Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: ImFaffa    10/07/2011    4 recensioni
Ciel non riesce a dormire, ma ciò che lo preoccupa non è un semplice incubo ...
Genere: Dark, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Silenzio. E nel silenzio il rumore dei miei passi. Risuonavano tetri, tra le pareti rosse del corridoio. Lenti e ritmici, quasi serrati. Nel buio solo il lontano ricordo dei fantasmi che avevano abitato tra quelle mura. Camminai per un tempo che mi parve infinito, cercando ciò che mi aveva spinto fuori dalla mia stanza a quell’ora: la Sua camera. Sentivo ancora, nella mente, la sua voce che mi chiamava, invocando il mio nome. Rammentai la sua espressione mentre svaniva nel nulla, confondendosi con le tenebre circostanti. Mi fermai, accostando un mobile contro la parete e  avvertendo una fitta profonda nel petto, dopo aver formulato quel pensiero. Sentivo le gambe cedermi, e la certezza che sarei arrivato alla mia meta mi parve quasi un miraggio lontano, indistinto dalle numerose idee che mi affollavano la testa, urlandovi dentro, senza che io potessi fare niente per fermarle. A peggiorare la situazione, giunse un dolore mai percepito prima, da parte del mio occhio destro. Il simbolo del contratto con Lui risplendette nell’oscurità, illuminandola fievolmente, per poi scomparire, coperto dalle mie dita, nel tentativo di placare quel male che mi affliggeva. Provai nuovamente ad avanzare e, fortunatamente, vi riuscii, sebbene l’iride violacea continuasse a dolermi. Vagai ancora, tra i numerosi varchi di cui la villa era provvista, cercando la sua stanza. Ci misi più tempo del previsto, anche perché il sonno cominciava a prendere il sopravvento su di me, ma alla fine vi arrivai. La porta era chiusa e non udii alcun suono provenire dall’interno, così mi feci coraggio e, forzando appena, la aprii. Entrato, mi ritrovai nel bui più completo, poiché i miei occhi erano ancora abituati alla, seppur scarsa, luce che vi era nel corridoio. Mi ci volle un po’ di tempo prima che si assuefacessero a quel nuovo ambiente sconosciuto a loro quanto a me, ma alla fine vi riuscii. Avanzai cautamente, cercando di non emettere alcun tipo di rumore; non volevo che si svegliasse. Feci il giro del letto per scorgere il suo volto e vi riuscii, scostando le tende e lasciando che pallidi raggi di luna illuminassero la sua pelle diafana, interrotti dalle ombre fini dei fiocchi di neve. Mi inginocchiai sul pavimento, accostandomi al comodino e osservandolo. Pareva ancora più etereo del mio sogno, anche se credo sia più giusto parlare di un incubo. Non appariva neanche lontanamente ciò che era in realtà, un demone, e non potei fare a meno di pensare cosa si nascondesse dietro quella barriera invisibile che perennemente copriva il suo cuore, sempre ammesso che ce lo avesse. Allungai la mano verso di Lui, le dita protese in avanti, fino a sfiorare i lunghi capelli neri sparsi sul cuscino. Li accarezzai dolcemente, per poi lasciare che i miei arti si infilassero tra le ciocche corvine e raggiungessero il suo volto. Mi soffermai con lo sguardo sulle palpebre chiuse che nascondevano i suoi bellissimi occhi carmini, incorniciati dalle lunghe ciglia scure. Scorsi con i miei fino a raggiungere le sue sottili labbra, appena dischiuse. Mi sporsi in avanti, per osservarli più da vicino, accarezzandole con le dita. Per un attimo mi parve più simile a un angelo, che a un demone. Come poteva una creatura tanto magnifica essere qualcosa di così terribile come . . . un demone ? Cercai a lungo la risposta, nella mia mente, senza trovarla. Non riuscivo a venirne a capo e ciò mi inquietò molto. Tanto che non mi accorsi di quello che stava intanto accadendo. Mi ci volle un po’ per rendermene conto, ma alla fine incrociai il suo sguardo scarlatto, che ora mi fissava, con un espressione indecifrabile. Mi accorsi che avevo ancora le dita premute sulle sue labbra e cercai di scostarle, ma lui me lo impedì, prendendole dolcemente tra le sue mani. Mi sentii come incantato: non riuscivo a dire niente, perso com’ero in quelle iridi che mai avevo visto tanto vicine alle mie. Lui alzò appena la testa, quel poco che bastava perché i suoi capelli lambissero la mia fronte. Sentii il suo respiro fresco e appena accennato farsi sempre più vicino. Lo avvertii sfiorarmi la guancia e poi scendere lungo il collo, soffermandosi su quest’ultimo, per poi salire nuovamente fino all’orecchio.
 
“Signorino . . . andate via . . .”.
 
Sussurrò. La sua voce era dolce, sebbene ciò che aveva appena detto mi risuonò nel cuore fredda e tagliente come il ghiaccio. Scostai appena il volto dal suo, scorgendo nel suo sguardo qualcosa simile a una supplica. Non capivo il perché di quella richiesta, così posi, ingenuamente, la mia domanda:
 
“Perché ?”.
 
Vidi le sue pupille dilatarsi per poi assottigliarsi, simili a fessure, nelle iridi color sangue, e il gesto che ne seguì fu così improvviso che neanche io mi accorsi subito di ciò che stava accadendo. Sentii la sua stretta sul mio corpo e, poco dopo, il calore delle lenzuola. Lui si mise a cavalcioni su di me, dopo avermi sbattuto sul letto, avvicinandosi nuovamente e lambendo il mio volto col suo.
 
“Perché potrebbe esservi fatale.”.
 
   
 
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