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Autore: SummerRestlessness    06/07/2011    3 recensioni
Molly e Arthur sono diversissimi e questo è palese a tutti... Se però nel mondo babbano è l’amore a fare miracoli, nel mondo magico può essere una pozione a colmare il divario tra i due?
D'altra parte per Molly aspettare è una cosa insopportabile, anche se si tratta di veder sbocciare un fiore. Quasi sempre.
La storia di Arthur e Molly, come la Rowling, pur avendo disseminato indizi qua e là, non ce l'ha raccontata.
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Arthur Weasley, Molly Weasley | Coppie: Arthur/Molly
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Nickname (forum / EFP): Summer Rain
Titolo della storia: Blooming flower
Personaggio scelto: Molly Prewett
Altri personaggi / Pairing: Arthur Weasley
Genere: romantico, sentimentale
Rating: verde
Avvertimenti: flashfic
Citazione scelta:
Dicembre

"Like a flower waiting to bloom, like a light bulb in a dark room, I'm just sitting here waiting for you to come home" ["Turn me on", Norah Jones]

"Come un fiore che aspetta di sbocciare, come un puntino luminoso in una stanza buia, me ne sto seduta qui ad aspettare il tuo ritorno"

Breve introduzione: Molly e Arthur sono diversissimi e questo è palese a tutti… ma se nel mondo babbano l’amore fa miracoli, nel mondo magico può essere una pozione a colmare il divario tra i due… oppure no?

Note dell’Autore: gli avvenimenti di cui ho scritto ovviamente sono inventati ai fini della storia, ma sono basati su due rivelazioni che la stessa Molly fa all’interno della saga di HP. Innanzitutto, parlando con il figlio Bill, fa riferimento ad una “passeggiata notturna” con Arthur quando entrambi frequentavano Hogwarts, terminata verso le quattro del mattino con una ramanzina del custode di allora, tale Apollon Pringle, ad Arthur e della Signora Grassa a Molly. Inoltre, la stessa Molly ammette in un’occasione di aver creato una pozione d’amore quando era giovane (senza specificare se poi l’abbia usata).

Ho inventato invece il sortilegio “Lumos Minima”, basato però su quello invece esistente “Lumos Maxima”, e il fatto che Molly sia stata la prima giocatrice donna di Quidditch ad Hogwarts. Mi piaceva pensare che lo tenga nascosto ai figli per modestia e altruismo e anche per non essere sminuita come madre, ma che in fondo sussulti di orgoglio ogni volta che qualcuno prende in mano una scopa.

David Spinnet poi è il futuro padre di Alicia Spinnet, futura compagna di Harry&co. ad Hogwarts; infatti è biondo, alto e atletico, proprio come sua figlia.

 





 

Blooming Flower

Molly aveva capito subito che Arthur Weasley aveva un debole per lei: non era di certo una sprovveduta e inoltre c’erano parecchie prove che confermavano la sua tesi. Il ragazzo arrossiva sempre quando lei gli chiedeva qualche curiosità sui cibi babbani (argomento che, a dirla tutta, le interessava davvero); non la guardava mai direttamente negli occhi se non quando era troppo preso a spiegarle qualcosa per ricordarsi di essere imbarazzato; la seguiva con lo sguardo quando si incontravano per caso nei corridoi, pensando che lei non lo vedesse e come se non bastasse anche le sue amiche avevano notato “il modo in cui lui la guardava”.

E poco dopo aver capito che lui aveva un debole per lei, Molly si era accorta di ricambiare quel sentimento: perché tutte quelle cose che faceva, il fatto che fosse così diverso da lei e da tutti gli altri, il suo essere timido ma in fondo anche determinato e tutto quello che insomma era Arthur Weasley le piaceva davvero, e non poco.

D’altra parte, però, Molly sapeva che Arthur non era proprio il tipo di ragazzo che le avrebbe chiesto di uscire insieme a lui così su due piedi e senza, come dire, un incoraggiamento, un piccolo aiuto. Erano così diversi l’uno dall’altra: lei così impegnata a vivere intensamente le sue giornate fin troppo piene di cose da fare, ansiosa di provare tutto, di essere capace di tutto; lui che invece sembrava vivere sempre in bilico sul bordo della vita, pronto, alla prima folata di vento, a cadere in un altro mondo, magari quello dei babbani che gli interessava tanto. Molly però non si era fermata a badare troppo a queste sottigliezze ed aveva perciò già orchestrato una specie di piano per far sì che lui si accorgesse di lei... O meglio, che lui si accorgesse che anche lei era interessata a lui. In realtà, avrebbe preferito di gran lunga chiedergli semplicemente di uscire insieme (anche se questo era più un modo di dire, essendo entrambi temporaneamente “confinati” ad Hogwarts); la ragazza però temeva che, ad essere così diretta, gli avrebbe come minimo fatto venire un colpo ed aveva quindi optato per la via più tortuosa e subdola, nonché la più impegnativa.

Aveva ricopiato, con una cura che non metteva neanche mentre faceva i compiti, tutti gli ingredienti che le sarebbero serviti dal libro di Pozioni; ci aveva messo qualche lezione della stessa materia a “prendere in prestito” di nascosto tutto ciò che le serviva dall’armadio degli ingredienti in fondo all’aula senza farsi scoprire dal professore; aveva seguito con attenzione estrema tutte le istruzioni e alla fine era riuscita ad ottenere la pozione che le serviva. Osservando il liquido vermiglio e denso che aveva versato in una boccetta di vetro col tappo di sughero, aveva poi pensato che, dietro tutta la convinzione con cui aveva preparato quell’intruglio, in fondo, non c’era altro che insicurezza. Ed il pensiero che forse quella non fosse esattamente la cosa giusta da fare. Poi però aveva riletto la descrizione sul libro e soprattutto il passaggio che spiegava come quella fosse sì una pozione d’amore, ma molto leggera, più che altro rinforzante di sentimenti già esistenti. Nella sua mente l’aveva poi ribattezzata “Spintarella” e si era finalmente convinta che non ci fosse niente di male ad usarla. Si era quindi infilata la boccetta in una tasca del mantello ed era uscita dalla sua stanza con rinnovata determinazione ed un sorriso nervoso sulle labbra.

Qualche giorno dopo, aveva chiesto ad Arthur di darle delle ripetizioni di Babbanologia e lui, riuscendo a non arrossire, aveva accettato. Ogni mercoledì sera si sarebbero trovati in una delle aule dismesse del secondo piano, quella di fianco alla statua di un troll che brandiva un’ascia, e lui l’avrebbe aiutata con i compiti, o a studiare per i test.

Erano passate circa tre settimane quando la pazienza di Molly cominciò a vacillare. Si erano già visti tre volte e non era successo niente, se non proprio quell’ultima volta uno sfiorarsi involontario di mani sopra le pergamene, mani che erano state subito ritirate in fretta, come se fossero venute a contatto con del fuoco. Mentre però Molly aveva subito sorriso di quell’imbarazzo per un gesto in fondo innocuo, Arthur era arrossito come al solito e non aveva più alzato gli occhi dai compiti per i successivi cinque minuti. Erano al loro quarto “appuntamento” e Molly non avrebbe potuto immaginare cosa stesse passando per la testa del ragazzo.

*****

Qualche ora prima, durante la lezione di Trasfigurazione, materia che frequentavano entrambi, Arthur stava osservando Molly di sottecchi dal suo banco, due file dietro di lei, quando lei aveva iniziato a ridere. E lui era rimasto a bocca aperta ad osservarla e tutto ciò che era riuscito a pensare era che quella fosse semplicemente la risata più bella del mondo. Melodica ed armoniosa come le composizioni di quel babbano con cui ultimamente si era fissato mentre provava il suo nuovo “grammofono”, un aggeggio per ascoltare la musica. Un certo Mortaz, o qualcosa del genere. La sua musica era semplicemente divina, aveva pensato Arthur ascoltandolo per la prima volta. O forse era solo che gli ricordava Molly. In quel momento pensò che presto le avrebbe detto tutto. Prima o poi le avrebbe tenuto la mano e lei sarebbe arrossita e… chissà cos’altro. Presto, di sicuro. Intanto, avrebbe continuato a darle ripetizioni di Babbanologia, anche se, in effetti, gli sembrava che non ne avesse affatto bisogno. Lei era così intelligente… Il mercoledì comunque da circa un mese era diventato il giorno preferito di Arthur. Aveva sorriso tra sé e sé, sornione. Quella sera avrebbe visto Molly. La sua Molly. E forse sarebbe stata la volta buona per dirle tutto quello che sentiva per lei.

Poi però si era riscosso dal suo stato di trance e si era finalmente accorto di un particolare a cui poco prima non aveva fatto caso, perso com’era nelle sue fantasie. E allora era rimasto a bocca aperta, maledicendosi per non aver osservato meglio la scena, prima. Nel banco di fianco a Molly era seduto David Spinnet. E David Spinnet non era semplicemente il biondo cercatore in carica della squadra di quidditch di Grifondoro, ma anche, a detta dei più, uno dei ragazzi più popolari e carini della scuola. E rideva con lei. Anzi, probabilmente era stato lui a farla ridere.

E allora i sogni ad occhi aperti di Arthur non erano semplicemente svaniti in un istante, ma si erano frantumati facendo un gran fracasso nella sua testa e gli avevano lasciato una enorme dose di rabbia ed impotenza nelle mani strette a pugno sotto il banco.

*****

C’erano moltissime cose che Molly Prewett sapeva fare. Giocava a Quidditch e anche piuttosto bene, evidentemente, se era diventata la prima ragazza nella storia di Hogwarts ad essere mai entrata in una squadra, in particolare nel suo caso in quella di Grifondoro. Era una studentessa nella media, nonostante la sua intelligenza fosse fuori dalla media: se la cavava sempre, in ogni caso, anche senza studiare, situazione che in realtà si verificava la maggior parte delle volte. A scuola era benvoluta da tutti, sia dai compagni dei corsi che frequentava che da quelli di Quidditch, tralasciando alcune ovvie eccezioni come alcuni insopportabili Serpeverde. Era anche abbastanza corteggiata, essendo carina e spigliata, ma non era mai uscita con nessun ragazzo, soprattutto perché era sempre troppo impegnata ed in parte perché era anche troppo poco interessata ai suoi pretendenti per trovare il tempo di stare dietro anche ad un’altra persona. Non era egoismo, semplicemente aveva la mente troppo occupata per pensare anche a quello.

Non erano molte le cose che invece Molly non sapeva fare e che di conseguenza odiava: nel complesso era una ragazza solare, spensierata, più sicura di sé e della maggior parte dei suoi coetanei, pur essendo tuttavia priva di quella sorta di pedanteria saccente che spesso manifesta chi è troppo spavaldo. Semplicemente, alla sua giovane età, Molly sapeva già con precisione cosa le piacesse e cosa, invece, non potesse sopportare. E aspettare faceva decisamente parte del secondo gruppo. Molly non era mai stata troppo paziente: aspettare era una delle poche cose che la mettevano di cattivo umore. Non ne vedeva lo scopo, non ne capiva la ragione: essere obbligata a starsene con le mani in mano ad attendere qualcosa la rendeva nervosa e intrattabile. Era una cosa che la mandava fuori di sé, che la faceva quasi stare male fisicamente.

Così, dopo aver passato mezz’ora ad aspettare Arthur nella solita aula con il troll di fianco alla porta, aveva iniziato a vagare per i corridoi semi-deserti della scuola, pensando forse che l’avrebbe incontrato e che lui allora avrebbe dovuto fornirle una buona scusa per non essersi presentato al loro consueto appuntamento. Alla fine però si era ritrovata nella Sala Grande vuota, da sola, a contare quante mattonelle ci fossero sul pavimento. Era quindi tornata nella Sala Comune di Grifondoro, sperando di trovarlo o di vederlo passare almeno lì. Non era stato così e Molly si era sentita sempre più delusa, stremata e in un certo senso sconfitta da ciò che odiava così tanto: l’attesa.

Perché, a volte, oltre ad essere sgradevole ed insopportabile, poteva essere anche inutile e deludente.

Solo verso mezzanotte, quando tutti gli altri avevano incominciato a disperdersi nelle proprie camere da letto, Molly era ormai al culmine della sua arrabbiatura ed era ancora più arrabbiata perché non aveva nessuno contro cui urlare, visto che non aveva il colpevole sottomano. Aveva poi resistito fino alle tre del mattino, girandosi e rigirandosi nel letto; nel tentativo di prendere sonno aveva persino sfogliato per la prima volta in vita sua qualche pagina del soporifero tomo intitolato “Storia di Hogwarts” che gli insegnanti insistevano ad appioppare ai loro poveri studenti, ma era stato tutto inutile. Aveva allora iniziato a passeggiare nervosamente per la camera; poi però una delle sue compagne di stanza le aveva gentilmente consigliato di andarsi a fare un giro, prima di svegliare tutti.

E così aveva fatto. Era sgattaiolata giù in Sala Comune ancora in pigiama e pantofole, premurandosi solo di buttarsi sulle spalle una vestaglia leggera. Aveva rimuginato per un po’ seduta su una delle poltrone davanti al camino spento e poi aveva deciso di uscire per i corridoi. Oltre l’ingresso alla guardia del quale stava la Signora Grassa, tutte le candele e le torce erano già state spente e il buio era più intenso, perciò Molly dovette tirare fuori la bacchetta e bisbigliare “Lumos Minima” per accendere una fioca luce che le permettesse di vedere almeno dove metteva i piedi senza però farsi notare troppo. Vagò per qualche minuto senza meta, constatando che, tra l’attenzione che doveva prestare per non finire con la faccia addosso ad una parete e quella che usava per controllare che non ci fosse nessuno nei paraggi, non aveva praticamente tempo e modo per riflettere e che questo stava facendo un gran bene al suo nervosismo. Senza neanche accorgersene, però, si ritrovò proprio davanti all’aula abbandonata dove Arthur le dava ripetizioni di Babbanologia di solito. Suo malgrado, non si era nemmeno stupita di trovarci proprio Arthur, seduto su una sedia, con i gomiti appoggiati sul grande tavolo di legno e la testa tra le mani.

Non appena vide la fioca luce che proveniva dalla bacchetta di Molly, Arthur alzò la testa e le puntò contro la bacchetta con un gesto rapido e istintivo. Lei vide gli occhi di lui, arrossati e tormentati e fece involontariamente un passo indietro, come se fosse stata colpita da qualcosa di invisibile. Lui allora abbassò la bacchetta e spostò lo sguardo da lei, incapace di guardarla o di farsi vedere in quel modo. Molly non riusciva a muoversi, non capiva: avrebbe voluto chiedergli che cose fosse successo, ma era troppo spaventata dall’effetto che le aveva fatto vederlo così.

Non si aspettava affatto quel tono rabbioso, quando lui le chiese con la voce roca: “Cosa vuoi?”

“Arthur, io…” cercò di rispondere, senza sapere come continuare. Le uscì una frase che fu quasi una preghiera: “Cos’è successo?”

Lui allora la guardò di nuovo e poi scosse la testa, ma non sembrava più arrabbiato.

“Non c’è niente, Molly… È tutto a posto, davvero”.

“Non dirmi che non c’è niente!” rispose lei alzando un poco la voce, preoccupata.

“È che… tu e David…” disse ancora Arthur, tenendo la testa bassa.

Molly però era sinceramente sorpresa. Non si era aspettata di essere lei la causa del suo comportamento così insolito. E non sapeva cosa c’entrasse in tutto questo David Spinnet, suo compagno di squadra di Quidditch. “Cosa vuoi dire?” chiese sempre più confusa.

“Be’, state bene insieme”, rispose lui sconsolato, finalmente guardandola di sottecchi. “In fondo è giusto così”, aggiunse con un sorriso amaro.

Molly si scosse da quella specie di apatia attonita in cui era piombata e andò a sedersi sulla sedia di fianco a quella del ragazzo: “È… è giusto così?!?”

“Sì, che voi…” iniziò lui, poi la guardò negli occhi e deglutì forte, come se gli mancasse la forza di continuare. “…che voi stiate insieme” disse poi in un soffio.

Ci mancò poco che Molly non si mettesse a ridere: “Io e David?!? Ma come… come ti è venuto in mente?”

“Mi ero illuso” continuò Arthur quasi parlando tra sé e sé “che tu potessi diventare la mia… ma è ovvio che tu non potresti mai…”

“Non potrei mai cosa?” scattò Molly, la quale stava iniziando a provare rabbia genuina e piuttosto intensa. Arthur stava dicendo cose senza senso e lei si stava decisamente pentendo di avergli messo qualche goccia della pozione che aveva preparato nel succo, quella sera a cena.

“Non potresti mai stare con uno come me”, concluse lui desolato, fissandosi le mani che si stava tormentando nervosamente.

A Molly venne voglia di ridere, ma la sua sarebbe stata una risata dovuta solo al nervosismo e al risentimento che provava per le cose che lui le stava dicendo. E poi sentiva che alla fine probabilmente sarebbe scoppiata a piangere. Quindi, rimase semplicemente a bocca aperta, stordita, ad ascoltarlo borbottare cose senza senso.

“No, io… non te ne faccio una colpa. Lui è bello, è popolare, gioca a Quidditch, è simpatico… non è me. Semplicemente non è me. E poi i tuoi genitori saranno contenti… insomma, lui proviene da una famiglia di tutto rispetto, purosangue, i suoi sono ricchi… ed io invece…”

“Ai miei genitori non interessa proprio niente della purezza del sangue o di quanti soldi…”

“Può darsi, ma lui è chiaramente migliore per te…”

“Non dirmi cosa è meglio per me!” sbottò allora lei, stremata da quelle parole che senza preavviso la stavano ferendo più di quanto avrebbe sospettato.

“Molly”, disse lui sorridendo solo con la bocca ma non con gli occhi “È giusto così”.

“Non continuare a ripetere che è giusto, non è giusto! Tu non puoi sapere cosa è giusto!” ribatté lei con foga.

“Certo che lo è!” rispose Arthur, stavolta alzando un po’ la voce “È così! Io… lo so.”

“Ah, è così che la pensi? Non vuoi neanche provare a…” tentò di dire lei, ma il ragazzo la interruppe deciso, anche se triste: “Non c’è soluzione, Molly. Tu devi stare con lui. O con uno come lui. Io… io non ti merito”.

“Bene”, riuscì a dire lei, alzandosi di scatto dalla sedia.

“Bene!” rispose lui senza muovere un muscolo. Non aveva alcuna intenzione di fermarla. La sua ostinazione le faceva ancora più rabbia di tutte quelle illazioni su lei e David. Allora era questo che pensava davvero. Non pensava di meritarla. A questo era servito crearsi mille problemi per creare una pozione e avere tutti quei dubbi sull’eticità del suo utilizzo, pensò indignata. Molly digrignò i denti, sbuffò e gli voltò le spalle, furiosa, dirigendosi velocemente fuori da quell’aula, lontano da tutte quelle stupidaggini, lontano da lui. Camminò per un pezzo con i pugni stretti e un’andatura veloce, senza far caso a dove andava: aveva solo intenzione di sbollire un po’ di rabbia.

Assorta com’era nei suoi pensieri, fu solo quando il rumore di passi fu abbastanza vicino che se ne accorse. Si nascose dietro un angolo del corridoio, spense bisbigliando la fioca luce della sua bacchetta e si mise ad ascoltare. Silenzio perfetto. Stava quasi per riaccendere la punta della bacchetta, quando qualcosa le toccò la spalla e le fece fare un balzo indietro. Prima che urlasse dallo spavento però, una voce calma e familiare le disse: “Calma, sono solo io”.

Arthur.

“Ti ho seguita riaccompagnarti alla torre…” spiegò come se nulla fosse successo e poi aggiunse preoccupato: “Non è sicuro stare nei corridoi a quest’ora di notte, sono quasi le quattr…” si interruppe e spense immediatamente anche la sua bacchetta.

“Ho sentito qualcosa”, disse ed entrambi si misero in ascolto, mentre Arthur sbirciava oltre l’angolo. Molly sentì in effetti un rumore simile a dei passi in lontananza, ma quando si sporse non vide nessuno.

“L’ho sentito anch’io”, sussurrò “ma magari era solo un top…”

“Sssssh”, fece il ragazzo all’improvviso, interrompendola. Poco dopo i passi risuonarono più vicini e Molly riuscì a scorgere una sagoma, senza però capire a chi appartenesse. Arthur però, indicandole il corridoio libero dalla parte opposta le sussurrò: “È quel pazzo di Pringle! Tu vai, io lo tengo occupato!”

Molly sorrise suo malgrado: nonostante tutto quello che era appena successo, nonostante tutto quello che pensava, la stava proteggendo, mettendo lei davanti a se stesso. Allora accese la luce fioca della bacchetta con un bisbiglio e fece per andarsene nella direzione che lui le aveva indicato; in un secondo però sembrò cambiare idea e si girò di nuovo verso di lui, che stava schiacciato contro il muro, in attesa. Si scambiarono uno sguardo in quella luce tenue, lui confuso, lei con una luce strana negli occhi; poi Molly si avvicinò e senza alcun preavviso gli diede un bacio lieve sulle labbra.

Durò pochi secondi, ma la ragazza seppe subito di aver fatto la cosa giusta. Sentì che per il momento non ci sarebbe stato bisogno di altre spiegazioni, di rassicurazioni, di chiarimenti… o di altre parole. Sentì che in quel bacio c’era qualcosa di più grande di qualsiasi dubbio o litigio e fu sicura che l’aveva sentito anche lui. Arthur la guardava con gli occhi illuminati e la bocca aperta appena piegata da un sorriso, sorpreso e estasiato al tempo stesso.

Gli voltò quindi le spalle, ancora sorridendo e mentre sgattaiolava via leggera verso l’entrata della torre di Grifondoro sentì il custode, Apollon Pringle, scoprire Arthur e chiedergli che cosa ci facesse in giro a quell’ora e sentì anche che il ragazzo cercava una risposta credibile per evitare una punizione. Fu tentata di ritornare indietro a salvarlo in qualche modo, ma sapeva che non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione.

Non si accorse di aver raggiunto il dipinto che nascondeva l’entrata per la torre fino a quando non vi sbatté contro. “Signorina, sono le quattro del mattino!” la rimbrottò la Signora Grassa appena si svegliò di soprassalto, quasi ancora prima di aprire gli occhi. “Mi scusi”, tentò di dire Molly, cercando di inventare una scusa che sembrasse abbastanza originale “Ho dovuto cercare… qualcosa, per conto del professor…”

“Non mi interessa niente! Io ho bisogno del mio riposo di bellezza!” le rispose quella ancora più irritata e con la voce stridula, per poi aggiungere: “A letto, subito!”

Molly non poté fare a meno di sogghignare lievemente, pensando ai rimproveri che sarebbero toccati anche ad Arthur, che avrebbe dovuto disturbare la Signora Grassa pochi minuti dopo di lei. Finalmente a cuor leggero, salì le scale che portavano verso la sua camera da letto, senza riuscire a smettere di sorridere. Non tutto era stato chiarito, non sarebbe stato facile, ma per il momento andava bene così.

*****

Pochi minuti dopo, seduta alla sua scrivania al lume di candela, Molly guardò sospirando il bocciolo di rosa che Arthur le aveva portato la settimana prima, al loro terzo incontro di ripetizioni e sorrise ancora. Gliel’aveva portata con il pretesto di spiegarle le particolarità della flora babbana, anche se in realtà le rose crescevano in entrambi i mondi. La cosa si era poi trasformata in una specie di discussione filosofica: Arthur sosteneva che i babbani avessero un senso più naturale del tempo, che per adattarsi alla loro incapacità di sconfiggerlo avevano dovuto abituarsi ad aspettare che facesse il suo corso e di conseguenza avevano imparato a farne tesoro, a far sì che ogni momento contasse, a non avere fretta, a godersi ogni piccolo cambiamento come se fosse un dono. Le aveva poi detto, con quella sua sicurezza che tirava fuori solo in rare occasioni, solo riguardo a cose che sentiva essere importanti, che avrebbe potuto portarle una rosa già sbocciata, ma che la parte più bella era proprio vederla schiudersi timidamente, aprirsi a poco a poco ed infine mostrarsi in tutto il suo splendore. Erano anche queste sue uscite che sapevano di poesia ma che erano comunque così spontanee, quasi casuali, ad averla fatta innamorare di lui. E pensare che Molly aveva sempre ritenuto che le rose fossero soltanto dei fiori, banali da regalare ad una ragazza, per giunta. Arthur però era in grado di rendere speciale qualsiasi cosa e mentre lui le spiegava le sue ragioni, non aveva potuto fare a meno di guardarlo con gli occhi illuminati di gioia. Anche quando le descriveva qualche aggeggio babbano in cui si era appena imbattuto e aveva quella strana determinazione negli occhi e parlava a raffica senza mai fermarsi con un entusiasmo da bambino, tutto quello che lei poteva fare era stare ad osservarlo, rapita.

Eppure avrebbe potuto far sbocciare quella maledetta rosa con un colpo di bacchetta appena accennato o con qualche parola sussurrata a fior di labbra, pensò quasi stizzita. Odiava aspettare.

Sapeva però che non l’avrebbe fatto. Non pensava che sarebbe mai successo, ma la parte di lei che voleva tutto subito era stata ridotta ad un modesto rumore di sottofondo nella sua mente, quel grido acuto che la esortava sempre a “fare, fare, fare!” era stato trasformato in un sussurro e suo malgrado Molly aveva dovuto ammettere che non era stato spiacevole prendersi per una volta una vacanza da quella che, in fondo, era la sua natura. Fermarsi per un attimo ad osservare. Lasciare che lui mitigasse quella smania di agire sempre e comunque con la sua pacatezza, la sua bonarietà – non era poi così male.

Avrebbe aspettato tutto il tempo necessario per veder fiorire quella rosa, così come avrebbe aspettato lui per tutto il tempo necessario a fargli capire quanto sbagliasse a pensare che lei avrebbe mai potuto amare un altro.

D’altra parte, proprio di fianco a quel vaso, a quella rosa, stava una panciuta boccetta di vetro chiusa da un tappo di sughero, piena di un liquido vermiglio, inutilizzata.


"Like a flower waiting to bloom,

like a light bulb in a dark room,

I'm just sitting here waiting for you to come home"

["Turn me on", Norah Jones]

   
 
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