Capitolo
1: Bambina
Tutto
era buio e silenzioso,
la mia casa era un’oasi
di pace e niente turbava il mio sonno. Correvo leggiadra nella foresta,
come
una puledra che compie i suoi primi passi e crede di essere
più veloce del
vento, quando, da lontano, la sagoma di un lupo rossiccio fece
comparire sul
mio volto un sorriso splendente. Stavo per arrivare a toccare Jake, ma
un colpo
secco mi fece tornare alla realtà. Aprii gli occhi e vidi la
porta della mia
camera socchiusa. Non c'era bisogno
di sapere chi fosse
entrato, mia madre era troppo attenta e premurosa per
essere l'artefice
di quel rumore, per non parlare poi di mio padre. L'unica persona nella
mia
famiglia che non si curava di tenere a freno il suo entusiasmo era...
“Alice!».
La sua risata squillante risuonò nella stanza, pulsando
nella mia testa ancora addormentata. “Alice
stavo dormendo!».
Il mio doveva essere un rimprovero, ma quello che uscì
fuori fu un piccolo lamento flebile.
“Andiamo!
Il sole è già sorto da un bel po'! Non vorrai
dormire tutto il giorno?».
“Alice,
sono le sette! »
urlai, indignata.
“Appunto»
disse ridendo.
“Cosa
vuoi saperne tu che non dormi?».
“Niente
storie, giù dal letto!»
disse e si infilò nel mio armadio. Mi misi a sedere e mi
guardai intorno. A volte mi chiedevo come facesse Alice ad essere
sempre così
di buon’umore.
“Sei
sola?»
le chiesi distrattamente.
“No,
c'è Jasper».
“Mi
dici che stai facendo lì dentro? I vestiti sono sempre gli
stessi!».
“Ti
piacerebbe!»
urlò seccata. “Sto prendendo quelli che hai
già messo, così
li diamo in beneficenza”. Sbuffai. Questo lato del mio
carattere l'avevo
ereditato da mia madre: non amavo fare shopping e non mi interessava se
quello
che indossavo era firmato o meno. Peccato che ad Alice interessasse, eccome!
“Alice,
ne hai ancora per molto?.
“Vuoi
aiutarmi?”.
“No!”
risposi subito. “Vado a salutare Jasper”.
Uscii
di corsa dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle, superai il
salone e
uscii fuori. Ad accogliermi, una verdeggiante foresta nel pieno del suo
splendore, anche se era pieno inverno, e, seduto sulle scale, con la
sua solita
aria non curante, c'era Jasper. Era bello come un dio greco e il suo
aspetto da
eterno ragazzo gli conferiva un che di divino.
“Ciao
zio!” esclamai sedendomi accanto a lui.
“Non
chiamarmi zio, mi fai sentire
vecchio”
disse sorridendomi. Ricambiai e dissi: “Che fai qui
fuori?”.
“Beh,
credevo di disturbare. Cos'è? Alice ti ha
cacciata?” chiese, ridendo.
“No,
sono scappata” gli risposi, unendomi alla sua risata.
“Dove sono mamma e papà?”
domandai cercando di tornare seria.
“Sono
a caccia, o meglio, a giocare da qualche parte...” rispose
lanciandomi un
sorriso eloquente. Sospirai. Chissà se avrei mai trovato
qualcuno che fosse
riuscito ad amarmi come mio padre amava mia madre... o che sarebbe
riuscito ad
affrontare un mondo a lui sconosciuto per amore...
A interrompere i miei pensieri fu la voce squillante di Alice.
“Renesmee,
Jasper!”.
Io
e
Jasper ci guardammo con complicità e ci precipitammo in
camere mia. Lui mi
sorpassò e mi tenne la porta aperta. Entrai e notai subito
due enormi buste ai piedi del
mio letto con i vestiti che non
avevano superato l'esame di Alice. Lei mi guardò sorridente
e indicò il letto
su cui aveva poggiato i vestiti che avrei dovuto indossare quel giorno.
Mi
avvicinai al letto con passo lento ed esitante, intimorita dagli
abbinamenti
architettati dalla mente contorta di mia zia. Appoggiato su di esso
c'erano un
maglioncino nero con appuntato a destra un fiocco scozzese e sotto una
minigonna con la stessa fantasia del fiocco. Guardai Alice con un misto
di
sorpresa e rabbia. Lei ricambiò lo sguardo un po' annoiata e
disse: “Andiamo,
niente storie. Mettiteli e basta”.
“Ma,
Alice, non è il mio genere!” mi lamentai.
“Quando
mi dirai qual è il tuo genere,
forse
ti ascolterò”
disse sorridendo.
“Almeno
fammi mettere le scarpe da ginnastica...” implorai.
“Non
se ne parla! Quegli stivaletti
sono
adorabili!”.
“Solo
per te” sbuffai.
“Nessie,
mi deludi. Il tuo senso estetico è pari a quello di tua
madre! Ma non ti ho
insegnato niente?”.
“Lascia
perdere, Alice” dissi con aria sconfitta.
“Bene,
allora fila in bagno. Mentre
tu, Jasper, vai a
portare quelle buste fuori”.
“Agli
ordini” rispose lui sorridendo.
“Quando
la smetterete di fare tutto quello che dice?” domandai
arrabbiata.
“Piccola
Nessie,” ribatté Jasper, “ne hai da
imparare...” finì
guardando Alice. Sbuffai insofferente e così, sicura del
fatto che non l’avrei
avuta vinta, presi i miei vestiti e mi catapultai in bagno, chiudendomi
la
porta alle spalle. Certo quello non avrebbe fermato un vampiro, ma mi
avrebbe
assicurato un po' di privacy. Analizzai di nuovo i vestiti con aria
inorridita
e poi cominciai a ravviare i capelli. Appena finito, uscii dal bagno e
trovai
Alice ad aspettarmi, impaziente come sempre.
“Pronta?”.
“Si,
andiamo” risposi rassegnata. Chiusi la porta della mia stanza
e raggiunsi Alice e Jasper che chiacchieravano tranquillamente.
“Perché
Rosalie non è venuta?” chiesi tutt’a un
tratto, pensando
all’altra mia zia, con la quale andavo molto più
d’accordo. Lei era in grado di
evitare la mia tortura giornaliera sul look.
“L'ho
convinta che saresti sopravvissuta un'ora senza di lei” disse
Alice, ridendo.
“Oppure
volevi assicurarti che nessuno ti mettesse i bastoni fra le
ruote” controbatté
Jasper, unendosi alla sua risata. Alice ricambiò il sorriso
e si presero per
mano, quando i suoi occhi si persero nel vuoto. Io e
Jasper rimanemmo in attesa che tornasse tra noi e quando i suoi occhi
ci
cercarono, capimmo che la visione era terminata.
Poi
Alice urlò: “Un
matrimonio!”.
“Di
chi?” chiesi curiosa.
“Sam
ed Emily” disse. Scoppiai a ridere.
“Cosa
hai da ridere?” domandarono lei e Jasper in coro al
che guardai Alice con aria di sfida.
“I
licantropi non ti lasceranno organizzare il matrimonio”
gongolai con un ghigno stampato in faccia.
“No,”
disse seria “ma tu
dovrai pur vestirti!” aggiunse guardandomi di traverso.
“Chissà se dovremmo
vestirci elegante...” continuò, pensierosa.
“Beh, i Cullen devono sempre fare
bella figura, vero amore?” concluse girandosi verso Jasper.
“Certo”
rispose lui accondiscendente.
“Vogliamo
andare? Siamo in ritardo” dichiarai, irritata.
“Okay”
dissero in coro. Così cominciammo a sfrecciare nella
foresta. Potevo sentire tutto: gli uccelli che cantavano, l'acqua di un
ruscello che scorreva e magari, se mi fossi concentrata, avrei sentito
anche le
risate dei miei genitori. Arrivati a metà strada Alice
digrignò i denti.
“Fantastico!
E' arrivato il cane”
constatò acida.
“Smettila,
Alice” la rimproverai. Non sopportavo quando prendeva
in giro Jacob, lui era il mio migliore amico. Neanche un secondo dopo
dai
cespugli apparvero due grossi lupi, uno più grande e dal
pelo rossiccio mentre
l'altro più esile e color sabbia.
“Ciao
Jake” dissi, voltandomi verso il primo. Poi mi rivolsi
all'altro: “Ciao Seth!”. I due lupi guairono a mo'
di saluto, poi si guardarono
per un millesimo di secondo e Seth sparì nella foresta.
“Va
in ricognizione?” chiesi. Jake mi guardò e fece
cenno di sì con il muso.
Sorrisi e dissi: “Tu vieni a casa?”. Jacob fece di
nuovo cenno di sì e così ci
precipitammo verso la casa.
Non ci vollero più
di cinque minuti e ci ritrovammo di
fronte alla
maestosa casa Cullen. Alice, Jasper ed io entrammo e andai a salutare i
miei
nonni, mentre Jake, rimasto fuori, si ritrasformava. Poi mi accomodai
accanto a
Rose ed Emmett, seduti tranquillamente sul divano. Lei mi rivolse un
sorriso
splendente, mentre io ricambiai con un'occhiataccia.
“C'è
qualcosa che non va?” domandò preoccupata.
“Non
hai visto come sono vestita?” risposi brusca. Notando il mio
abbigliamento, Emmett scoppiò in una grande risata.
“Già,”
disse sghignazzando, “cos'è, Alice? Non sai che Carnevale è a
febbraio?”.
“Cosa
vuoi capirne tu Emm?” gli rispose Alice con aria indignata.
A interrompere il battibecco tra Alice ed Emmett fu l'entrata
di Jacob. Esme gli andò subito incontro, rivolgendogli
un gran sorriso che Jacob ricambiò cortese.
“Il
frigo è tuo” disse lei.
“Grazie,
Esme” gli rispose
cordiale Jake.
“Attento
a non rompere niente, cane” lo apostrofò Rose.
“Ehy,
bionda” disse
subito Jacob ridendo. “Sai come si chiama una bionda che si
tinge i capelli di
nero?”.
“Va’
a mangiare Jake” lo fermai per prevenire l'ennesima litigata.
“Lo
sai?”. Ma Jacob non si arrendeva facilmente.
“Intelligenza artificiale!”
esclamò sghignazzando.
“Ora
basta cane!” ringhiò Rosalie.
“Va’ a mangiare”.
“Il
tuo umorismo è uguale a zero, bionda” disse Jake
con finta
delusione e poi si precipitò in cucina. Rimanemmo a
chiacchierare finché non
udimmo i passi dei miei genitori. La grande porta bianca si
aprì e mio padre
fece la sua comparsa. Mi cercò con lo sguardo tra i suoi
familiari e, quando mi
trovò, mi regalò un gran sorriso che ricambiai.
Subito dopo entrò mia madre. Le
andai incontro e ci abbracciammo, mentre mio padre ci raggiunse e mi
stampò un
bacio sulla fronte. Terminati i saluti, tornai
a sedermi accanto a Rose. Mio padre si avvicinò ad Emmett e
disse: “Allora
questa partecipazione di matrimonio?”. La sua voce era sempre
perfetta e
bellissima.
“Il
capobranco si sposa” disse
Rose con una
certa acidità nella voce. Non potei fare almeno di darle una
gomitata come
ammonimento. Lei mi lanciò un’occhiataccia che
ricambiai e poi osservai mio
padre intento a leggere i pensieri di
tutti. Quel suo lato a volte poteva dare fastidio: il suo potere equivaleva
a niente privacy e per un adolescente era una tragedia, soprattutto
quando le
compagnie che frequentavi, i licantropi,
non gli andavano molto a genio. A rompere quel silenzio che si era
fatto
alquanto pesante fu Alice con il suo solito entusiasmo:
“Dovremmo vestirci elegante, no?” disse scrutando in modo particolare me e
mia madre, che ci
scambiammo uno sguardo avvilito. Mio padre, ridendo, si
avvicinò a lei per
darle il suo sostegno, mentre io mi accasciai sul divano, abbattuta.
Non sarei
riuscita a sopportare una giornata di shopping, diciamo che non era uno
dei
miei passatempi preferiti, anzi tutt’altro.
“Che
bello! Ancora shopping” gongolò Alice, niente
avrebbe mai
fermato il suo estro
creativo che, per chi non
condivideva, poteva essere alquanto irritante. Intanto Jake, avendo
finito di mangiare,
uscì dalla cucina e fu puntato subito da Alice:
“Anche per te, cane!” disse
come se fosse ovvio. Jacob le
rispose con un sorriso
non curante e disse: “Certo, certo”, il che
significava che non gliel'avrebbe
data vinta. Finita la conversazione, tutti ripresero ciò che
stavano facendo
prima dell’arrivo dei miei: loro si sedettero al pianoforte,
Carlisle tornò
nello studio, Alice e Jasper sparirono mentre Emmett faceva zapping
tenendo
abbracciata Rose che continuò a conversare con me. Mio padre
cominciò a suonare la canzone che
aveva composto quando aveva conosciuto mia madre e, in poco tempo,
l'aria si
riempì di una dolce sinfonia, che mi sarebbe anche piaciuta,
se non l'avessi
ascoltata almeno un milione di volte. Invece ora mi irritava.
“Che
strazio!”
esclamò
Jake con aria annoiata, passando davanti al pianoforte per venire da
me. La
cosa che ammiravo di più di Jacob era che diceva sempre
ciò che pensava senza
mai preoccuparsi dell’opinione altrui.
“Guarda
chi è arrivato, lo strazio fatto persona!” lo
canzonò mia
madre. Lui rispose con un inchino molto teatrale e si
accomodò ai miei piedi.
“Senti
che puzza!” esclamò Rosalie scostandosi il
più possibile da
lui. “Non so come tu faccia a stargli vicino”
continuò.
“E
io non so come faccia a sopportare te”
disse Jacob. “Guarda che se ogni tanto fossi meno bisbetica, non ti mangerebbe
nessuno!”
sghignazzò. Rosalie digrignò i denti e Jacob fece
finta di tremare.
“La
smettete!” li rimproverai. “Sapete solo
litigare!” continuai
scoppiando a ridere. Alla mia risata si unì quella di Jacob
mentre Rose alzò
gli occhi al cielo
e prese a parlare con Emmett. Io e
Jake ci guardammo, lui mi offrì la mano ed io gliela strinsi
forte. Una nota
discorde mi fece sobbalzare improvvisamente: mio padre aveva smesso di
suonare
interrompendo la canzone nel peggiore dei modi.
Jake stava per lasciarmi la mano ma gli feci capire,
mediante il mio potere, che io non volevo e non avevo paura di mio
padre. Così
lui desistette.
“Cosa
c'è?” chiese mia madre preoccupata.
“Nulla”
rispose mio padre evidentemente contrariato. Mia madre
percepì che quella reazione era dovuta a me e si
girò a guardarmi. Vidi la
rabbia crescere nei suoi occhi quando si accorse della mia mano stretta
in
quella di Jake, ma la ignorai e la strinsi più forte. In
quel momento mio padre
esplose: si alzò di botto e disse con voce apparentemente
calma: “Dobbiamo andare” e mi lanciò uno
sguardo truce.
“Io
resto ancora un po'“ gli risposi noncurante. Se pensava
che solo lui potesse rimanere calmo in queste situazioni si
sbagliava di grosso.
“No,
tu vieni” disse e questa
volta sembrò
una vera e propria minaccia.
“Devo
ancora studiare con Esme” mi giustificai con calma. Non che
lo studio mi
interessasse più di tanto, ma volevo restare lì,
era ora che mio padre imparasse
ad accettare Jacob.
“Studierai
a casa” disse serio. A quel punto Jake si alzò
facendomi sobbalzare e,
stringendo ancora la mia mano, la mise in bella mostra davanti a tutti.
“Ha detto che
vuole restare” disse con aria
minacciosa. Jake era sempre pronto a prendere le mie parti e io gliene
ero
sempre stata grata. Ma mio padre non si arrendeva facilmente:
“Tu non sei nessuno per
dirmi cosa pensa mia figlia!”
urlò. Jacob si fece minaccioso e cominciò a
tremare, così sciolsi la presa e
gli misi una mano sulla spalla. Lui incrociò il mio sguardo
che gli supplicava
di calmarsi. A quel punto fu mio padre ad avvicinarsi minaccioso, ma
non avrei
lasciato che gli facesse del male. Il mio sguardo si fece duro e gli
feci
arrivare le mie urla mute avvertendolo di stare in campana:
“Non gli farai del
male, smettila subito e calmati. Lo
so che mi senti, non fare finta di niente!”. Ma non mi ascoltò minimamente.
Stavo per fare il primo passo
tra il lupo e
il vampiro, quando fu mia madre a
parlare: “Dai, Nessie, andiamo” disse con una
supplica muta negli occhi. “Jake
vieni anche tu?” continuò rivolgendosi nel modo
più gentile possibile a Jacob.
Sulla sua faccia si aprì subito un sorriso trionfale e con
un ghigno di rivolse
a mio padre: “Con piacere”.
Ci
dirigemmo alla porta e quando passai di fronte a mio padre vidi lo
sguardo duro
e arrabbiato che mi lanciò, ma non abbassai lo sguardo. Gli
tenni testa finché
lui non ringhiò e volse lo sguardo altrove. Prese mia madre
per la mano e si
avviò all'uscita. Io e Jacob ci scambiammo un sorriso
trionfale e gli feci
percepire la mia gioia mentre raggiungevamo i miei all'uscita.
“Il peggio è
passato” gli dissi e lui mi sorrise fiero. Fui l'ultima ad
uscire da casa
Cullen, mi chiusi la grande porta alle spalle e subito affiancai Jake.
La
foresta innevata era un vero spettacolo, la neve sotto i miei piedi era
soffice
e gli alberi sembravano vivi ed accoglienti. Nulla turbava la loro
quiete a
parte il gracchiare di un grande corvo nero posatosi su un albero di
fronte
alla grande casa bianca. Ci incamminammo piano, nessuno aveva voglia di
correre. Il silenzio tra me e Jake non era pesante, ma complice e
questo
rendeva mio padre a dir poco nervoso. Camminando, ammiravo i riflessi
del sole
sull'anello, con inciso il simbolo dei Cullen, che portavo
all’anulare della
mano destra.
“Cos'hai
da guardare? E' orrendo!”
disse Jake
facendomi sobbalzare. Gli lanciai un’occhiataccia.
“E' bellissimo
invece!”. Lui fece una smorfia e ci mettemmo a ridere.
“Preferisci la collana?”
chiesi e tirai fuori il gioiello che mi aveva regalato mia madre il mio
primo
Natale. Passai le dita sulla scritta in francese che diceva:
“Più della mia
stessa vita”.
“Chissà
dove saremmo ora, se fosse andato tutto storto” disse
Jacob pensieroso.
“E'
andata come doveva andare,
Jake” dissi sospirando “e poi non so come farei
senza di loro” continuai
guardando i miei genitori.
“Creano
più problemi di quanti ne risolvano”
affermò Jake sbuffando.
“Beh,
lo fanno tutti i genitori, per questo esistono gli amici licantropi,
no?” dissi
sorridendogli.
“Già,
amici...”
sospirò Jake, ma prima che
finisse la frase si vide arrivare in faccia una palla di neve, al che
scoppiai
a ridere. “Ehy!” urlò divertito
“Nessie, così non vale, mi ha preso alla
sprovvista!”.
“Dove
sono i tuoi super”sensi, lupo?”
lo
presi in giro ridendo.
“Se
ti prendo...” disse cominciando a correre e lanciando palle
di
neve. Era come essere tornati bambini: correvamo senza pensieri, non
avevamo
problemi, tutto era più semplice. Jacob mi lanciò
una palla di neve dritta dietro
la schiena e mi fece sfuggire un urlo. Per vendicarmi, preparai una
palla bella
grossa, presi la mira e lanciai. Mancai Jacob di un soffio ma, in
compenso,
presi in
pieno la testa dell'enorme lupa grigia
appena uscita dalla foresta che, lanciandomi uno sguardo truce, emise
un
ululato tremendo.
“Scusa,
Leah” dissi cercando di apparire il più mortificata
possibile, ma fu difficile trattenere le risate quando Jake
scoppiò a ridere.
Leah mostrò i denti ad entrambi, seccata e infastidita.
“Dai”
disse Jacob, ritornando serio. “Stavamo solo
giocando”. La lupa sbuffo con
rabbia. I miei genitori, vedendo che non li stavamo seguendo, tornarono
indietro.
“Ciao
Leah” dissero in coro, ma lei non li considerò
minimamente. Leah odiava i
vampiri, odiava chi rideva, odiava chi scherzava, in realtà
era difficile
trovare qualcosa che amava, a parte
mettere i bastoni fra le ruote a
tutti.
Jake mi aveva detto che prima di essere lasciata da Sam, per sua
cugina, era
simpatica. Difficile a credersi, ma quello che sapevo dell'amore era
che poteva cambiarti la vita.
Quando ti innamoravi mettevi la
tua intera esistenza nelle mani dell'altro, consapevole del fatto che
avrebbe
potuto distruggerti con una sola parola. Morale della favola: tutti
dovevano
essere gentili con Leah ma lei era libera di ringhiarti contro ogni
volta che
voleva.
“Devi
dirmi qualcosa?” chiese Jake con l'aria del vero alfa. A quel punto tutti
guardammo mio padre, l'unico
in grado di sentire i pensieri della lupa grigia. Lui
alzò un sopracciglio e disse: “Vuole
un giorno libero, deve comprarsi un
vestito”. Rimanemmo tutti allibiti: nessuno aveva immaginato
che Leah avrebbe
partecipato al matrimonio. Allora la lupa, accorgendosi delle nostre
espressioni, sbuffò e guardò mio padre in attesa
che traducesse.
“Dice
che è sempre sua cugina” spiegò mio
padre sorridendo. Jake era rimasto
sbalordito, ma
conservò il suo solito tono scherzoso
e disse: “Okay, ma prima avverti Quil che vi scambiate il
turno”. Leah annuì e
fece per andarsene.
“E
mi raccomando” continuò Jacob guardandola.
“I vestiti per le donne sono quelli
con la gonna!” disse
scoppiando a
ridere. Leah ringhiò e sparì nella foresta.
“Dovresti
smetterla di prenderla in giro” dissi a Jake rimproverandolo mentre ricominciavamo a camminare.
“Tanto
Leah sa stare al gioco” disse Jake non curante.
“Leah
sa stare al gioco?
Ma in che mondo vivi? Stava per staccarti un braccio!”
ribattei, cercando di
nascondere la preoccupazione, ma fu tutto inutile.
“Sei
preoccupata Nessie?” notò Jacob guardandomi con
aria superiore.
“No,
ma che dici!” risposi, girando la faccia dall'altro lato.
“Allora
che ti importa?” disse sghignazzando.
“Niente,
lascia perdere” continuai imbarazzata. Jake scoppiò
a ridere e io gli tirai un pugno sulla spalla. “Vuoi
staccarmelo tu il
braccio?” disse offrendomi la
spalla.
“Sai
essere ser...”. Ma non riuscii a finire la frase che Jake mi
spinse facendomi perdere l'equilibrio e facendomi cadere nella neve
fresca. “Jacob Black!” urlai infuriata.
“Presente”
disse lui divertito. Mi rannicchiai sul terreno, mi
misi in posizione, e saltai facendolo cadere a sua volta.
“Così
impari!” risi. Poi mi alzai e cominciai a correre, superando
i miei genitori e alzando la neve dietro di me. Jacob si
alzò in un lampo e
cominciò a corrermi dietro. Sfrecciare tra gli alberi era
naturale, evitarli
ancora più facile. La corsa mi inebriava, mi sentivo libera,
un tutt'uno con la
natura che mi circondava. Impiegammo due minuti e poi ci ritrovammo di
fronte
alla mia casetta. Mi avvicinai ad essa, la sua immagine era accogliente
come
sempre, la foresta intorno a lei le dava un che di misterioso. L'aria
era calma
e limpida, come nel più bel paradiso... I miei genitori
erano già entrati in
casa mentre io rimasi fuori ad aspettare Jacob che uscì dai
cespugli ancora
pieno di neve. Vedendolo così, non riuscii a trattenere una
risata.
“Fai
ridere anche me” disse lui.
“Certo,
se vuoi ti porto uno specchio!” esclamai, continuando a
ridere.
“Hai
vinto una battaglia, non la guerra!” urlò e io
continuai a
ridere.
“Penso
che un'altra guerra
ci aspetti dentro casa” dissi, cercando di tornare seria.
“Sono
i tuoi genitori, non i miei” ribatté pronto.
“E'
vero, ma sono quasi sicura che se la prenderanno anche con
te”
dissi convinta.
“Tuo
padre mi da sui nervi!” urlò Jacob improvvisamente.
“Dobbiamo
avere pazienza” lo ammonii.
“E'
facile parlare per te” sbuffò. Allora mi
avvicinai, cercai il suo sguardo e,
quando i nostri occhi si trovarono, sussurrai:
“Jake,
mi prometti che non farai niente di male, succeda quel che
succeda?”. Lui mi
guardò smarrito, come imbarazzato dalla nostra improvvisa
vicinanza.
“Va
bene” concesse tornando in sé. “Ma sia
chiaro: lo faccio solo
per te, Nessie”.
“Grazie,
Jake” dissi sorridendogli.
“Dai,
andiamo” sbuffò lui. Aprii la porta ed entrammo.
Mio padre
era di spalle e stava inequivocabilmente
baciando mia madre. Non so perché, ma questo mi fece rabbia:
lui poteva
dimostrare tutto il suo affetto a mia madre ed io non potevo stringere
la mano
ad un amico? Era incoerente, era pura ipocrisia! Il mio viso rimase
impassibile, così come la mia voce.
“Jacob,
vieni. Andiamo in camera
mia” dissi spostando il mio
sguardo su Jake.
“Tu
non vai da nessuna parte con lui!”.
L'urlo di mio padre mi fece sobbalzare: ora aveva superato i
limiti. Tutta la rabbia che avevo represso si scatenò ma io
non la frenai, non
volevo. Desideravo che lui la vedesse, perché sapevo
benissimo che la
avvertiva. Doveva capire, non c'erano mezzi termini. Era ora che
imparasse a
comprendermi.
“Perché
no?” urlai e in quelle due parole riuscii a riassumere
tutto ciò che stavo provando. Non vedevo più
niente, nulla di quello che avevo
intorno aveva senso. C'eravamo solo noi quattro. Se il resto del mondo
fosse
andato a fuoco non mi sarei sorpresa particolarmente perché,
in confronto al
fuoco che sentivo dentro di me, non sarebbe stato niente.
“Perché
lo dico io!” fu la risposta secca di mio padre. Incrociai
i suoi occhi: la battaglia che si venne a creare fu indescrivibile.
“Edward,
basta...” disse mia madre calma. Per lei dopotutto era facile
rimanere calma,
aveva tutto quello che voleva. Niente le era
stato
mai negato. “E voi due, non potete stare in
salotto?”. Era veramente
insopportabile quando faceva così. Per lei era tutto
semplice, ma è normale se
tutto il tuo mondo riguarda una sola
persona! Dopotutto cosa sarebbe cambiato nella sua vita se io e Jake
fossimo
andati in camera mia? Sapevamo entrambe che mio padre avrebbe
controllato
tutto! Prima che perdessi completamente la calma e le rispondessi per
le rime,
fu Jake ad intervenire: “Perché? Non facciamo
nulla di male!”.
“Jacob,
smettila!” gridò mia madre come se bastasse a
calmare gli
animi. Lei sapeva essere perfettamente, incoerentemente egoista. Avrei
voluto
tanto vedere se fosse riuscita a rimanere calma se qualcuno, senza una
spiegazione logica, le vietasse di vedere mio padre. Sapevo solo che se
fosse
successo in quel momento le avrei riso in faccia e urlato
“Cosa si prova?” con
un ghigno stampato in viso.
“Di
fare cosa?!”
urlò Jake e mai domanda
fu più sensata.
“Okay...
Jacob è meglio se ora te ne vai” disse mio padre,
avvicinandosi pericolosamente
a Jacob. Se avesse osato toccarlo poteva star certo che non gliel'avrei
mai
perdonato.
“No”
gli rispose secco Jake.
“Papà
smettila!” gli urlai adirata. “Jacob può
rimanere quanto gli pare! Non sopporto
quando mi tratti da bambina!”. Praticamente: sempre.
“Tu
sei una bambina!”
controbatté mia
madre. Certo, forse avevo solo sei anni ma, da molti punti di vista, ero più coerente di lei.
“Ho
solo sei anni, è vero, ma ne dimostro almeno
quindici!” gridai
di rimando.
“Ti
risulta che le ragazzine
di quindici anni stiano chiuse in camera con i loro
ragazzi?”. Ragazzi? Jacob
non era il mio ragazzo!
Mia madre era ridicola, si arrampicava sugli specchi. Jake ed io
eravamo solo
amici e lei o mio padre non potevano impedircelo.
“No!
Ma Jacob non è il mio “ragazzo”“.
Misi un po' troppa enfasi sull'ultima
parola,
almeno speravo che mia madre avesse capito il concetto.
“Nemmeno
con i loro amici, se è questo quello che vuoi
dire!”. Se sperava che con questa
precisazione mi avrebbe smosso di un passo si sbagliava di grosso. Ero
perfettamente cosciente di quello che intendevano, ma né io
né Jake avevamo la
minima intenzione di infrangere le regole e questo i miei genitori non
volevano
proprio capirlo.
“Perché
non vuoi che stiamo insieme? Cosa c'è di male?”
intervenne Jacob, con l'aria di
chi sapeva già che non avrebbe ottenuto niente. I miei
genitori non solo erano
freddi, ma anche duri come il
marmo. Eppure anche il marmo
più duro si leviga.
“Jacob
non fare finta di non capire!” urlò mio padre.
“E’ una bambina!
Deve comportarsi come tale!”. Sempre la solita storia. A
volte diventavano ripetitivi e
noiosi, eppure mi
sembrava di avergli dimostrato più volte che la mia
maturità cresceva insieme
al mio corpo.
“Certo”
gli rispose Jacob. “Ma, invece, ti stava benissimo quando
entravi nella camera di Bella, di notte, all'insaputa di
Charlie”. Quelle
parole fecero letteralmente infuriare mio padre. Vidi la ragione
scomparire dai
suoi occhi e avvertii la calma ricomparire dentro di me. I suoi
movimenti
furono fluidi e veloci e in un attimo Jacob volò dall'altro
lato della stanza,
scontrandosi contro la parete, su cui si formò un enorme
crepa. Prima che mio
padre tornasse a colpirlo raggiunsi Jake, che ansimava cercando di non
trasformarsi,
mentre mia madre si parò davanti a mio padre, calmandolo.
Gli presi la mano: “Scusa,
Jake, è tutto colpa mia” gli dissi usando il mio
potere e lui mi accennò un
sorriso mentre dalla mia bocca continuavano a sgorgare parole che non
riuscivo
a fermare: “Stai bene? Tutto a posto? Niente di
rotto?” e Jake, paziente,
continuava a fare cenno di sì col capo.
“Renesmee”
sussurrò mia madre “Vai in camere tua, per
favore”.
Alzai la testa e incrociai il suo sguardo, nei miei occhi era tornata
l'ira, ma
lo shock di aver visto Jake in quelle condizioni mi aveva bloccato la
voce.
“Mamma...
ti prego...” fu tutto ciò che riuscii a dire.
“Vai,
ci penso io”. Certo, bastava che ci pensava lei e poi andava
tutto bene. “Vi rivedrete stasera”. Sarebbe stato
meglio per lei che quella
fosse stata una promessa.
“Jake, mi
dispiace, devo andare, a stasera” gli dissi sfiorandogli la
mano. In quel
momento il mio potere era il mio unico modo per comunicare e sapevo che
mio
padre ci stava ascoltando, tanto peggio per lui. Mi alzai e corsi in
camera
mia, chiudendomi la porta alle spalle. Mi tolsi gli stivaletti e li
gettai in
un angolo,
presi il primo libro che mi capitò
tra le mani e mi gettai sul letto. Era il libro delle poesie di
Tennyson,
quello che mia madre mi leggeva quando ero piccola, aveva un effetto
rilassante
su di me. Lo aprii a caso e cominciai a leggere i primi versi che mi
trovai
davanti:
Stammi
vicina quando la mia luce si sta spegnendo
Quando il sangue mi scorre lento e i nervi mi pizzicano
e formicolano, e il cuore è malato
e tutte le ruote dell’essere sono lente.
A
interrompere la mia lettura fu l'entrata di mio padre. Rimase sulla
porta in
attesa che io lo degnassi della mia attenzione, ma feci finta di niente.
“Renesmee...?”
sussurrò incerto.
“Vattene!”
urlai con tutta la rabbia che avevo, almeno la voce era
tornata. Era proprio vero che quelle poesie mi calmavano anche se in
quel
momento poteva risultare il contrario.
“Penso
di doverti delle scuse” mormorò con una voce
pentita.
“Non
è a me che devi delle
scuse” gli
risposi brusca.
“Sai
che non mi scuserei mai con Jacob”
disse, enfatizzando l'ultima parola. Allora alzai al testa, incrociai
il suo
sguardo e dissi: “Allora non abbiamo più niente da
dirci”.
“Renesmee,
io ti capisco....” cominciò, ma lo interruppi
subito: “No! Non dire che mi capisci!
Se tu mi capissi davvero non
cacceresti Jake ogni volta!” dissi tutto d'un fiato. Lui
abbassò lo sguardo:
nei suoi occhi vidi quanto ci stava male e questo fece stare male anche
me.
“So
che questo ti fa stare male, ma cerca di capirmi! Sei mia
figlia...” lasciò la
frase a metà e poi mi guardò con una supplica
muta negli occhi.
“Non
volevamo fare niente di male e tu lo sai meglio di chiunque
altro” dissi
guardandolo negli occhi.
“Io
non prevedo il futuro” mi rispose acido.
“Si”
sbuffai, “ma sapevamo entrambi che saresti rimasto in
ascolto. Come del resto
farai stasera”.
“Stasera?” chiese sorpreso.
“Si”
gli risposi convinta. “Vedrò Jake. L'ha detto mamma.
Ricordi?”.
“Si”
disse lui rassegnato. “Beh, il minimo che possa fare, per
farmi perdonare, è cercare di fare il bravo...”.
Non gli diedi il
tempo di finire la frase che gli
allacciai le braccia al collo.
“Grazie,
papà!” urlai felice. Lui rise e io mi unii a lui.
Fu una
risata liberatoria.
“Ti
voglio bene” disse lui.
“Anche
io” risposi tornando sul letto. Non appena alzai gli occhi,
era già uscito dalla stanza. Così, sospirai e
ripresi il libro tra le mani.
Stavolta il peggio era davvero passato.
.
NDA:
spero vi sia piaciuto e, se è così, mi
raccomando, fatemelo sapere! Per chi volesse: una mia amica sta
scrivendo la versione dal punto di vista di Bella (Polar Lights). Ecco
il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=754281