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Autore: loralichiario    16/07/2011    1 recensioni
Emma è rinchiusa in un ospedale da sei mesi ormai per un tumore che si sta espandendo per tutto il suo corpo. Un giorno nell'ospedale incontra Stefano, un bellissimo ragazzo, anche lui affetto dalla sua stessa malattia. E' amore... ma saranno in grado di superare la malattia?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Finalmente sta sorgendo il sole. Sono sul terrazzo dell’ultimo piano dell’ospedale: da qui si vede il mare e il solo che sta sorgendo. E’ uno spettacolo unico. Amo questo momento della giornata. Forse sono come proprio il sole: sono sorta, sono arrivata fino al punto massimo del cielo che mi ha lasciato splendere, poi sono tramontata. Forse questo periodo è il mio tramonto. Sto tramontando. O forse sto solo andandomi a riposare per poi risorgere nuovamente un domani mattina? Stronzate Emma, grandissime stronzate. Sai che morirai presto. E’ inutile che continui a sperare. La speranza poteva esserci 5 mesi fa, quanto tutto ancora sembrava appannato, ma ora è tutto così nitido.
Guardo il cielo, chiedo solo una cosa: fatemi morire adesso, non voglio soffrire e far soffrire più.
STEFANO
Che ore saranno? La luce flebile che entra dalla finestra mi fa capire che è alba. Non riesco a muovere un muscolo. Abbasso lo sguardo e vedo mia madre seduta su una sedia e con la testa appoggiata al letto che dorme. Sarà sfinita: mi ha vegliato tutta la notte. Penso subito che sia una grande donne. E’ forte ma tutta questa forza non so davvero da dove gli arrivi. E’ buffa: piccoletta piccoletta, con i capelli che le arrivano fino alle spalle e degli occhiali di un fucsia acceso, ma è meravigliosa nella sua semplicità. Mio padre ancora non lo rivedo, penso sia venuto ieri sera. Purtroppo non può starmi vicino come la mamma perché lui deve lavorare. Deve mandare avanti l’unica famiglia che ha e sicuramente sta lavorando il doppio pensando a tutte le spese mediche che io comporterò. Mi sento un peso per loro, mi sento un peso per me stesso e per gli altri.  Questo peso devo riuscire a eliminarlo e sono consapevole che ci riuscirò. Ora sto male, malissimo. Mi sento uno schifo ma è normale,no? Ho appena subito un’operazione di sei ore e sarebbe strano il contrario.
Non posso alzarmi, non posso muovermi, non ho neanche la forza di alzare un braccio per prendere l’ipood ed ascoltare un po’ di musica. Quindi decido i chiudere nuovamente gli occhi ed aspettare che il sole sorga completamente.
Sono in un prato coperto di fiori bianchi e sto camminando, piano a piano rallento sempre di più. Fin quando non appare davanti ai miei occhi una creature meravigliosa, contornata da un’aurea bianca. Si avvicina di più a me e capisco che è una ragazza, forse un angelo. Si accuccia verso di me, che ormai ero caduto poiché non ce la facevo più a camminare, e stampa le sue morbide labbra sulle mie.
-Ma… chi sei tu?- le chiedo. Non mi risponde. Mi prende la mano e mi aiuta a tirarmi su. Inizia a correre ed io ancora afferrato alla sua mano, la seguo. In un momento ho riconquistate tutte le forze.
-Stefano ehi svegliati…- la dolce voce di mia madre mi sveglia. – Amore della mamma… Buongiorno!-
-Mh-mh… ngiorno…- mugugno io.
-Come stai oggi? Un po’ meglio?-
-Sisi oggi decisamente meglio.- non è vero, mi sento uno schifo, ma non posso dirglielo sennò soffrirebbe ancora di più a vedermi stare male.
-Bene, figlio mio. Ti ho svegliato perché ora ti vengono a prelevare il sangue e poi arriva il medico a farti una piccola visita per vedere se stai meglio.- Annuisco.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sono passati dieci giorni dalla mia operazione e pensavo di essere in tutti i posti possibili, ma non ancora in ospedale. Domani inizio la chenio. Ho paura. Mi sono documentato e ho letto che per molti è così dolorosa che preferirebbero morire, invece per altri non è stata poi così tragica.                                                                                 
Oggi ci sarà un incontro con uno pscologo e saranno presenti tutti i ragazzi malati come me. Malati. Ho proprio detto così? E’ orribile, un bruttissimo aggettivo. Eppure lo siamo…
Siamo pochi: una quindicina di ragazzi più o meno della mia stessa età. Alcuni hanno il viso affranto, gli occhi pieni di disperazione che gridano e pregano di fermare quella tortura, ma purtroppo ancora nessuno è in grado di fermarla. Invece nei visi di altri leggo speranza, ottimismo, voglia di vivere. Ma sugli sguardi di tutti leggo una domanda:” Perché è successo a me?”
“quando tiri in mezzo Dio o il destino o chissà che 
che nessuno se lo spiega perché sia successo a te”
 
Iniziamo l’incontro. Lo pscologo sembra simpatico: è un uomo sulla cinquantina piuttosto paffuto. Ci chiede da quando più o meno l’abbiamo saputo e riesce ad interagire con tutti, essendo pochi. Si crea un vero e proprio discurso a più voci.
Nel bel mezzo del discorso una ragazza, a cui non avevo neanche fatto caso, si alza ed esce dalla sala, sbattendo la porta.
EMMA
No basta. Ma cosa sta dicendo questo? E’ venuto qui per cosa? Per alleviarci il dolore? Per farci capire meglio cosa? Se lui è il primo che non può capire cosa si prova, come può cercare di farlo capire alle altre persone? Non lo reggo più questo strizzacervelli. Mi alzo ed esco, sbattendo con forza la porta. Corro subito verso la terrazza all’ultimo piano per prendere una boccata d’aria e anche perché non vorrei che qualcuno esca a cercarmi.
C’è un sole che spacca le pietre. Il mare è sereno e già si vedono sulla spiaggia i primi bagnanti. Vorrei proprio tuffarmi in quel mare limpido, nuotare, tuffarmi da quegli scogli. Ma sono qui. A desiderare di farlo su un tetto di un ospedale. Mi manca la quotidianità, mi manca andare a scuola, uscire con gli amici, mi manca andare a fare colazione con gli amici ed entrare sempre in ritardo a scuola dietro le prediche dei bidelli che ci intimavano di un 7 in condotta. Mi manca quando era ricreazione e correvo al bar della scuola per vedere Antonio o quelli dell’ultimo anno bellissimi e sbavargli dietro come un san bernardo. Mi manca quando pranzavo insieme alle mie amiche nella solita pizzeria e nelle nostre bocche entrava meno pizza di quanta non ne era per terra o fra i nostri capelli. Mi manca andare a fare la spesa il sabato pomeriggio per comprare le cose più schifose e gli alcolici più assurdi per passare una serata in qualche casa a divertirci. Mi manca il profumo di mia madre quando, dopo l’ennisimo litigio con papà, mi faceva dormire con lei nel lettone e il mattino mi ritrovavo attaccata al suo braccio, a ispirare quel buonissimo profumo materno. Mi manca tutto, mi mancano tutti.
Prendo la mia testa fra le mani e mi rannicchio sempre di più contro le mie ginocchie. Le mie mani accolgono la mia testa fredda, spoglia, gelida. A quel tocco, istantaneamente, una lacrima mi riga il viso.
Un rumore mi distoglie dai miei pensieri.
Vedo entrare sulla terrazza un ragazzo. Non mi sembra la prima volta che lo vedo ma ora voglio stare da sola e l’ultima cosa che voglio è fare amicizia con una persona che so che o farò soffrire perché tra poco me ne andrò o che esso mi farà soffrire perché se ne andrà.
-Posso?- mi chiede.
-No, scusami ma…-
-tranquilla, tranquilla! Ho capito. Vuoi stare da sola.- lo guardo annuendo – ma io rimango qui!-
Lo guardo basita. Ma come? Ma forse non capisce? Si avvicina e si siede a terra accanto a me.
-Nono.. forse non hai capito! Voglio stare da sola.- non dice una parola e mi fissa.
-Senti la smetti di fissarmi? Lo so che faccio schifo visto che sono senza capelli. Ma non posso farci niente! Sono malata: ho un tumore. Come te tra l’altro, no? Voglio stare da sola. Non voglio avere nessuno accanto a me. Non voglio soffrire più di quanto io non stia già facendo. Quindi se puoi…- gli indico la porta.
-No… non posso-
-E rimani qui allora…-
-Hai finito? Posso farti delle domande?-
-Se proprio devi…-
-Perché sei scappata così? Mi sembrava interessante.-
-Sai dopo sei mesi che sei rinchiusa in un ospedale, dopo mesi che ti sottopongono a chenio, a analisi, a prelievi, dopo che capisci che Dio ti vuole male, dopo che capisci che la maggior parte dei tuoi amici se ne frega altamente di te… poche cose ti sembrano ancora interessanti-
-Quindi è molto che sei qui? Io vorrei farti una domanda.. ma non vorrei risultarti sfrontato-
-Prova! Tanto già mi sei risultato sfrontato-
-Che acidità, signorina. Io volevo fare solo conoscenza. Comunque la chenio… com’è?-
-La chenio,eh? E’ la parte più dolorosa, ti distrugge. Quello che hai sofferto fino ad ora non è nulla in confronto a quello che ti aspetta. E’ una battaglia continua. Arriverai al punto di capire che le medicine che ti dnano, ti fanno solo male e quindi ti riufeterai di prenderle. Ma soffrirai, la notte soprattutto…-
Lo vedo passarsi la mano sui capelli come per strapparli e delle lacrime iniziano a bagnarli il volto.
Ed ecco un’altra vita che sta volando via…
  
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