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Autore: terrastoria    13/07/2011    4 recensioni
A volte mi chiedo cosa sarebbe capitato se io avessi deciso di ricambiare totalmente l’amore di Naruto e non mi fossi messa in testa di conquistare a tutti i costi di Sasuke.
Mi chiedo dove io abbia trovato il coraggio di rifiutare un amore così sincero e sicuramente una relazione felice per un rapporto così intenso e breve da farmi uscire pazza.
Non so darmi un responso, so solo che il cuore allora aveva scelto così sopraffacendo la mia parte razionale.
Poi una cosa del genere non mi successe più.
Purtroppo o per fortuna, non so dirlo ancora.
E così alla fine è arrivata la mia ultima estate qui, a Konoha, con tutti voi.
Una fan fic SasuSaku e non solo, diverse threesome a cominciare dalla classica SasuSakuNaru.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga, Itachi, Naruto Uzumaki | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Buongiorno gente, il nono capitolo de “L'ultima estate” è già pronto. Ho deciso di pubblicarlo oggi poiché prossimamente sarò alquanto impegnata e vi avrei fatto aspettare troppo l'aggiornamento! Nonostante le poche recensioni che ricevo per capitolo ammetto che mi piace sempre scrivere questa storia strana e densa. E se continuo a postare è merito di quelle anime che con le loro parole mi spronano ad andare avanti ogni volta, perciò rinnovo i miei ringraziamenti. Spero prima o poi di poter sapere qualcosa sulla fanfiction anche da chi l'ha messa tra le seguite o preferite e non s'è mai fatto sentire...sono proprio curiosa! Insomma, da autrice è sempre bello ricevere le opinioni dei lettori, ci vivo delle vostre parole e se non ci sono...bè mi demoralizzo subito.
Il capitolo che vi apprestate a leggere è un susseguirsi di scene prevalentemente passate (a parte le prime due e l'ultima): vedremo riapparire in scena la Ino del passato e il Kakashi del presente, oltre che il Sasuke del passato e un po' di
sano team 7.
Allora Buona Lettura gente, spero possa essere di vostro gradimento!




Senza che me ne accorgessi erano passate due settimane dal mio arrivo a Konoha.
Le mie straordinariamente lunghe – e obbligate – vacanze estive stavano scivolando via rapide come granelli di sabbia sulle dita ma dense come olio.
Quell'anno eravamo giunti in tanti a Konoha. Eravamo quasi tutti tornati in patria, come tanti soldati sopravvissuti al fronte. Nelle menti lo schok delle nostre guerre quotidiane e il vuoto delle cose non vissute.

Capitolo nove. Come soldati che tornano dal fronte


Non avendo nulla da fare e volendo per forza inventarmi un passatempo ero andata al piano di sopra, in camera di Naruto, e avendola trovata vuota ero entrata come una spia e avevo cominciato a guardarmi un po' in giro fino a che la mia attenzione non si era posata su di un album appoggiato al comodino.
Era meglio se mi facevo i fatti miei perchè mi ritrovai davanti ad un album fotografico di vecchia data, un po' sgualcito ma intatto in ogni sua foto.
Prima ancora di aprire la prima pagina dell'album seppi a cosa andavo incontro, era così facile intuirlo. Dovevo solo scoprire chi ci sarebbe stato in prima pagina...io o Sasuke? O tutti e tre?
Provai una strana sensazione pensando a quanto le mani di Naruto fossero passate su quell'album e quanto i suoi occhi si fossero posati sulle sue foto. Era davvero così nostalgico? Teneva l'album sul comodino affianco al letto come un individuo qualsiasi tiene la sveglia.
Io, a Los Angeles, avevo rovesciato la foto che ritraeva il trio e ora rivolgeva verso di me solo la cornice in legno.
La prima foto era dedicata a Sasuke, quando la vidi ricordai subito il momento e il luogo in cui era stata scattata e mi abbandonai ai ricordi come una vecchia alla fine della sua vita.
In quella immagine Sasuke aveva diciassette anni, era il ragazzo che Naruto ed io avremmo perso di lì a poco; non sorrideva all'obiettivo né lo guardava, sembrava invece fissare un punto al di là dell'improvvisato fotografo – Kakashi -: quel punto ero io; ricordai che cercavo di farlo sorridere puntandogli un dito contro. Che razza di furba. Era sera, eravamo appena tornati da una gita appena fuori Konoha in un luogo incantato bagnato da un fiume, e avevamo tanto riso – sì, anche Sasuke, seppur in maniera assai minore – avevamo tanto parlato – sì, anche Sasuke, con molti più monosillabi – e avevamo fatto tanti stupidi progetti – no, Sasuke no, Sasuke aveva ascoltato... anzi, aveva detto qualcosa in merito ad una sua fuga, non lo eravamo stati ad ascoltare.
Uchiha Sasuke era nel pieno della sua bellezza, in quello scatto. Con quella sua superba espressione e le labbra appena socchiuse, gli occhi nerissimi che incrociavano i miei, le spalle leggermente piegate in avanti, le mani in tasca dei jeans scuri, la camicia semi aperta, quell'aria da latin lover mancato. Perchè Sasuke non muoveva un dito per essere così dannatamente affascinante. Aveva mosso un dito solo per prendermi bruscamente, per rapirmi dal cuore di Naruto con determinazion quando meno me lo aspettavo, quando ormai avevo quasi deciso di fare io la prima fottutissima mossa.
Voltai velocemente pagina, ricominciando a respirare.
e mi vidi.
Ero una dodicienne imbronciata che squadrava l'obiettivo.
Ebbi l'impressione di volermi dare fuoco.
Povero Naruto, che si ritrovava di fronte una tal furia.
Mi invase un enorme sconforto.
Non ero né solare né bella in tale foto, anzi. E potevo immaginare anche con chi ce l'avessi: con Naruto, ovviamente, chissà cosa non mi aveva fatto. Probabilmente i suoi complimenti a raffica o la sua mancanza di tatto verso un mio scatto precedente non particolarmente riuscito.
A dir la verità mi mancava più questo suo lato infantile e imbranato che mi mandava infantilmente su tutte le furie.
Nella pellicola dopo era stata messa una foto di Kakashi con il classico libro in mano, leggeva in continuazione. Non degnava di uno sguardo colui che io ricordavo essere il biondo fotografo dalla mano inferma.
Sorrisi.
Alla foto dopo c'eravamo noi tre, ne avevo una copia pure io. Era nella cornice sul comodino a Los Angeles. Eravamo vestiti coi grembiuli di scuola. Piccoli e così diversi l'uno dall'altro, già con le peculiarità di adesso: chi sorrideva a trentadue denti, chi corrucciava la bocca, chi sorrideva raggiante e con le guance arrossate.
La suoneria del cellulare mi fece sobbalzare. Neanche ricordavo di averne uno, figuriamoci di averlo messo in tasca dei jeans.
Il nome di Gaara comparve nello schermo illuminato a intermittenza: per poco non presi un colpo. Sabaku No Gaara che chiamava qualcuno col telefonino, per giunta dall'altra parte del mondo? Riuscì a farmi quasi sorridere di gusto.
- Ehi... - sussurrai decidendo che non potevo non rispondere alla chiamata.
- ...Sakura? - mi domandò una voce bassissima e lontanissima. Si prendeva male.
- No, guarda... - risposi ridendoci sopra. Sinceramente.
Questa non me l'aspettavo proprio.
- Tutto bene? -
Fu diretto, d'altronde non erano proprio da lui i giri di parole.
Mi aveva obbligato anche lui ad accettare da Tsunade quelle lunghe ferie promettendomi di fare anche alcuni dei miei turni assieme a chi mi avrebbe sostituito in parte, un certo Sai, uno strano chirurgo che vagava di ospedale in ospedale sempre con un quaderno degli appunti in mano, nella quale disegnava cuori, valvole, arterie e anche i ritratti di chiunque incontrasse, specialmente dei pazienti. Lo avevo conosciuto due giorni prima di partire e a parte l'aria apparentemente minacciosa mi aveva fatto una impressione abbastanza buona.
Mi ricordai solo dopo un po' di secondi di rispondere a Gaara. Io e il mio assentarmi mentalmente...ero insopportabile.
- Abbastanza, dai – risposi né troppo euforica né troppo dismessa. Mentii in parte ma non davvero sapevo cosa avrei potuto dirgli: da una parte a Konoha assaporavo una assurda pace, dall'altra il mare dei ricordi e delle sensazioni a volte mi travolgeva.
- Qua tutto procede perfettamente –
Gaara stava lavorando il doppio anche per me, oltre che per un suo bisogno [lui necessitava delle ore di lavoro che lo ponevano di fronte alla ragione stancandolo perchè chissà quali fantasmi lo rincorrevano o lo avevano rincorso in passato].
- Grazie – dissi perciò impulsivamente, abbassando la voce – davvero -
- Lo sai che non mi piace sentirmelo dire – fu l'aspettata risposta.
Annuii, figurandomi l'espressione contrariata del mio rosso collega di lavoro, del mio compagno di serate insonni davanti ad una tazza di camomilla.
Mi venne improvvisamente da chiedergli di suo fratello, se alla fine avesse deciso di farsi operare. Esitai. D'altronde non c'era quella relazione aperta, tra noi due, ma era tutto un sottinteso.
- Cinque giorno fa ho operato Kankuro -
Mi aveva letto nel pensiero, ecco al dimostrazione dei nostri sottintesi.
Per poco non mi venne da piangere.
Mi bruciarono gli occhi mentre cercavo le parole più o meno giuste da dirgli e mi venne un semplice d
- Bene così – detto a voce roca.
Il respiro appena percettibile di Gaara giunse al mio orecchio provocandomi una strana sensazione di familiarità.
- Ora ha cominciato la riabilitazione, starà dentro ancora per almeno tre settimane – aggiunse stupendomi sempre più.
Mi stropicciai gli occhi che stupidi stavano per lacrimare.
Volevo dirgli che ero orgogliosa di lui, come una mamma chioccia di un film tipicamente americano, neanche lo conoscessi da una vita eppure mi sembrava sul serio di essergli stata affianco da anni e anni.
Accidenti, non sapevo se in qualche modo gioirne, del piccolo pezzo di me che evidentemente avevo lasciato a Los Angeles.
In fondo, più persone lasciavo che accedessero a me e a più dolore sarei andata incontro: avevo dunque fallito. Fallito. Non ero stata quel pezzo di ghiaccio insolubile che mi ero proposta di essere: che obiettivo impossibile mi ero mai prefissata?
- Saluta da parte mia quel generale di Tsunade e pure Jiraya, ok? - gli ordinai invece.
- Sarà fatto – obbedì e me lo figuravo socchiudere gli occhi e interiorizzare l'ordine.

Sicuramente sarebbe andato vicino a Tsunade e telegraficamente gli avrebbe riportato il mio cordiale saluto.
Gaara: aveva fatto passi avanti.
In quel momento non pensai che forse ero stata anche io coi miei silenzi e con i sottintesi incoraggiamenti a insistere con suo fratello affinchè questi prendesse spontaneamente la decisione di operarsi a dargli una mossa, a fargli risolvere il problema. Almeno in parte.
In quel momento ascoltai la voce di Gaara che mi salutava e in ultimo mi raccomandava di dormire e non bere camomille. Nel mio egoismo riuscii a ringraziarlo anche di questo.
- Grazie, Gaara–
- A presto, Sakura -


Hinata ed io eravamo andate assieme in centro, avevamo visto vetrine imbandite di vestiti estivi e ne avevo addirittura provato qualcuno. Ora, seduta di fronte a lei in uno dei tanti piccoli bar del caratteristico centro di Konoha, mi sentivo piacevolmente esausta.
Era stata lei a propormi di andare con lei a “fare shopping” quel pomeriggio sul tardi. Avevo accettato quasi immediatamente, non avevo potuto dire di no a quegli occhioni chiari che m'imploravano.
Probabilmente mi volevano parlare.
- Ho ripensato alla tua domanda – esordì Hinata dopo un silenzio che m'era sembrato interminabile e accarezzò con le mani il bicchiere dell'acqua tonica.
- Ah sì? - dissi io senza enfasi e senza pensarci.
Si riferiva alla mia schietta domanda su Neji. Mi aveva risposto che gli piaceva, però poi aveva subito negato.
Non capivo.
- Tu non sai molto di Neji –
Hinata puntò lo sguardo nel mio, aveva qualcosa di nuovo, pareva arrabbiata.
- So che è un ragazzo educato e per bene....vive a New York...ti aiuterà nel dirigere l'azienda e... - mi fermai, sapevo così poche cose in effetti. Nemmeno quando vivevo a Konoha mi ero informata troppo sulla famiglia di Hinata, lei era sempre così riservata.
- Vivete tutti a New York, ora vero? - domandai.
- Sì, Neji abita con noi. Devi sapere che ho deciso di dare a lui pieni poteri in merito alla direzione del nostro marchio -
Ricordai che gli Hyuuga avevano dato la firma ad una marca di tessuti pregiati e che da decenni concorrevano con le maggiori firme Medio Oriente. Il tutto era partito dal bisnonno di Hinata il quale era un semplice pastore e artigiano, amava le sue capre come i suoi figli. Sua moglie aveva un laboratorio dove tesseva, assieme a diverse alte donne del paese. In breve cominciarono a produrre in eccedenza, dovettero ingrandire il laboratorio che divenne un capannone e con gli anni un'azienda. Vennero assunti operai, fondate altri laboratori fuori Konoha, fuori isola, nel mondo. Piano piano ma con successo. La materia prima arrivava dai migliori terreni di pascolo del mondo, con astuzia e rigore gli Hyuuga erano diventati ricchi.
Pensai che detta così la cosa era riduttiva, non dava sfogo a ciò che quella famiglia era riuscita a fare veramente, ma non riuscivo nemmeno io ad immaginare la portata di quell'industria di tessuti partita dal nulla.
- Cosa? - arrivai in ritardo. Capii diversi istanti dopo cosa mi avesse detto Hinata.
- Non me la sento di fare tutto da sola, lo aiuterò ma sarà lui il responsabile – disse pacata e per nulla delusa. Anzi, sollevata.
- Una volta mi dicesti che non avresti mai lasciato che tuo padre mettesse Neji a capo dell'industria – mi ricordai e le ricordai.
- Sono cambiate molte cose, Sakura -
Gli occhi di Hinata brillarono.
- E' stata la convivenza con lui a cambiare le cose? -
Lei annuì e arrossì abbassando il capo.
Chissà cosa stava pensando, chissà cosa aveva passato, chissà quali storie intrecciavano la sua vita.
Mi piaceva ancora ascoltare gli altri, potevo catapultarmi in altre esistenze, dimenticare la mia, così inutile.
- All'inizio non ci rivolgevamo parola, sai, lui girava alla larga da me e mia sorella. Quest'ultima però cominciò ad andargli vicina, un giorno, se ne era innamorata – Hinata sorrise – allora dovetti vigilare su di lei, stetti accanto a lei e a loro. Fu una situazione strana, continuavo a dire a mia sorella di togliersi dalla testa nostro cugino anche se da un lato il mio cuore voleva che a lei toccasse sposarlo. Non amavo Neji e lui non amava me. Ci guardavamo appena, e di nascosto. Un giorno dovevo chiamarlo a cena, salii in camera sua e aprii la porta non sentendo rumori all'interno. Lo trovai in piedi al centro della stanza, tutto solo. Era la prima volta che eravamo soli. Lo vidi triste, gli occhi rossi. Non so cosa mi prese, avanzai e gli andai dinnanzi. Alzò la testa, Neji e fissò i propri occhi chiari nei miei, così identici -
Sembrava una storia da film.
Mi emozionai come una bambina
- Poi? -
- Senza dire una parola mi prese per un polso e mi fece piombare su di lui -
Immaginai. Non capii. Ma non si parlavano? Cos'era successo?
Sentii il mio cuore battere forte, com'ero sciocca ad emozionarmi ancora per le storie altrui...
- Così...subito? Ma... -
Hinata mi guardò comprensiva, pensai che stesse pensando che era ovvio che io non capivo. Perchè io non ero lì, non avevo vissuto la presenza costante di Neji sulla pelle.
- Credo che in quel momento avesse bisogno di me. Parlammo a lungo, quella sera prima di cena. Mi disse tante di quelle cose che io...io ora non ricordo. Fu straordinario. Mio padre quando ci vide arrivare giù a cena vicini, silenziosi e accaldati fece un sorriso strano, non mi piacque eppure non mi diede il fastidio che invece doveva darmi. Fortunatamente Hanabi non c'era, avevo paura del suo sguardo indagatore. I giorni dopo Neji fece come se non fosse successo niente, ma piano cominciammo a parlarci, sai. Scoprii che non aveva un buon rapporto con il padre, un padre imperatore come il mio. Scoprii che non era il ragazzo freddo che sembrava. Scoprii che eravamo più simili di quanto sembrava. Eppure così opposti. Lui coraggioso, superbo, astuto. Io fragile, senza autostima, incapace di dire le mie ragioni a mio padre. Ci aiutammo molto, in quel periodo che passammo assieme tra Università e casa -
- Assurdo come possano cambiare le cose – sussurrai, ma non riuscivo a formulare immagini concrete su Hinata e Neji. Non avevo abbastanza dati.
- Da quella volta io...io sto bene con Neji. Lui è gentile con me. E... sai Sakura, è come se fosse tutto sospeso. Viviamo assieme da sette anni, ormai. Stessa casa, stesso lavoro. Litighiamo, mangiamo, viviamo assieme. Ed è tutto sospeso...
-
Sospeso -
Conoscevo bene, quel termine, erano anni che io esistevo sospesa. Sospesa tra il non sapere e il sapere di Sasuke Uchiha. Tra il volerlo e il non poterlo avere.
- Ti sei affezionata a lui -
- Ssì -
- Però non sai dirmi se lo ami. E' questo che volevi dirmi, vero? -
Hinata annuì energicamente ma non alzò la testa.
Capii, almeno in parte.
Ero convinta che l'affetto avesse mille sfumature. E che non tutte le sfumature potessero essere chiamate amore.
Probabilmente il suo vero amore era sempre e ancora Naruto, ma nella vita entravano gli imprevisti, nuove persone a cui poter regalare amore, da cui ricevere qualcosa. Nuovi affetti, con la a minuscola. Ma pur sempre affetti.


03 Giugno 1996 – terzo anno di liceo – ore 13.20


Ino salutò Sakura con la promessa – ordine - di chiamarla quello stesso pomeriggio per organizzare una serata fuori e si avviò verso casa a piedi.
Era una giornata già estiva e il sole capriccioso picchiava forte sull'altrettanto capricciosa Ino che prontamente tirò fuori dalla tasca davanti del leggero zaino i tanto amati Rayban.
Li indossò con un sospiro compiaciuto: si adorava con gli occhiali da sole.
Sbottonò un poco la camicetta a quadretti azzurra e bianca e si sentì pronta ad affrontare quel breve tratto di strada che la separava dalla fresca casa. Faceva quel rito di sistemarsi ogni fine scuola, quasi avesse dovuto andare incontro al principe azzurro. Ma in effetti lei sperava davvero di incontrare
qualcuno, soprattutto ora che stava giungendo l'estate.
Ad ogni modo quel giorno uscì dal cortile della scuola senza pensare al principe azzurro, non presagiva nessun arrivo, nessun cavallo bianco per lei, quel giorno. Il giorno prima aveva anche chiesto a Sasuke se per caso suo fratello fosse tornato ma questi aveva alzato le spalle.
E, anche se fosse stato, lei era pronta. O almeno, credeva di esserlo.
- Yamanaka Ino -
Le parve di udire la propria voce tra la folla, si girò di scatto ma niente, solamente il suo amico Chocji che la salutava con la paffuta mano sferzante l'aria tiepida. Affianco a questi se ne stava Shikamaru Nara, con le spalle un po' curve ed una mano a coprirsi dal sole –
quale seccatura – mentre bofonchiava chissà cosa all'amico, probabilmente – ipotizzò con stizza Ino - di non salutare “miss Yamanaka che non c'era per nessuno”. Ino ricambiò il salito di Chiocj con un sorriso spontaneo mentre fece la linguaccia a quel rompiscatole di Shikamaru, sempre a prenderla in giro, sempre a detestarla. Dopo di che, con una sferzata della sua coda alta, si girò e puntò oltre l'uscita della scuola, verso il marciapiede che l'avrebbe condotta sana e salva a casa.
- Yamanaka -
Credette di avere le allucinazioni ma stavolta non si girò continuando a guardare dritta davanti a sé a testa alta, squadrando tutto e tutti dall'alto in basso. Cominciò ad odiare quel sole picchiante sulla testa e a sentire fastidiosi brontolii di pancia.
Passando accanto ad un gruppo di studenti in attesa della corriera provocò le più disparate solite reazioni: dai sospiri maschili, ai fischi di apprezzamento, ai grugnii femminili. Nonostante tutte le ragazze del liceo portassero obbligatoriamente la divisa scolastica, come portava a lei la gonna corta con le calze bianche non la portava a nessuno, per disinvoltura ed eleganza.
- Yamanaka Ino -
Alla terza volta che udì il suo nome alzò un sopracciglio fissando malamente un ragazzino timido e impaurito di prima liceo che le aveva appena tagliato la strada mettendolo in fuga.
“Le disequazioni mi hanno dato alla testa, lo sapevo io” disse tra sé facendo una smorfia al ripensare al compito appena svolto:
un vero schifo, a detta di lei che aveva aperto il libro il pomeriggio prima su ordine di Sakura.
“Un tre in arriv...”
Si sentì bloccata da un tocco freddo sul braccio: si spinse inutilmente in avanti mentre le sfuggiva di bocca una parolaccia.
- Che cazzo... -
Si tolse bruscamente dalla misteriosa presa e si voltò a osservare
chi era quello screanzato che la voleva molestare; ma la sua rabbiosa espressione cozzò contro un volto noto.
Un occhio ero e uno azzurro, sopracciglia appena delineate, volto etereo, labbra sottili...
- Ino Yamanaka -
- Itachi Uchiha -
La sua voce si mischiò a quella radiofonica del ragazzo da poco arrivato da Los Angeles.
Quel giorno non lo aspettava il principe azzurro. O no?
Rimase per un attimo scioccata, si sistemò meccanicamente un ciuffo ribelle di capelli dietro l'orecchio e schioccò la lingua contro il palato con soddisfazione nell'osservare dal basso all'alto l'uomo che aveva dinnanzi.
Poi un sorriso le illuminò il viso già maturo.
- Ti ho spaventata? -
Ino scosse la testa facendo oscillare energicamente la coda di qua e di là al che Itachi curvò appena le labbra:
si era ricordato di quel particolare. Gli era mancato.
Il viaggio di ritorno dall'università era stato lungo e pure turbolento, gli avevano rimandato il volo di cinque ore, ma la luce emanata dalla ragazza lo invase levandogli via ogni fatica.
Non lo avrebbe mai detto.
O forse sì?
- No no, anzi! - rispose Ino con voce squillante ormai tornata in pieno possesso delle sue facoltà.
Sprizzava gioia da tutti i pori e non si vergognava affatto di ciò.
Stava parlando il ragazzo di otto anni più grande di lei per il quale aveva un'adorazione dai tempi delle elementari e che lei ogni estate aspettava con sempre più grande trepidazione.
Se alle medie e nei primissimi anni di liceo era stata un'attesa di un qualcosa ancora irraggiungibile, ora l'obiettivo era più vicino: lei era cresciuta. Ino al compimento dei suoi sedici anni si era detta di cominciare a
osare con il maggiore degli Uchiha. Non ce la faceva più ad aspettare e l'estate più importante era giunta, dopo un'attesa snervante e lunghissima.
Era un anno che non si vedevano; Itachi infatti non era tornato a casa nemmeno per Natale quell'anno. Lei ne era rimasta delusa e lungo si era sfogata con Sakura nei bui pomeriggi d'inverno.
- Ti vedo bene – asserì Itachi che immediatamente dopo all'aver pronunciato una frase simile si morse l'interno delle labbra domandandosi
cosa diavolo gli fosse preso.
Non aveva preso in considerazione che il rivedere
quella ragazzina lo potesse in qualche modo mettere in difficoltà. Eppure per lui niente rappresentava una difficoltà.
Dall'estate precedente se la ricordava ancora poco più che bambina. Fece un veloce calcolo mentale di quanti anni dovesse avere ora la Yamanaka e arrivò alla conclusione che ne dovesse avere sedici. E allora come era possibile che
fosse così cambiata?
La osservò attentamente; apparentemente era il tipino biondino di sempre, con gli occhi di cielo e il naso superbo ma era come se
tutto di lei si fosse diventato più evidente, più maturo.
Ino si accorse dello sguardo inconsciamente compiaciuto del ragazzo e gioì silenziosamente complimentandosi con se stessa. Una volta non la osservava così, una volta...era quasi paterno; ma la ragazza notò con un tremito che paterno lo era ancora.
- Posso dire altrettanto... – soffiò sporgendosi in avanti col busto, più vicina all'uomo - ...anche se quelle occhiaie... hai bisogno di riposarti, si vede – concluse e resistette alla voglia di tracciare con mano quelle mezze lune appena accennate sotto
i suoi occhi.
- Sì, ho solo appoggiato la valigia prima a casa ma ora vado a dormire –
Itachi si passò una mano tra i lisci capelli neri e li portò indietro rendendo visibile la fronte leggermente sudata. Aveva caldo e sudava
come un dannato, probabilmente non solo per l'afa incombente.
La ragazza provò uno strano moto di
compassione che la portò a invitarlo ad andare a riposarsi, ad allontanarsi subito da lei.
Si chiese cosa diavolo le fosse preso. Perdere un'occasione così.
- Vado –
Ino anuì, spostandosi sulla sinistra del marciapiede per lasciar passare Itachi che aveva proprio tutta l'aria di volersene andare. Per sempre. Le aveva sempre dato quell'impressione, sarà stato anche perchè l'aveva sempre visto partire.
- Ci si vede? - gli domandò, scrutandolo in volto.
Non ci furono cambiamenti d'espressione, solo un battito di ciglia scure.
- Salutami Inoichi – fu invece la risposta. Dopo di che Itachi si incamminò dal lato opposto a quello in cui doveva andare a lei, verso quell'enorme villa fuori dal centro, fuori dal caos.
Per lei era un eccitante mistero, quel villone.
Da piccola credeva vi abitassero i fantasmi, ora non vedeva l'ora di poterci andare sola con
lui.
Per conto suo Itachi si domandò se per caso non avesse fatto un cazzata ad andare incontro ad Ino con tanta determinazione, la stanchezza gli aveva giocato brutti scherzi.
Non aveva avuto una ragione precisa per intercettare la Yamanaka, se non una specie di annua tradizione, se non una impulsività che mica gli era propria.
Non aveva nessuna voglia, però, di darle delle possibilità. Non poteva mica essersi dimenticata di lui, in tutti quei mesi, dunque doveva ancora essere l'oggetto della sua assurda
cotta infantile che si era trasformata in adolescenziale.
Probabilmente, se aveva sbagliato qualcosa nel suo rapportarsi con lei, aveva sbagliato molti anni prima, quando era un bambino delle elementari e lei se ne andava all'asilo tutta orgogliosa rifiutandosi di dare la mano a sua madre. Fu in una di quelle volte che passando in bici aveva salutato la signora Yamanaka che Ino doveva essere rimasta folgotrata.
A Itachi questo sapeva tanto di uno strano scherzo del destino.
Non volle preoccuparsi oltre.
E probabilmente
questo si sarebbe rivelato il suo sbaglio più grande.


3 giugno 1998 – ore 11.30
Sasuke Uchiha accompagnò la sua ragazza fino alla porta di casa, si chiese se per caso avesse veramente deciso di salutarlo
solo alle undici e trenta di sera, vedendola infilare la chiave nella serratura e aprire la porta.
Era uno dei
fortunati appuntamenti esclusivamente lui e lei, senza quel rompi scatole del loro amico Naruto di torno.
Avevano passato una serata al cinema, poi un giro in centro, in riva al mare ed eccoli davanti a casa dell'Haruno.
- Allora ciao Sas'ke – disse la ragazza girandosi a mostrargli un dolce sorriso.
Sasuke la guardò accigliato, lei credette di aver fatto o detto qualcosa di sbagliato.
Era letteralmente terrorizzata di perdere quel ragazzo - che aveva desiderato con anima e corpo – con una cazzata.
- Che c'è? - gli domandò passandosi una mano sulla nuca, titubante.
- Sai com'è, credevo fossi più perspicace -
Sakura fu profondamente colpita dalle parole del suo ragazzo, fece saettare occhi furiosi nel semi buio.
- Cos'hai detto? - sibilò, puntandogli un dito contro.
Sasuke a vederla irrigidirsi provò una punta di disagio e mise le mani in tasca, per fare finta di niente.
- Uh niente di che, semplicemente che credevo foss... - non finì la frase, il volto di Sakura era pericolosamente vicino al suo, la fronte corrucciata.
- Ho un fidanzato sempre molto gentile con me, wao che fortunata – ironizzò melodrammatica Sakura, impuntandogli il dito sulla spalla.
Sasuke sbuffò.
- E io ho una ragazza che non ha il minimo senso dell'ironia -
Sasuke tolse velocemente le mani dalle tasche e prese il volto della ragazza, avvicinando il proprio.
I nasi si sfiorarono.
Sakura non riuscì a fare l'imbronciata, le labbra lesi piegarono automaticamente allinsù mentre le braccia scattavano in alto, pronte per attorniare il collo del ragazzo.
- Che bella coppia – mormorò Sakura prima che altre parole inutili le morissero in bocca, a causa delle prepotenti labbra di lui appoggiate sulle proprie.
Un bacio morbido, uno dei loro baci che sapevano tanto di qualcosa di più, molto di più.
Sasuke le mise le mani alla vita, la spinse dentro casa e richiuse con un calcio la porta alle loro spalle.
Regnava un silenzio assurdo, alternato solo dal respiro già affannato di lei.
- Sas'ke... -
Sasuke si staccò dalla ragazza un istante, con gran rammarico. L'aveva sentita esitare.
Sentiva di desiderarla più di sempre.
Dannata noiosa ragazzina.
- ...c'è mia madre, in casa – bisbigliò Sakura, affondando la testa nel petto di lui.
Stava cercando di calmarsi, baciare Sasuke era sempre
pericoloso sotto certi punti di vista.
In quei mesi di relazione aveva sperimentato di dover avere un gran auto controllo per riuscire a fermarsi
al momento più opportuno. O meno opportuno?
Si doveva fermare perchè sarebbe successo. L'avrebbero fatto.
Sentiva che lui lo voleva, ogni volta.
Ma lei no. Lei sì.
Lei non voleva semplicemente farlo
già. Stavano assieme da sette mesi!
- E allora? -
Immaginava, Sakura, una risposta del genere.
Premette più a fondo la testa sulla maglietta del ragazzo, lo strinse a sé, le piaceva un mondo toccare quel corpo, sentirlo
caldo e vicino.
Consistente. Suo.
- Ho capito – disse Sasuke dopo qualche minuto, prendendola per le spalle e allontanandola da sé.
- Scusami – sussurrò lei.
Sasuke inghiottì uno strano groppo amaro che gli era salito alla gola, contò fino a cinque e fu di nuovo in pieno possesso delle sue facoltà
fisiche e mentali.
Aveva immaginato che per quella sera le cose sarebbero andate così, eppure testardo com'era aveva fatto una prova.
Dopo anni di insensata attesa si era messo con Sakura.
Dopo anni di attesa lui la desiderava.
Si era accorto di desiderarla
terribilmente al loro primo bacio, una piovosa serata di sette mesi prima.
Ed era così dura trattenersi e non pensarci, non sembrare uno stupido ragazzino con gli ormoni a mille.
Ma era causa
sua.
Era colpa di Sakura.
Era così maledettamente ed ingenuamente
pericolosa.
E lui odiava essere in balia di una donna – si diceva in continuazione – eppure lo era.
- Se cambi idea...chiamami – disse calmo e le diede le spalle.
- Sas'ke! - lo apostrofò lei bisbigliando sommessamente nell'atmosfera buia e calda.
Doveva essere arrossita.
Sasuke aprì la porta e uscì, di nuovo le mani in tasca; cercava il pacchetto di sigarette, era tutta il giornata che non fumava –
a lei non piaceva – e una sigaretta serale non gliela toglieva niente e nessuno.
Sakura lo vide allontanarsi, una traccia di fumo nell'aria.
Ci mancò poco che non corresse da lui e lo richiamasse indietro.


15 Luglio 2011
- Avanti, Sakura, dimmi tutto -
Osservai con stupore l'uomo che avevo di fronte, poi osservai il bicchiere di vino ancora mezzo pieno.
Lo bevvi quasi tutto d'un fiato, sentendo il sapore dolciastro brucarmi la gola.
Come era che eravamo finiti a parlare di me?
Avevamo appena finito di cenare, Hatake mi aveva invitato fuori a cena ed io, dopo varie esitazioni, avevo accettato. La morte nel cuore.
La serata si era rivelata piacevole.
Fino a quel punto.
- Uhm? -
Kakashi sospirò, si sistemò meglio sulla sedia, la schiena appoggiata allo schienale, le braccia stese sul tavolo che ci separava.
Io mi guardai attorno: rimaneva poca gente, in quel pacifico ristorante, uno dei migliori e più antichi di Konoha.
- So che hai tante cose da dirmi, non mentire che saresti solo ridicola -
Lo fissai corrucciata, strinsi forte tra le mani il calice vuoto.
-
Qui? - sussurrai, mi mancò la voce.
Perchè capii che sì, il
mio professore aveva ragione.
Realizzai che avevo tante, troppe cose da dirgli.
E ne fui spaventata e rincuorata allo stesso tempo.
- Se ti va meglio usciamo, che ne dici del pontile? - propose Hatake cercando di venirmi incontro.
Pensai fugacemente alla sua fidanzata, spesso sola a causa mia.
Mi sentii cattiva per l'ennesima volta.
- Va bene – acconsentii e mi alzai, precedendolo fuori.
Gli lasciai il conto da pagare.
Era il minimo che potevo fare per
vendicarmi della sua insistenza.

continua

   
 
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