percorso prestabilito.
Odiavo il mondo.
Detestavo me stesso.
La rabbia dentro di me era tale che avrei distrutto tutto ciò sul mio cammino, mi sarei divertito persino a fare a pezzi il cuore di una ragazza, avrei strappato capelli a chiunque per il semplice gusto di farlo.


La verità era che non mi era mai importato che la mia vittima si chiamasse Leonardo Chiari.


Mi sarebbe andato bene chiunque purché potessi alzare le mani sul suo corpo e rendere la sua pelle rosa nera come il carbone.
Continuai a fissare le scarpe avanzare su tutti i pavimenti fino a quando giunsi sulle scale lunghe e solitarie, il cuore si bloccò e l'affanno si fece pericoloso, tutto questo era normale per me... era il mio corpo che pretendeva di sfogarsi su qualunque cosa, oggetto o persona, e quindi, giunti a quel punto della mia ira, non avrei più potuto tornare indietro poiché erano le sensazioni latenti della mia rabbia che avrebbero iniziato a comandare il mio corpo e soprattutto le mie mani come la mia bocca.
Difatti non ci misi molto per trovarmi di fronte a Chiari, lui notò la mia ombra che sovrastava il suo corpo e a me bastò vedere il suo volto alzarsi verso la mia direzione, guardarmi con occhi stupiti e aprire leggermente la bocca.
Il resto venne da sé.
"Oggi abbiamo fatto un bel lavoretto, che ne dici se domani ce la prendiamo con lui anche alla fermata?"
"Darebbe troppo nell'occhio, Giulio."
ero a casa e al telefono c'era uno del gruppo, andavamo d'accordo tra di noi solo quando si trattava di picchiare Chiari, non che la cosa mi desse fastidio però ero anche l'unico del gruppo che proponeva nuove vittime ma i ragazzi, sfigati com'erano, non volevano ammettere di temere di divenire un vero e proprio gruppo di bullismo.
"La prossima volta dove lo facciamo?"
"Magari in palestra... così i prof non ci beccano."
conclusi la conversazione in quel momento poiché entrò mia madre dicendo:
"Hai ancora intenzione di prendertela con i più deboli, Riccardo?"
sbuffai rimettendo il cellulare dentro la tasca dei jeans:
"Quante volte ti ho detto di non entrare in camera mia senza permesso?"
lei corrucciò la fronte prendendo alcuni panni sul pavimento:
"E cerca di tenere in ordine la tua stanza."
"Ti avevo fatto una domanda."
"Io invece vorrei che tu ascoltassi."
disse dandomi le spalle e uscendo dalla mia stanza. Era sempre strano come lei riuscisse a ignorare ciò che le mostravo chiaramente ovvero la mia rabbia.
Non era segreto il mio stato emotivo eppure lei e mio padre non facevano una piega, credevano di cambiarmi diventando freddi e cattivi, nient'altro, come se sarei stato io quello che avrebbe sbagliato tutto e solo alla fine se ne sarebbe pentito. Se avessero compreso solo la metà di ciò che provavo, avrebbero iniziato tempo addietro a farmi capire cos'avrei dovuto fare per cambiare.
Per questo motivo mi sentivo tradito da loro, pareva quasi che si fossero arresi con me e di conseguenza io fossi entrato da tempo nell'archivio delle cause perse.


Le cose che io adoravo erano poche giacché erano poche cose che adoravano me.
Dovevo ammettere a me stesso, ogni giorno, che spesso e volentieri questa lista di cose diminuiva sempre più per cui, poco alla volta, anch'io avevo iniziato ad adorare meno cose e ad affezionarmi sempre di meno a tutto ciò che mi circondava.
Essere picchiato da Riccardo era la prima cosa che detestavo tra tutte e non era perché fosse uno dei bulletti che mi prendevano di mira, anzi, se fosse stato solo per questo, avrei persino detestato a tal punto gli altri ragazzi del gruppo e il mio amore verso Mario si sarebbe dissolto in un nanosecondo.
No, non era quello il motivo ma erano i suoi occhi e i suoi modi, Riccardo mi osservava sempre con rabbia e mi picchiava come se stesse calciando un sacco di patate, sembrava che non mi vedesse nemmeno come un essere umano ma molto più similmente a un attrezzo per il pugilato. Era questo che odiavo.
Gli altri ragazzi almeno avevano un motivo valido, benché fosse inappropriato: facevo schifo a loro per via del mio aspetto.
A Riccardo no invece, gli sarebbe andato bene persino un altro studente e ciò mi riempiva di rabbia poiché, tra tutti, ero sempre e solo io la vittima.
Non avere un motivo preciso per picchiare, era assurdo.
Per questo avrei voluto urlare al mondo il mio disappunto, sperando che qualcuno mi avesse ascoltato però, forse, a nessuno poteva importare di cosa pensasse un ragazzo gay sfortunato e pure bruttino, forse era anche per questo motivo che non ci avevo mai provato. Dire qualcosa al mondo? Quando?
Quando i gabbiani avrebbero smesso di volare.
"Leo, sei sicuro di sentirti bene?"
la domanda provenne da mia madre, appena tornato a casa aveva notato che ero un po' malconcio ma per non farla preoccupare, non avevo mai detto nulla sui miei maltrattamenti:
"Sì, certo."
le dissi sorridendo.
Lei era una donna che si preoccupava di me e dei miei fratelli ogni volta che ne aveva l'occasione, si poteva dire che fosse il suo secondo lavoro monitorarci, per questo motivo non volevo darle altre preoccupazioni, non le avevo nemmeno detto di essere gay. Probabilmente quest'ultima cosa l'avevo negata a me stesso perché papà avrebbe potuto avere il pretesto di dirmi che ero io la pecora nera della famiglia e altre cose del genere, si può passare sopra all'orientamento sessuale se si è buoni ma nei litigi tutto esce fuori con vigore, pure le cose che non si pensa.
Avrei voluto evitare di ricevere le stesse frasi nei litigi.


La verità era che avevo paura della loro reazione.


Questo pensai fino a quando il mio segreto fu svelato.
"Tu mi piaci."
una giornata come tante, normale per qualsiasi cosa fosse accaduta tra le sette e le otto meno dieci, ciononostante c'era qualcosa nell'aria che voleva avvertirmi che tutto questo silenzio continuo dovesse essere solo la calma prima della tempesta, difatti giunse l'inizio di questa:
"Ah..?"
emettere un suono del genere di fronte al ragazzo che mi piaceva era stato stupido però l'emozione di ricevere quelle tre parole da lui, Mario, era una sensazione così piacevole che mi aveva fatto dimenticare il mio terribile presentimento. Ciò diede il via ad una serie di eventi tra cui la mia seguente frase:
"Di... dici davvero?"
e conseguentemente il mio sorriso, fatto come se non volessi trattenere la mia felicità, fu per questo fatto che tutti capirono.
Tutti chi? Logico... i ragazzi del gruppo di Mario.
Grazie a questo scherzo fatto alla leggera, compresero che io ero gay e così mi ritrovai come una farfalla nella rete del ragno, pronta ad essere divorata. Li vidi entrare in aula ridendo, Mario fu il primo di loro, continuarono felici fino a quando videro le mie lacrime scendere lungo le guance e lì sembrò che il loro piacere aumentasse.
Cercai di uscire dall'aula con rabbia, scalciai per non farmi prendere e picchiare, per oggi ne avevano avuto abbastanza no? Potevano benissimo lasciarmi solo per sempre.
Così facendo corsi di fronte alle bacheche della scuola e mi vidi riflesso sui vetri di queste, altro che farfalla... ero un bruco orrendo con gli occhi rossi, le lacrime che riempivano le guance, il moccio che scendeva dal naso e un'espressione contratta in segno di sofferenza, poi il viso rosso non faceva che rendere più visibili i punti sparsi dell'acne.
Fu così che arrivai all'ultimo evento della tempesta: calciai una di quelle bacheche e la mandai in frantumi incastrandomi alcuni pezzi di vetro nella gamba usata, vidi sangue e mi accovacciai per togliere i pezzi dai pantaloni e poi dalla pelle sotto di essi.
In quel momento avrei voluto sparire dalla faccia della terra.


"Facciamo un piccolo scherzo a Chiari, potrebbe rivelarsi rivelatorio, no?"
era stata la proposta di Giulio appena vedemmo la nostra solita vittima dirigersi in classe, io non ero molto d'accordo, fare giochetti psicologici non era il mio genere, anzi, li detestavo, ero più propenso a rovinare la vita alle persone direttamente sulla loro pelle per cui non volli partecipare ma dissi loro che avrei aspettato Chiari in corridoio che fosse riuscito a fuggire, l'avrei riportato indietro e l'avremmo picchiato come al solito.
Niente di più facile per me.
Almeno credetti prima di vederlo sofferente a terra con le mani insanguinate che si teneva una gamba, per tutta risposta alzai un sopracciglio curioso e mi avvicinai per vedere bene cos'era accaduto, lui alzò lo sguardo e quello mi fece irritare, soprattutto perché quella faccia orribile aveva gli zigomi contratti in una smorfia di dolore e i liquidi corporei erano un po' ovunque:
"Cosa ci fai qui?"
fu la prima cosa che gli chiesi:
"Vuoi picchiarmi?"
domandò lui:
"Sono io che ti ho fatto una domanda per primo, no?"
ma la mia frase fu troppo lunga, infatti un docente passò per quel corridoio e ci vide.
Non ero la perla rara come Mario nella scuola per cui non ci volle molto per intuire che potevo essere stato io a spingere Chiari contro il vetro della bacheca perciò non mi stupii nel ritrovarmi nella sala del preside mentre quest'ultimo aveva il telefono in mano per chiamare i miei.
Loro non arrivarono.
Non gliene importava assolutamente niente di me e per questo io ricevetti una sospensione vera e propria senza interpellare nessuno che mi potesse fare da tutelante.
Io ero il ragazzo cattivo, avevo fatto del male a Chiari per lungo tempo e quello sarebbe stato l'ultimo atto che avrei compiuto in quella scuola se non avessi voluto essere espulso da quella stessa. Non avevano messo in conto che a me non sarebbe importato nulla se avessi cambiato scuola, ne sapevano poco di bullismo e io potevo passare per il capo del gruppo di Mario, il gioiello dei professori, invece di essere visto come l'ultima ruota del carro.
Dopotutto io ero il ragazzo mediocre, dai voti bassi e gli occhi aggressivi, tutto combaciava alla perfezione contro di me.
Siccome però non volevano far sì che la mia punizione fosse una liberazione dalla scuola, mi dissero che avrei dovuto aiutare i bidelli nel loro lavoro, tanto per darmi tempo libero e farmi rimpiangere l'ozio delle lezioni.
Che palle... pensai.
Mai avrei pensato che sarebbe stato quello l'inizio della rovina della mia vita e al contempo il mio risveglio dalle tenebre.


La mattina seguente mi recai a scuola senza zaino, i bidelli erano stati informati del mio arrivo per cui molti di loro non fecero nemmeno il loro lavoro per lasciarlo fare a me, tra questi c'erano cose tipo pulire i bagni, usare le scope, fare fotocopie etc... uno dei lavoretti fu il trasportare materiale da un'aula ad un'altra per un laboratorio e fu lì che vidi Chiari seduto sulle scale mentre si massaggiava la gamba:
"Ti stai impegnando, vedo."
commentò, lo squadrai:
"E tu? Non dovresti correre via alla mia presenza?"
si voltò, i suoi occhi si posarono sui miei e io dovetti trattenermi nella voglia di trucidarlo:
"Io non scappo di fronte a nessuno."
"E perché? Pensi che io non possa picchiarti ora?"
"Affatto, so che potresti farlo e per questo non scappo."
scesi alcuni gradini:
"Ti piace essere picchiato, per caso?"
"No."
scesi altri gradini e così vidi che aveva un bastone, forse perché, con la gamba ridotta in quel modo, era un po' improbabile che riuscisse a camminare normalmente e per un breve attimo ebbi pietà della sua situazione tuttavia quell'istante si dissolse appena i miei occhi tornarono sul suo viso:
"Mi irrita veramente la tua faccia. Vorrei picchiarti ora."
sospirò:
"E' dunque questo quello che vuoi fare?"
"Esatto."
"Mi riesce difficile pensare che tu voglia perdere tempo nel picchiare la gente quando potresti conoscerla più a fondo."
"Dici? Ma io detesto tutto quello che ho davanti."
"Anche io, giusto?"
"Sì."
"Capisco."
lo vidi alzarsi e salire le scale lentamente, tanto che le mie mani tremarono, anche la sua estrema lentezza mi faceva perdere il controllo, poi udii:
"Anche se mi picchi, non mi uccidi. Perché allora dovrei fuggire di fronte a qualcosa che non mi uccide?"
"Vorresti essere ammazzato?"
sorrise:
"Ovviamente no. Era per farti capire che io non fuggirò mai da scuola, entrerò sempre dalla porta principale con la testa alta perché voi non siete che una delle mille prove della mia vita. Certo, il dolore delle botte fa male, ogni giorno, eppure finora non mi avete mai offeso a parole, ciò mi rasserena."
"A parole?"
"Esatto."
"Quelle non fanno male."
scosse la testa:
"Il più delle volte una parola fa molto più male di uno schiaffo."


Se qualcuno mi dicesse quattrocchi, non mi offenderei, se dicessero ingiurie dopo ingiurie, nemmeno ma sarebbe stato perché ormai ero immune al dolore delle parole ciononostante non a quello degli atti, specialmente quelli più crudeli avvenuti il giorno prima.
"...più male di uno schiaffo?"
Riccardo non era affatto sicuro di quello che avevo detto, dopotutto lui era un tipo più irascibile, non si sarebbe mai fatto ingannare da simile parole e difatti lo vidi squadrarmi:
"Non dire sciocchezze."
gli sorrisi nuovamente:
"Hai ragione, sono solo sciocchezze."
ero pienamente sicuro che non si sarebbe aspettato la mia reazione in quel modo ma non riuscii a dirgli altro poiché giunse un bidello a chiamarlo e io continuai a dirigermi verso la mia classe.
Come volevasi dimostrare, nessuno ebbe il coraggio di chiedermi cos'era accaduto alla gamba, dopotutto non ero un vip e se fossi anche sparito, sarebbero stati felici tutti i miei compagni, Riccardo per primo dato che era stato incolpato ingiustamente dal preside, parlare con quest'ultimo non aveva risolto niente, per questo avevo smesso di dirgli che non aveva colpa, magari gli avrebbe fatto bene aiutare i bidelli per tutte le ore di sospensione da scuola.
All'intervallo notai il solito gruppetto di Mario avvicinarsi a me e uno di loro, Marco per la precisione, iniziò col dire:
"Certo che hai proprio una bella faccia tosta..."
lo ignorai:
"...Riccardo s'è preso una colpa non sua perché tu sei un debole frocio da quattro soldi. Non avresti dovuto nemmeno presentarti a scuola!"
continuai ad ignorarlo fino a quando arrivò Mario, mi fissò in silenzio, allora alzai lo sguardo... e dire che ieri aveva scherzato coi miei sentimenti in quel modo atroce, non avrei dovuto perdonarlo ma forse il mio amore mi rendeva così cieco da diventare persino troppo stupido:
"Sinceramente... spero che la gamba ti vada in cancrena."
fu tutto quello che disse prima di voltarmi le spalle, gli altri lo seguirono ma Giulio non si trattenne nel darmi uno schiaffo sulla nuca e poi andarsene ridendo.
La mia solitudine sarebbe aumentata, avendoli colpiti nella parte più forte del loro sistema, molto probabilmente, appena Riccardo sarebbe stato libero dal suo impegno sociale, me l'avrebbe fatta pagare in qualche modo.
Bastava solo attendere una loro mossa.


Ero intento a pulire le finestre del corridoio quando vidi Marco arrivare vicino a me quasi urlando:
"Riccardo, che proponi?!"
non compresi subito cosa intendesse, poi vidi Mario proprio dietro di lui e ancora più dietro gli altri, mi resi conto allora che parlavano del piano di come rendergli la sfiga a Chiari, riflettei un po':
"Uhm... picchiarlo allo stesso modo degli altri giorni mi sembra troppo poco..."
"E' vero. Quindi che decidi?"
che me lo chiedesse Mario stesso, era un evento di quelli rari quanto una carta rara di Yu-gi-oh! anche se quel tipo di giochi mi faceva abbastanza vomitare:
"Mentre lo picchierete, insultatelo nei punti più fragili."
dissi:
"Picchierete? Non vieni anche tu?"
domandò Giulio, io lo fulminai con lo sguardo indicandogli il vetro che stavo pulendo:
"Massì! Lascia perdere quello!"
"Se non faccio il mio dovere, la sospensione si allungherà e io voglio tornare a scuola il prima possibile. Non mi va di rimanere a casa senza poter scuotere quella testa orribile di Chiari, mi sono spiegato?!"
Giulio sussultò alla mia frase, Mario capì la situazione e andò a fare il suo lavoro di capo-branco e di studente modello della scuola.
Li vidi allontarsi e ridere per quello che avrebbero fatto.
Tornai solo tra i miei pensieri e pensai che, molte volte, mi stupivo di vedere i telegiornali dove ammettevano che i ragazzi che praticavano il bullismo fossero tutti di famiglie benestanti o normali, che la gente non se lo sarebbe mai aspettato di sapere una simile verità su di loro.
Mario era uno studente modello, piaceva alle ragazze e aveva una famiglia senza difficoltà economiche, poteva definirsi un dio ma era proprio per questo che tutto ciò non gli andava a genio. Avere troppo, rendeva avida la gente verso qualcos'altro che non potessero avere eppure loro stessi non capivano cosa desideravano, questo comportava loro la rabbia crescente dentro il loro corpo e in qualche modo essi dovevano sfogarsi esternamente.
La rabbia di non sapere cosa ti manca, ti manda segnali come: sfogati.
Ma su che cosa?
Su coloro che vivono una vita normale e felice nonostante non siano perfetti, è questo ciò che ti rende una bestia.
E la gente non capisce, vero?
In questa scuola insegnanti, bidelli e studenti sarebbero sorpresi nel vedere al telegiornale la faccia di Mario e dire: non lo sapevo, non me lo sarei mai aspettato.
Bugie.
Tutte bugie.

La verità era che la gente non voleva vedere quella realtà.


Non volevano ammettere che i loro idoli erano imperfetti e che lo facevano senza uno scopo preciso. Avrebbero ammesso al mondo intero che io ero un teppista di quelli veramente violenti, anche senza avermi mai visto picchiare qualcuno e tutto perché io ero in una famiglia disagiata e ormai alla frutta.
Avrei atteso all'infinito l'arrivo di qualcuno che mi avrebbe fermato e umiliato, certamente non l'avrei trovato nella giustizia ma in ciò che era all'esterno di essa.
Ma dove?
Ed ecco salire la mia ira...


Che Riccardo Giusti fosse pazzo era una cosa fattibile per me... che fosse anche stupido pure... ma che potesse picchiare una persona anche se ferita, non ero certo eppure qualcosa mi diceva che sarebbe stato possibile dato che riusciva a picchiarmi anche con gli occhiali addosso.
Non mi stupii dunque del fatto che me l'avessi trovato di fronte, schiena a terra, e avesse iniziato a picchiarmi a cavalcioni su di me fino ad arrivare alle gambe dove strinse con una mano quella che più mi doleva.
Finì tutto in breve tempo.
Riccardo sparì e io compresi che non sarei mai stato al sicuro in quell'edificio dove, anche se ci fosse stato qualcuno in corridoio, avrebbe taciuto.


Mi ero sfogato come giusto che fosse tuttavia non calcolai il fatto che un bidello avesse visto che me n'ero andato lasciando il posto di lavoro, in poco tempo fui portato nella sala del vicepreside e lui, guardandomi male, iniziò col dire:
"Ascoltami bene, Giusti, sei un ragazzo problematico e questo l'abbiamo sopportato ma ti abbiamo voluto dare una possibilità per essere d'aiuto qui a scuola invece che darti una sospensione che non avrebbe risolto niente."
sbuffai aspettandomi che mi dicesse un discorso lungo ore e ore ma non fu così, una professoressa arrivò trafelata nella stanza dov'eravamo quindi gridò:
"Presto! Dobbiamo chiamare un'ambulanza!"
"Che cosa?!"
il preside si precipitò dalla professoressa e, tra un grido e l'altro, compresi che la banda di Mario aveva colpito Chiari proprio come avevo proposto io ma erano andati anche oltre il dovuto.
Una gamba rotta e questo era tutto quello che capii oltre al fatto che uno dei ragazzi del gruppo era stato preso da un bidello e portato in presidenza dopo di me così, vedendomi, aveva urlato ai quattro venti che ero stato io a suggerire di picchiare più forte sulla gamba di Chiari.


DUE GIORNI DOPO


Sicuramente trovarmi in una situazione del genere era da imbecilli ma non potevo fuggire stavolta, avrei dovuto entrare nella tana del nemico per dire qualcosa come: scusami tanto per averti picchiato tutte quelle volte.
Di fronte alla casa di Chiari, notai che era piuttosto grande, il giardino era composto di due parti, una di cemento, l'altra di sabbia, per cui capii che i suoi non erano molto propensi ad avere alberi, difatti ne vidi solo due o tre e qualche cespuglietto. Suonai un po' titubante e vidi che alla porta apparve una signora dai capelli castani e con la permanente:
"Sì?"
sospirai:
"Mi scusi, c'è Leonardo Chiari in casa?"
"Sì, chi devo annunciare?"
...annunciare? Non era un po' datato come verbo?
"Sono Riccardo Giusti."
appena finii di dire il mio nome, l'espressione nel volto della donna cambiò da un sorriso a un volto imbronciato, uscì di casa e venne verso il cancello, di fronte a esso mi osservò attraverso le sbarre:
"Che cosa vuoi?"
"Sono venuto qui per scusarmi."
"Leonardo non ha bisogno di false scuse! Gli hai già fatto troppo male!"
arricciai il naso, ero piuttosto scocciato di stare lì per cui dissi:
"Senta... la verità è che nemmeno io vorrei essere qui ma se torno a casa e dico ai miei che non sono riuscito a scusarmi, prima di tutto mi potrebbero sgridare e poi lo direbbero alla scuola. Certo, finire di nuovo nei guai non cambierebbe la mia situazione, decida lei."
abbassò gli occhi per pensarci, la vidi sospirare profondamente e infine aprirmi il cancello:
"Se alzerai le mani su mio figlio, chiamerò la polizia, sappilo."
"D'accordo."
Per un attimo fui un po' geloso di Chiari, lui aveva una mamma molto protettiva, al contrario della mia che non gliene poteva fregare niente di me, se fossi stato un bamboccio bisognoso di cure come lui, forse avrei attirato la sua attenzione.
Appena entrai in casa vidi un ragazzino seduto su un divano che giocava alla playstation, era intento ad ammazzare zombie con Resident Evil 5:
"Mirco! Quante volte ti ho detto che prima fai i compiti e poi giochi?!"
urlò la madre e, dato che era dietro di me, avanzò verso il figlio, lui sbuffò:
"Ok, adesso li faccio."
"Bene. Non voglio vederti davanti alla tv finché non li hai finiti."
"Sì."
dopo la ramanzina, posò gli occhi su di me e m'indicò le scale a un metro dai miei piedi:
"Sali sulle scale, gira a destra e in fondo al corridoio c'è la sua stanza."
compresi che aveva altro da fare piuttosto che accompagnarmi fino in camera di suo figlio ma mi venne il dubbio di come mai mi lasciasse girare da solo per la casa.
Dopo aver salito le scale, capii tutto.
La famiglia di Chiari era molto grande, oltre a lui e al fratellino in soggiorno, aveva tre sorelle, il padre e il nonno che giravano per tutte le stanze, per cui ero già abbastanza sotto controllo. Notai che alcuni di loro si voltarono verso il corridoio per vedere chi fosse l'individuo che avanzava impacciato lungo di esso ovvero io che, giunto di fronte alla camera, bussai sulla porta aperta, tanto per avere il consenso di entrare e non trovarmi in situazioni pericolose che avrebbero messo in allerta tutti quegli occhi su di me.
Mi sembrava di essere di fronte alla sala del re della casa, le guardie ormai mi avevano puntato e se avessi fatto una mossa sbagliata, mi avrebbero colpito in massa.
"Avanti."
entrai lentamente e così vidi che Chiari era sotto le coperte, nel suo bel letto col piumone.
Attorno al letto erano sparsi libri e riviste, sulla parete al lato sinistro di questo c'erano fumetti di ogni genere e persino peluche, ai miei piedi cuscini e un tappeto persiano di quelli ben ricamati, alzai gli occhi sulla sua figura e lui, seduto ed appoggiato a tre cuscini, mi osservava indifferente:
"Uhm... bella camera."
dissi per prima cosa, lui guardò fuori dalla finestra per un istante:
"Avevo sentito bene prima..."
ricordai di aver urlato il mio nome alla signora per farle capire chi ero, o almeno così ricordavo, e comunque chi altri avrebbe potuto ricevere Chiari? Non l'avevo mai visto parlare con qualcuno nella nostra classe e all'intervallo non usciva mai in corridoio se non per andare in bagno.
"...sei venuto a chiedermi scusa come ti hanno detto i tuoi?"
"Veramente è stata la scuola a dire ai miei di dirtelo."
"Capisco."
il silenzio cadde fra di noi e ciò mi diede il tempo per analizzare la sagoma delle sue gambe sotto le coperte, probabilmente aveva ancora male alla gamba oppure il dolore era diventato più forte col l'ultima batosta che gli avevamo dato:
"Dunque: mi dispiace per quello che abbiamo fatto."
"Non è convincente."
grugnii:
"Mi dispiace tanto per quello che ho fatto! Ho sbagliato!"
gridai, lui mi fissò:
"Non è ancora convincente... dopotutto io non ti ho chiesto di chiedermi scusa."
rimasi basito:
"Mi basta il solo fatto che ci abbia provato anche se devo dire che non ci credo nemmeno un po'. Appena tornerò a scuola, mi picchierai ancora e torneremo all'inizio."
"Senti..."
m'irritai:
"...mi hanno imposto di chiederti scusa e di convincerti a tornare a scuola dato che non va bene che uno studente abbia timore di tornare."
"Non ho paura."
disse sorridendo.
"Riferisci al preside che non era una scusa quella del fatto che ho male alla gamba, è tutto vero. Mi fa male la gamba e non riesco a muoverla senza sentire delle fitte."
dunque era proprio per colpa nostra che era a letto, quella dannata gamba gli doleva più dell'ultima volta e tutto perché avevo detto ai ragazzi che quello era il suo punto debole.
Ma non ci potevo fare niente, anche ora la sua sola presenza mi incitava alla violenza.


Avrei preferito di gran lunga non dover vedere l'artefice dei miei mali, nonostante sapessi che Mario era il vero capo della banda, Riccardo rimaneva sempre il più feroce e averlo in casa mi rendeva inquieto. Solo parlando senza paura, potevo esorcizzare questa ma allo stesso tempo temevo che, se avessi abbassato la guardia, lui avrebbe potuto picchiarmi anche qui, dentro la mia stanza e quindi nel mio mondo protettivo.
Sapevo che i miei sarebbero stati pronti a fermarlo ma sarebbero stati più veloci di lui?
Incrociai il suo sguardo ed ebbi un fremito lungo la schiena, i suoi occhi erano gelidi e probabilmente non vedeva l'ora di ammazzarmi di botte per averlo tirato dentro a questa situazione, lui detestava essere comandato dagli altri, specialmente se questi erano adulti.
"Hai intenzione di picchiarmi ora?"


La verità era che avevo paura.


Potevo fissarlo dritto negli occhi, dire che non m'importava delle sue scuse ma il mio timore rimaneva costante tanto quanto la mia sfrontatezza. Fingevo di sentirmi sicuro dentro quelle mura familiari e invece stavo morendo di paura.
"Se lo facessi, finirei nei guai."
rispose lui dopo un po':
"Quindi non lo fai per questo banale motivo?"
rise:
"Veramente è che non ho alcuna voglia di alzare le mani su di te ora, non ne ho la benché minima ragione dato che non mi stai irritando."
...bugiardo.
Si vedeva lontano un miglio che le sue mani tremavano da quanta rabbia stava provando in quel momento, era qualcosa che gli percuoteva l'intero corpo e io mi sentivo come di fronte ad una belva feroce. Per un attimo pensai persino che fosse nella sua natura picchiare le persone, ciò mi rassicurò per qualche istante dato che capivo che non si poteva andare contro ciò che ti nasceva dall'instinto.
Sebbene non comprendessi ancora cosa lo aizzava contro di me.
"Vuoi sederti?"
chiesi, lui mi guardò per poi volgere i suoi occhi su tutti i mobili della stanza, uno ad uno li percorse, io sorrisi indicandogli la mia scrivania, lontana tre metri dal mio letto:
"C'è una sedia lì, prendila."
sbuffò e la portò lì dov'era rimasto fino a poco prima, forse più vicino al mio letto e per questo motivo rabbrividii:
"Dobbiamo parlare di qualcos'altro, vero? Oltre alle tue scuse intendo."
"Già."
disse annoiato, io strinsi le coperte dicendo:
"Di che argomento potremmo discutere? Non abbiamo niente in comune."
"A me..."
mugugnò lui:
"...piacciono i Lacuna Coil."
accennai:
"E poi i Linkin Park."
sorrisi:
"Pure i Limp Bizkit."
scostai la testa da un lato per poterla appoggiare ad una spalla:
"A me non piacciono."
dissi:
"E cosa ti piace?"
riflettei un po' per poi rispondere:
"Nessun artista in particolare, io adoro canzoni singole, non mi piace comprare CD o un solo gruppo. Ognuno di loro ha i suoi alti e bassi, non ha senso dire che piace un solo genere poiché almeno una canzone nel CD comprato, non ti piacerà."
"Quindi che canzone ti piace?"
"...quelle della Disney."
udii un rosolino, vidi che era Riccardo:
"Sei più poppante di quanto pensassi."
"Mi piace anche Il paradiso è qui di Carta."
"Oddio..."
cercò di nascondere il fatto che stesse per ridere a crepapelle:
"...si capisce benissimo che sei gay."
"Non si intuisce l'orientamento sessuale di una persona da ciò che ascolta, lo sai?"
si zittì.
I suoi occhi divennero scuri e poi tornò a ridere:
"Effettivamente non l'avevo capito nemmeno da come cammini, solitamente non sculettate voi?"
"Sono tutte dicerie... ci sono gay e gay, non siamo tutti uguali ed è questo il bello della vita, non pensi?"
"Non fare il filosofo con me."
mi puntò:
"Detesto chi lo fa."
stavolta fui io a rimanere in silenzio dopo il suo rimprovero.
Nella stanza non si percepì alcun suono per un lungo periodo, tanto che pensai di chiamare i miei per dire loro che Riccardo stava per andarsene giacché non avrei voluto rimanere da solo con lui un altro minuto di più, soprattutto se dovevamo rimanere muti entrambi.
Questo almeno finché sentii il suono vibrante di una canzone metallara:
"Ah... è il mio."
disse Riccardo prendendo un cellulare dalla tasca dei jeans.
Anche con quella prova musicale compresi che tra noi due ci sarebbe stato sempre un muro, non lo avrei mai capito fino in fondo. Mai.


"Ah... è il mio."
presi il cellulare e sentii dall'altro capo:
"Ehi, Riccardo! Abbiamo pensato di andare a giocare alla sala giochi, vuoi venire con noi?"
riconobbi la voce, era Giulio, guardai un attimo Chiari che si era messo a trafficare con le orecchie di un pupazzo, quell'immagine mi lasciò basito per un attimo, tanto che dovetti essere sgridato da Marco:
"Ma ci sei?! Rispondi!"
tornai alla realtà dicendo:
"No, oggi non posso."
"Mica sarai da Chiari?! Approfittane per picchiarlo anche da parte nostra!! Ahah!"
"Dai, non essere idiota!"
"Veramente a casa sua ci sono da un pezzo."
la risposta non ebbe molti consensi, il telefono iniziò a trasmettere solo rumori tra cui la voce di Mario:
"Sei a casa sua sul serio?!"
"Sì."
fissai la faccia di Chiari e parve non essere stupito del fatto che avessi confessato di essere da lui, mi guardò incrociando gli occhi con me e disse:
"Puoi dirgli anche l'indirizzo se vuoi."
allontanai il cellulare dal mio orecchio:
"Non sono così vigliacco."
a volte mi stupiva di come rispondesse, che avesse voluto dirmi che non gli importava essere picchiato? Sarebbe stato un paradosso:
"Prima o poi finirete col spezzarmi qualche arto e allora gli adulti vi diranno che non si fa ma voi tornerete a farlo, che senso ha impedirvelo ora che tanto lo farete un altro giorno?"


Cioè... non che fossi felice di aver udito con le mie orecchie quelle parole così schiette ma ciò che mi aveva lasciato paralizzato era il fatto che Chiari non era affatto come me l'ero sempre immaginato.
Fin dal primo giorno in cui era apparso nella nostra classe, mi era sempre salita una gran voglia di molestarlo e non parlo per via della mia natura che mi rendeva irritabile di fronte alle persone che sembravano appena uscite da un libro di fiabe, no... Chiari era diverso.
I suoi occhialoni grandi, i capelli un po' arruffati e il corpo piccolo e gracile mi avevano da sempre reso irrequieto. Avevo sempre pensato a lui come a un ragazzo pieno di amici, secchione a scuola, adorato in famiglia e sorridente... invece, col tempo, ho visto che non era così. All'intervallo rimaneva solo in classe, non andava in modo eccellente a scuola nonostante i professori preferissero lui a Mario, probabilmente era per quello che lui ce l'aveva tanto con Chiari, la famiglia gli voleva molto bene eppure non sorrideva spesso.
Sembrava che portasse un peso dentro di sé ma forse ero io che volevo pensare una cosa del genere, dopotutto degli altri non m'importava molto e appena varcai la soglia di casa, lo dissi ai miei.
Volevo che capissero che rendermi schiavo di loro o della scuola non mi avrebbe impedito di rinunciare alla mia dose di batoste da dare agli altri, avrei continuato in eterno ad ammazzare di botte tutti quelli che mi avrebbero fatto salire l'ira dentro la testa, tutti, nessun escluso... a partire da Chiari.


Dovevo ammettere che aver visto Giusti a casa mia non era stato confortante, ora che sapeva il mio indirizzo, poteva benissimo giungere con il resto del branco sulla soglia del mio giardino, attendere che io uscissi da quello e prendermi per pestarmi, mi sarei dovuto aspettare di tutto da quei ragazzi.
Continuavo a chiedermi che avessi fatto di male per meritare simili ingiustizie da parte loro ma più cercavo di capire, più non arrivavo alla conclusione, nonostante questi ragionamenti, sapevo che nessun adulto avrebbe dato loro la colpa, dopotutto continuavano a dire che i genitori dovevano controllare i figli e ammansirli ma finora non avevo visto risultati... e allora perché non punire drasticamente loro piuttosto che rifugiarsi dietro la scusa che il colpevole indiretto era il genitore?
A prescindere di come fossero gli adulti, un ragazzo era autonomo e quindi sapeva la differenza tra bene e male, passava quella linea solo per sfoggio.
I miei, ad esempio, erano molto buoni e permissivi, bastava che io portassi a casa buoni voti, fossi gentile e calmo, tutto il resto non contava... eppure, anche se i loro insegnamenti avevano avuto successo sui miei fratelli, sulla mia persona non erano serviti a niente. Io continuavo a sentirmi nel posto sbagliato, racchiuso dentro una bolla e se fossi stato forte quanto Giusti, forse sarei diventato anch'io un bullo.
Passarono le ore e arrivò l'ora di cena, fu a quel punto che dissi ai miei una cosa:
"Torno a scuola."
via il dente... via il dolore... no?
"Come? Ma... non ce n'è bisogno..."
intervenne subito mia madre, temeva che io divenissi nuovamente vittima del branco:
"Voglio tornare a scuola."
sospirò sconsolata. Dal giorno in cui mi avevano lacerato la gamba da botte e fracassamenti, avevo atteso due giorni per riprendermi psicologicamente da quell'aggressione, anche la mia gamba aveva bisogno di riposo però non potevo fuggire per sempre, avevo appunto detto a Riccardo che non l'avrei fatto, non potevo rimangiarmi la parola perché se l'avessi fatto, avrebbe compreso che la mia paura era salita e avrebbe avuto più possibilità di rendermi la vita impossibile.
"Sarebbe meglio che tu rimanessi a casa, Leo."
Marissa, mia sorella maggiore, aveva preso totalmente dalla mamma ed era questo ciò che m'irritava:
"Voglio tornare a scuola, punto e basta."
"Scordatelo! Solo perché quel bullo da quattro soldi è venuto qui e ti ha chiesto scusa..!"
"Non è per quello."
sbottai:
"Non voglio fare la parte del vigliacco."
"Ma che cavolo dici?! Non fare l'eroe, capito?! Tu rimarrai a casa!!"
la guardai, era furiosa:
"Allora vorrà dire che andrò a piedi fino alla fermata dell'autobus."
si zittì.
Io non avevo mai detto nulla ai miei genitori, né ai miei fratelli, ma una cosa che tutti loro avevano capito da quando ero nato, era che io ero testardo di natura. Se volevo una cosa, la ottenevo e se decidevo di farne un'altra, la facevo, per questo ero in parte felice di non essere forte abbastanza da diventare prepotente, altrimenti ci sarebbe stato un altro bullo nel branco di Mario.
Invece ero finito così... invece che il cacciatore, ero diventato la preda migliore tra tutte.
Debole e patetico.









Parole d'autrice:
Benvenuti al primo capitolo di "La verità è un dolore che a volte si nega", titolo piuttosto lungo rispetto ai soliti che io adotto per le mie storie ma questa è diversa dalle altre.
Storie come questa io le chiamo Gold.
Questa è la prima che pubblico e lascio su EFP, tempo addietro, agli albori della mia "carriera" sul sito, avevo pubblicato un'altra Gold ma l'avevo tolta subito notando un particolare non tanto irrilevante: era molto lunga e quasi infinita.
Ma cosa sono queste Gold? Ve lo starete domandando, vero?
Si tratta di storie che io controllo e ricontrollo almeno venti o trenta volte, ne controllo la calligrafia fin nei minimi dettagli, i tempi verbali, le descrizioni ambientali e tutto ciò che caratterizza un mio scritto. Sono storie su cui io dedico tutta me stessa e quindi non ne potrete mai trovare scritte meglio da me poiché è proprio questo il mio limite. Queste affermazioni magari mi faranno sembrare una che si dà la zappa sui piedi perché, se questa storia facesse schifo, vorrebbe dire che io meglio di questo schifo non riuscirei a fare ma non mi lamento... cioè... è la verità. Meglio di così non ci riesco.
Altra cosa che mi ha messo in una situazione piuttosto stressante (perché scrivere una gold è stressante) è il fatto che ho voluto scrivere di una storia ordinaria senza killer o mostri, il tutto per un semplice motivo: volevo qualcosa di diverso dal solito.
Spero che questa storia sia di vostro gradimento, probabilmente, finita questa, ne scriverò un'altra con ancora Leonardo e Riccardo e saprei anche come intitolarla ovvero "il mio bruttino", tuttavia questo è un argomento futuro per cui vedrò di non annoiarvi con altre righe.
Forse, quando avrò più tempo, riscriverò la Gold che avevo pubblicato momentaneamente su EFP, nonostante anche quella fosse fantasy.


   
 
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