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Autore: NeverThink    19/07/2011    5 recensioni
Sapevo che era sbagliato, terribilmente sbagliato. Eppure non riuscivo a toglierli gli occhi di dosso.
Lo vidi uscire, camminare sulla sabbia chiara, dirigendosi verso me. Il sole si rifletteva sulle goccioline d’acqua salata che scivolavano lungo il suo corpo statuario, sui muscoli dell’addome e delle braccia ben delineati.
Corrugò la fronte a causa del sole. La pelle aveva oramai assunto un colore ambrato dopo la prima settimana di vacanza passata su quell’isola dei Caraibi.
Deglutii rumorosamente e voltai il capo, scostando lo sguardo dal suo corpo, dal suo viso, ma, soprattutto, dai suoi occhi color del ghiaccio.
La sua vista, per quanto fosse gradevole ai miei giovani occhi, era fonte di sofferenza.
(..)«Helen!»
Mi voltai e lo vidi avanzare verso la battigia, correndo. Entrò in acqua senza curarsi di bagnarsi i jeans e le scarpe. Si inginocchiò e mi sorresse, poggiando una mano su un fianco e una sul collo, scostandomi i capelli per metà bagnati.
«Ehi…» mormorò e il suo viso al chiaro di luna era ancor più bello. Inebetita l’osservai.(..) Istintivamente alzai una mano, sfiorandogli la mascella con i polpastrelli.
«Sei così cambiato, Ian.» mormorai.
Per te.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve gente. Sono “tornata” e mi scuso per la lunga assenza, ma con la seconda sessione d’esami concentrarsi su altro è stato davvero impossibile.
Ringrazio chi continua comunque a seguire la storia. :)
A voi, un bacio, Panda.

 

 

 

 

 

16.

 


~
Is our secret safe tonight?
And are we out of  sight or will our world come tumbling down?
Il nostro segreto è al sicuro stanotte?
E noi siamo fuori dalla visuale o il nostro mondo andrà in rovina?~



Quando uscimmo dalla mia camera, prendemmo percorsi diversi. Tremavo al pensiero di andare a pranzo e vedere Ian, lo stesso Ian che diceva di amarmi e che mi aveva ripetutamente sfiorata nei minuti precedenti, toccare, sorridere o baciare mia cugina. Il solo pensiero mi dilaniava il petto in due. Ma… in fondo, ero stata io a volerlo, no?
Mi passai una mano fra i capelli, cercando di darmi un contegno mentre schiacciavo il tasto dell’ascensore.
Ian aveva preso le scale e saremmo entrati in momenti diversi, da porte diverse. Mi sentii perfida, infima, meschina. Una persona che non poteva fare nulla alla luce del sole, che doveva giurare amore di nascosto, e vivere di baci rubati al tempo.
Mi morsi il labbro inferiore e mi appoggiai ad una delle pareti, abbassando lo sguardo. Le porte si aprirono al piano successivo e fui lieta di incontrare il viso di Shelly.
Sorrisi. «Ehi, Shelly.»
«Helen! Dove sei finita questa mattina?» chiese abbracciandomi.
Deglutii a fatica. «Ecco… ero in piscina, poi sono corsa a fare i bagagli.» risposi abbozzando un sorriso.
«Tua cugina è fuori di testa. Non capisce cosa ti prende. Cosa c’è che non va?»
Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Ero stanca di sentire persone che mi chiedevano perennemente se ci fosse qualcosa che non andava.
«E’ tutto okay, Shelly. Sono adulta, oramai.» risposi sorridendole.
«Ma sei comunque la più piccola del gruppo. È spontaneo preoccuparsi per te.»
Feci una smorfia, prima di abboccare un sorriso. «Già.»
«Oggi pomeriggio vieni in spiaggia, no? E’ l’ultimo giorno… dato che domani sera si parte e dobbiamo essere all’aeroporto nel pomeriggio.»
Shelly era da sempre quella logorroica nel gruppo e spesso, quando parlavo con lei, non prestavo attenzione ad ogni parola… come in quel momento. La lasciai parlare e sentii a malapena cosa avesse da dire su Jared, quanto fosse meraviglioso e di quanto lei lo amasse. Avrei potuto concentrarmi sulle sue parole per non pensare ad altro, ma era del tutto impossibile poiché il tema principale era l’amore. Perciò pensai di distrarmi pensando all’oceano, ai delfini… immersa nei miei pensieri non mi accorsi di essere già arrivata in sala pranzo. Il cuore parve perdere un battito.
Ian era seduto di fianco ad Abby, lo sguardo fisso nella mia direzione. Aveva i gomiti poggiati sulla tavola, le mani sulla tovaglia. Lei aveva un braccio intrecciato al suo e giocava con le sue mani inerti. Parlava con Anthony che le sedeva di fronte e cercò di attirare l’attenzione di Ian senza riuscirci. Mentre ci avvicinavamo al tavolo, lei seguii lo sguardo impassibile di Ian, incontrando così il mio.
Sorrise, confusa. «Helen! Finalmente!» esclamò.
Cercai di abbozzare un sorriso, sperando che la mia espressione non apparisse una smorfia. «Ciao.» dissi.
«Anthony mi raccontava della piscina.» disse con divertimento poggiando le tempia sulla spalla di Ian. Nei suoi occhi mi parve d’intravedere uno spruzzo di malizia e sfida.
No, mi dissi, no, impossibile.
Il mio cuore singhiozzò.
«Oh.» riuscii solamente a dire, lì, immobile, mentre Shelly prendeva posto accanto ad Anthony e Jared, che baciò sulla labbra.
«Dai, vieni a sederti qui, vicino a me.» disse battendo sulla sedia.
Deglutii rumorosamente mentre Ian si mosse sul posto.
Sorrisi flebilmente ed annuii col capo. Aggirai il tavolo, guardando il pavimento rivestito di moquette rossa , e mi accomodai accanto ad Abby, ancora stretta ad Ian.
Avrei voluto alzarmi di scatto, urlare e scaraventare il mio piatto contro il muro, ma non potevo farlo. Strinsi i piedi attorno alle gambhe del tavolo.
«Oggi è l’ultima sera. Dobbiamo fare qualcosa di memorabile.» disse Anthony con gli occhi che gli brillavano per l’eccitazione.
«Entro i limiti imposti dalla legge.» aggiunse Ryan alzando un sopracciglio.
Anthony lo guardò prima di sbuffare. «Come sei noioso.»
«Responsabile.»
Sorrisi e scossi il capo.
«Ti diverti con loro.» mi mormorò mia cugina.
Non mi voltai a guardarla, cercai di tenere Ian lontano dal mio campo visivo. Così, fissai il cestino del pane. «Mi diverto con tutti.»
«Con me no.»
«Andiamo, non essere ridicola.»
Per alcuni secondi, rimase immobile. Sospirò, poi si voltò. Non parlammo per il resto del pranzo.


«E’ la nostra ultima notte, ragazze. Dev’essere memorabile.»
Io e Shelly ci guardammo, mentre Anthony si portava il bicchiere di Jin Tonica alle labbra, svuotando il bicchiere.
«Ora mi fai paura.»
Lui si avvicinò e sorrise maliziosamente. «Dai, Helen. So che sei d’accordo con me.», attirò l’attenzione di un cameriere ed ordinò una tequila.
Alzai un sopracciglio. «Forse è meglio se non la bevi. Anzi, questo è un ordine.»
Eravamo in un locale in riva al mare, ci eravamo già stati lì… quella sera in cui Ian mi trovò sulla battigia.
«Che ne dite di un menage a troìs?» chiese alzando ritmicamente le sopracciglia.
Shelly sospirò e si poggiò allo schienale della sedia, incrociando le braccia.
Io scossi il capo. «Taci, Anthony.»
«Siete senza spirito d’iniziativa, ragazze.»
«Sei ubriaco.» sbottò Shelly dandogli un pizzicotto sul braccio.
«Ora sto sanguinando.» ironizzò guardo la parte di pelle colpita.
«Basta, è ingestibile.», Shelly scattò in piedi. «Stacci dietro tu, io non ne posso più. Vado a cercare gli altri.» sputò allontanandosi.
Sospirai e mi passai una mano sul viso. Eravamo usciti da circa un’ora ed Anthony era già ubriaco. Gli altri ragazzi, inclusa Abby, erano andati a prendere da bere al bancone per poi fare un salto in riva al mare. Io Avevo convinto Anthony e rimanere, lì, con me, desiderosa di stare il più lontana possibile da mia cugina e Ian, il cui pensiero mi causava una sistematica fitta di dolore.
Forse, non era stata una buona idea.
In quel momento arrivò la tequila per Anthony.
«Sì, tequila, tu sei il mio unico amore.» sorrise afferrando il bicchiere, ma glielo tolsi di mano e rimase con l’arto a mezz’aria. Si voltò a guardarmi, fulminandomi.
«Dammela.» sibilò.
«No.»
Ridusse gli occhi a due fessure. «Helen, dammi quel bicchiere. Ora.»
«Ho detto di no.» risposi con voce dura.
Allorché lui si alzò e si sporse verso me, cercando di togliermi il bicchiere di mano. Mi opposi, allontanandomi e alzandomi appena sulle gambe. Persi l’equilibrio esattamente come Anthony e la tequila mi finì sul vestito rosso che indossavo.
C’immobilizzammo e rimanemmo entrambi a guardarla grossa macchina bagnata sul mio vestito senza spalline. Sentii l’irritazione montare, la rabbia ribollirmi nelle vene.
«Sei un idiota!» esclamai spintonandolo tanto da farlo ricadere sulla sedia.
«Mi dispiace!» rispose lui guardandomi negli occhi, sinceramente pentito.
«Oh, Dio!», allargai le braccia e mi allontanai. Mi voltai, prima di sparire dalla folla. «vado in bagno e giuro, giuro su tutto l’amore del mondo, che se non ti trovo qui al mio ritorno con un bicchiere d’acqua invece che di qualsiasi alcolico, ti faccio diventare sterile.» sibilai.
Non mosse un muscolo. Si limitò a fissarmi, prima che mi girassi per andare in bagno. Tagliai per la pista da ballo, dando di tanto in tanto spallate perché nessuno era disposto a spostarsi.
Una volta arrivata alla toilette femminile presi della carta e cercai di lavar via un po’ di tequila aiutandomi con un po’ d’acqua, ma il risultato, come era prevedibile, non fu dei migliori.
Poggia le mani sul lavandino e chiudi gli occhi, respirando a fondo.
Questa è l’ultima sera, Helen, non facevo che ripetermi. L’ultima sera.
Sì, dopo tutto sarebbe tornato alla normalità. Oh, ma chi volevo prendere in giro.
Consapevole di aver lasciato Anthony ubriaco al tavolo, da solo, scossi il capo e riavviandomi e capelli uscii dalla toilette e mi diressi verso il tavolo, tagliando ancora per la pista da ballo. Una volta arrivata all’angolo, quello dov’era il nostro tavolo pensai di aver sbagliato, perché non vidi Anthony da nessuna parte, Poi capii che, semplicemente, non c’era.
M’irrigidii. «Oh, oh.» mormorai a me stessa, mentre spalancavo gli occhi e mi guardavo intorno.
In quel momento, sì, peggio non poteva andare. Ovviamente, mi sbagliavo.


Mezz’ora più tardi mi ritrovai a cercare Anthony accompagnata  da Ryan.
Stavamo cercando sulla spiaggia, un luogo che m’incuteva terrore, perché ossessionata dalla vista di Ian stretto a mia cugina, una scena vista troppe volte e troppo crudele alla luce dei recenti avvenimenti. Ogni sagoma avvolta dall’oscurità era un sussulto.
«E’ come un bambino.»
«L’hai capito solo adesso?» sbuffai incrociando le braccia al petto.
«Ha anche il cellulare staccato.»
«Potrebbe essersi appartato con qualche ragazza.»
«Perché, una ragazza si sarebbe appartata con un ragazzo che puzza d’alcool? Di solito è il contrario.»
«Mai dire mai. Sai, magari lei si è innamorata guardandolo negli occhi.»
Ryan si voltò a guardarmi. «Ed io sono Nicole Kidman, Helen.»
Roteai gli occhi. «Era un’ipotesi, Ryan.»
«Cosa farai dopo?» chiese lui voltandosi a guardarmi, con espressione seria.
«Lo prenderò a pugni, credo… o almeno ci proverò.»
«Non mi riferivo ad Anthony, Helen.»
«Oh.» chinai appena il capo. «Ancora non lo so. E’ tutto così difficile. Ma di una cosa sono certa, Ryan, rinunciare a lui sarebbe come smettere di respirare ed ho passato troppo tempo in apnea.»


Nelle due ore successive alla ricerca del ragazzo perduto, si unirono anche Jared e Shelly, che aveva rinunciato ai suoi momenti di tranquillità.
Cercammo un ovunque, in spiaggia, nel villaggio, nei locali, ma non v’era traccia di Anthony da nessuna parte. Stanchi e preoccupati, nel cuore della notte, tornammo in albergo sperando che fosse lì, in teoria avrebbe dovuto, più o meno, aver smaltito la sbornia.
Di tanto in tanto si intravedevano coppiette che tornavano in stanza, tenendosi per mano, e dovetti lottare contro me stessa per non piegarmi in due dall’invidia.
«Hai provato a chiamare Abby?» mi chiese Shelly in uno sbuffo.
Mi morsi l’interno della guancia. «Ha il cellulare staccato.»
«Ian?»
Mi voltai a guardare un punto indefinito della siepe che circondava una piscina, come se cercassi lì una risposta, ma qualcosa attirò la mia attenzione. Tre figure erano sedute sul bordo della piscina ed affinando lo sguardo, riuscii a vedere.
Sgranai gli occhi e mi pietrificai, tanto che Shelly mi chiamò più volte, ma mi voltai verso di lei solo quando mi scosse.
Imprecai e ringhiai, prima di dirigermi a passo pesante verso la piscina, scavalcando la siepe e graffiandomi le gambe.
«Cosa diavolo ti dice il cervello?» ringhiai con il sangue che mi ribolliva nella vene.
Le tre figure saltarono e contemporaneamente si voltarono, guardandomi in modo confuso.
«Hai idea di quanto ero in pensiero? Quanto ti abbiamo cercato? Eh? Hai idea di quanto io voglia strangolarti in questo momento?» urlai dandogli una spintone sulla spalla, tanto che, per non cadere in piscina, dovette reggersi ad Ian.
«Helen, calmati per favore.» mi sussurrò Ryan afferrandomi per un braccio.
«No che non mi calmo!» esclamai guardandolo. «Sono ore che lo cerco! Gli avevo chiesto di restare al tavolo mentre io pulivo il disastro che ha combinato sul mio vestito! E lui che fa? Se ne va e nessuno di loro è rintracciabile sul cellulare!» gridai fuori di me guardando Anthony.
«Oh, non capivo nulla!» si giustificò lui.
«Mi sembra che ora non sia così.» sibilai e, presa dalla rabbia, non notai che Ian ed Abby si erano alzati dal bordo della piscina.
«Tesoro, calmati.» mi ammonii mia cugina poggiandomi una mano sulla schiena.
«Non toccarmi!» esclamai.
«Ma cosa ti prende?»
«Cosa mi prende? Ho vagato in cerca di questo idiota per ore! Preoccupata! E nessuno qui mi ha avvisata!»
«Rettifico,» disse Shelly, «Abbiamo vagato.»
«Mi dispiace, ragazzi…sul serio, Helen, non ho pensato…»
Scossi il capo e sospirai, passandomi una mano fra i capelli. «Me ne vado a dormire. Buona notte.» e mi allontanai, contenta che quella vacanza fosse finita.


Un’ora dopo mi ritrovai stesa sul letto in posizione supina, le dita incrociate sul ventre. Ero stanca, avevo sonno, ma non riuscivo a dormire.
Avevo ignorato l’sms di Abby che mi chiedeva se era tutto okay e se ero ancora sveglia. La ignorai quando venne a bussare, ignorai anche Ryan. Avevo solo voglia di starmene distesa sul letto e rimuginare su un domani che appariva una grande incognita, un gigantesco buco nero. Ma, ora, ero stanca di starmene lì, così mi misi e sedere e dopo essermi guardata intorno, mi alzai, indossai un paio di calzoncini e afferrai una giacca di cotone che misi sopra la canotta.
Uscii lasciando il cellulare in camera e cominciai a vagare per l’albergo, prima di uscire e dirigermi verso la piscina. Tutte le luci erano spente eccetto quelle all’interno della vasca ed il loro bagliore gettava fasci di luce sulle sedie ed i muri, mentre le increspature dell’acqua danzavano rendendo tutto estremamente suggestivo. Camminai lungo il bordo della piscina per interminabili minuti, poi mi sedetti immergendo i piedi nell’acqua, muovendoli, facendola increspare ancor di più.
Rimasi lì, non so per quanto tempo, stretta nel mio golfino di cotone, con la mente immersa in quella piscina, desiderosa di non pensare al domani, perché il non sapere che cosa ne sarebbe stato di me, di Abby… di Ian, mi angosciava, mi faceva tremare e stringere lo stomaco in una morsa.
«Fa freddo qui.»
Sobbalzai e di scatto mi voltai guardando la figura alle mie spalle.
«Mi hai spaventata.» soffiai senza riuscire a voltarmi, allontanare il mio sguardo dall’oceano dei suoi occhi.
«Perdonami. Non era mia intenzione.» mormorò con voce calda e roca, accennando un lieve sorriso.
Sorrisi e mi voltai, chinando appena il capo. «Perché sei qui?»
«Perché ci sei tu.»
Il mio cuore perse un battito.
«Come facevi a sapere che ero qui?»
«Ti ho vista dalla finestra accanto alla tua stanza.»
Oramai era in piedi accanto a me, alzi il capo per guardarlo in volto.
«Sei stato in camera mia?»
«Avevo bisogno di vederti, Helen.» disse , e la sua voce era denso miele.
«Davvero?»
Rise sommessamente. «E’ così difficile da credere?» domando sedendosi accanto a me, immergendo anche lui i piedi nell’acqua, dopo aver arrotolato al ginocchio i jeans.
Sorrisi e scossi il capo. «Non dovresti essere qui. Lo sai.»
«Oh, hai ragione.» rispose.  Mi morsi il labbro e mi voltai a guardarlo.
Trattenne un sorriso, poi si avvicinò a me, tanto che i nostri fianchi, le nostre spalle si toccarono, mi circondò il collo con un braccio e mi attirò a se, poggiando la guancia sulla mia testa.
«E’ qui che dovrei essere.»


«Fra sette ore abbiamo il volo, non credi sia meglio dormire un po’, Helen?» mi chiese Ian all’orecchio.
Sorrisi. «No, si sta così bene qui.» mi lamentai.
Rise sommessamente. «Andiamo, Helen.»
«Per essere privata della tua compagnia?», alzai lo sguardo sul suo viso. «Come posso ardentemente desiderare di averti, di stringerti, amarti fino a che l’ultimo alito di vita abbandoni il mio corpo e, alla stesso tempo, desiderare che tu renda felice mia cugina? Come posso?»
«Qualunque decisione tu prenda, Helen… sappi che non puoi farci nulla. Non posso tornare da lei se amo te. Non posso farle vivere una menzogna. Tra me ed Abby è finita già da tempo, anche se lei non vuole ammetterlo… e, forse, non è mai iniziata. Ci sei sempre stata tu, anche quando per te non c’ero io. La mia felicità è incatenata alla tua, la tua alla mia. Non puoi salvare tutti, non puoi rendere tutti felici. Ci sarà qualcuno che soffrirà e lo sai… ma, per quanto egoista forse possa essere, non posso permettere che sia tu.»
«Se solo l’avessi capito prima… se solo avessi compreso ciò che in realtà provavo quando dicesti di amarmi… sarebbe tutto diverso, ora. Oh, se solo potessi tornare indietro.» mormorai con voce rotta.
«Ssst. Tranquilla.» sussurrò sulla pelle della mia fronte. «Ora sono qui. Nient’altro conta.»
Sorrisi e affondai il viso nel suo collo. «Come fai?»
«Di cosa parli?»

«Farmi sentire… appagata… completa.»

«Che buffo,» soffiò sulle mie labbra, «stavo per chiederti la stessa cosa.»



Poco dopo lasciammo la piscina, l’aria fredda della notte e ci dirigemmo verso la mia camera, vicini, le mani che appena si sfioravano. Camminavamo in silenzio, avevo paura persino di respirare, come se Abby, o qualcun altro, potesse avvertire la mia presenza, o il mio tradimento urlare. Camminavamo con i sensi di colpa a piegarci le spalle, dolorosi ed inevitabili. Eppure continuavamo a camminare, a restare l’uno accanto all’altra spinti legati da un filo invisibile, da un desiderio di felicità e l’illusione di un mondo primo di dolore. Che fosse la scelta giusta, o la scelta sbagliata non ci era dato di sapere, ma prendere strade diverse avrebbe significato smettere di respirare.
Aprii la porta ed entrammo nella stanza.
«Vieni qui.» disse Ian afferrandomi per una mano ed attirandomi a sé. Mi strinse con dolcezza, prima di ingabbiarmi il viso fra le mani.
Alzai una mano e gli sfiorai il profilo della mascella, prima di premere il palmo sulla guancia.
«Ti amo, Ian.» sussurrai senza smettere di guardarlo negli occhi.
Sorrise e posò le sua labbra sulle mie, s’incastrarono, si plasmarono ad esse.
M’inebriai del suo profumo, mi saziai delle sue labbra, mi ubriacai della sua dolcezza.
Poi qualcosa interruppe quel momento, un qualcosa tanto simile ed un fulmine che fende e squarcia il cielo notturno; un vaso di cristallo che cade sul pavimento, frantumandosi; un rumore ed un suono che mi perforarono i timpani e mi dilaniarono il petto.
Un forte bussare, una voce.
«Helen, aprimi. Sono Abby.»

   
 
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