Ecco a voi il secondo capitolo.
Ci ho messo un secolo a scriverlo e non so perché. Avevo già tutte le
scene in testa, ma ogni volta che provavo a buttare giù qualcosa mi bloccavo,
le parole non mi venivano.
Stamattina, invece, non mi sono fermata un solo istante: ho cominciato a
battere le dita sulla tastiera e non ho più smesso.
Spero sia servito a qualcosa questa ondata di ispirazione e che questo
capitolo non faccia schifo.
Ringrazio Homicidial Maniac per la Recensione e tutti
coloro che hanno letto il piccolo prologo, anche se in silenzio.
Buona Lettura!
2.
La Perla Più Rara
~ Andrea ha in bocca un Amore ~
Quando
arrivo al paese, Piero mi corre incontro: ha la lingua di fuori come Libero, il
cane che gironzola per il paese, e la faccia bianca come il latte cagliato.
Mi viene
incontro, sudato fradicio, e prende grandi sorsi di aria, prima di tirare su
gli occhi e guardarmi senza aprire bocca. Non ho mai visto Piero così
spaventato, ma adesso sembra che ha visto la Morte nella sua faccia di
scheletro.
-Che c’è,
Piero?- gli chiedo, prendendogli la spalla e muovendogliela piano –Che ci hai?-
-La
guerra..!- grida, cogli occhi fuori dalla testa e la lingua a penzoloni sulla
bocca –C’è la guerra e sono venuti a prendermi!-
-Chi..?- gli
faccio e sento che il cuore mi si attorciglia forte.
***
Sono due e
sono seduti all’osteria.
Uno è alto e
smilzo, e fuma la sigaretta facendola ballare tra i denti che invece di essere
bianchi e dritti sono sporchi di grigio e tutti storti; ha i capelli che
ricordano il colore del sughero e occhietti scuri che si arrampicano come
moscerini sulle travi dell’osteria.
L’altro, che
non gli sta troppo lontano, ma non sembra neanche volergli stare troppo vicino,
ha i riccioli neri, tanti riccioli neri, che gli coprono gli occhi, così io non
glieli vedo. Non ha la sigaretta, ma batte le dita, che sono lunghe, come
spighe di grano, e con le unghie bianche della Marinella, sul banco dell’oste,
che non sembra che gli piaccia. Anzi, ha una faccia scura che gliela
raccomando.
Piero sta
vicino a me e si gratta le nocche fino a che esce il sangue e allora caccia le
mani nelle tasche della giacchetta, ma non smette di mandare giù la saliva e
respirare forte; io lo guardo strano, perché non ci credo che sono loro quelli
che lo sono venuti a prendere.
Forse sì,
quello con la faccia scura e la sigaretta che ci ficca gli occhietti nei nostri
e ci fa un sorriso strano, quello sì, forse. Ma l’altro non sembra così cattivo
da portare Piero via dalla Ninetta. O forse sono solo io che voglio pensare che
è così.
Mi avvicino
e Piero si fa coraggio, mi stringe il gomito e fa di sì con la testa, come a
dire “Qui ci penso io”; allora mi fermo più indietro e sento gli occhi di Riccioli Neri che mi guardano, ma io
faccio finta di essere interessato al Nano che ci sta raccogliendo tanto odio
dentro le guance che potrebbe sputarcelo addosso.
-C’è la
guerra, allora?- chiede Piero e strascica il piede a terra, con le braccia
incrociate.
Io lo guardo
di striscio, ma prego il Signore che anche se c’è la guerra di non portare via
Piero, perché deve sposare la Ninetta e la Ninetta da sola, senza Piero, non
può viverci.
-Sì- dice
quello con la sigaretta e ci ha lingua che struscia contro il palato, una voce
molle, rassegnata come quella del babbo di Piero quando dopo una gela tutto il
raccolto andava perso –C’è la guerra-
-Dove?-
continua Piero.
-A Trento-
Trento è
lontano, via dal paese, dalla piana, dagli alberi, dai monti. È lontano e so
che ci sono gli Austriaci, con le loro divise tutte pulite e sistemate che
sembra il giorno della festa.
Il babbo di
Piero li ha visti, una volta, gli Austriaci, e dice che secondo lui pensando
solo a suonare il piano e prendono la vita come uno spettacolo a teatro, dove
devono fare solo bella figura con un costume tutto brillante e la voce dolce.
Alzo gli
occhi su Riccioli Neri, perché voglio
parlarci, dirci che Piero fa tanto quello che in guerra spara a tutti, ma non
sa nemmeno chi è il nemico, perché la guerra non gli piace, perché la guerra, dice,
non ha senso, dato che è solo uno spararsi e farsi fuori di gente che di
diverso ci hanno solo il colore degli occhi e della giacca. Voglio dirci tutto
questo, ma non ci riesco.
I suoi occhi
mi tengono fermo, impalato in mezzo all’osteria, e io non riesco a non pensare
che ci ha gli occhi neri del bosco sopra Berceto, quando il sole si caccia tra
i rami e si spezza fra le foglie, e c’è più nero che luce, ma la luce è ancora
più bella con tutto quel nero, perché poca e preziosa.
Sento che il
cuore mi si stringe forte e lo stomaco si attorciglia una, due, tre volte, e
non riesco a respirare con quegli occhi di bosco che mi tolgono la voce e l’aria.
-Io mi devo
sposare- dice Piero e se la Ninetta lo sentisse adesso si metterebbe a
piangere, ché l’ha detto con tanto amore che le ginocchia mi tremano e mi
sembra di cadere. O forse sono ancora quegli occhi che non mi lasciano stare,
così neri e grandi e profondi come il bosco del Berceto. No, non è il nero
degli alberi di Berceto, ma è un nero distante che io non conosco, è il suo nero, del suo bosco, lontano, chissà dove.
-Tra una
settimana partiamo- fa Riccioli Neri
e la sua voce è strana, perché la bocca aspira tutte le parole e le soffia via
piano, come fa il fumo della sigaretta del Senza Nome.
Piero scuote
la testa, ma io lo vedo appena. Quegli occhi non mi lasciano ancora andare.
***
Io, quando
lavoro all’orto, canto.
Canto male,
ché non ho una voce bella, ma mi piace e mi do il ritmo e sento meno la fatica
e il sudore che mi si appiccica alla testa e ai capelli e mi macchia di marrone
le guance quando si mescola con la polvere.
Oggi Piero,
a lavorare, non c’è: sta preparando il matrimonio con la Ninetta e stanno
facendo tutto di fretta e furia, dato che Riccioli
Neri non ha voluto cambiare idea. Una settimana e poi vanno a Trento.
Non voglio
pensarci, al Piero che va lontano. Mi fa male il cuore e penso alla Ninetta che
rimane tutta sola nella casa, a fare il ricamo e guardare alla finestra con gli
occhi tristi, magari con la testa girata alla finestra sbagliata, perché mica è
facile, da qui, capire dove ci sta Trento.
-C’è una donna che semina il grano-
comincio e le parole mi vengono su tutte tappate, anche se non sto piangendo.
Non so perché canto la foletta, forse
ci ho bisogno di allegria. –Volta la
carta e si vede il..-
-..Villano-
Alzo subito
la testa e mi giro, con la bocca spalancata e gli occhi di fuori.
Riccioli Neri è là,
davanti a me, con il sorriso che gli tira su la bocca e gli arriva agli occhi,
che adesso ci hanno davvero la luce del sole dentro al bosco; tiene le gambe
incrociate sul muricciolo di pietra e mi guarda, e io mi sento diventare tutto
rosso, perché certo mi ha ascoltato e io non ci ho una bella voce da ascoltare.
Riccioli Neri mi fa segno con la
mano, scuote un po’ il polso e fa di sì con la testa, e io, allora, smozzicando
un po’ le parole, perché mi vergogno, continuo e cerco di continuare la
filastrocca.
-Il villano che zappa che la terra, volta la
carta e..- chiudo la bocca e lo guardo.
Lui si porta
il dito al labbro e ci picchietta un po’ sopra, con gli occhi alti, a guardare
il cielo, e sembra che il cielo gli ci abbia versato un po’ del suo azzurro.
-..e viene la guerra- ma l’ultima parola
non si sente, perché abbassa tanto la voce, come se è pentito di aver parlato
della guerra.
Io non lo
guardo più e giro la testa, torno al mio orto e al Piero che si deve sposare e
poi parte per la guerra.
E tanto che
penso al Piero che deve partire, mi viene da dire qualcosa di nuovo per la foletta
-Per la guerra non c’è più soldati-
-A piedi scalzi son tutti scappati-
Poi, non
parliamo più. Stiamo in silenzio, io col sole sulla schiena e lui dietro di me,
ché anche se non lo vedo e non mi giro, lo so che è lì. Ci sono i suoi occhi
che mi bruciano e mi fanno male anche più del sole.
***
-Di dove
sei?- gli chiedo, mentre mastico un po’ di pane che mi sono portato nella
saccoccia.
-Vallombrosa-
mi risponde Riccioli Neri mentre
pilucca un po’ di salame che ci ho dietro.
Anche oggi,
l’ho trovato seduto sul muricciolo, che mi aspettava: non abbiamo parlato fino
a quando il sole non ci è venuto a picco sulla testa e allora ho smesso di
lavorare all’orto e mi sono avvicinato e gli ho chiesto se aveva fame.
Ora siamo
tutti e due seduti sul muricciolo e parliamo di tutto, ma non ci diciamo
niente. Qualche volta lui mi guarda, ma faccio attenzione a non guardarlo io, perché
altrimenti non riesco a mandare giù nulla: il pane mi si ferma nella gola e non
scende più, rimane lì, duro come le pietre su cui stiamo, tanto vicini che
sento la sua spalla che tocca la mia.
-Piero è un
bravo bischero- mi dice –La guerra
non fa per lui-
-E allora
non portarlo via- ci dico, e l’ho detto veloce, ma l’ho detto.
Ho anche
alzato la testa e adesso mi trovo con gli occhi nei suoi e non so che fare, perché
ho freddo, ma il sudore mi si appiccica alle ciglia e non mi fa vedere bene.
Riccioli Neri alza la mano
e io mi faccio indietro, perché ho paura che mi da’ uno schiaffo e la smette di
guardarmi. Si ferma e chiude le dita e le mette sul ginocchio.
Non parliamo
più e io guardo il suo profilo, netto contro il sole e contro l’orto.
***
-Andrea-
Io alzo gli
occhi e lo guardo.
È di nuovo
qui.
-Sì?- gli
chiedo e sono curioso, perché non so come sa il mio nome. Io non gli ho detto
mica come mi chiamo.
Lui mi
guarda strano e tira su le sopracciglia
-Andrea- ripete e si batte il petto con
le palme delle mani.
Io sorrido.
-Anche io-
Andrea mi sorride.
***
Oggi non
lavoro, il Piero ha detto che vuole lavorare lui, perché non ce la fa più a
sopportare la mamma che urla nella casa, che non trova il corredo, che il
ricamo è sbagliato, che il babbo deve andare a vedere se i conigli suono buoni
per essere ammazzati, che il giorno del matrimonio è vicino e se non ci sono i
conigli non si mangia bene.
Io e Andrea camminiamo un po’ sulla collina,
col sole davanti che ci brucia gli occhi, ma illumina i campi ed il cielo, che
sembra ancora più azzurro di come già è, ed è un colore splendido.
Ci sediamo
in mezzo all’erba e lui si stende vicino a me, con le mani dietro la testa e
non mi guarda, ma guarda l’azzurro del cielo.
Mi sento
strano, a guardarlo così.
Mi sento
come quando la Marinella era ancora qui e non era partita la città e tutti le
facevamo la corte perché lei era bella, ma così bella che adesso, sono sicuro,
ha incontrato un principe di quelli delle favole che ci raccontavano da
bambini, col capello bianco e il mantello rosso.
A stare
vicino a Riccioli Neri mi sento come
se la Marinella è di nuovo qui e allora mi ricordo di come la guardavo e
aspettavo un suo sorriso e quando me lo dava sentivo il cuore contro il petto e
faceva male, ma un male dolce di quelli che vorresti piangere perché la
felicità è tanta che non riesci a tenertela tutta dentro.
Quando sento
la spalla di Andrea contro la mia o
il suo respiro quando mi è vicino, ho caldo e i brividi mi vengono sulle
braccia e salgono, salgono, salgono e io vorrei dire a Riccioli Neri di andare via, perché mi fa male, ma invece voglio
tenerlo vicino, perché quel male che sento mi fa tanto bene anche se mi toglie
il fiato e mi brucia il petto e mi rompe le ginocchia.
-A cosa
pensi?- mi chiede e io mi giro e abbasso la testa verso di lui, che mi guarda
con quegli occhi che sono..sono belli, grandi, neri. Belli.
-Perché c’è
la Guerra?-
Andrea si tira su e piega
la testa
-Perché rivogliamo
l’Italia. Non siamo ancora l’Italia, ci manca la terra degli Austriaci. Noi
adesso andiamo a Trento per riprendercela-
Io faccio di
sì con la testa
-Ma io non
posso venire a fare la guerra per riprendere l’Italia- ci dico e mi sento male,
perché lui va a combattere per l’Italia e io rimango come uno scemo all’orto. E
anche Piero ci va, anche se è sposato con la Ninetta –Io la leva non l’ho
fatta-
-Allora- mi
mette una mano sulla spalla, ma mentre lo fa sento le sue dita che mi
accarezzano la guancia e io voglio solo prenderci la mano e non lasciarla
andare, tenerla lì sulla mia guancia per averci quello strano calore che mi fa
sentire freddo sempre vicino –Combatterò anche per te-
***
Domani c’è
il matrimonio e io e Andrea siamo al
ruscello che passa nel bosco.
Non so se
ridere o piangere. Mi sento strano e quando provo a sorridere mi esce fuori
solo una smorfia che fa ridere Riccioli
Neri, ma anche la sua risata è strana e si sente che non è vera, perché i
suoi occhi sono ancora più scuri del nero del bosco.
Ci sediamo
vicino su un sasso e rimaniamo a guardare l’acqua che scorre. Non mangiamo
neanche. Io ho lo stomaco chiuso e sto male se solo ci penso a ingoiare qualcosa.
Poi c’è qualcosa che mi blocca la gola, ed è amaro come il fegato di merluzzo.
-Te non ti
sposi?- mi chiede all’improvviso e io faccio un salto.
Divento
tutto rosso e balbetto qualcosa che non ha senso, non so neanche io se sono
parole vere o che mi ci sono appena inventato.
Lui ride e
quando io gli faccio se lui è sposato, comincio a pregare in silenzio il
Signore che non è così, perché se è sposato io muoio. Oh, so che è brutto, che
devo sentirmi così solo con una donna, perché è strano, non è normale che mi sento
con Andrea come quando c’era la
Marinella e io le facevo la corte, ma non ci riesco, sto male e sto bene, ho
caldo, ma ho freddo, voglio tenerlo lontano, ma lo voglio vicino, tanto vicino da
avere il suo fiato che mescola al mio e così non ci abbiamo solo lo stesso
nome, ma anche lo stesso respiro.
-No- mi dice
e io sorrido, sorrido tanto che la bocca mi fa male, ma io continuo a sorridere
lo stesso e voglio gridare, ma non lo faccio.
Riccioli Neri scuote la testa e
guarda il ruscello
-C’era un
tale- comincia e intanto giocherella con un piccolo sassolino che tiene fra le
dita –Giù, al mio paese, che si era innamorato di una poco di buono. Gli
avevamo provato a dire che non doveva innamorarsi di lei, ma lui era
completamente perso e lei, che non lo amava davvero, si divertiva a trattarlo
come i cani che teneva in casa. Un giorno lei gli ha detto di uccidere la madre
e di portarle il cuore, ché i suoi cani avevano fame-
-Non l’ha
fatto, vero?-
Ho la voce
che mi trema e Andrea mi poggia la
mano sulla mia e io non la muovo.
-Abbiamo
trovato la vecchina piena di sangue, nella cucina. Siamo corsi alla casa della
donna del tale, ma quando siamo arrivati e abbiamo aperto la porta, lui era sul
pavimento, tutto sporco di rosso, e la donna era in piedi che non diceva
niente, guardava fisso il sangue che più che rosso, ora che ci penso, era
marrone, un marrone tanto scuro che sembrava nero-
La stretta
di Riccioli Neri si fa più forte e io
ricambio un poco.
-Le abbiamo
chiesto cosa è successo e lei ha risposto che gli aveva detto di tagliarsi le
vene se l’amava davvero e lui ha preso un coltello ed è morto lì, sorridendo-
Ora, le
nostre strette sono uguali.
-L’amava
così tanto che si è ucciso-
Non so perché
ha raccontato questa storia, o forse lo so, ma non voglio pensarci.
-Andrea- mi
fa –Tu sai cos’ è l’amore?-
Io lo
guardo, poi giro la testa, raccolgo un sassolino e lo lancio nel ruscello. E
succede come diceva il vecchio delle Americhe con la chitarra, le parole mi
vengono su, in bocca, e io non ci devo pensare, perché mi escono da sole, le
sento tutte, tutte quante e ogni parola è un battito sempre più veloce del
cuore.
-E’ come i cerchi
nell’acqua- ci dico –Piccoli, ma poi sempre più grandi e larghi e anche quando
sembrano sparire, in realtà ci sono ancora, solo che noi non li vediamo perché sono
diventati così grandi che noi non ci arriviamo a guardarli-
Lui trattiene
il respiro, poi toglie la mano dalla mia e mi prende la testa tra le dita.
Appoggia la sua fronte contro la mia e tiene gli occhi chiusi.
Io, ora,
voglio solo piangere.
***
Quando
usciamo dalla Chiesa, piove.
Piero e la Ninetta
ridono e si coprono la testa con le mani e tutti corrono di qua e di là,
urlando come alla festa del paese: i bambini giocano e non danno retta al babbo
e alla mamma, ma si sporcano col fango e con l’erba.
Tutti si
dirigono in fretta e furia verso la casa di Piero, lui e la Ninetta prima di
tutti e si tengono la mano e si guardano e ridono e hanno gli occhi lucidi, perché
se oggi sorridono domani piangono, perché è il settimo giorno e lui deve
partire per la guerra.
Ma io non ci
voglio pensare, non voglio pensare a nulla, e prendo Andrea per un braccio e lo porto lontano, sotto la pioggia e
ridiamo e piangiamo insieme e io ci tengo la mano e lui mi stringe le dita e
non mi importa più di sentirmi come quando facevo la corte alla Marinella, che
quello che sento è ancora più grande e più bello.
Superiamo i
campi e ci teniamo distanti dal bosco, corriamo sulla collina dove gli sono le
violette che ci lasciano passare, si piegano sotto la pioggia e sotto il nostro
pianto e le nostre risate, arriviamo al pozzo, quello vecchio tutto avvolto dai
viticci, che dicono ci sono i fantasmi dell’acqua che parlano nel secchio tutto
arrugginito.
Ci fermiamo,
ci guardiamo, ridiamo, Andrea mi
lascia la mano, ma mi abbraccia, mi abbraccia stretto e forte, e io ci nascondo
la faccia nella spalla, fra i suoi riccioli che sanno di bosco e di pioggia, e
gli afferro la giacchetta blu, ci strofino il naso contro il collo e lui mi
passa le mani fra i capelli e mi dice qualcosa all’orecchio, ma io non lo
sento, perché la pioggia è troppo forte, la nostra risata troppo bassa, il
nostro pianto troppo alto.
Mi prende la
testa tra le mani e mi guarda e io, oh Signore, perdonami, faccio la stessa
cosa e guardo quegli occhi di bosco, perché non voglio dimenticarli, perché se
li dimentico muoio, e io non voglio morire, perché se muoio non posso più
vedere gli occhi di Andrea, sentire
il suo fiato o la sua spalla contro la mia, o le sue dita che mi tengono forte
la mano, o i suoi riccioli neri che nascondo occhi ancora più scuri e profondi.
Ci guardiamo
e adesso la pioggia non fa più rumore, anche se continua a cadere.
Oh, Signore,
perdonalo, perdonami, perdonaci, ma la sua bocca è calda, il suo fiato è il mio
respiro, non sento niente, non vedo niente, ci sono io e c’è Andrea, e adesso non siamo più io o lui,
ma solo lo stesso nome, lo stesso cuore, lo stesso respiro.
Non importa
la pioggia, non importa la guerra, non importa niente.
Ci siamo
solo noi, e la sua bocca, e il mio respiro, e il nostro bacio che è come quello
di Piero e della Ninetta in Chiesa, quando il parroco li ha sposati e ci ha detto a Piero che poteva baciare la sposa.
Dolce
uguale, caldo uguale e, oh Signore perdonaci, santo e sacro uguale.