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Autore: PanteraNera94    06/07/2011    2 recensioni
"Nell’alte vie dell’universo intero, che chiedo mai, che spero…
altro che gli occhi tuoi più vago, altro più dolce aver che il tuo pensiero?".
Fan-fiction scritta come seguito di Breaking Dawn e ambientata sei anni dopo la fine del romanzo che tutti amiamo e tutti conosciamo. Dal punto di vista di Renesmee, una storia che narra della sua crescita interiore ed esteriore, del suo crescende amore nei confronti di Jacob e delle reazione che esso comporterà nei suoi genitori...Enjoy!
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward, Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Capitolo 1: Bambina

 

Tutto era buio e silenzioso, la mia casa era un’oasi di pace e niente turbava il mio sonno. Correvo leggiadra nella foresta, come una puledra che compie i suoi primi passi e crede di essere più veloce del vento, quando, da lontano, la sagoma di un lupo rossiccio fece comparire sul mio volto un sorriso splendente. Stavo per arrivare a toccare Jake, ma un colpo secco mi fece tornare alla realtà. Aprii gli occhi e vidi la porta della mia camera socchiusa. Non c'era bisogno di sapere chi fosse entrato, mia madre era troppo attenta e premurosa per essere l'artefice di quel rumore, per non parlare poi di mio padre. L'unica persona nella mia famiglia che non si curava di tenere a freno il suo entusiasmo era...

Alice!». La sua risata squillante risuonò nella stanza, pulsando nella mia testa ancora addormentata. Alice stavo dormendo!». Il mio doveva essere un rimprovero, ma quello che uscì fuori fu un piccolo lamento flebile.

Andiamo! Il sole è già sorto da un bel po'! Non vorrai dormire tutto il giorno?».

Alice, sono le sette! » urlai, indignata.

Appunto» disse ridendo.

Cosa vuoi saperne tu che non dormi?».

Niente storie, giù dal letto!» disse e si infilò nel mio armadio. Mi misi a sedere e mi guardai intorno. A volte mi chiedevo come facesse Alice ad essere sempre così di buon’umore.

Sei sola?» le chiesi distrattamente.

No, c'è Jasper».

Mi dici che stai facendo lì dentro? I vestiti sono sempre gli stessi!».

Ti piacerebbe!» urlò seccata. “Sto prendendo quelli che hai già messo, così li diamo in beneficenza”. Sbuffai. Questo lato del mio carattere l'avevo ereditato da mia madre: non amavo fare shopping e non mi interessava se quello che indossavo era firmato o meno. Peccato che ad Alice interessasse, eccome!

Alice, ne hai ancora per molto?.

“Vuoi aiutarmi?”.

“No!” risposi subito. “Vado a salutare Jasper”.

Uscii di corsa dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle, superai il salone e uscii fuori. Ad accogliermi, una verdeggiante foresta nel pieno del suo splendore, anche se era pieno inverno, e, seduto sulle scale, con la sua solita aria non curante, c'era Jasper. Era bello come un dio greco e il suo aspetto da eterno ragazzo gli conferiva un che di divino.

“Ciao zio!” esclamai sedendomi accanto a lui.

“Non chiamarmi zio, mi fai sentire vecchio” disse sorridendomi. Ricambiai e dissi: “Che fai qui fuori?”.

“Beh, credevo di disturbare. Cos'è? Alice ti ha cacciata?” chiese, ridendo.

“No, sono scappata” gli risposi, unendomi alla sua risata. “Dove sono mamma e papà?” domandai cercando di tornare seria.

“Sono a caccia, o meglio, a giocare da qualche parte...” rispose lanciandomi un sorriso eloquente. Sospirai. Chissà se avrei mai trovato qualcuno che fosse riuscito ad amarmi come mio padre amava mia madre... o che sarebbe riuscito ad affrontare un mondo a lui sconosciuto per amore... A interrompere i miei pensieri fu la voce squillante di Alice.

“Renesmee, Jasper!”.

Io e Jasper ci guardammo con complicità e ci precipitammo in camere mia. Lui mi sorpassò e mi tenne la porta aperta. Entrai e notai subito due enormi buste ai piedi del mio letto con i vestiti che non avevano superato l'esame di Alice. Lei mi guardò sorridente e indicò il letto su cui aveva poggiato i vestiti che avrei dovuto indossare quel giorno. Mi avvicinai al letto con passo lento ed esitante, intimorita dagli abbinamenti architettati dalla mente contorta di mia zia. Appoggiato su di esso c'erano un maglioncino nero con appuntato a destra un fiocco scozzese e sotto una minigonna con la stessa fantasia del fiocco. Guardai Alice con un misto di sorpresa e rabbia. Lei ricambiò lo sguardo un po' annoiata e disse: “Andiamo, niente storie. Mettiteli e basta”.

“Ma, Alice, non è il mio genere!” mi lamentai.

“Quando mi dirai qual è il tuo genere, forse ti ascolterò” disse sorridendo.

“Almeno fammi mettere le scarpe da ginnastica...” implorai.

“Non se ne parla! Quegli stivaletti sono adorabili!”.

“Solo per te” sbuffai.

“Nessie, mi deludi. Il tuo senso estetico è pari a quello di tua madre! Ma non ti ho insegnato niente?”.

“Lascia perdere, Alice” dissi con aria sconfitta.

“Bene, allora fila in bagno. Mentre tu, Jasper, vai a portare quelle buste fuori”.

“Agli ordini” rispose lui sorridendo.

“Quando la smetterete di fare tutto quello che dice?” domandai arrabbiata.

“Piccola Nessie,” ribatté Jasper, “ne hai da imparare...” finì guardando Alice. Sbuffai insofferente e così, sicura del fatto che non l’avrei avuta vinta, presi i miei vestiti e mi catapultai in bagno, chiudendomi la porta alle spalle. Certo quello non avrebbe fermato un vampiro, ma mi avrebbe assicurato un po' di privacy. Analizzai di nuovo i vestiti con aria inorridita e poi cominciai a ravviare i capelli. Appena finito, uscii dal bagno e trovai Alice ad aspettarmi, impaziente come sempre.

“Pronta?”.

“Si, andiamo” risposi rassegnata. Chiusi la porta della mia stanza e raggiunsi Alice e Jasper che chiacchieravano tranquillamente.

“Perché Rosalie non è venuta?” chiesi tutt’a un tratto, pensando all’altra mia zia, con la quale andavo molto più d’accordo. Lei era in grado di evitare la mia tortura giornaliera sul look.

“L'ho convinta che saresti sopravvissuta un'ora senza di lei” disse Alice, ridendo.

“Oppure volevi assicurarti che nessuno ti mettesse i bastoni fra le ruote” controbatté Jasper, unendosi alla sua risata. Alice ricambiò il sorriso e si presero per mano, quando i suoi occhi si persero nel vuoto. Io e Jasper rimanemmo in attesa che tornasse tra noi e quando i suoi occhi ci cercarono, capimmo che la visione era terminata. Poi Alice urlò: “Un matrimonio!”.

“Di chi?” chiesi curiosa.

“Sam ed Emily” disse. Scoppiai a ridere.

“Cosa hai da ridere?” domandarono lei e Jasper in coro al che guardai Alice con aria di sfida.

“I licantropi non ti lasceranno organizzare il matrimonio” gongolai con un ghigno stampato in faccia.

“No,” disse seria “ma tu dovrai pur vestirti!” aggiunse guardandomi di traverso. “Chissà se dovremmo vestirci elegante...” continuò, pensierosa. “Beh, i Cullen devono sempre fare bella figura, vero amore?” concluse girandosi verso Jasper.

“Certo” rispose lui accondiscendente.

“Vogliamo andare? Siamo in ritardo” dichiarai, irritata.

“Okay” dissero in coro. Così cominciammo a sfrecciare nella foresta. Potevo sentire tutto: gli uccelli che cantavano, l'acqua di un ruscello che scorreva e magari, se mi fossi concentrata, avrei sentito anche le risate dei miei genitori. Arrivati a metà strada Alice digrignò i denti.

“Fantastico! E' arrivato il cane” constatò acida.

“Smettila, Alice” la rimproverai. Non sopportavo quando prendeva in giro Jacob, lui era il mio migliore amico. Neanche un secondo dopo dai cespugli apparvero due grossi lupi, uno più grande e dal pelo rossiccio mentre l'altro più esile e color sabbia.

“Ciao Jake” dissi, voltandomi verso il primo. Poi mi rivolsi all'altro: “Ciao Seth!”. I due lupi guairono a mo' di saluto, poi si guardarono per un millesimo di secondo e Seth sparì nella foresta.

“Va in ricognizione?” chiesi. Jake mi guardò e fece cenno di sì con il muso. Sorrisi e dissi: “Tu vieni a casa?”. Jacob fece di nuovo cenno di sì e così ci precipitammo verso la casa. Non ci vollero più di cinque minuti e ci ritrovammo di fronte alla maestosa casa Cullen. Alice, Jasper ed io entrammo e andai a salutare i miei nonni, mentre Jake, rimasto fuori, si ritrasformava. Poi mi accomodai accanto a Rose ed Emmett, seduti tranquillamente sul divano. Lei mi rivolse un sorriso splendente, mentre io ricambiai con un'occhiataccia.

“C'è qualcosa che non va?” domandò preoccupata.

“Non hai visto come sono vestita?” risposi brusca. Notando il mio abbigliamento, Emmett scoppiò in una grande risata.

“Già,” disse sghignazzando, “cos'è, Alice? Non sai che Carnevale è a febbraio?”.

“Cosa vuoi capirne tu Emm?” gli rispose Alice con aria indignata. A interrompere il battibecco tra Alice ed Emmett fu l'entrata di Jacob. Esme gli andò subito incontro, rivolgendogli un gran sorriso che Jacob ricambiò cortese.

“Il frigo è tuo” disse lei.

“Grazie, Esme” gli rispose cordiale Jake.

“Attento a non rompere niente, cane” lo apostrofò Rose.

“Ehy, bionda” disse subito Jacob ridendo. “Sai come si chiama una bionda che si tinge i capelli di nero?”.

“Va’ a mangiare Jake” lo fermai per prevenire l'ennesima litigata.

“Lo sai?”. Ma Jacob non si arrendeva facilmente. “Intelligenza artificiale!” esclamò sghignazzando.

“Ora basta cane!” ringhiò Rosalie. “Va’ a mangiare”.

“Il tuo umorismo è uguale a zero, bionda” disse Jake con finta delusione e poi si precipitò in cucina. Rimanemmo a chiacchierare finché non udimmo i passi dei miei genitori. La grande porta bianca si aprì e mio padre fece la sua comparsa. Mi cercò con lo sguardo tra i suoi familiari e, quando mi trovò, mi regalò un gran sorriso che ricambiai. Subito dopo entrò mia madre. Le andai incontro e ci abbracciammo, mentre mio padre ci raggiunse e mi stampò un bacio sulla fronte. Terminati i saluti, tornai a sedermi accanto a Rose. Mio padre si avvicinò ad Emmett e disse: “Allora questa partecipazione di matrimonio?”. La sua voce era sempre perfetta e bellissima.

“Il capobranco si sposa” disse Rose con una certa acidità nella voce. Non potei fare almeno di darle una gomitata come ammonimento. Lei mi lanciò un’occhiataccia che ricambiai e poi osservai mio padre intento a leggere i pensieri di tutti. Quel suo lato a volte poteva dare fastidio: il suo potere equivaleva a niente privacy e per un adolescente era una tragedia, soprattutto quando le compagnie che frequentavi, i licantropi, non gli andavano molto a genio. A rompere quel silenzio che si era fatto alquanto pesante fu Alice con il suo solito entusiasmo:  “Dovremmo vestirci elegante, no?” disse scrutando in modo particolare me e mia madre, che ci scambiammo uno sguardo avvilito. Mio padre, ridendo, si avvicinò a lei per darle il suo sostegno, mentre io mi accasciai sul divano, abbattuta. Non sarei riuscita a sopportare una giornata di shopping, diciamo che non era uno dei miei passatempi preferiti, anzi tutt’altro.

“Che bello! Ancora shopping” gongolò Alice, niente avrebbe mai fermato il suo estro creativo che, per chi non condivideva, poteva essere alquanto irritante. Intanto Jake, avendo finito di mangiare, uscì dalla cucina e fu puntato subito da Alice: “Anche per te, cane!” disse come se fosse ovvio. Jacob le rispose con un sorriso non curante e disse: “Certo, certo”, il che significava che non gliel'avrebbe data vinta. Finita la conversazione, tutti ripresero ciò che stavano facendo prima dell’arrivo dei miei: loro si sedettero al pianoforte, Carlisle tornò nello studio, Alice e Jasper sparirono mentre Emmett faceva zapping tenendo abbracciata Rose che continuò a conversare con me.  Mio padre cominciò a suonare la canzone che aveva composto quando aveva conosciuto mia madre e, in poco tempo, l'aria si riempì di una dolce sinfonia, che mi sarebbe anche piaciuta, se non l'avessi ascoltata almeno un milione di volte. Invece ora mi irritava.

“Che strazio!” esclamò Jake con aria annoiata, passando davanti al pianoforte per venire da me. La cosa che ammiravo di più di Jacob era che diceva sempre ciò che pensava senza mai preoccuparsi dell’opinione altrui.

“Guarda chi è arrivato, lo strazio fatto persona!” lo canzonò mia madre. Lui rispose con un inchino molto teatrale e si accomodò ai miei piedi.

“Senti che puzza!” esclamò Rosalie scostandosi il più possibile da lui. “Non so come tu faccia a stargli vicino” continuò.

“E io non so come faccia a sopportare te” disse Jacob. “Guarda che se ogni tanto fossi meno bisbetica, non ti mangerebbe nessuno!” sghignazzò. Rosalie digrignò i denti e Jacob fece finta di tremare.

“La smettete!” li rimproverai. “Sapete solo litigare!” continuai scoppiando a ridere. Alla mia risata si unì quella di Jacob mentre Rose alzò gli occhi al cielo e prese a parlare con Emmett. Io e Jake ci guardammo, lui mi offrì la mano ed io gliela strinsi forte. Una nota discorde mi fece sobbalzare improvvisamente: mio padre aveva smesso di suonare interrompendo la canzone nel peggiore dei modi.  Jake stava per lasciarmi la mano ma gli feci capire, mediante il mio potere, che io non volevo e non avevo paura di mio padre. Così lui desistette.

“Cosa c'è?” chiese mia madre preoccupata.

“Nulla” rispose mio padre evidentemente contrariato. Mia madre percepì che quella reazione era dovuta a me e si girò a guardarmi. Vidi la rabbia crescere nei suoi occhi quando si accorse della mia mano stretta in quella di Jake, ma la ignorai e la strinsi più forte. In quel momento mio padre esplose: si alzò di botto e disse con voce apparentemente calma: “Dobbiamo andare” e mi lanciò uno sguardo truce.

“Io resto ancora un po'“ gli risposi noncurante. Se pensava che solo lui potesse rimanere calmo in queste situazioni si sbagliava di grosso.

“No, tu vieni” disse e questa volta sembrò una vera e propria minaccia.

“Devo ancora studiare con Esme” mi giustificai con calma. Non che lo studio mi interessasse più di tanto, ma volevo restare lì, era ora che mio padre imparasse ad accettare Jacob.

“Studierai a casa” disse serio. A quel punto Jake si alzò facendomi sobbalzare e, stringendo ancora la mia mano, la mise in bella mostra davanti a tutti.

 “Ha detto che vuole restare” disse con aria minacciosa. Jake era sempre pronto a prendere le mie parti e io gliene ero sempre stata grata. Ma mio padre non si arrendeva facilmente: “Tu non sei nessuno per dirmi cosa pensa mia figlia!” urlò. Jacob si fece minaccioso e cominciò a tremare, così sciolsi la presa e gli misi una mano sulla spalla. Lui incrociò il mio sguardo che gli supplicava di calmarsi. A quel punto fu mio padre ad avvicinarsi minaccioso, ma non avrei lasciato che gli facesse del male. Il mio sguardo si fece duro e gli feci arrivare le mie urla mute avvertendolo di stare in campana: “Non gli farai del male, smettila subito e calmati. Lo so che mi senti, non fare finta di niente!”. Ma non mi ascoltò minimamente. Stavo per fare il primo passo tra il lupo e il vampiro, quando fu mia madre a parlare: “Dai, Nessie, andiamo” disse con una supplica muta negli occhi. “Jake vieni anche tu?” continuò rivolgendosi nel modo più gentile possibile a Jacob. Sulla sua faccia si aprì subito un sorriso trionfale e con un ghigno di rivolse a mio padre: “Con piacere”. Ci dirigemmo alla porta e quando passai di fronte a mio padre vidi lo sguardo duro e arrabbiato che mi lanciò, ma non abbassai lo sguardo. Gli tenni testa finché lui non ringhiò e volse lo sguardo altrove. Prese mia madre per la mano e si avviò all'uscita. Io e Jacob ci scambiammo un sorriso trionfale e gli feci percepire la mia gioia mentre raggiungevamo i miei all'uscita. “Il peggio è passato” gli dissi e lui mi sorrise fiero. Fui l'ultima ad uscire da casa Cullen, mi chiusi la grande porta alle spalle e subito affiancai Jake. La foresta innevata era un vero spettacolo, la neve sotto i miei piedi era soffice e gli alberi sembravano vivi ed accoglienti. Nulla turbava la loro quiete a parte il gracchiare di un grande corvo nero posatosi su un albero di fronte alla grande casa bianca. Ci incamminammo piano, nessuno aveva voglia di correre. Il silenzio tra me e Jake non era pesante, ma complice e questo rendeva mio padre a dir poco nervoso. Camminando, ammiravo i riflessi del sole sull'anello, con inciso il simbolo dei Cullen, che portavo all’anulare della mano destra.

“Cos'hai da guardare? E' orrendo!” disse Jake facendomi sobbalzare. Gli lanciai un’occhiataccia.

“E' bellissimo invece!”. Lui fece una smorfia e ci mettemmo a ridere. “Preferisci la collana?” chiesi e tirai fuori il gioiello che mi aveva regalato mia madre il mio primo Natale. Passai le dita sulla scritta in francese che diceva: “Più della mia stessa vita”.

“Chissà dove saremmo ora, se fosse andato tutto storto” disse Jacob pensieroso.

“E' andata come doveva andare, Jake” dissi sospirando “e poi non so come farei senza di loro” continuai guardando i miei genitori.

“Creano più problemi di quanti ne risolvano” affermò Jake sbuffando.

“Beh, lo fanno tutti i genitori, per questo esistono gli amici licantropi, no?” dissi sorridendogli.

“Già, amici...” sospirò Jake, ma prima che finisse la frase si vide arrivare in faccia una palla di neve, al che scoppiai a ridere. “Ehy!” urlò divertito “Nessie, così non vale, mi ha preso alla sprovvista!”.

“Dove sono i tuoi super”sensi, lupo?” lo presi in giro ridendo.

“Se ti prendo...” disse cominciando a correre e lanciando palle di neve. Era come essere tornati bambini: correvamo senza pensieri, non avevamo problemi, tutto era più semplice. Jacob mi lanciò una palla di neve dritta dietro la schiena e mi fece sfuggire un urlo. Per vendicarmi, preparai una palla bella grossa, presi la mira e lanciai. Mancai Jacob di un soffio ma, in compenso, presi in pieno la testa dell'enorme lupa grigia appena uscita dalla foresta che, lanciandomi uno sguardo truce, emise un ululato tremendo.

“Scusa, Leah” dissi cercando di apparire il più mortificata possibile, ma fu difficile trattenere le risate quando Jake scoppiò a ridere. Leah mostrò i denti ad entrambi, seccata e infastidita.

“Dai” disse Jacob, ritornando serio. “Stavamo solo giocando”. La lupa sbuffo con rabbia. I miei genitori, vedendo che non li stavamo seguendo, tornarono indietro.

“Ciao Leah” dissero in coro, ma lei non li considerò minimamente. Leah odiava i vampiri, odiava chi rideva, odiava chi scherzava, in realtà era difficile trovare qualcosa che amava, a parte mettere i bastoni fra le ruote  a tutti. Jake mi aveva detto che prima di essere lasciata da Sam, per sua cugina, era simpatica. Difficile a credersi, ma quello che sapevo dell'amore era che poteva cambiarti la vita. Quando ti innamoravi mettevi la tua intera esistenza nelle mani dell'altro, consapevole del fatto che avrebbe potuto distruggerti con una sola parola. Morale della favola: tutti dovevano essere gentili con Leah ma lei era libera di ringhiarti contro ogni volta che voleva.

“Devi dirmi qualcosa?” chiese Jake con l'aria del vero alfa.  A quel punto tutti guardammo mio padre, l'unico in grado di sentire i pensieri della lupa grigia. Lui alzò un sopracciglio e disse: “Vuole un giorno libero, deve comprarsi un vestito”. Rimanemmo tutti allibiti: nessuno aveva immaginato che Leah avrebbe partecipato al matrimonio. Allora la lupa, accorgendosi delle nostre espressioni, sbuffò e guardò mio padre in attesa che traducesse.

“Dice che è sempre sua cugina” spiegò mio padre sorridendo. Jake era rimasto sbalordito, ma conservò il suo solito tono scherzoso e disse: “Okay, ma prima avverti Quil che vi scambiate il turno”. Leah annuì e fece per andarsene.

“E mi raccomando” continuò Jacob guardandola. “I vestiti per le donne sono quelli con la gonna!” disse scoppiando a ridere. Leah ringhiò e sparì nella foresta.

“Dovresti smetterla di prenderla in giro” dissi a Jake rimproverandolo mentre ricominciavamo a camminare.

“Tanto Leah sa stare al gioco” disse Jake non curante.

“Leah sa stare al gioco? Ma in che mondo vivi? Stava per staccarti un braccio!” ribattei, cercando di nascondere la preoccupazione, ma fu tutto inutile.

“Sei preoccupata Nessie?” notò Jacob guardandomi con aria superiore.

“No, ma che dici!” risposi, girando la faccia dall'altro lato.

“Allora che ti importa?” disse sghignazzando.

“Niente, lascia perdere” continuai imbarazzata. Jake scoppiò a ridere e io gli tirai un pugno sulla spalla. “Vuoi staccarmelo tu il braccio?” disse offrendomi la spalla.

“Sai essere ser...”. Ma non riuscii a finire la frase che Jake mi spinse facendomi perdere l'equilibrio e facendomi cadere nella neve fresca. “Jacob Black!” urlai infuriata.

“Presente” disse lui divertito. Mi rannicchiai sul terreno, mi misi in posizione, e saltai facendolo cadere a sua volta.

“Così impari!” risi. Poi mi alzai e cominciai a correre, superando i miei genitori e alzando la neve dietro di me. Jacob si alzò in un lampo e cominciò a corrermi dietro. Sfrecciare tra gli alberi era naturale, evitarli ancora più facile. La corsa mi inebriava, mi sentivo libera, un tutt'uno con la natura che mi circondava. Impiegammo due minuti e poi ci ritrovammo di fronte alla mia casetta. Mi avvicinai ad essa, la sua immagine era accogliente come sempre, la foresta intorno a lei le dava un che di misterioso. L'aria era calma e limpida, come nel più bel paradiso... I miei genitori erano già entrati in casa mentre io rimasi fuori ad aspettare Jacob che uscì dai cespugli ancora pieno di neve. Vedendolo così, non riuscii a trattenere una risata.

“Fai ridere anche me” disse lui.

“Certo, se vuoi ti porto uno specchio!” esclamai, continuando a ridere.

“Hai vinto una battaglia, non la guerra!” urlò e io continuai a ridere.

“Penso che un'altra guerra ci aspetti dentro casa” dissi, cercando di tornare seria.

“Sono i tuoi genitori, non i miei” ribatté pronto.

“E' vero, ma sono quasi sicura che se la prenderanno anche con te” dissi convinta.

“Tuo padre mi da sui nervi!” urlò Jacob improvvisamente.

“Dobbiamo avere pazienza” lo ammonii.

“E' facile parlare per te” sbuffò. Allora mi avvicinai, cercai il suo sguardo e, quando i nostri occhi si trovarono, sussurrai: “Jake, mi prometti che non farai niente di male, succeda quel che succeda?”. Lui mi guardò smarrito, come imbarazzato dalla nostra improvvisa vicinanza.

“Va bene” concesse tornando in sé. “Ma sia chiaro: lo faccio solo per te, Nessie”.

“Grazie, Jake” dissi sorridendogli.

“Dai, andiamo” sbuffò lui. Aprii la porta ed entrammo. Mio padre era di spalle e stava inequivocabilmente baciando mia madre. Non so perché, ma questo mi fece rabbia: lui poteva dimostrare tutto il suo affetto a mia madre ed io non potevo stringere la mano ad un amico? Era incoerente, era pura ipocrisia! Il mio viso rimase impassibile, così come la mia voce.

“Jacob, vieni. Andiamo in camera mia” dissi spostando il mio sguardo su Jake.

“Tu non vai da nessuna parte con lui!”. L'urlo di mio padre mi fece sobbalzare: ora aveva superato i limiti. Tutta la rabbia che avevo represso si scatenò ma io non la frenai, non volevo. Desideravo che lui la vedesse, perché sapevo benissimo che la avvertiva. Doveva capire, non c'erano mezzi termini. Era ora che imparasse a comprendermi.

“Perché no?” urlai e in quelle due parole riuscii a riassumere tutto ciò che stavo provando. Non vedevo più niente, nulla di quello che avevo intorno aveva senso. C'eravamo solo noi quattro. Se il resto del mondo fosse andato a fuoco non mi sarei sorpresa particolarmente perché, in confronto al fuoco che sentivo dentro di me, non sarebbe stato niente.

“Perché lo dico io!” fu la risposta secca di mio padre. Incrociai i suoi occhi: la battaglia che si venne a creare fu indescrivibile.

“Edward, basta...” disse mia madre calma. Per lei dopotutto era facile rimanere calma, aveva tutto quello che voleva. Niente le era stato mai negato. “E voi due, non potete stare in salotto?”. Era veramente insopportabile quando faceva così. Per lei era tutto semplice, ma è normale se tutto il tuo mondo riguarda una sola persona! Dopotutto cosa sarebbe cambiato nella sua vita se io e Jake fossimo andati in camera mia? Sapevamo entrambe che mio padre avrebbe controllato tutto! Prima che perdessi completamente la calma e le rispondessi per le rime, fu Jake ad intervenire: “Perché? Non facciamo nulla di male!”.

“Jacob, smettila!” gridò mia madre come se bastasse a calmare gli animi. Lei sapeva essere perfettamente, incoerentemente egoista. Avrei voluto tanto vedere se fosse riuscita a rimanere calma se qualcuno, senza una spiegazione logica, le vietasse di vedere mio padre. Sapevo solo che se fosse successo in quel momento le avrei riso in faccia e urlato “Cosa si prova?” con un ghigno stampato in viso.

“Di fare cosa?!” urlò Jake e mai domanda fu più sensata.

“Okay... Jacob è meglio se ora te ne vai” disse mio padre, avvicinandosi pericolosamente a Jacob. Se avesse osato toccarlo poteva star certo che non gliel'avrei mai perdonato.

“No” gli rispose secco Jake.

“Papà smettila!” gli urlai adirata. “Jacob può rimanere quanto gli pare! Non sopporto quando mi tratti da bambina!”. Praticamente: sempre.

“Tu sei una bambina!” controbatté mia madre. Certo, forse avevo solo sei anni ma, da molti punti di vista, ero più coerente di lei.

“Ho solo sei anni, è vero, ma ne dimostro almeno quindici!” gridai di rimando.

“Ti risulta che le ragazzine di quindici anni stiano chiuse in camera con i loro ragazzi?”. Ragazzi? Jacob non era il mio ragazzo! Mia madre era ridicola, si arrampicava sugli specchi. Jake ed io eravamo solo amici e lei o mio padre non potevano impedircelo.

“No! Ma Jacob non è il mio “ragazzo”“. Misi un po' troppa enfasi sull'ultima parola, almeno speravo che mia madre avesse capito il concetto.

“Nemmeno con i loro amici, se è questo quello che vuoi dire!”. Se sperava che con questa precisazione mi avrebbe smosso di un passo si sbagliava di grosso. Ero perfettamente cosciente di quello che intendevano, ma né io né Jake avevamo la minima intenzione di infrangere le regole e questo i miei genitori non volevano proprio capirlo.

“Perché non vuoi che stiamo insieme? Cosa c'è di male?” intervenne Jacob, con l'aria di chi sapeva già che non avrebbe ottenuto niente. I miei genitori non solo erano freddi, ma anche duri come il marmo. Eppure anche il marmo più duro si leviga.

“Jacob non fare finta di non capire!” urlò mio padre. “E’ una bambina! Deve comportarsi come tale!”. Sempre la solita storia. A volte diventavano ripetitivi e noiosi, eppure mi sembrava di avergli dimostrato più volte che la mia maturità cresceva insieme al mio corpo.

“Certo” gli rispose Jacob. “Ma, invece, ti stava benissimo quando entravi nella camera di Bella, di notte, all'insaputa di Charlie”. Quelle parole fecero letteralmente infuriare mio padre. Vidi la ragione scomparire dai suoi occhi e avvertii la calma ricomparire dentro di me. I suoi movimenti furono fluidi e veloci e in un attimo Jacob volò dall'altro lato della stanza, scontrandosi contro la parete, su cui si formò un enorme crepa. Prima che mio padre tornasse a colpirlo raggiunsi Jake, che ansimava cercando di non trasformarsi, mentre mia madre si parò davanti a mio padre, calmandolo. Gli presi la mano: “Scusa, Jake, è tutto colpa mia” gli dissi usando il mio potere e lui mi accennò un sorriso mentre dalla mia bocca continuavano a sgorgare parole che non riuscivo a fermare: “Stai bene? Tutto a posto? Niente di rotto?” e Jake, paziente, continuava a fare cenno di sì col capo.

“Renesmee” sussurrò mia madre “Vai in camere tua, per favore”. Alzai la testa e incrociai il suo sguardo, nei miei occhi era tornata l'ira, ma lo shock di aver visto Jake in quelle condizioni mi aveva bloccato la voce.

“Mamma... ti prego...” fu tutto ciò che riuscii a dire.

“Vai, ci penso io”. Certo, bastava che ci pensava lei e poi andava tutto bene. “Vi rivedrete stasera”. Sarebbe stato meglio per lei che quella fosse stata una promessa. “Jake, mi dispiace, devo andare, a stasera” gli dissi sfiorandogli la mano. In quel momento il mio potere era il mio unico modo per comunicare e sapevo che mio padre ci stava ascoltando, tanto peggio per lui. Mi alzai e corsi in camera mia, chiudendomi la porta alle spalle. Mi tolsi gli stivaletti e li gettai in un angolo, presi il primo libro che mi capitò tra le mani e mi gettai sul letto. Era il libro delle poesie di Tennyson, quello che mia madre mi leggeva quando ero piccola, aveva un effetto rilassante su di me. Lo aprii a caso e cominciai a leggere i primi versi che mi trovai davanti:

 

Stammi vicina quando la mia luce si sta spegnendo
Quando il sangue mi scorre lento e i nervi mi pizzicano
e formicolano, e il cuore è malato
e tutte le ruote dell’essere sono lente.

 

A interrompere la mia lettura fu l'entrata di mio padre. Rimase sulla porta in attesa che io lo degnassi della mia attenzione, ma feci finta di niente.

“Renesmee...?” sussurrò incerto.

“Vattene!” urlai con tutta la rabbia che avevo, almeno la voce era tornata. Era proprio vero che quelle poesie mi calmavano anche se in quel momento poteva risultare il contrario.

“Penso di doverti delle scuse” mormorò con una voce pentita.

“Non è a me che devi delle scuse” gli risposi brusca.

“Sai che non mi scuserei mai con Jacob” disse, enfatizzando l'ultima parola. Allora alzai al testa, incrociai il suo sguardo e dissi: “Allora non abbiamo più niente da dirci”.

“Renesmee, io ti capisco....” cominciò, ma lo interruppi subito: “No! Non dire che mi capisci! Se tu mi capissi davvero non cacceresti Jake ogni volta!” dissi tutto d'un fiato. Lui abbassò lo sguardo: nei suoi occhi vidi quanto ci stava male e questo fece stare male anche me.

“So che questo ti fa stare male, ma cerca di capirmi! Sei mia figlia...” lasciò la frase a metà e poi mi guardò con una supplica muta negli occhi.

“Non volevamo fare niente di male e tu lo sai meglio di chiunque altro” dissi guardandolo negli occhi.

“Io non prevedo il futuro” mi rispose acido.

“Si” sbuffai, “ma sapevamo entrambi che saresti rimasto in ascolto. Come del resto farai stasera”.

Stasera?” chiese sorpreso.

“Si” gli risposi convinta. “Vedrò Jake. L'ha detto mamma. Ricordi?”.

“Si” disse lui rassegnato. “Beh, il minimo che possa fare, per farmi perdonare, è cercare di fare il bravo...”. Non  gli diedi il tempo di finire la frase che gli allacciai le braccia al collo.

“Grazie, papà!” urlai felice. Lui rise e io mi unii a lui. Fu una risata liberatoria.

“Ti voglio bene” disse lui.

“Anche io” risposi tornando sul letto. Non appena alzai gli occhi, era già uscito dalla stanza. Così, sospirai e ripresi il libro tra le mani. Stavolta il peggio era davvero passato.

 

.

NDA: spero vi sia piaciuto e, se è così, mi raccomando, fatemelo sapere! Per chi volesse: una mia amica sta scrivendo la versione dal punto di vista di Bella (Polar Lights). Ecco il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=754281

  
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