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Autore: ValeEchelon    13/07/2011    13 recensioni
Mary e Jared si conoscono all'età di 18 anni, quando non erano nessuno, se non due ragazzini pieni di sogni e desideri. La loro esistenza si intreccerà a tal punto da legarli per sempre, qualunque cosa succeda.
Fanfiction ispirata alla canzone omonima, Buddha for Mary, dei 30 Seconds To Mars. Ho cercato di descrivere nel migliore dei modi la Mary del nostro Jared, con tutti i suoi problemi e con tutte le sue avversità. Spero solo di non essere andata troppo fuori con i temi e spero che vi piaccia.. Vi aspetto!
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le onde cullano il suo corpo come una madre fa con il suo bambino. Si lascia trasportare dalla corrente, pensando a chissà cosa, con gli occhi chiusi e le labbra semiaperte. Il suo corpo ondeggia dolcemente al ritmo di questa dolce danza, la pelle è leggermente raggrinzita a causa del sale. Alza gli occhi cercandomi. Mi trova. Sorride.
Io,  ventiquattro anni passati fra studio e litigi in famiglia.
Ventiquattro anni ed un figlio.
Ventiquattro anni ed una vita davanti.
La brezza marina mi muove i capelli, li porta davanti agli occhi facendomeli chiudere. Mi abbandono al dolce sole della California che accarezza il mio corpo cosparso di protezione fattore 50, ideale per la mia pelle così pallida e bianca.
Lui esce dall’acqua ancora bagnato, mille goccioline gli imperlano il viso, la schiena e l’addome perfetto: sotto il sole sembra ancora più bello.
Ha gli occhi color cielo un po’ arrossati, colpa del sale.
Si avvicina a me, prende l’asciugamano dalla piccola borsa che c’è sulla sabbia. Mi guarda preoccupato.
“ Va tutto bene?”, mi dice inginocchiandosi.
“ Tutto bene.. “, abbasso gli occhi per evitare il suo sguardo.
Troppe volte mi sono piegata al suo volere con un solo sguardo, troppe volte quegli occhi mi hanno salvata.

Tutto iniziò sei anni fa, quando io ero solo una semplice cameriera.
“ Dovresti smetterla di rubarmi tutti i clienti!”, disse Beth sorridente.
“ Ah beh, non è colpa mia se sono buona e gentile!”, risposi, tirando fuori la lingua.
Lavoravo nel suo locale solamente da tre mesi, ma eravamo diventate così amiche che stentavo ancora a credere di aver aperto il mio cuore ad una ragazza così facilmente dopo la batosta di Jess: mi aveva tradita, semplicemente aveva scelto lui invece che me.
Beth era una ragazza tutta “peace and love”, una che se fosse vissuta ai tempi di mio nonno sarebbe stata una Hippie. Non aveva peli sulla lingua, faceva tutto con una calma ed una tenerezza assurda. Non riusciva a dirti di no se le chiedevi un favore, e non esitava ad esporre il suo parere, talvolta prendendo pure in giro, nelle situazioni difficili. Ascoltava musica strana, insomma, era nata nell’era del Punk, del Rock, di tutti quei generi nuovi che parlavano di ribellione e capovolgimento degli ordini sociali. Era cresciuta con sua nonna, una delle prime manifestanti per i diritti dei gay: era stata lei che l’aveva portata al primo pride, era lei che l’aveva convinta del fatto che l’amore non dipende dal sesso, ma dal cuore. Il tipo di musica che ascoltava aveva influenzato persino il suo modo di vestire: era poco femminile, mai tacchi o sandali alti, sempre e solo scarpe di tela, le sue amate Converse All Star rosse, quelle che la nonna le aveva regalato a soli undici anni e che aveva ancora adesso. Amava i tatuaggi, i piercing, credeva fossero una forma di arte, una sorta di libertà. Amava il suo lavoro come nessuno, adorava il suo locale sulla spiaggia, e anche io. Mi piaceva lavorarci, adoravo vedere la gente che si divertiva sulla spiaggia, conoscere gente nuova. L’estate alle porte mi permetteva di lavorare senza perdere giorni di scuola, una delle cose a cui tenevo di più. Ero riuscita a diplomarmi con il voto più alto, e dovevo lavorare se volevo guadagnarmi l’entrata ad una delle università più prestigiose degli Stati Uniti: la School Of Visual Arts di New York. Era il mio sogno, riuscire a diventare una manager, o una regista magari , o una produttrice, chissà. Una sera, fra un drink ed un altro, conobbi un ragazzo della mia stessa età e con i miei stessi interessi. Si chiamava Jared, lui però voleva diventare un attore, e come se non bastasse voleva diventare un produttore, un regista, e ultimo ma non per importanza, una rockstar.
“ Sai com’è, ho 18 anni  e le tasche vuote. Troppi sogni e pochi soldi per realizzarli.”, mi disse sorridendo con una birra in mano.
“ Beh, per me è lo stesso. Lavoro qui solo per mettermi di lato dei soldi per la School of Visual Arts della grande Mela. Non voglio dipendere dai miei.”, risposi, provando una strana ammirazione nei confronti di quel ragazzo.
“ Oh, magari. Non ce la farò mai, a meno che non si rendano conto del talento che c’è in me. Spero solo che tu possa riuscire a realizzare i tuoi sogni.. Sai, sto scrivendo un film, si chiama “Crying Joy”. Forse sono un po’ suberbo, è nella mia indole, ma ti andrebbe di dargli un’occhiata?”
Il suo sguardo così sincero mi fece sorridere.
“ Certo, magari mi lasci il tuo indirizzo e vengo da te venerdì, ho il giorno libero.”
Non volevo che venisse da me, così mi feci avanti io per prima. Non potevo dirgli cosa c’era a casa mia, non potevo mostrargli in che situazione ero, almeno non per il momento. Non sapevo chi era, cosa faceva.
“ Magari prima mi dici il tuo nome..” , disse scoppiando a ridere.
“ Owh, giusto. Io sono Marie, per gli amici Mary. Tu sei..?” , sorrisi allungando la mano verso di lui.
“ Jared, per gli amici Jay..”, strinse la mia mano ed il tocco mi fece quasi sussultare. Prese un bigliettino e mi scrisse il suo indirizzo.
“ Ti aspetto qui, alle 7.”
Mi diede un bacio in guancia e se ne andò. Quello fu il primo di una lunga serie, il primo che mi fece esplodere il cuore. Non pensai ad altro per tutta la settimana, ero ancora rapita da quegli occhioni azzurri e dai suoi sogni. Riuscii a sopravvivere fino a quel venerdì e, quando arrivai davanti a quella porta in anticipo di mezz’ora, non seppi nemmeno suonare il campanello; Mi nascosi sullo scalino di fronte e poi, armandomi di coraggio, riuscii a suonare a quel maledetto campanello.
“ Chi è?”, chiese una voce maschile.
“ Sono Mary.”, risposi incerta.
Hai ancora tempo per scappare, dicevo fra me e me.
Mi aprì la porta un ragazzo che aveva più o meno la mia età.
“ Jared sta scendendo, entra pure..”
Mi accomodai in quel salottino piccolo e accogliente: un camino spento con ancora la cenere di chissà quale fuoco, due divani bianchi immacolati e una piccola credenza piena zeppa di foto di famiglia; Una colpì la mia attenzione: Jared, poteva avere quattro o cinque anni, con una chitarra in mano ed un mezzo sorriso, guardava l’obiettivo pizzicando le corde. Aveva i capelli lunghi e chiari e gli stessi, identici, magnifici occhi blu. Mi persi in quella meraviglia tanto da non sentirlo nemmeno arrivare.
“Mary?”
Mi girai imbarazzata. Non avevo il diritto di guardare quelle foto.
“Sc…scusa.. Io.. ti stavo aspettando.”, dissi in fretta.
“ Oh, non preoccuparti, non è niente. Hai già conosciuto mio fratello Shannon?”, disse indicandolo.
“ Sì, mi ha fatto entrare lui, non sapevo che avessi un fratello.”
“ Si, in effetti non te l’ho detto. Shannon ha un anno più di me, è il mio maestro, la mia ispirazione, la mia forza e tutto ciò che nessuno mai potrebbe darmi. Semplicemente darei la vita per lui.”
La presentazione di Shannon mi fece venire i brividi: non avevo mai sentito parlare nessuno così di un fratello. Purtroppo non avevo nessun fratello o sorella, non potevo provare la stessa sensazione. Mi sarebbe piaciuto avere qualcuno su cui contare, qualcuno che avesse il mio stesso sangue, che mi stesse vicino senza chiedere nulla in cambio. Il fatto che i miei genitori non abbiano avuto altri figli mi fa molto male ancora adesso.
“ Sono contenta che tu abbia qualcuno su cui contare.. Sai, io sono figlia unica.”, risposi mestamente.
“ Oh, capisco. Allora, preferisci qualcosa da bere? Mia madre ha preparato il tè ai mirtilli, è buonissimo.”, disse lui, quasi per cambiare discorso. Parlava di sua madre con una strana luce negli occhi, quasi fosse una figura evanescente. Altra cosa che mi fece diventare triste. Non sarei mai riuscita a parlare così della donna che mi aveva messa al mondo.
“ Certo..”
Abbassai gli occhi, non riuscivo a sostenere il suo sguardo. Aveva gli occhi di un colore diverso quel giorno, un azzurro che dava sul grigio. Erano grandi e lucidi, lunghe ciglia facevano da contorno. Erano gli occhi più belli e sinceri che io avessi mai visto. Non sapevo che quegli occhi, qualche mese dopo, mi avrebbero salvato la vita.
   
 
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