Buona lettura. (:
Because you were carried to paradise...
1. Wakaremichi
«Reila-chan!
Reila-chan!»
Dovetti
alzare la voce per attirare la sua attenzione. Beh, effettivamente mi
trovavo
decisamente lontano rispetto a lei, seduta su quella panchina, sotto
uno dei ciliegi
di Ueno. Ma non potevo trattenermi, quando la vedevo.
«Oh,
Takanori-kun»
S’alzò,
già sorridente, rimanendo in piedi ad aspettare che la
raggiungessi. Mi
salutava anche con la mano, accennando appena il movimento. Portava la
divisa
scolastica primaverile: la camicia a maniche corte, un gilet
marroncino, la
gonna blu scuro come le calze. E poi il fiocco rosso sul petto.
«Tutto
bene?» domandai sorridendo, probabilmente come un beota, ma
non potevo farci
nulla.
«Sì,
Takanori-kun. E tu?»
Si
chinò iniziando a coccolare la piccola Sabu-chan, la mia
cagnetta dal manto
bianco e color caramello.
Mi
passai una mano fra i capelli rosso fiammante. Dovevo ammettere che il
caldo
iniziava a farsi sentire e probabilmente avrei anche potuto valutare
l’ipotesi
di tagliare il frangettone. Non troppo, però. Dovevo anche
iniziare a
sbarazzarmi dei polsini borchiati in più.
«Tutto
a posto»
Iniziammo
a camminare per il parco. Parlammo a lungo. Mi raccontò del
suo passato, di
come era sempre stata difficile la sua situazione con i suoi genitori.
Suo
padre era molto ricco, davvero tanto, che io, facente parte di una
famiglia
media giapponese, svenivo al solo pensiero di quanti contanti potesse
avere fra
le mani ogni mese. Ricco di denaro, povero di sentimenti. Povero
d’anima.
Reila, raccontava, aveva solo sua madre. Ma non stava bene e doveva
badare ai
suoi due fratellini più piccoli mentre il padre era ogni
giorno più assente.
Dal
canto mio, non riuscivo a far altro che essere letteralmente incantato
dalla
sua persona. Normalmente qualcuno che passa momenti tanto difficili
dovrebbe
avercela con il mondo. In fondo io mi lamentavo dei miei,
così rigidi e duri,
ma dovevo riconoscere d’esser stato fortunato, nonostante
continuassi a
chiudermi in me stesso, ad essere sempre scostante e scontroso.
Lei
no. Lei sorrideva ogni giorno, ogni attimo. Era come se fosse molto
più adulta
rispetto ai nostri coetanei. Era così responsabile e matura.
Pareva quasi una
saggia madre, a volte. E la luce nei
suoi occhi inspiegabilmente di un azzurro profondo, esprimevano tutta
la sua
voglia di continuare a sorridere alla vita, nonostante dovesse sempre
far
fronte a situazioni poco piacevoli.
Mi
chiedevo realmente come facesse.
«Rei-chan»
«Mh?»
«Come
fai ad essere felice?»
Mi
guardò a lungo, seduti su quella panchina, di fronte al lago
al centro
dell’immenso parco. Poi voltò il viso verso il
cielo dalle sfumature rossastre.
«Non
la sono. Non sono felice realmente. Basta... solo provarci, tentare di
vedere
il bello in tutto»
Non
proferii parola, ma la fissai stupito.
«Non
voglio essere triste. Triste come tutte le altre persone che non vivono
più,
ormai, ma esistono soltanto. Voglio tentare di raccogliere il bello di
ogni
momento che trascorro, accantonando ed ignorandone i lati
spiacevoli»
Quella
volta capii che non ero riuscito ad evincere ogni sfaccettatura di
ciò che era
lei. Forse non avevo capito proprio niente, tanto sono idiota. Ma
volevo farlo.
Le parole che m’aveva detto al parco avevano iniziato a farmi
riflettere.
Volevo essere in grado di comportarmi come lei, anche per non recare
più danno
ai miei. Ma fallivo miseramente.
Intanto
m’ero reso conto che felice lo ero davvero solo quando ero
seduto ad una
batteria, con un microfono in mano, o mentre ascoltavo
l’ultimo pezzo degli X-Japan
e i Luna Sea.
La
musica mi faceva felice.
Allo
stesso tempo mi resi conto come, in quei due mesi il suo sorriso
iniziasse a
contribuire alla mia felicità. Il sorriso di lei, Reila.
Sinceramente non
riuscivo a ricordare quante altre volte avevo riso prima di iniziare ad
uscire
così spesso con lei.
Le
vacanze estive erano iniziate da quasi due settimane. Avevamo iniziato
a
vederci ogni sera. A momenti non passavamo insieme giornate intere. A
volte
andavamo in sala giochi, altre volte in biblioteca, poi al karaoke o a
dei
concerti. Ma potevamo anche fare un qualsiasi passatempo insulso come
scattarci
foto nelle cabine per gli stickers fotografici.
Ma era davvero
come un
sogno.
Era
l'otto luglio. Lo ricordo bene. Fu
il giorno in cui ci mettemmo insieme, finalmente.
Fu
durante i festeggiamenti del Tanabata. Avevamo seguito tutta la fiera
organizzata nell’immenso parco di Ueno, lo stesso dove
avevamo parlato così
tanto per tutta la primavera.
Era
bellissima, quella sera, col suo kimono rosa. Un rosa antico, con delle
decorazioni floreali delle stesse tonalità. Portava i
capelli biondi legati in
uno chignon, mantenuti da un fermaglio a forma di loto bianco. Io ero
vestito
esattamente come tutti i giorni, ma quella sera m’ero anche
truccato. Nulla di
troppo pesante, solo della matita sugli occhi.
Girammo
ogni attrazione delle vie affollate, fino alle undici, quasi
mezzanotte. A
breve sarebbe iniziato lo spettacolo pirotecnico, quindi ci
allontanammo verso il
solito lago, lontano dalle luci, in modo da goderci meglio i fuochi
colorati.
«Taka-chan»
Eravamo
seduti sull’erba tagliata a regola d’arte e lo
spettacolo era già iniziato da
un paio di minuti. In risposta le presi una mano.
«Sei
felice?»
Attesi,
prima di rispondere, nonostante non
avessi dubbi su cosa dirle.
Quella era felicità.
«Sì,
Rei-chan»
Note:
Mmmh... Non so che dire,
esattamente ._. Cioè, non voglio neanche appesantire con
tutta la storia che c'è dietro a questa fic, ma in ogni caso
spero riusciate ad apprezzarla senza badare troppo ai personaggi e
senza prenderla troppo sul serio, davvero.
Il mio intento, comunque,
è davvero di descrivere le vicende che hanno convolto il
pocket-vocalist dei Gazetto prima della loro carriera musicale. Vicende
che poi influenzeranno i suoi testi, e la sua persona (almeno per come
la vedevo
io).
Mata nee !~