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Autore: lete89    11/07/2011    0 recensioni
David si schiarisce la gola, cercando di guadagnare qualche minuto prima di dire qualcosa che, lo sente, manderà su tutte le furie la collega. –Non avevano detto che era stato un incidente?- si arrischia a chiedere, prima di svoltare sicuro verso sinistra ed immettersi nella Brodway.
-Una fuga di gas, per la precisione- lo corregge Connie, sfogliando tutte le teorie elaborate in quegli anni di indagini non autorizzate.
-E tu non ci credi?- domanda, prima di dirigere la macchina nel parcheggio del luminoso New Scotland Yard .
Connie si limita a stiracchiare un sorriso, scuotendo la testa e accarezzando la mano del collega sul freno a mano. –Lascia stare- borbotta, per poi scendere veloce dalla macchina.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio, Peter Minus, Severus Piton, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
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Mercy Clarke è una donna forte

 

 

 

Mercy Clarke è una donna forte. Ha superato la morte del marito e ha allevato due figli da sola. L’unica cosa chiesta in cambio di tutti i sacrifici fatti è quell’attesissimo pranzo in cui può, nuovamente, viziare gli adorati figli ormai cresciuti e allergici alle esagerate profusioni materne.

Per questo, quel discorso appena nato, la sta facendo preoccupare.

-Bambini, per favore, smettetela di litigare…- li prega, raccogliendo con attenzione i piatti del servizio buono.

Connie ignora le richieste materne e insiste caparbia del discorso che, a suo avviso, dovrebbe elettrizzare gli altri membri della famiglia quanto ha fatto con lei. –Ma mamma!- sbotta infatti, -Ti sto dicendo che è lui!-

Chester White squadra con sospetto il ritratto raccapricciante dell’uomo che, in quel momento, occupa il centro della tovaglia. –Constance…- sbuffa poi, stanco, cercando con scarsi risultati di far ragionare la sorella.

-E’ lui!- ripete determinata la ragazza, ignorando la porzione di brownies che sua madre le ha messo nel piattino del dolce.

Chester scuote la testa, per poi afferrare il foglio e voltarlo. –Piantala- le sibila, lapidario, con quel tono da fratello maggiore che lo contraddistingue.

-E’ l’assassino di papà e tu non hai neanche il coraggio di guardare un suo identikit!- lo rimprovera ad alta voce Connie, battendo la mano sul tavolo e facendo tintinnare le tazzine da caffè della signora Clarke che, rassegnata, saluta la speranza di avere un tranquillo pranzo con i figli.

Chester si accarezza i baffi, tratteggiando con le dita anche il contorno della bocca e del mento. –Quando ti deciderai a crescere?- le domanda, iniziando a spiluccare con la forchetta il dolce.

-Mamma…-

Mercy sobbalza sulla sedia, sorridendo comprensiva agli occhi speranzosa della figlia. –Tu mi credi, vero?- le domanda la ragazza, allungando la mano sul tavolo per afferrare quella rassicurante della donna. Chester spalanca gli occhi, stizzito, continuando a masticare con foga e intercettando lo sguardo della madre.

-Ma certo cara!- la rassicura la donna, accarezzando la mano callosa della sua bambina.

-Mamma, sul serio? Non darle corda!- sbotta Chester, lasciando cadere la forchetta sul tavolo e tamponandosi gli angoli della bocca.

-Caro, se tua sorella dice di aver visto quest’uomo dopo l’esplosione, non vedo perché non dovrei crederle…- ribatte ovvia, mantenendo un tono neutro e allungando la mano libera verso il figlio.

-Perché nessun altro di tutti i testimoni lo ricorda!- sbotta impaziente, allargando esasperato le braccia.

-Chaz, ne sono certa. L’ho visto- ribatte seria Connie, lo sguardo fisso sul retro del foglio. –E… rideva1- rabbrividisce alla fine, serrando gli occhi al ricordo di quell’uomo in piedi in mezzo alle polveri e ai detriti.

-Constance, avevi undici anni, eri tramortita dall’esplosione e la prima cosa che hai visto dopo quella luce accecante sono stati tredici corpi a terra- ricapitola veloce Chester, ripercorrendo i fatti con la classica freddezza e analicità tipica della squadra della scientifica di Scotland Yard. –Fra cui papà…- mormora alla fine, senza nascondere la voce leggermente più roca.

-Ma sono certa di averlo visto, Chaz!- ribatte Connie, mentre la stretta attorno alla mano della madre si fa più forte.

Chester scuote la testa, sistemandosi meglio sulla sedia. –Per più di tre mesi non hai ricordato nulla della strage di Tooley Street e poi, all’improvviso, sei l’unica che ricorda quelle due persone litigare in mezzo alla folla- cerca di spiegarle, paziente.

-Non sto mentendo!-

-Non dico questo!-

-Bambini…-

Al richiamo di Mercy, Connie e Chester sbuffano in contemporanea, limitandosi a guardarsi in cagnesco sopra il tavolo per diversi secondi.

-Eri solo una ragazzina…- riprende il discorso Chaz, cercando di tenere il tono di voce basso e controllato. –Hai assistito a una cosa orribile, Constance, me ne rendo conto, lo so. Eri in stato di shock e questo ha portato a una PTSD2. Hai seguito la terapia, ti sei confrontata con le esperienze degli altri testimoni, hai accettato quanto accaduto-.

Connie abbassa lo sguardo, afferra il foglio e fissa lo sguardo negli occhi rabbiosi del ritratto del ricercato. –Eppure… io me lo ricordo…- confessa a bassa voce, strascicando le parole e sovrapponendo i tratti del volto di quell’uomo a quelli del giovane che aveva visto in mezzo alla strada deserta.

-Forse era lì anche lui, un passante…- tenta Chester, cauto, sperando di poter finalmente porre fine a quel discorso.

-Ma rideva!- scoppia invece Connie, accartocciando sotto le dita un angolo del foglio per la presa troppo fissa.

-Probabilmente stava piangendo e tu hai confuso i suoni. Eri intontita per l’esplosione…-

-E come mai lui era vivo? Era in centro alla strada, Chaz! Tutti quelli in un raggio di sei metri sono morti, come mai lui è sopravvissuto?-

Chester sbuffa, lasciandosi cadere di peso sullo schienale della sedia.

-Questo è impossibile…- osserva con delicatezza Mercy, fissando con gli occhi acquosi la faccia inferocita del ricercato.

-Sì mamma, è impossibile. Infatti non è stata un’esplosione-. Connie sorride, osservando il fratello irrigidirsi sulla sedia.

-Non puoi dirlo con certezza…- si limita a borbottare, osservando con nostalgia il proprio dolce nel piatto.

-Chaz, non puoi negare che ci sia qualcosa di sospetto! Hai letto il rapporto, no? Fuga di gas. Hai studiato i rilievi? Il centro dell’esplosione è stato proprio il centro della strada e lì non ci sono tubature del metano, passano solo le condotte idriche- gli ricorda la sorella, estraendo veloce dalla borsa la famosa agendina di cuoio e sfogliando febbricitante gli appunti di anni di indagini.

-Si sarà trattato di un attentato… un qualche esplosivo…- tenta Chester, poco convinto delle sue stesse parole.

-E perché non dirlo? E perché non hai trovato particolati sulle prove?- lo incalza la sorella.

-Non me lo ricordare… se Eugene viene a sapere che ho usato l’attrezzatura di laboratorio per indagini non autorizzate…- borbotta, acuendo la voce all’idea di cosa il Commissario potrebbe fargli. Sperava di poter, in quel modo, placare una volta per tutte i ridicoli sospetti della sorella ma, al contrario, l’analisi delle prove raccolte in quella strada avevano aumentato i suoi, di dubbi. L’esplosione si era espansa a raggiera da un punto della strada assolutamente non pericoloso, distruggendo tutto in un raggio di sei metri. La mancanza delle tubature del gas, quindi, gli aveva fatto da subito escludere il rapporto ufficiale a favore della tesi della bomba. Eppure non aveva trovato alcun particolato di qualunque tipo. Aveva cercato resti di polvere da sparo, bicarbonato di sodio, nitroglicerina… niente! E se non aveva trovato niente lui, laureato con lode in chimica all’accademia militare, voleva davvero dire che non c’era stata alcuna bomba.

Ma allora cos’aveva causato quell’esplosione?

-E poi c’è la questione Minus- sentenzia lapidaria Connie, fermandosi su una pagina e scorrendo con l’indice le note del rapporto che aveva fatto Chaz dopo mille preghiere e promesse.

Chester stiracchia le labbra, in trappola. Era stato lui a farle notare la discordanza fra il rapporto e la prova. Per la versione ufficiale era l’unica parte del corpo di quell’uomo rimasta dopo l’esplosione. Ma il taglio era netto, affilato, il bordo della ferita non seghettato o incerto.

-Quel dito3 è stato certamente amputato4- gli ricorda Connie, riprendendo a voltare le pagine del quadernetto.

-Ok, va bene, è strano- le concede alla fine, notando con disappunto un sorrisino di superiorità espandersi sulla bocca della sorella. –Ma questo non vuol dire che nessuno stia indagando-.

-Cosa? Ma se hanno archiviato il caso come “incidente”!- gli rinfaccia lei. –E adesso questo avviso di evasione! Lo hai letto? Non dice nulla! Né chi è, per quale motivo era dentro, da dove è scappato… niente!- dice ad alta voce, porgendogli con impeto il volantino.

-E Eugene cosa ti ha detto?- domanda titubante Mercy, ponendo molte speranze nel vecchio amico del marito.

Connie a quel nome sbuffa infastidita. –Niente.-

-Niente? Come niente?-

-Le ha detto di lasciar perdere, mamma- le chiarisce Chaz, avvezzo al linguaggio sbrigativo del Commissario. –Qualcun altro se ne sta occupando-.

-Quindi c’è qualcosa, no? Qualcosa di strano, che non vogliono farci sapere!- esplode Connie, chiudendo di scatto l’agenda e fissando speranzosa gli occhi del fratello.

Chester si limita a scuotere la testa. –Non lo so Connie… tutta questa storia non mi convince, va bene ma… dobbiamo fidarci di Eugene- termina, ostentando una sicurezza non sentita.

-Perché quando mi è tornata la memoria e gli ho confessato di ricordare questo volto mi ha detto di dimenticare tutto? Perché non posso farne parola con nessuno?- si sfoga frustrata la ragazza, ricordando la visita di Eugene dopo l’incidente e le raccomandazioni urgenti che le aveva fatto. -Chi è in realtà questo Sirius Black?- conclude, stremata.

-Non lo so, ma le soluzioni sono solo due- commenta Chaz, espirando lentamente. –La prima è che si tratti solo di un’incomprensione, una coincidenza o chissà cos’altro…- borbotta, alzando l’indice per fare segno alla sorella di non interromperlo. –La seconda- continua, osservando Connie tornata tranquilla –è che ci sia in ballo qualcosa di grosso, Constance, di veramente grosso. E tu devi restarne fuori- le intima, sinceramente preoccupato.

-Che potrei fare? Non ho in mano niente! Rapporti fasulli e autopsie poco attendibili! E certamente non otterrò un mandato per riaprire il caso- mormora scoraggiata.

Chaz tossicchia.

–Rianalizzerai il dito?- gli domanda poi la sorella a bruciapelo.

-No- risponde, lapidario.

-Dai, Chaz, ti prometto che…- insiste Constance, cercando di fargli gli occhi dolci come quando erano bambini.

-No!- ribatte Chaz, ignorando lo sguardo supplichevole della sorella che, come al solito, mina la sua sicurezza.

Mercy lo fissa materna, attirando l’attenzione dei due. -Chester, fai questo piacere a tua sorella…-

-Mamma, se mi beccano a sottrarre prove dall’archivio e a usare le apparecchiature senza permesso, mi licenziano! Come farà allora Elizabeth?- scoppia Chester, sorpreso che la madre gli stia veramente chiedendo di fare un’azione che potrebbe minare la sua carriera alla Scientifica.

Il nome dell’amata nipotina sembra far cambiare idea a Mercy che, dopo un attimo, si alza dal tavolo con un sospiro di dispiacere e raggiunge il telefono che aveva iniziato a squillare insistente.

Connie decide di affrontare il fratello con serietà. -Voglio solo indagare sull’uccisione di papà, Chaz, avanti! Dammi una mano!- lo prega alla fine.

-L’ho già fatto, Connie! Almeno tre volte in questi anni! E la mia diagnosi è sempre la stessa: amputazione- conferma Chester, punto sul vivo. Possibile che sua sorella dubiti a tal punto della sua professionalità? Non ha riscontrato tracce di alcun tipo di esplosivo e il dito è stato amputato. Fine della storia.

-Connie, cara, è per te- la informa la madre, chiamandola dal corridoio d’ingresso dove il vecchio telefono di casa è da sempre posto.

-Sì?- biascica la ragazza alla cornetta, poco convinta. Gli unici al corrente del rituale pranzo del sabato a casa della madre sono Dave e Eugene. E, al momento, non ha proprio voglia di sentir nessuno dei due.

-Constance, spero di non disturbarti…- mormora una vocina flebile all’altro capo dell’apparecchio.

-No Emily, non disturbi affatto!- trilla l’agente, dopo aver finalmente individuato l’interlocutrice: Emily, la giovane e migliore- nonché unica- amica che Connie abbia mai avuto.

-Ho organizzato per domani un pranzo, sai, in memoria delle vittime della Strage…- la avvisa la ragazzina, con una tenera e timida vocina.

Connie non riesce a trattenere un sorriso. L’ha conosciuta proprio durante uno di quei pranzi di commemorazione. Anche il padre di Emily è fra le tredici5 vittime di quell’assurda esplosione e lei, a quel tempo cinqueene, aveva riportato una grave frattura alla colonna vertebrale che le aveva limitato quasi del tutto i movimenti.

Nonostante l’affetto che sentiva per quella ragazzina così indifesa e comunque piena di vita, Connie borbotta un’accorata scusa, una “ronda straordinaria per l’evaso” che, proprio, non può rifiutare.

-Oh, che peccato!- si lamenta la ragazzina, -ne sei proprio sicura?- insiste, caparbia come solo una persona nel suo stesso stato può essere.

-Sì, purtroppo sì- mente ancora Connie, arrotolando il filo del telefono attorno a un dito e sbirciando il salotto dove Chaz, serio, ha iniziato a sfogliare con falsa indifferenza l’agenda con gli indizi. –Mia madre e Chester, però, verranno di sicuro- promette. A differenza del resto della famiglia, non le sono mai piaciute quelle commemorazioni. Incontrare le famiglie delle altre dodici vittime era “un’inutile perdita di tempo” come amava definirla lei durante le litigate con il fratello maggiore. Ricordare i propri cari, leggere gli articoli di cronaca dei giornali locali… a cosa serviva? Nessuno di loro sembrava aver visto quello che aveva visto lei. Un giovane tracagnotto –che poi aveva scoperto chiamarsi Peter Minus- e un ragazzo che litigavano in mezzo alla strada. E ora, dopo dodici anni, poteva dare un nome al volto di quell’assassino: Sirius Black.

-Allora segno solo loro due- borbotta Emily dall’altro capo del telefono, spingendo la carrozzina a fatica fino al tavolo d’ingresso, facendo attenzione a non investire il filo e a non urtare il mobile con il vaso dei fiori. Afferra il piccolo block notes, aggiungendo diligentemente i due nomi alla lunga lista, per poi appoggiare il tutto sulle gambe immobili e spingersi nuovamente vicino al mobile del telefono. –Peccato, ci saremmo divertiti tanto…- mormora dispiaciuta. –Almeno Mike sarà presente!- confessa con imbarazzo all’amica, cerchiando il nome del nipote di un’altra vittima, ragazzo per cui ha una cotta da circa un mese.

Connie scuote la testa, ridacchiando. –Oh, quindi penso troverai facilmente qualcun altro con cui chiacchierare…- la prende in giro, appoggiandosi con le spalle alla parete e lasciandosi scivolare lenta sul tappeto d’ingresso, aggrovigliando il filo attorno alla mano.

-Mancherete solo tu, come al solito- sottolinea la diciassettenne, scorrendo nuovamente i nomi dell’elenco, -e, beh, la signora Minus6- termina con tristezza.

Constance aggrotta la fronte, perplessa. Il corpo di quel ragazzo grassoccio, quel Minus, secondo il rapporto era stato il più dilaniato dall’esplosione, tanto da lasciarne intatto un solo dito.

Quel dito.

La ragazza ricorda bene come, quel lontano novembre del 1981, il giorno dei funerali di stato per le vittime della Strage di Tooley Street, come ribattezzata dai giornali, ci fossero dodici bare lucide disposte ordinatamente davanti all’abbazia di Westminster e solo un vaso con tutto quello che, secondo gli inquirenti, restava del giovane Minus. Ma come aveva potuto un’esplosione di quella grandezza devastare in quel modo un ragazzo e lasciarne del tutto illeso un altro?

-Povera donna, dopo tutto quello che le è successo, anche questo…- continua Emily, sospirando sconsolata e facendo un cenno alla madre che andava tutto bene.

-Anche questo… Cosa?- domanda immediatamente Connie, incuriosita. Aveva incontrato la donna solo poche volte, ai funerali di Stato e durante le rare cene organizzate dalla famiglia di Emily alle quali sua madre l’aveva obbligata ad andare. La ricordava come una signora gentile, con gli occhi sempre acquosi come di chi ha pianto da poco e con un sorriso timido e incerto. Parlava del figlio morto in quel modo orribile in continuazione. “Il mio Peter” sussurrava in continuazione, con la voce rotta dal pianto, “Era un così bravo ragazzo, un eroe”.

Eppure qualcosa di quel bravo ragazzo non la convince.

Il particolare dell’amputazione del dito, ad esempio. Chaz aveva escluso a priori che potesse essere accaduto accidentalmente durante l’esplosione. “Se fosse stata la scheggia di un vetro delle vetrine esplose” aveva detto suo fratello, con la solita aria di onniscienza che lo contraddistingue quando parla di materie scientifiche, “avrei trovato dei particolati, delle schegge di vetro nella carne. E invece niente!” sbottava alla fine, frustrato da quell’incapacità di capire quel fenomeno.

Una ferita netta, causata da un’arma bianca, forse un coltello, comunque una lama molto affilata e che non lascia traccia.

Perché il dito di quel bravo ragazzo il cui corpo era finito del tutto carbonizzato era stato amputato?

-Non lo sai?- domanda Emily, riportando Connie alla realtà.

 

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Note:

 

1.    “E Black lì in piedi che rideva davanti a ciò che era rimasto di Minus... un mucchietto di stoffa macchiata di sangue e qualche... qualche frammento” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

2.    Stato di confusione e amnesia in cui può versare una persona dopo aver vissuto eventi traumatici

3.    “E un dito di Minus in una scatola. Il pezzo più grande che sono riusciti a ritrovare” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

  1. “«Gli manca un dito» disse Black. «Ma certo» sussurrò Lupin, «è così semplice... così astuto... se l'è tagliato da solo?»” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

5.    La comunità magica vive nel terrore di una strage come quella di dodici anni fa, quando Black uccise tredici persone con un solo incantesimo” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

6.    “fu di qualche consolazione per la sua povera madre” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

   
 
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