Mercy Clarke è una donna forte. Ha superato la
morte del marito e ha allevato due figli da sola. L’unica cosa chiesta in
cambio di tutti i sacrifici fatti è quell’attesissimo pranzo in cui può,
nuovamente, viziare gli adorati figli ormai cresciuti e allergici alle
esagerate profusioni materne.
Per questo, quel discorso appena nato, la sta
facendo preoccupare.
-Bambini, per favore, smettetela di litigare…- li
prega, raccogliendo con attenzione i piatti del servizio buono.
Connie ignora le richieste materne e insiste
caparbia del discorso che, a suo avviso, dovrebbe elettrizzare gli altri membri
della famiglia quanto ha fatto con lei. –Ma mamma!- sbotta infatti, -Ti sto
dicendo che è lui!-
Chester White squadra con sospetto il ritratto
raccapricciante dell’uomo che, in quel momento, occupa il centro della
tovaglia. –Constance…- sbuffa poi, stanco, cercando con scarsi risultati di far
ragionare la sorella.
-E’ lui!- ripete determinata la ragazza, ignorando
la porzione di brownies che sua madre
le ha messo nel piattino del dolce.
Chester scuote la testa, per poi afferrare il
foglio e voltarlo. –Piantala- le sibila, lapidario, con quel tono da fratello
maggiore che lo contraddistingue.
-E’ l’assassino di papà e tu non hai neanche il
coraggio di guardare un suo identikit!-
lo rimprovera ad alta voce Connie, battendo la mano sul tavolo e facendo
tintinnare le tazzine da caffè della signora Clarke che, rassegnata, saluta la
speranza di avere un tranquillo pranzo con i figli.
Chester si accarezza i baffi, tratteggiando con le
dita anche il contorno della bocca e del mento. –Quando ti deciderai a
crescere?- le domanda, iniziando a spiluccare con la forchetta il dolce.
-Mamma…-
Mercy sobbalza sulla sedia, sorridendo comprensiva
agli occhi speranzosa della figlia. –Tu mi credi, vero?- le domanda la ragazza,
allungando la mano sul tavolo per afferrare quella rassicurante della donna.
Chester spalanca gli occhi, stizzito, continuando a masticare con foga e
intercettando lo sguardo della madre.
-Ma certo cara!- la rassicura la donna,
accarezzando la mano callosa della sua bambina.
-Mamma, sul serio? Non darle corda!- sbotta
Chester, lasciando cadere la forchetta sul tavolo e tamponandosi gli angoli
della bocca.
-Caro, se tua sorella dice di aver visto quest’uomo
dopo l’esplosione, non vedo perché non dovrei crederle…- ribatte ovvia,
mantenendo un tono neutro e allungando la mano libera verso il figlio.
-Perché nessun altro di tutti i testimoni lo
ricorda!- sbotta impaziente, allargando esasperato le braccia.
-Chaz, ne sono certa. L’ho visto- ribatte seria
Connie, lo sguardo fisso sul retro del foglio. –E… rideva1- rabbrividisce alla fine, serrando gli occhi al
ricordo di quell’uomo in piedi in mezzo alle polveri e ai detriti.
-Constance, avevi undici anni, eri tramortita dall’esplosione
e la prima cosa che hai visto dopo quella luce accecante sono stati tredici
corpi a terra- ricapitola veloce Chester, ripercorrendo i fatti con la classica
freddezza e analicità tipica della squadra della scientifica di Scotland Yard.
–Fra cui papà…- mormora alla fine, senza nascondere la voce leggermente più
roca.
-Ma sono certa di averlo visto, Chaz!- ribatte
Connie, mentre la stretta attorno alla mano della madre si fa più forte.
Chester scuote la testa, sistemandosi meglio sulla
sedia. –Per più di tre mesi non hai ricordato nulla della strage di Tooley Street e poi, all’improvviso, sei
l’unica che ricorda quelle due persone litigare in mezzo alla folla- cerca di
spiegarle, paziente.
-Non sto mentendo!-
-Non dico questo!-
-Bambini…-
Al richiamo di Mercy, Connie e Chester sbuffano in
contemporanea, limitandosi a guardarsi in cagnesco sopra il tavolo per diversi
secondi.
-Eri solo una ragazzina…- riprende il discorso
Chaz, cercando di tenere il tono di voce basso e controllato. –Hai assistito a
una cosa orribile, Constance, me ne rendo conto, lo so. Eri in stato di shock e questo ha portato a una PTSD2.
Hai seguito la terapia, ti sei confrontata con le esperienze degli altri
testimoni, hai accettato quanto accaduto-.
Connie abbassa lo sguardo, afferra il foglio e
fissa lo sguardo negli occhi rabbiosi del ritratto del ricercato. –Eppure… io
me lo ricordo…- confessa a bassa voce, strascicando le parole e sovrapponendo i
tratti del volto di quell’uomo a quelli del giovane che aveva visto in mezzo
alla strada deserta.
-Forse era lì anche lui, un passante…- tenta
Chester, cauto, sperando di poter finalmente porre fine a quel discorso.
-Ma rideva!- scoppia invece Connie, accartocciando
sotto le dita un angolo del foglio per la presa troppo fissa.
-Probabilmente stava piangendo e tu hai confuso i
suoni. Eri intontita per l’esplosione…-
-E come mai lui era vivo? Era in centro alla
strada, Chaz! Tutti quelli in un raggio di sei metri sono morti, come mai lui è
sopravvissuto?-
Chester sbuffa, lasciandosi cadere di peso sullo
schienale della sedia.
-Questo è impossibile…- osserva con delicatezza
Mercy, fissando con gli occhi acquosi la faccia inferocita del ricercato.
-Sì mamma, è impossibile. Infatti non è stata
un’esplosione-. Connie sorride, osservando il fratello irrigidirsi sulla sedia.
-Non puoi dirlo con certezza…- si limita a
borbottare, osservando con nostalgia il proprio dolce nel piatto.
-Chaz, non puoi negare che ci sia qualcosa di
sospetto! Hai letto il rapporto, no? Fuga di gas. Hai studiato i rilievi? Il
centro dell’esplosione è stato proprio il centro della strada e lì non ci sono
tubature del metano, passano solo le condotte idriche- gli ricorda la sorella,
estraendo veloce dalla borsa la famosa agendina di cuoio e sfogliando
febbricitante gli appunti di anni di indagini.
-Si sarà trattato di un attentato… un qualche
esplosivo…- tenta Chester, poco convinto delle sue stesse parole.
-E perché non dirlo? E perché non hai trovato
particolati sulle prove?- lo incalza la sorella.
-Non me lo ricordare… se Eugene viene a sapere che
ho usato l’attrezzatura di laboratorio per indagini non autorizzate…- borbotta,
acuendo la voce all’idea di cosa il Commissario potrebbe fargli. Sperava di
poter, in quel modo, placare una volta per tutte i ridicoli sospetti della
sorella ma, al contrario, l’analisi delle prove raccolte in quella strada
avevano aumentato i suoi, di dubbi. L’esplosione si era espansa a raggiera da
un punto della strada assolutamente non pericoloso, distruggendo tutto in un
raggio di sei metri. La mancanza delle tubature del gas, quindi, gli aveva
fatto da subito escludere il rapporto ufficiale a favore della tesi della
bomba. Eppure non aveva trovato alcun particolato di qualunque tipo. Aveva
cercato resti di polvere da sparo, bicarbonato di sodio, nitroglicerina…
niente! E se non aveva trovato niente lui, laureato con lode in chimica
all’accademia militare, voleva davvero dire che non c’era stata alcuna bomba.
Ma allora cos’aveva causato quell’esplosione?
-E poi c’è la questione Minus- sentenzia lapidaria
Connie, fermandosi su una pagina e scorrendo con l’indice le note del rapporto
che aveva fatto Chaz dopo mille preghiere e promesse.
Chester stiracchia le labbra, in trappola. Era
stato lui a farle notare la discordanza fra il rapporto e la prova. Per la
versione ufficiale era l’unica parte del corpo di quell’uomo rimasta dopo
l’esplosione. Ma il taglio era netto, affilato, il bordo della ferita non
seghettato o incerto.
-Quel dito3 è stato certamente amputato4-
gli ricorda Connie, riprendendo a voltare le pagine del quadernetto.
-Ok, va bene, è strano- le concede alla fine,
notando con disappunto un sorrisino di superiorità espandersi sulla bocca della
sorella. –Ma questo non vuol dire che nessuno stia indagando-.
-Cosa? Ma se hanno archiviato il caso come
“incidente”!- gli rinfaccia lei. –E adesso questo avviso di evasione! Lo hai
letto? Non dice nulla! Né chi è, per quale motivo era dentro, da dove è
scappato… niente!- dice ad alta voce, porgendogli con impeto il volantino.
-E Eugene cosa ti ha detto?- domanda titubante
Mercy, ponendo molte speranze nel vecchio amico del marito.
Connie a quel nome sbuffa infastidita. –Niente.-
-Niente? Come niente?-
-Le ha detto di lasciar perdere, mamma- le
chiarisce Chaz, avvezzo al linguaggio sbrigativo del Commissario. –Qualcun
altro se ne sta occupando-.
-Quindi c’è qualcosa, no? Qualcosa di strano, che
non vogliono farci sapere!- esplode Connie, chiudendo di scatto l’agenda e
fissando speranzosa gli occhi del fratello.
Chester si limita a scuotere la testa. –Non lo so
Connie… tutta questa storia non mi convince, va bene ma… dobbiamo fidarci di
Eugene- termina, ostentando una sicurezza non sentita.
-Perché quando mi è tornata la memoria e gli ho
confessato di ricordare questo volto mi ha detto di dimenticare tutto? Perché
non posso farne parola con nessuno?- si sfoga frustrata la ragazza, ricordando
la visita di Eugene dopo l’incidente e le raccomandazioni urgenti che le aveva
fatto. -Chi è in realtà questo Sirius Black?- conclude, stremata.
-Non lo so, ma le soluzioni sono solo due- commenta
Chaz, espirando lentamente. –La prima è che si tratti solo di
un’incomprensione, una coincidenza o chissà cos’altro…- borbotta, alzando
l’indice per fare segno alla sorella di non interromperlo. –La seconda-
continua, osservando Connie tornata tranquilla –è che ci sia in ballo qualcosa
di grosso, Constance, di veramente grosso. E tu devi restarne fuori- le intima,
sinceramente preoccupato.
-Che potrei fare? Non ho in mano niente! Rapporti
fasulli e autopsie poco attendibili! E certamente non otterrò un mandato per
riaprire il caso- mormora scoraggiata.
Chaz tossicchia.
–Rianalizzerai il dito?- gli domanda poi la sorella
a bruciapelo.
-No- risponde, lapidario.
-Dai, Chaz, ti prometto che…- insiste Constance,
cercando di fargli gli occhi dolci come quando erano bambini.
-No!- ribatte Chaz, ignorando lo sguardo
supplichevole della sorella che, come al solito, mina la sua sicurezza.
Mercy lo fissa materna, attirando l’attenzione dei
due. -Chester, fai questo piacere a tua sorella…-
-Mamma, se mi beccano a sottrarre prove
dall’archivio e a usare le apparecchiature senza permesso, mi licenziano! Come
farà allora Elizabeth?- scoppia Chester, sorpreso che la madre gli stia
veramente chiedendo di fare un’azione che potrebbe minare la sua carriera alla
Scientifica.
Il nome dell’amata nipotina sembra far cambiare
idea a Mercy che, dopo un attimo, si alza dal tavolo con un sospiro di
dispiacere e raggiunge il telefono che aveva iniziato a squillare insistente.
Connie decide di affrontare il fratello con
serietà. -Voglio solo indagare sull’uccisione di papà, Chaz, avanti! Dammi una
mano!- lo prega alla fine.
-L’ho già fatto, Connie! Almeno tre volte in questi
anni! E la mia diagnosi è sempre la stessa: amputazione- conferma Chester,
punto sul vivo. Possibile che sua sorella dubiti a tal punto della sua
professionalità? Non ha riscontrato tracce di alcun tipo di esplosivo e il dito
è stato amputato. Fine della storia.
-Connie, cara, è per te- la informa la madre,
chiamandola dal corridoio d’ingresso dove il vecchio telefono di casa è da
sempre posto.
-Sì?- biascica la ragazza alla cornetta, poco
convinta. Gli unici al corrente del rituale pranzo del sabato a casa della
madre sono Dave e Eugene. E, al momento, non ha proprio voglia di sentir
nessuno dei due.
-Constance, spero di non disturbarti…- mormora una
vocina flebile all’altro capo dell’apparecchio.
-No Emily, non disturbi affatto!- trilla l’agente,
dopo aver finalmente individuato l’interlocutrice: Emily, la giovane e
migliore- nonché unica- amica che Connie abbia mai avuto.
-Ho organizzato per domani un pranzo, sai, in
memoria delle vittime della Strage…- la avvisa la ragazzina, con una tenera e
timida vocina.
Connie non riesce a trattenere un sorriso. L’ha
conosciuta proprio durante uno di quei pranzi di commemorazione. Anche il padre
di Emily è fra le tredici5 vittime di quell’assurda esplosione e
lei, a quel tempo cinqueene, aveva riportato una grave frattura alla colonna
vertebrale che le aveva limitato quasi del tutto i movimenti.
Nonostante l’affetto che sentiva per quella
ragazzina così indifesa e comunque piena di vita, Connie borbotta un’accorata
scusa, una “ronda straordinaria per l’evaso” che, proprio, non può rifiutare.
-Oh, che peccato!- si lamenta la ragazzina, -ne sei
proprio sicura?- insiste, caparbia come solo una persona nel suo stesso stato
può essere.
-Sì, purtroppo sì- mente ancora Connie, arrotolando
il filo del telefono attorno a un dito e sbirciando il salotto dove Chaz,
serio, ha iniziato a sfogliare con falsa indifferenza l’agenda con gli indizi.
–Mia madre e Chester, però, verranno di sicuro- promette. A differenza del
resto della famiglia, non le sono mai piaciute quelle commemorazioni.
Incontrare le famiglie delle altre dodici vittime era “un’inutile perdita di
tempo” come amava definirla lei durante le litigate con il fratello maggiore.
Ricordare i propri cari, leggere gli articoli di cronaca dei giornali locali… a
cosa serviva? Nessuno di loro sembrava aver visto quello che aveva visto lei.
Un giovane tracagnotto –che poi aveva scoperto chiamarsi Peter Minus- e un
ragazzo che litigavano in mezzo alla strada. E ora, dopo dodici anni, poteva
dare un nome al volto di quell’assassino: Sirius Black.
-Allora segno solo loro due- borbotta Emily
dall’altro capo del telefono, spingendo la carrozzina a fatica fino al tavolo
d’ingresso, facendo attenzione a non investire il filo e a non urtare il mobile
con il vaso dei fiori. Afferra il piccolo block notes, aggiungendo
diligentemente i due nomi alla lunga lista, per poi appoggiare il tutto sulle
gambe immobili e spingersi nuovamente vicino al mobile del telefono. –Peccato,
ci saremmo divertiti tanto…- mormora dispiaciuta. –Almeno Mike sarà presente!-
confessa con imbarazzo all’amica, cerchiando il nome del nipote di un’altra
vittima, ragazzo per cui ha una cotta da circa un mese.
Connie scuote la testa, ridacchiando. –Oh, quindi
penso troverai facilmente qualcun altro con cui chiacchierare…- la prende in
giro, appoggiandosi con le spalle alla parete e lasciandosi scivolare lenta sul
tappeto d’ingresso, aggrovigliando il filo attorno alla mano.
-Mancherete solo tu, come al solito- sottolinea la diciassettenne, scorrendo nuovamente
i nomi dell’elenco, -e, beh, la signora Minus6- termina con
tristezza.
Constance aggrotta la fronte, perplessa. Il corpo
di quel ragazzo grassoccio, quel Minus, secondo il rapporto era stato il più
dilaniato dall’esplosione, tanto da lasciarne intatto un solo dito.
Quel dito.
La ragazza ricorda bene come, quel lontano novembre
del 1981, il giorno dei funerali di stato per le vittime della Strage di Tooley Street, come ribattezzata dai
giornali, ci fossero dodici bare lucide disposte ordinatamente davanti
all’abbazia di Westminster e solo un vaso con tutto quello che, secondo gli
inquirenti, restava del giovane Minus. Ma come aveva potuto un’esplosione di
quella grandezza devastare in quel modo un ragazzo e lasciarne del tutto illeso
un altro?
-Povera donna, dopo tutto quello che le è successo,
anche questo…- continua Emily, sospirando sconsolata e facendo un cenno alla
madre che andava tutto bene.
-Anche questo… Cosa?- domanda immediatamente
Connie, incuriosita. Aveva incontrato la donna solo poche volte, ai funerali di
Stato e durante le rare cene organizzate dalla famiglia di Emily alle quali sua
madre l’aveva obbligata ad andare. La ricordava come una signora gentile, con
gli occhi sempre acquosi come di chi ha pianto da poco e con un sorriso timido
e incerto. Parlava del figlio morto in quel modo orribile in continuazione. “Il
mio Peter” sussurrava in continuazione, con la voce rotta dal pianto, “Era un
così bravo ragazzo, un eroe”.
Eppure qualcosa di quel bravo ragazzo non la convince.
Il particolare dell’amputazione del dito, ad
esempio. Chaz aveva escluso a priori che potesse essere accaduto
accidentalmente durante l’esplosione. “Se fosse stata la scheggia di un vetro
delle vetrine esplose” aveva detto suo fratello, con la solita aria di
onniscienza che lo contraddistingue quando parla di materie scientifiche, “avrei
trovato dei particolati, delle schegge di vetro nella carne. E invece niente!”
sbottava alla fine, frustrato da quell’incapacità di capire quel fenomeno.
Una ferita netta, causata da un’arma bianca, forse
un coltello, comunque una lama molto affilata e che non lascia traccia.
Perché il dito di quel bravo ragazzo il cui corpo
era finito del tutto carbonizzato era stato amputato?
-Non lo sai?- domanda Emily, riportando Connie alla
realtà.
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Note:
1. “E Black lì in piedi
che rideva davanti a ciò che era rimasto di Minus... un mucchietto di stoffa
macchiata di sangue e qualche... qualche frammento” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban
2. Stato di confusione e
amnesia in cui può versare una persona dopo aver vissuto eventi traumatici
3.
“E un dito di
Minus in una scatola. Il pezzo più grande che sono riusciti a ritrovare”
da Harry Potter e il Prigioniero di
Azkaban
- “«Gli manca un
dito» disse Black. «Ma certo» sussurrò Lupin, «è così semplice... così astuto...
se l'è tagliato da solo?»” da Harry
Potter e il Prigioniero di Azkaban
5.
“La comunità
magica vive nel terrore di una strage come quella di dodici anni fa, quando
Black uccise tredici persone con un solo incantesimo” da Harry Potter e il
Prigioniero di Azkaban
6.
“fu di qualche consolazione per la sua povera madre” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban