Lì per lì le era sembrata una buona idea. Già.
Se non avesse ricavato informazioni utili, avrebbe
almeno fatto una buona azione, no?
In fondo, una sola era, effettivamente, la prova
che aveva. E quindi era da lì che dovevano partire le indagini, giusto?
Eppure, in quel momento, Connie pensa che quella
non sia stata in effetti una buona idea.
-Sì?- ripete la donna, sorridendo incoraggiante
all’agente che, in abiti civili, cerca di trovare una posizione comoda su
quella sedia troppo imbottita.
Connie si schiarisce la voce, imbarazzata di fronte
a quello sguardo limpido e, in qualche modo, perso.
-Signora Minus, sono Constance White… si ricorda?-
ripete per la centesima volta in quell’ora.
La donna annuisce con impeto, stringendo
ulteriormente le mani ossute attorno al polso della ragazza, ormai cianotico.
Connie sorride intenerita dalla voglia di
chiacchierare dalla donna. Non deve ricevere molte visite. La stanza della casa
di riposo è abbastanza accogliente, con la coperta di un rilassante blu
oltremare e le pareti di un delicato color pesca. La televisione, costantemente
accesa, emana una luce azzurrina sul mobiletto di legno chiaro dove è
appoggiata. Vicino alla porta d’entrata, invece, è appesa una cornice, unico
oggetto dall’aspetto di valore nella piccola stanza.
-Vorrei farle qualche domanda su suo figlio,
Peter…- azzarda, parlando lentamente e alzando il tono di voce perché
l’interlocutrice, sorda dall’orecchio sinistro, come recita la cartella medica
appesa al letto, possa capire bene.
–Oh, il mio Peter- chioccia la donna, con gli
occhietti azzurri brillanti di emozione.
-E’ proprio un bravo ragazzo, sa- continua,
sistemandosi meglio sul bordo del letto e accomodandosi lo scialle di lana
sulle spalle strette. –Adesso è a scuola, ma quest’estate tornerà a casa a
passare le vacanze- continua, lasciando la stretta dal polso della ragazza che,
lesta, ritira con un sospiro la mano.
L’anziana donna infila a fatica le pantofole e, una
volta impadronitasi del cigolante girello affianco al letto, muove qualche passo
incerto verso il comodino. Connie si alza in piedi di scatto, preoccupata per
l’ondeggiare instabile della schiena della donna.
Più agilmente del previsto, però, la signora Minus
afferra quello che sembra un vecchio album di foto dal cassetto, tornando
affianco all’ospite con un sorriso sdentato ma smagliante.
-Sa, all’inizio ero molto preoccupata per lui- le
confessa, cercando di riprendere fiato per la fatica che quella semplice
operazione le ha portato. –Peter è molto timido, fatica a inserirsi in un
gruppo. Però l’estate del primo anno mi ha detto di aver trovato un mucchio di
amici davvero speciali- confessa, accarezzando con tenerezza la copertina del
consunto album di foto.
-Che scuola frequentav… frequenta, suo figlio?- si corregge Connie, visibilmente in
difficoltà nel parlare al presente di un ragazzo morto ormai da undici anni.
La signora Minus estrae dalla tasca un paio di
cioccolatini, offrendogliene raggiante uno. –Hogwarts, naturalmente- risponde
poi, con la bocca impiastricciata di cioccolato.
Connie aggrotta perplessa la fronte, per poi
estrarre prontamente dalla tasca la solita agendina. Ogwatz? appunta, diligentemente, aggiungendo un punto di domanda
come promemoria della ricerca che dovrà fare su quell’istituto che,
sinceramente, non ha mai sentito.
-Oh, eccolo qui, il mio piccolo!- trilla allegra la
donna, indicando una vecchia foto dove, un bambino pallido e smunto, di circa
cinque anni, fissa con infantile curiosità la macchina fotografica. –Ha proprio
dei bellissimi occhi- interviene Connie, avvicinandosi un po’ alla fotografia
per osservare il volto sorridente del piccolo.
-Oh, li ha presi da mio marito- sorride l’anziana,
accarezzando con l’indice nodoso i tratti delicati del piccolo. –Era proprio un
bell’uomo, sa. Gentile, dolce… e non mi ha mai fatto pesare di essere di un
mondo diverso dal suo- insiste, con una nota di malinconia e amore nella voce.
Connie annuisce falsamente comprensiva, appuntando
diligentemente sull’agenda: padre altro
mondo. Straniero?
Dopo una lunga rassegna di vecchie foto –il primo
giorno dell’asilo, le vacanze in Scozia a trovare zia Charlotte-, l’anziana sobbalza
stupita.
-… e questa qui, invece, è una foto di lui a
scuola, scattata con i suoi amici quando… oh! Che peccato!- si lamenta
sottovoce.
Connie si sporge maggiormente verso la pagina,
osservando la foto dai bordi sfilacciati.
E’ un paesaggio. Sullo sfondo si vede chiaramente
un lago, abbastanza grande, poi un albero dall’aria minacciosa e poi prati e
foreste.
Curiosa una foto del genere in un album di
famiglia.
-Ogni tanto mi fanno di questi scherzetti!-
ridacchia la donna, iniziando a scuotere con piccoli colpetti l’album. –Ehi,
voi! Avanti, venite fuori! Ho qui un’amica che vuole conoscervi!- urla verso il
paesaggio.
Connie spalanca gli occhi, indecisa se chiamare
subito un’infermiera o aspettare che la crisi passi da sola.
-Che dispettosi…- si lamenta poco dopo la donna,
arricciando le labbra raggrinzite in una smorfia per poi voltarsi con aria
complice verso l’ospite. –Fortuna che ho un’altra foto, così li può vedere!- le
dice sottovoce, con aria complice.
Connie sorride intenerita dalla malattia della
donna, osservando con curiosità le altre foto nella pagina seguente.
-Sa, quest’altra gliel’ho scattata io un’estate che
Peter me li aveva portati tutti a casa per farmeli conoscere!- l’informa
sorridente fermandosi a un certo punto a una pagina.
-Ecco, questo qui è il mio Peter!- le annuncia,
indicando in una foto un ragazzone di circa diciassette anni che sorride
divertito. Connie si morde un labbro. Sì, adesso lo riconosce. E’ lo stesso
ragazzo che ha visto nel ritratto messo in mostra come ricordo il giorno del
funerale. Certo, quando è stata
scattata quella fotografia, non immaginava di finire morto carbonizzato qualche
anno dopo.
-Quello al suo fianco è invece Remus, Remus Lupin-
ricorda la donna, segnando un ragazzo allampanato e dall’aria malaticcia.
Connie storce la bocca, appuntando anche quel nome
sull’agendina. -E questa ragazza?- domanda poi, indicando con la punta
dell’indice una giovane dall’aria gentile seduta su una sedia.
-Lily Evans- annuisce la signora Minus, scostando
la mano per rendere più visibile l’altra metà della foto. –Oh, era proprio una
bella ragazza, non trova?- le domanda, scuotendo tristemente la testa.
-Era?-
puntualizza Connie titubante. Beh, Lily in fondo era un nome comune, poteva
essere una coincidenza. Segna anche quel nome sull’agenda con vicina una
piccola croce, simbolo di morte.
-Oh sì, povera cara- continua l’anziana, umettandosi
le labbra secche. –E’ morta l’estate dopo questa foto. Lei e suo marito, questo
qui- conclude lasciando all’ospite tutto l’album perché potesse osservare bene
la foto.
Connie, all’improvviso, impallidisce.
-Qu-questo?-
balbetta, isterica, acutizzando la voce e indicando concitata un ragazzo che,
scherzoso, sta stritolando in un giocoso abbraccio il collo dell’amico.
-Oh, no! L’altro! James Potter- la corregge con
pazienza la donna, indicando a sua volta il ragazzo con gli occhiali stretto
dall’altro.
Connie, improvvisamente sudata, afferra tremante
l’agenda, appuntando con forza quell’ulteriore notizia. No, non può essere una
coincidenza. Quelle parole… Lily e James,
Sirius! Come hai potuto?
-E cosa sa dirmi di quest’ultimo?- si sforza di
chiedere, sperando che la donna non si accorga del tremore della voce.
-Un ragazzo simpatico, sempre pronto a scherzare.
Un po’ troppo scanzonato, secondo me ma, cosa vuole, i giovani…- le racconta la
donna, ridacchiando allegra. Connie, sulle spine, sottolinea gli ultimi nomi
sentiti, in ansia.
-Si ricorda come si chiama?- trova il coraggio di
chiedere, alla fine.
-Peter me ne parlava sempre, sa. Ne facevano di
tutti i colori loro quattro! Lui era… sì, ne sono sicura. Sirius Black-.
Centro.
Connie spalanca gli occhi soddisfatta.
Allora non era solo una sua impressione!
Non poteva essere una coincidenza, lo sapeva!
Il volto del ricercato e il ragazzo che ricordava
litigare per strada quel due novembre erano la stessa persona!
Black!
Scrive quel nome sull’agenda con foga, cerchiandolo
diverse volte e mettendo molteplici punti esclamativi.
-La ringrazio signora Minus, davvero. Mi è stata di
grandissimo aiuto- la saluta Connie, alzandosi dalla sedia e notando solo in
quel momento, gli occhi acquosi e persi dell’anziana.
-Lei chi è?- le domanda, con un sorriso fiducioso e
tenero.
Connie inghiotte a fatica, rimettendosi la giacca.
–Sono… sono una vecchia amica di Peter- mente alla fine, avvicinandosi
all’anziana e respirando il dolce profumo di menta che emana.
-Oh, il mio Peter! E’ proprio un bravo ragazzo, sa.
Adesso è a scuola, ma quest’estate tornerà a casa a passare le vacanze- le
ripete, notando solo in quel momento di avere il vecchio album di fotografie
sulle ginocchia.
-Vuole vederlo?- le domanda, iniziando a sfogliare
a ritroso le foto, fino a tornare al paesaggio soleggiato.
Connie le bacia la fronte, sorridendole poi con
tenerezza. –La prossima volta- le promette, allontanandosi prima di essere
trattenuta dalla donna che la fissa dispiaciuta.
Poco prima di uscire, però, si blocca al suono
della sua voce. –Oh, eccovi qui!- le sente dire, rivolta alla foto di prima.
–Si può sapere dove vi eravate cacciati? La signorina di prima voleva tanto
vedervi! Mascalzoni! Avrà pensato che sono una vecchia rimbambita!- scherza.
Connie scuote la testa, soffermando un attimo lo
sguardo sulla cornice vicino all’uscita.
Ordine di
Merlino, prima classe. In memoria dell’eroico Peter Minus1 legge, perplessa. Non aveva mai sentito parlare di
quel riconoscimento prima d’ora. Per precauzione, appunta anche quello
sull’agendina, per poi uscire elettrizzata dalla struttura.
Finalmente!
Finalmente dopo anni di ricerche ha una traccia!
Finalmente ha trovato un collegamento fra quel
Black e il povero Peter Minus!
Sapeva di non esserselo sognato! Lei… si blocca
all’improvviso, fissando sorpresa l’uomo che, tranquillo, la fissa appoggiato
alla propria autovettura.
-Che ci fai tu
qui?- lo aggredisce, appena raggiunta la macchina.
David Canter si toglie gli occhiali, ridacchiando
dell’irruenza della giovane partner. –Sono di pattuglia- mente, alzando le
spalle e aumentando esponenzialmente la rabbia della collega.
-Eugene. E’ stato lui, vero? Ti ha detto di
seguirmi!- lo accusa, accigliata, per poi voltargli le spalle e incamminarsi a
passo di marcia lungo la strada.
-Per la cronaca, secondo il mio rapporto tu sei
stata tutto il giorno a casa di Chester, a giocare con tua nipote!- le urla
dietro David, aspettando.
Connie si blocca in mezzo alla strada, brontola
qualcosa di poco carino e torna a passo spedito dal collega.
-Perché?- si limita a domandargli, imbronciata.
Dave ridacchia soddisfatto, senza notare quanto
questo gesto abbia abbassato l’aggressività dell’agente. –Beh, fra partner ci
si aiuta, no?- le risponde con leggerezza, appoggiandosi meglio alla macchina e
adocchiando la famosa agenda stretta fra le mani della ragazza.
-Che vuoi in cambio?- sbuffa Connie, squadrando la
figura atletica del ragazzo e maledicendosi perché, lo sente, è arrossita.
David piega la testa di lato, accennando
all’agendina con un movimento brusco del mento. –Voglio partecipare-.
-No-.
-Connie…-
-Senti Dave, grazie, davvero, lo apprezzo ma… non
so neanch’io a cosa vado incontro. Forse sarà solo un buco nell’acqua- ammette
a malincuore, riponendo con velocità la preziosa agenda nella tasca della
giacca.
-Stai indagando sulla Strage?- le chiede,
improvvisamente serio.
-Strage? Perché dovrei? E’ stata solo una fuga di
gas, no? Cosa c’è da indagare?- ironizza la ragazza, alzando gli occhi al
cielo.
David indurisce lo sguardo. –Per il rapporto, non
per te-.
-Sono solo una ragazzina che non accetta la morte
del padre…- canticchia Connie, ripetendo le parole che lo psicologo da cui era
stata in cura dopo l’esplosione diceva spesso a sua madre.
-Raccontami quello che sai e poi deciderò- le dice
schietto il collega, per poi voltarsi fulmineo verso di lei e afferrale con
entrambe le mani le spalle. A quella distanza, Connie sente l’odore di tabacco
delle sigarette che il collega fuma sempre durante gli appostamenti.
-Connie, puoi fidarti di me-.
Le sue difese sono definitivamente crollate.
Davanti a una coppa esagerata di gelato,
comodamente seduti a un angolo di un piccolo bar di periferia, Connie White e
David Canter si fissano, emozionati.
-Che… che cosa sai?- gli domanda la ragazza,
iniziando a intingere il cucchiaino nel dolce.
-Che non hai mai creduto alla versione ufficiale
della polizia, che non hai mai smesso di cercare indizi e informazioni e che,
in questi giorni, è successo qualcosa che ha dato una svolta alle indagini-
sintetizza David, ingoiando con poca grazia una cucchiaiata di gelato e
rabbrividendo per il freddo.
Connie sospira, iniziando a sfogliare l’agenda sul
tavolo.
-E’ successo tutto il due novembre del 1981. Io e
papà stavamo andando al Bermondsey Market2,
alla ricerca di qualche moneta per ampliare la sua collezione- inizia a
raccontare, accarezzandosi automaticamente la mano che, ricorda, il padre le
stringeva in quella luminosa mattina.
-Avevamo appena imboccato Tooley Street quando un ragazzo mi spintonò di lato, facendomi
quasi cadere- continua, abbassando la voce e socchiudendo gli occhi, mentre le
immagini del volto rabbioso di Sirius Black le riaffiorano alla mente.
-Papà mi afferrò al volo, stringendomi forte, ma
con lo sguardo fisso dall’altra parte della strada-. Si schiarisce la voce,
mangia un paio di cucchiaini di gelato. Non fatica molto a collegare la figura
di spalle che, terrorizzata, corre sull’altro marciapiede e il povero Peter
Minus visto prima nelle foto della madre.
-Papà si alzò insospettito, muovendo i baffi in
quel modo buffo, come faceva sempre quando pensava…- ridacchia, ricordando
quell’ondeggiare lento e ipnotico dei baffi inglesi del padre.
-Sai, lui si vantava sempre di capire se qualcuno
stava per fare una sciocchezza dallo sguardo. Diceva di vedere un lampo di
follia negli occhi dei sospettati che arrestava, prima che rispondessero al
fuoco o cercassero di scappare. Per questo, diceva, era un bravo poliziotto-
sorride, ricordando il discorso che diceva con tono solenne a lei o a suo
fratello per prevenire le loro marachelle.
-Si è alzato e mi ha detto di allontanarmi il più
velocemente possibile, di correre senza voltarmi- ripete, ricordando il tono
serio e la faccia corrucciata del padre mentre la sua mano si separava da
quella della figlia e andava a scostare il soprabito per togliere la sicura
alla pistola e lasciando l’arma in vista.
-Naturalmente gli ho chiesto perché, che cosa
stesse succedendo… poi mi sono voltata e ho visto due ragazzi litigare in mezzo
alla folla a qualche metro da noi. Un paio di curiosi si erano fermati ad
ascoltare che cosa si stavano dicendo, altri li scostavano incuranti. Fra i
brusii generali si sentiva singhiozzare “Lily e James, Sirius! Come hai
potuto!”3 -.
Connie ripensò velocemente ai volti sorridenti
della ragazza e del ragazzo in quella foto, ricollegando immediatamente
l’informazione della loro morte a quella frase. Lo segna con urgenza vicino
agli ultimi appunti, sotto lo sguardo professionale del collega.
-Papà mi ha detto di correre e poi si è allontanato
verso i due, gridando “agente di Scotland Yard, fate passare!”-. Espira
lentamente, ricordando l’impermeabile crema sparire fra i corpi della gente che
affollava quella via.
-Mi sono messa a correre, Dave. Ho corso come mai
in vita mia- sussurra, cercando di nascondere il tremore della voce con scarsi
risultati.
-Poi ho sentito un’esplosione, un boato terribile.
Quando ho aperto gli occhi ero per terra, coperta di polvere e sassolini.
Quando mi sono voltata ho visto un’enorme voragine, corpi stesi a terra,
sangue, detriti. In mezzo a quella desolazione, ricordo una figura, l’unica in
piedi. Era uno dei ragazzi di prima e… rideva,
oh Dave! Rideva, rideva come non ho
mai sentito ridere nessuno!4 - confessò Connie, allungando le mani
sul tavolo e afferrando con forza quelle forti del collega.
-Un attimo dopo era circondato. Non so da dove
fossero arrivati, prima non c’erano e subito dopo erano lì! PUFF! Comparsi dal
nulla!- gli dice, agitandosi sulla sedia e bloccando lo sguardo sugli occhi
espressivi e tranquillizzanti del partner.
–Dovevano essere una ventina… gli hanno puntato
addosso qualcosa, sembrava… non so, era come la canna di un fucile, ma più
sottile! Ero ancora intontita dall’esplosione e comunque troppo lontana per
vedere chiaramente. Alla fine gli sono saltati addosso, lo hanno immobilizzato5.
In quel momento sono arrivati i primi soccorsi, ricordo le sirene delle
ambulanze e gli infermieri avventarsi sui corpi alla ricerca di sopravvissuti-.
Dave mantiene lo sguardo fisso su quello della
collega, per poi schiarirsi la voce. –Quegli uomini… indossavano una divisa?
Avevano un qualche stemma di riconoscimento?- s’informa, ripassando mentalmente
le divise e i simboli delle squadre speciali del Regno Unito.
Connie scuote lenta la testa. –Nulla. Avevano
vestiti scuri e… sì, alcuni di loro indossavano un mantello mi sembra…-
David annuisce piano, schioccando la lingua. –Poi?-
La ragazza sbuffa, massaggiandosi con la mano
libera la tempia.
-L’ospedale. Mamma mi raggiunse quasi subito, con
Chaz in lacrime. I dottori le dissero che ero lontana dal centro
dell’esplosione, per questo mi ero salvata però ero disorientata, stordita,
parlavo in modo confuso…-
-PTSD- diagnostica lapidario David, accarezzandole
con il pollice il dorso della mano.
Connie annuisce solamente, mordicchiandosi un labbro.
–Già. Per più di tre mesi non ho ricordato nulla di quanto accaduto. Poi, poco
alla volta, le immagini mi sono tornate alla mente…-
David stiracchia le labbra. –E allora?-
La ragazza sbuffa, voltando le pagine dell’agenda.
–Allora l’ho detto a mamma e lei ha chiamato subito Eugene- ricorda, mentre
l’immagine di quello che, oltre ad essere il più caro amico del padre, ne era
stato per molti anni anche il partner.
-E lui?- s’informa prontamente il ragazzo,
arricciando le labbra pensieroso.
-Ha chiesto a mamma se ne avevo parlato con
qualcuno, poi mi ha raccomandato di fare attenzione. Ha detto che di lì a
qualche giorno sarebbero venute delle unità delle squadre speciali a farmi
delle domande e che dovevo dar loro i referti medici, far finta di non ricordare
davvero nulla. E… di dimenticare tutto- conclude, con un filo di voce.
_______________________________________________________________
Note:
1.
“Minus ricevette l'Ordine di Merlino, Prima Classe, alla
memoria” da Harry Potter e il Prigioniero
di Azkaban
2. Uno dei mercatini più veri e meno
turistici di Londra, tra Abbey Square e Tower Bridge Road. Tooley Street è una
strada vicina
3.
“Ci hanno raccontato come Minus ha
affrontato Black. Dicono che singhiozzava: 'Lily e James, Sirius! Come hai
potuto!'” da Harry Potter e il
Prigioniero di Azkaban
4.
“A volte me lo sogno ancora. Un cratere al
centro della strada, così profondo che aveva distrutto la fognatura. Corpi
dappertutto. Babbani che urlavano. E Black li in piedi che rideva davanti a ciò
che era rimasto di Minus...” da Harry
Potter e il Prigioniero di Azkaban
5.
“Black fu portato via da venti uomini della
Pattuglia della Squadra Speciale Magica”; da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban