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Autore: Black Mind    17/07/2011    1 recensioni
Quello era il suo segreto. Solo loro lo sapevano.
Quando la luce si spense tra le sue mani, una stella nel cielo sembrò catturarne il bagliore, e per un istante si illuminò di rosso. Poi, tutto finì, e lei sorrise stancamente in direzione del cielo.
Era il rituale di ogni notte, nella speranza che almeno uno dei suoi vecchi compagni vedesse quella stella e capisse che anche lei era lì, dopotutto.
Genere: Azione, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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-Prologo.

-Prologo.

 

Lethel quella sera era inquieta. Come tutte le notti da due anni a quella parte, era nella stanza di Mersel. Il loro era un rapporto fondamentalmente clandestino, e finora erano riusciti a tenerlo nascosto. 
Lui dormiva placidamente nel grande baldacchino; i pesanti tendaggi in velluto blu e gli ornamenti d’oro la mettevano a disagio. Odiava quella stanza, sebbene ogni sera non vedesse l’ora di entrarci: Mersel era il figlio del re, il futuro erede al trono, mentre lei era solo la figlia di un piccolo conte del regno. Il loro era un amore nato in modo singolare, Lethel lo ricordava come se fosse accaduto solo il giorno prima.

Suo padre era stato invitato ad un’elegante festa a palazzo, di quelle che la principessa Keira, la sorella di Mersel, amava organizzare quando si annoiava. Lei all’inizio non voleva andarci, aveva sempre trovato noiose ed inutili quelle ridicole festicciole che reputava solo capricci della principessa; ma alla fine aveva dovuto desistere. Contro ogni logica, aveva indossato il suo peggior abito, di quelli che lei odiava, con le maniche irragionabilmente larghe e la gonna pesante. Ma, appena messo piede nella scintillante sala d’ingresso del palazzo reale, si era morsa la lingua per il rimorso: donne avvolte in eleganti abiti rossi, blu, verdi e bianchi volteggiavano al braccio di uomini vestiti in velluto, e le loro acconciature elaborate parevano risplendere alle luci dei bracieri che illuminavano la stanza di un arancione allegro; ai suoi occhi, erano tutte bellissime, e si vergognò dei suoi lunghi capelli che aveva lasciato sciolti lungo le spalle. Al fianco del padre, era arrivata al centro della sala; in fondo, su un massiccio trono rivestito d’oro e di velluto, sedeva il re Dherse. Ai suoi lati, seduti su troni di misura più ridotta ma altrettanto sfarzosi, sedevano i suoi due figli: Keira e Mersel. Per un tempo che le parve infinito, non riuscì a staccargli gli occhi di dosso, e i due rimasero a fissarsi fino a quando Dherse fece un cenno con la testa in direzione del conte, che prese la figlia sotto braccio e l’allontanò. Neanche un minuto dopo, Mersel le chiese di ballare. La musica in sottofondo era piacevolmente allegra, e le coppie volteggiavano con rinnovata energia al centro della sala. Solo in quel momento, lei si rese conto che non sapeva ballare; non aveva mia partecipato a feste di quel tipo, preferiva il caldo rassicurante della sua biblioteca. Eppure, inspiegabilmente, si ritrovò a seguire una coreografia di cui non conosceva i passi, guidata dal tocco rassicurante del braccio di lui adagiato sul suo fianco; mentre guardava i movimenti dei suoi piedi per imitarli, ogni tanto lo spiava. All’improvviso, la musica cambiò: le note dolci e lente di una lira sembrarono abbracciare tutti i presenti, e perfino la fiamma vivace dei bracieri parve scemare di un poco. 
Sotto quell’atmosfera, lui le parve bellissimo: di sottecchi, guardava i suoi fluenti capelli biondi, e in un istante di stupore, vide che non li teneva raccolti all’indietro come la gran parte degli uomini là dentro, ma erano sciolti e si avvolgevano in boccoli dorati fino alla base del collo; i suoi spettacolari occhi di un colore indefinito tra il viola e l’azzurro erano incorniciati da ciglia sorprendentemente lunghe, e ogni volta che incrociava il suo sguardo provava un brivido di piacere.

Quando la musica si fece ancora più lenta, lui la avvicinò delicatamente a sé, e lei appoggiò la testa nell’incavo del suo collo. Ma anche da quella prospettiva, riusciva a scorgere tratti di lui: il suo naso finemente cesellato e dal profilo perfetto, il suo mento piccolo ed elegante, gli zigomi alti e lievemente spigolosi, le labbra disegnate. Non riusciva a trovargli un singolo difetto, e per un attimo si chiese se non stesse sognando: le sembrava troppo irreale il trovarsi lì, a ballare con il principe. In un istante di confusione, giunse alla conclusione che un essere di simile bellezza dovesse essere il frutto dell’unione insana di una donna con un dio. Doveva per forza essere così. 
Alla fine la musica cessò, e l’incanto svanì in un secondo. Si chiese che cosa ci faceva lì, con quell’orrendo vestito, con quei capelli, con quell’espressione impacciata. Eppure lui la stava fissando con un’infinita tenerezza, e lei si chiese se non gli stesse facendo pena. Una lacrima di rabbia le sfuggì, tracciandole un solco nella cipria. Lui gliel’asciugò delicatamente, con il dorso della mano, e le sorrise. Un sorriso così sconvolgente che per poco non si sentì svenire. In quel momento, inspiegabilmente, capì di essersi innamorata. Le disse qualcosa nell’orecchio, ed uscirono nel giardino.

I giardini reali erano immensi, ed erano di una bellezza straordinaria. Ogni singolo albero, cespuglio o fiore trasudava bellezza e lusso; inoltre, pullulava di viali e di aiuole. Mersel la prese per mano e insieme passeggiarono per il viale più lungo del giardino. Ai loro lati, piccoli alberi dai fiori rosa sembravano scortarli lungo il cammino; i grilli cantavano la loro allegra melodia e la luna era bellissima, piena ed enorme come mai l’aveva vista. Tutto sembrava sotto l’effetto di un incantesimo meraviglioso. 
Poi, cominciarono a parlare. Come se si conoscessero da una vita, si dissero tutto quello che veniva loro in mente. Parlarono per ore intere, e continuarono anche quando ormai tutti gli ospiti se ne furono andati. Smisero solo quando non ebbero più voce per andare avanti. Lui era fantastico: le aveva confessato che amava la lettura, e che poteva anche recitare a memoria alcuni passi dei suoi libri preferiti; anche lei amava leggere, anche se per una donna era un passatempo un po’ insolito. Avevano in comune la passione per gli animali, e lui era dotato di una curiosità fuori dal normale, la stessa che accendeva i suoi occhi verdi. 
Quella notte fu l’inizio di una seria infinita. Ormai sapevano tutto l’uno dell’altra. Non avevano segreti, e dall’altra parte non avrebbero potuto averne: lui era di una lealtà quasi paranormale e lei era incapace di mentire. 
Eppure, quella sera aveva dovuto farlo. Nonostante fossero ormai due anni che non passassero una notte divisi, era andato tutto bene; fino a quel momento. Era da quasi un mese che non si sentiva bene, era una strana sensazione diffusa in tutto il corpo, che la faceva sentire un’altra. Alla fine, era andata dalla sua vecchia balia. La conosceva da quando era nata, ed era stata lei a crescerla anche dopo la morte della madre: non vi era persona al mondo della quale si fidasse di più. Fu con un misto di gioia, curiosità e forse rimprovero, che la donna le disse che era incinta. 
Nonostante il rapporto di totale sincerità che ci fosse tra lei e Mersel, non aveva avuto il coraggio di dirglielo. Non sapeva se temeva che si arrabbiasse o se semplicemente si vergognava, ma c’era qualcosa a trattenerla. 
Mentre lui dormiva tranquillo, si alzò dal letto, cercando di fare il minor rumore possibile. Andò verso lo specchio dalla pesante cornice d’oro che c’era in un angolo della stanza, guardando la sua immagine riflessa. Non c’erano ancora segni della gravidanza, ma la sua balia le aveva detto che al massimo tra ancora un mese e sarebbero stati evidenti. Avvicinandosi allo specchio, fissò negli occhi la sua immagine riflessa; non avevano un colore ben definito, ma variavano con la luce: a volte erano verdi, altre volte azzurri, altre ancora color smeraldo. Ora erano di un verde acqua intenso. I suoi lucidi capelli castani erano ancora cresciuti in quei due anni, e ora le arrivavano ai fianchi e anche oltre. Si chiese cosa mai in lei avesse potuto affascinare uno come Mersel. 
Poco prima di addormentarsi, lui le aveva preso le mani e le aveva sussurrato che l’avrebbe sposata. Lei aveva represso un brivido a quelle parole. Se suo padre avesse saputo di quegli incontri, sarebbe accaduto il finimondo; sapevano entrambi che lei correva guai molto seri, ma non se ne curavano più di tanto. Il loro amore era più forte di quelle ridicole formalità che vedevano obbligato Mersel a sposare una principessa. Sarebbe stata un’unione vuota e senza amore, un’unione a fine politico, niente di più. 
Sebbene lei avesse ormai vent’anni e lui ventuno, né il padre di lei né quello di lui avevano ancora accennato al matrimonio dei propri figli; per il momento potevano stare tranquilli, ma di certo la gravidanza di Lethel avrebbe rovinato tutto. Si sentì tremendamente in colpa. 
Si voltò a guardarlo. Le faceva una tenerezza infinita guardarlo dormire così tranquillamente, come un bambino. Sorrise, provando ad immaginare un futuro con lui. 
I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti da un violento schiocco e poi dall’esplosione del vetro della finestra. I cocci di vetro schizzarono da tutte le parti, ferendola. Per un istante, una luce rossa illuminò la stanza. Poi, l’inferno.
Il fuoco cominciò a divampare lentamente: prese a lambire prima le tende, consumandone il prezioso velluto, poi arrivò ai tendaggi del baldacchino. Lei urlò, vedendo le fiamme pericolosamente vicine al corpo di Mersel. Lui si svegliò di soprassalto, ma era troppo tardi: ormai il fuoco aveva circondato completamente il baldacchino e lui era al centro, in piedi. Saltare sarebbe stato impossibile: la pesante intelaiatura del letto gli sfiorava la testa, e non avrebbe potuto prendere lo slancio necessario; sarebbe dovuto passare in mezzo alle fiamme. Lei gli urlò di scendere, di buttarsi. 
Mersel capì di essere spacciato. Il fuoco lo aveva ormai raggiunto, e le fiamme erano troppo alte, inspiegabilmente alte. Il fumo aveva ormai invaso la stanza, e l’aria era irrespirabile. Si sentì svenire.
Alla fine, decise. Si buttò tra le fiamme. Per un attimo, non avvertì il calore; poi, cominciò ad urlare di dolore. 
Ma riuscì comunque a raggiungere un angolo non ancora in fiamme della stanza, l’angolo dove si trovava Lethel. 
Nonostante i capelli in fiamme, si sentì in salvo. Lei gli rivolse un sorriso terrorizzato.
Poi, quella luce rossa inondò di nuovo la stanza. Fu questione di un attimo, ma all’improvviso Mersel cominciò a contorcersi dal dolore, e i suoi lineamenti sembrarono liquefarsi. Lethel vide i suoi capelli bruciare del tutto e la sua pelle dissolversi come sotto l’effetto di un acido. Sotto i suoi occhi, Mersel stava bruciando vivo. Lei urlò, urlò come mai aveva fatto in vita sua, e scoppiò in lacrime nel guardare i meravigliosi occhi del suo amato che venivano come risucchiati dalle orbite. 
Quando tutto finì, lui aveva ormai smesso di gridare. Il suo volto era ridotto a brandelli di carne bruciata attaccati ancora per miracolo alle ossa del cranio, e le grottesche cavità delle orbite la fissavano senza pietà. Qualche ricciolo biondo solitario era rimasto miracolosamente attaccato alla testa. I vestiti erano ridotti ad un ammasso di cenere e brandelli e la carne sottostante emanava un disgustoso odore di bruciato.
Lethel si buttò a terra, battendo i pugni e urlando, strappandosi i capelli e maledicendo il cielo, incurante del fuoco intorno a lei che continuava a divorare pezzi di quella stanza che per due anni interi era stata loro. 
All’improvviso la porta si aprì, e la figura affusolata di una ragazza si stagliò nel fumo. La somiglianza col fratello la colpì al cuore: era Keira. 
Rimase per qualche secondo immobile sulla porta, a guardare il fuoco, incredula. Poi guardò lei e le lanciò uno sguardo carico d’odio. Infine, vide il cadavere carbonizzato di Mersel, e urlò. 
Nel giro di pochi minuti, la stanza fu invasa dalle guardie. Lethel aveva ormai perso i sensi sotto l’effetto del fumo e nessuno badò a lei. 
Nella confusione generale, spensero il fuoco e portarono via il corpo di lui. Poi presero la ragazza e la buttarono in una cella.

Lethel si svegliò di soprassalto. Intorno a lei percepiva solo buio e umidità. Capì di trovarsi in una delle tante celle che riempivano i sotterranei del palazzo. 
In un istante ricordò tutto. Il bel volto di Mersel che bruciava sotto i suoi occhi le fece girare la testa, e per un attimo temette di svenire. Scoppiò in lacrime senza ritegno. La desolazione di quella cella non faceva altro che aumentare la sensazione di abbandono che provava. Lei amava Mersel. Portava in grembo il suo bambino. Dovevano sposarsi, così aveva detto lui appena un’ora prima di morire, no? Che ne era di tutte quelle promesse? 
Pianse per ore intere, fino a quando qualcuno non aprì la pesante porta e due uomini la presero malamente per le braccia; la trascinarono in lacrime fino a una sala buia, illuminata solamente da due bracieri appesi ai lati del trono. Era la stessa sala in cui si erano conosciuti, ma quella sera di due anni fa era illuminata a festa e lei stava ballando con il suo amato Mersel.
Il re sembrava un omino spaventato, con le occhiaie e gli occhi arrossati. Alla sua sinistra, Keira era pallidissima e tremava visibilmente; alla destra del re, il piccolo trono vuoto la colpì al cuore come un pugnale. Scoppiò in un nuovo pianto dirotto. 
Con un evidente sforzo, il re si alzò e posò lo sguardo su di lei.. Poi, lo distolse di colpo, come se ne fosse rimasto disgustato.
<< Sei stata tu? >> disse alla fine, con la voce tremante. Lei sollevò gli occhi colmi di lacrime, incredula. Dunque pensavano che fosse stata lei?
Scosse la testa, e i singhiozzi le squassarono il petto, facendola sobbalzare. Le due guardie la lasciarono andare e lei si buttò sul pavimento. Il re continuò, ignorandola. << Rispondi >> sibilò.
Lehtel quasi urlò. << No! Non avrei mai potuto! >> poi i singhiozzi tornarono a tormentarla. 
Questa volta fu Keira ad alzarsi. Ora che la guardava meglio, si accorgeva che non stava tremando, ma fremeva di rabbia. Le rivolse lo stesso sguardo carico d’odio di poche ore prima. 
<< Tu eri la sgualdrina di mio fratello. Ora mi dirai cosa gli hai fatto, o ti giuro sulle pene dell’inferno che farai la sua stessa fine! >> le urlò, e la sua voce carica di minaccia e disprezzo colpì Lethel come un pugno. 
<< Vi giuro… Non ho fatto niente >> ma i singhiozzi le impedirono di continuare, e riprese a piangere.
Il re perse la calma: << Diccelo, o verrai accusata di stregoneria e di omicidio del tuo principe! >>
Lei alzò gli occhi, incredula. << Stregoneria? >>
L’uomo ridusse gli occhi a due fessure. << Non c’era niente nella stanza che avrebbe potuto prendere fuoco. Abbiamo controllato. È stata avvertita una strana energia in quella stanza. Senz’altro è magia. >>
Lei sgranò gli occhi, ma non disse niente. Era talmente sconvolta che non aveva avuto nemmeno il tempo di chiedersi cosa avesse potuto causare l’incendio. 
Prendendo il suo silenzio come una confessione, il re fece un cenno e le due guardie la ripresero per le braccia e la trascinarono, urlante e scalciante, nella cella.

Si svegliò ancora prima dell’alba; si era addormentata dopo ore e ore di pianto ininterrotto, ma la vista di Mersel che moriva davanti ai suoi occhi l’aveva tormentata anche nel sonno. 
Sentiva, bruciante, il dolore della perdita. Come guidata da una mano invisibile, si sollevò la veste e posò la mano sulla pancia. Lì dentro, c’era la vita. Le pareva quasi impossibile che dopo aver assistito alla morte del padre di quella creatura, quella invece stava iniziando a vivere. Era come avere una parte di lui ancora con sé, e per un momento quel pensiero la rassicurò.
La porta della cella si aprì di scatto, e comparve la principessa. L’espressione minacciosa non era ancora svanita dal suo volto. La somiglianza col fratello la colpì come un pugno. Sentì le lacrime, urgenti, pungerle gli occhi. 
<< Lo sai che il boia sta preparando i ceppi? >> le chiese, senza tanti preamboli. Voleva vederla soffrire, di questo Lethel era certa. Non reagì subito: la morte ormai non la spaventava più, la sua vita non aveva senso ora che lui non c’era più; ma poi si ricordò del loro bambino, della creatura che portava in grembo, e un brivido di orrore le percorse lentamente la schiena. 
<< No… >> mormorò con voce rauca, incapace di dire altro. Le urla le avevano ormai tolto la voce.
Keira le lanciò uno sguardo di puro disprezzo. << È quello che ti meriti, puttana. >> le sputò con cattiveria; vedendo che l’altra non replicava, continuò: << Era mio fratello. Lo amavo come si può amare un fratello. E tu gli hai fatto questo. Perché? >> l’ultima frase gliela urlò praticamente in faccia. Lethel sentì le lacrime rotolarle bollenti sulle guance. << Non sono stata io… Te lo giuro. >> 
La principessa rimase impassibile. Tremava ancora dalla rabbia. 
<< Morirai esattamente come lui! >> le urlò allora. << Come ha bruciato lui, brucerai tu! >> 
Lethel questa volta urlò. Si buttò ai suoi piedi, aggrappandosi alla sua veste. 
<< Aspetto un suo bambino! >> gridò, scossa dai singhiozzi. Keira rimase per un momento spiazzata. Sembrava improvvisamente incapace di proferire parola. 
<< Ti prego >> mormorò la ragazza, senza più forze. << Non ucciderlo >>
Per un attimo l’ombra di un dubbio attraversò il volto della principessa. Poi, così com’era venuta, scomparve. Le voltò le spalle, e se ne andò. 
Ma lasciò la porta aperta dietro di sé.

 

Lethel uscì dalla cella in punta di piedi. Non aveva capito se la principessa le avesse lasciato la porta aperta di proposito o si fosse semplicemente dimenticata. Ma le era comunque grata, nonostante l’odio palese che lei provava nei suoi confronti. 
Là sotto era un labirinto: c’erano almeno un centinaio di corridoio all’apparenza tutti identici, e nessuno sembrava portare in una qualche direzione precisa. Il buio era penetrante e feriva quasi gli occhi.
Alla fine, ne prese uno a caso. Si mise a correre, sperando di trovare in fretta una via d’uscita.
Ma il rumore dei suoi passi dovette attirare l’attenzione delle guardie, perché nel giro di pochi minuti le furono addosso. Lethel non se ne accorse neanche; sentì solo la sensazione di freddo delle lance puntate contro la sua schiena e l’odore di birra del loro alito. 
Prese a scalciare e a urlare, ma loro la ignorarono e, pungolandola con le lance, la condussero fuori, nella piazza. 
Keira aveva detto la verità: il boia stava preparando i ceppi. Il terrore la gelò; smise di dibattersi e rimase immobile, paralizzata dalla paura. Provò a immaginare al suo bambino che veniva divorato dalle fiamme, proprio com’era accaduto al padre, e provò l’irrefrenabile impulso di uccidere tutte quelle insulse guardie e di scappare da lì, per sparire per sempre. Ma le forze sembrarono averla abbandonata, e in breve si ritrovò sul palco di legno dove stava adoperando il boia. Quell’uomo la inquietò nel profondo: la sua maschera nera gli copriva completamente il volto, e la noncuranza con cui la stava per uccidere la ferì.
Smise di opporre resistenza quando gli uomini la legarono ad un ceppo di legno piantato nel palco. Intorno a lei, una catasta di legna. 
Pian piano, sotto al palco cominciò a raggrupparsi una piccola folla di persone. Tra le poche, Lethel distinse il re, Keira, suo padre e la sua vecchia balia. Quest’ultima la fissava con un’infinita tristezza, ma il suo sguardo era ancora carico d’amore. Lei era l’unica, oltre a Keira, a sapere del bambino; suo padre invece la fissava con una malcelata delusione. Si chiese se provasse compassione per lei, o solo disprezzo.
Non seppe dire per quanto tempo rimase lì, immobile, nell’attesa che accadesse qualcosa.
Quando il sole cominciò a fare capolino da dietro l’orizzonte, il re fece un cenno.
Il boia si fece consegnare un ceppo infuocato. Per un attimo, la fissò dritta negli occhi. Poi, con noncuranza, lo lanciò tra gli altri, che presero rapidamente fuoco.
L’odore del fumo la stordì ancora prima del calore. Cominciò a tossire piano, poi sempre più forte, fino a quando non riuscì più a respirare.
In un istante di lucidità, si rese conto che non era stata neanche letta la sua condanna. Semplicemente l’avevano mandata a morire, come si fa con i cani. Un attimo prima che gli occhi le si riempissero di lacrime, impedendole la vista, vide Keira che si allontanava. 
Poi, le fiamme presero a lambirle le gambe. Provò un dolore lancinante, come mai ne aveva provato, e sentì l’odore della carne bruciata. Riprese a piangere le sue ultime lacrime, quando sentì il fuoco che le mangiava la carne e uccideva suo figlio. Il loro figlio. 
Urlò di rabbia e di dolore, e un attimo prima di morire, pensò che lei e suo figlio stavano raggiungendo Mersel.

 

Keira non aveva mai sperimentato il disgusto per sé stessa. 
Ora, quella era l’unica sensazione che riusciva a provare.
Dopo che Lethel era morta, neanche un’ora dopo, era arrivato un messaggero. Non era insolito che arrivassero lettere e messaggi dai contatti di suo padre, ma era da quasi un mese che non arrivava più niente.
Il messaggero era un ragazzo dall’espressione non troppo sveglia; non appena scese da cavallo, corse incontro ad una delle guardie e le consegnò una pergamena. Sembrava terrorizzato, e non appena si liberò del foglio rimontò a cavallo e sparì. 
La guardia stava per portare diligentemente la pergamena al bibliotecario, quando aveva incontrato la principessa in un corridoio e lei lo aveva fermato bruscamente. Gli aveva chiesto cosa ci faceva lì e quando lui le aveva mostrato la lettera, lei gliel’aveva strappata di mano.
<< La porterò personalmente al re. Puoi andare. >> lo congedò frettolosamente, poi si diresse verso la sala del trono. Sapeva che l’avrebbe trovato lì: da quando era morto Mersel, era come se anche lui fosse morto insieme al figlio; Keira capiva che la sua non era solo una perdita affettiva: Mersel era il legittimo erede al trono, ed era anche l’unico figlio maschio. 
Lo trovò, come aveva previsto, abbandonato nel suo trono. Sembrava sprofondare in quell’enorme poltrona dorata. Sembrava fosse invecchiato di vent’anni. 
<< Padre. >> lo chiamò lei. L’uomo sussultò, poi le fece un cenno. La ragazza si avvicinò al trono e gli porse la pergamena. Era chiusa da un sigillo rosso e nero, due colori insoliti, dato che non appartenevano a nessun casato conosciuto della Terra Caduta. Si chiese chi fosse il mittente, e una fitta di curiosità l’assalì.
Dherse l’aprì senza troppe cerimonie, e mentre la lesse corrugò la fronte. Alla fine, la gettò per terra. 
Keira rimase a bocca aperta: non aveva mai visto il padre reagire in quel modo. Ancora più incuriosita, raccolse la lettera e la lesse avidamente.. 
Le cadde dalle mani. Tremava. Scappò via correndo, uscì dal palazzo, tornò alla piazza dove appena poche ore prima aveva bruciato Lethel. C’era ancora puzza di bruciato, e il suo cadavere semi carbonizzato giaceva ancora lì, in mezzo alle ceneri. Sapeva che già l’indomani avrebbe sprigionato l’olezzo tipico della morte, e l’odore dolciastro della putrefazione avrebbe invaso la piazza. 
Si avvicinò al corpo. Una fitta di paura l’assalì quando vide le carni dilaniate dalle fiamme e annerite. L’orrore ebbe il sopravvento quando si rese conto che era una vittima innocente. Pensò che aveva ucciso una ragazza della sua età. Aveva ucciso un bambino che non era ancora nato. 
Aveva ucciso il figlio di suo fratello. 

 

Dherse raccolse la lettera dal pavimento. Non aveva il coraggio di guardarla. Alla fine si fece forza e tornò a rileggere quelle parole velenose. 
Quelle ultime frasi, vergate col sangue, lo ferirono come pugnalate

 

Questo è solo l’inizio. Il principe non sarà l’unico a morire. Cadrete tutti, uno ad uno, uno dopo l’altro.

  
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