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Autore: LaMicheCoria    19/07/2011    1 recensioni
Io ci ho tanto dentro.
E’ qualcosa di grande, grande come la notte quando togli la luna dal cielo e rimani con solo le stelle sopra la testa e giù, giù fino all’orizzonte e anche oltre, oltre Parma, oltre l’Emilia, e sono tante, ma così tante, che non riesci a contarle.
(...)
Alzo gli occhi su Riccioli Neri, perché voglio parlarci, dirci che Piero fa tanto quello che in guerra spara a tutti, ma non sa nemmeno chi è il nemico, perché la guerra non gli piace, perché la guerra, dice, non ha senso, dato che è solo uno spararsi e farsi fuori di gente che di diverso ci hanno solo il colore degli occhi e della giacca. Voglio dirci tutto questo, ma non ci riesco.
I suoi occhi mi tengono fermo, impalato in mezzo all’osteria, e io non riesco a non pensare che ci ha gli occhi neri del bosco sopra Berceto, quando il sole si caccia tra i rami e si spezza fra le foglie, e c’è più nero che luce, ma la luce è ancora più bella con tutto quel nero, perché poca e preziosa.
Sento che il cuore mi si stringe forte e lo stomaco si attorciglia una, due, tre volte, e non riesco a respirare con quegli occhi di bosco che mi tolgono la voce e l’aria.
(Dal capitolo 2.)
[ Andrea aveva un amore: Riccioli neri. Andrea aveva un dolore: Riccioli neri ]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ecco a voi il secondo capitolo.

Ci ho messo un secolo a scriverlo e non so perché. Avevo già tutte le scene in testa, ma ogni volta che provavo a buttare giù qualcosa mi bloccavo, le parole non mi venivano.

Stamattina, invece, non mi sono fermata un solo istante: ho cominciato a battere le dita sulla tastiera e non ho più smesso.

Spero sia servito a qualcosa questa ondata di ispirazione e che questo capitolo non faccia schifo.

Ringrazio Homicidial Maniac per la Recensione e tutti coloro che hanno letto il piccolo prologo, anche se in silenzio.

Buona Lettura!

 

2.

La Perla Più Rara

~ Andrea ha in bocca un Amore ~

 

Quando arrivo al paese, Piero mi corre incontro: ha la lingua di fuori come Libero, il cane che gironzola per il paese, e la faccia bianca come il latte cagliato.
Mi viene incontro, sudato fradicio, e prende grandi sorsi di aria, prima di tirare su gli occhi e guardarmi senza aprire bocca. Non ho mai visto Piero così spaventato, ma adesso sembra che ha visto la Morte nella sua faccia di scheletro.
-Che c’è, Piero?- gli chiedo, prendendogli la spalla e muovendogliela piano –Che ci hai?-
-La guerra..!- grida, cogli occhi fuori dalla testa e la lingua a penzoloni sulla bocca –C’è la guerra e sono venuti a prendermi!-
-Chi..?- gli faccio e sento che il cuore mi si attorciglia forte.

 

***

Sono due e sono seduti all’osteria.
Uno è alto e smilzo, e fuma la sigaretta facendola ballare tra i denti che invece di essere bianchi e dritti sono sporchi di grigio e tutti storti; ha i capelli che ricordano il colore del sughero e occhietti scuri che si arrampicano come moscerini sulle travi dell’osteria.
L’altro, che non gli sta troppo lontano, ma non sembra neanche volergli stare troppo vicino, ha i riccioli neri, tanti riccioli neri, che gli coprono gli occhi, così io non glieli vedo. Non ha la sigaretta, ma batte le dita, che sono lunghe, come spighe di grano, e con le unghie bianche della Marinella, sul banco dell’oste, che non sembra che gli piaccia. Anzi, ha una faccia scura che gliela raccomando.
Piero sta vicino a me e si gratta le nocche fino a che esce il sangue e allora caccia le mani nelle tasche della giacchetta, ma non smette di mandare giù la saliva e respirare forte; io lo guardo strano, perché non ci credo che sono loro quelli che lo sono venuti a prendere.
Forse sì, quello con la faccia scura e la sigaretta che ci ficca gli occhietti nei nostri e ci fa un sorriso strano, quello sì, forse. Ma l’altro non sembra così cattivo da portare Piero via dalla Ninetta. O forse sono solo io che voglio pensare che è così.
Mi avvicino e Piero si fa coraggio, mi stringe il gomito e fa di sì con la testa, come a dire “Qui ci penso io”; allora mi fermo più indietro e sento gli occhi di Riccioli Neri che mi guardano, ma io faccio finta di essere interessato al Nano che ci sta raccogliendo tanto odio dentro le guance che potrebbe sputarcelo addosso.
-C’è la guerra, allora?- chiede Piero e strascica il piede a terra, con le braccia incrociate.
Io lo guardo di striscio, ma prego il Signore che anche se c’è la guerra di non portare via Piero, perché deve sposare la Ninetta e la Ninetta da sola, senza Piero, non può viverci.
-Sì- dice quello con la sigaretta e ci ha lingua che struscia contro il palato, una voce molle, rassegnata come quella del babbo di Piero quando dopo una gela tutto il raccolto andava perso –C’è la guerra-
-Dove?- continua Piero.
-A Trento-
Trento è lontano, via dal paese, dalla piana, dagli alberi, dai monti. È lontano e so che ci sono gli Austriaci, con le loro divise tutte pulite e sistemate che sembra il giorno della festa.
Il babbo di Piero li ha visti, una volta, gli Austriaci, e dice che secondo lui pensando solo a suonare il piano e prendono la vita come uno spettacolo a teatro, dove devono fare solo bella figura con un costume tutto brillante e la voce dolce.
Alzo gli occhi su Riccioli Neri, perché voglio parlarci, dirci che Piero fa tanto quello che in guerra spara a tutti, ma non sa nemmeno chi è il nemico, perché la guerra non gli piace, perché la guerra, dice, non ha senso, dato che è solo uno spararsi e farsi fuori di gente che di diverso ci hanno solo il colore degli occhi e della giacca. Voglio dirci tutto questo, ma non ci riesco.
I suoi occhi mi tengono fermo, impalato in mezzo all’osteria, e io non riesco a non pensare che ci ha gli occhi neri del bosco sopra Berceto, quando il sole si caccia tra i rami e si spezza fra le foglie, e c’è più nero che luce, ma la luce è ancora più bella con tutto quel nero, perché poca e preziosa.
Sento che il cuore mi si stringe forte e lo stomaco si attorciglia una, due, tre volte, e non riesco a respirare con quegli occhi di bosco che mi tolgono la voce e l’aria.
-Io mi devo sposare- dice Piero e se la Ninetta lo sentisse adesso si metterebbe a piangere, ché l’ha detto con tanto amore che le ginocchia mi tremano e mi sembra di cadere. O forse sono ancora quegli occhi che non mi lasciano stare, così neri e grandi e profondi come il bosco del Berceto. No, non è il nero degli alberi di Berceto, ma è un nero distante che io non conosco, è il suo nero, del suo bosco, lontano, chissà dove.
-Tra una settimana partiamo- fa Riccioli Neri e la sua voce è strana, perché la bocca aspira tutte le parole e le soffia via piano, come fa il fumo della sigaretta del Senza Nome.
Piero scuote la testa, ma io lo vedo appena. Quegli occhi non mi lasciano ancora andare.

 

***

Io, quando lavoro all’orto, canto.
Canto male, ché non ho una voce bella, ma mi piace e mi do il ritmo e sento meno la fatica e il sudore che mi si appiccica alla testa e ai capelli e mi macchia di marrone le guance quando si mescola con la polvere.
Oggi Piero, a lavorare, non c’è: sta preparando il matrimonio con la Ninetta e stanno facendo tutto di fretta e furia, dato che Riccioli Neri non ha voluto cambiare idea. Una settimana e poi vanno a Trento.
Non voglio pensarci, al Piero che va lontano. Mi fa male il cuore e penso alla Ninetta che rimane tutta sola nella casa, a fare il ricamo e guardare alla finestra con gli occhi tristi, magari con la testa girata alla finestra sbagliata, perché mica è facile, da qui, capire dove ci sta Trento.
-C’è una donna che semina il grano- comincio e le parole mi vengono su tutte tappate, anche se non sto piangendo. Non so perché canto la foletta, forse ci ho bisogno di allegria. –Volta la carta e si vede il..-

-..Villano-
Alzo subito la testa e mi giro, con la bocca spalancata e gli occhi di fuori.

Riccioli Neri è là, davanti a me, con il sorriso che gli tira su la bocca e gli arriva agli occhi, che adesso ci hanno davvero la luce del sole dentro al bosco; tiene le gambe incrociate sul muricciolo di pietra e mi guarda, e io mi sento diventare tutto rosso, perché certo mi ha ascoltato e io non ci ho una bella voce da ascoltare.
Riccioli Neri mi fa segno con la mano, scuote un po’ il polso e fa di sì con la testa, e io, allora, smozzicando un po’ le parole, perché mi vergogno, continuo e cerco di continuare la filastrocca.
-Il villano che zappa che la terra, volta la carta e..- chiudo la bocca e lo guardo.
Lui si porta il dito al labbro e ci picchietta un po’ sopra, con gli occhi alti, a guardare il cielo, e sembra che il cielo gli ci abbia versato un po’ del suo azzurro.
-..e viene la guerra- ma l’ultima parola non si sente, perché abbassa tanto la voce, come se è pentito di aver parlato della guerra.
Io non lo guardo più e giro la testa, torno al mio orto e al Piero che si deve sposare e poi parte per la guerra.
E tanto che penso al Piero che deve partire, mi viene da dire qualcosa di nuovo per la foletta
-Per la guerra non c’è più soldati-
-A piedi scalzi son tutti scappati-
Poi, non parliamo più. Stiamo in silenzio, io col sole sulla schiena e lui dietro di me, ché anche se non lo vedo e non mi giro, lo so che è lì. Ci sono i suoi occhi che mi bruciano e mi fanno male anche più del sole.

 

***

-Di dove sei?- gli chiedo, mentre mastico un po’ di pane che mi sono portato nella saccoccia.
-Vallombrosa- mi risponde Riccioli Neri mentre pilucca un po’ di salame che ci ho dietro.
Anche oggi, l’ho trovato seduto sul muricciolo, che mi aspettava: non abbiamo parlato fino a quando il sole non ci è venuto a picco sulla testa e allora ho smesso di lavorare all’orto e mi sono avvicinato e gli ho chiesto se aveva fame.
Ora siamo tutti e due seduti sul muricciolo e parliamo di tutto, ma non ci diciamo niente. Qualche volta lui mi guarda, ma faccio attenzione a non guardarlo io, perché altrimenti non riesco a mandare giù nulla: il pane mi si ferma nella gola e non scende più, rimane lì, duro come le pietre su cui stiamo, tanto vicini che sento la sua spalla che tocca la mia.
-Piero è un bravo bischero- mi dice –La guerra non fa per lui-
-E allora non portarlo via- ci dico, e l’ho detto veloce, ma l’ho detto.
Ho anche alzato la testa e adesso mi trovo con gli occhi nei suoi e non so che fare, perché ho freddo, ma il sudore mi si appiccica alle ciglia e non mi fa vedere bene.

Riccioli Neri alza la mano e io mi faccio indietro, perché ho paura che mi da’ uno schiaffo e la smette di guardarmi. Si ferma e chiude le dita e le mette sul ginocchio.
Non parliamo più e io guardo il suo profilo, netto contro il sole e contro l’orto.
 

***

-Andrea-
Io alzo gli occhi e lo guardo.
È di nuovo qui.
-Sì?- gli chiedo e sono curioso, perché non so come sa il mio nome. Io non gli ho detto mica come mi chiamo.
Lui mi guarda strano e tira su le sopracciglia
-Andrea- ripete e si batte il petto con le palme delle mani.
Io sorrido.
-Anche io-

Andrea mi sorride.

 

***

Oggi non lavoro, il Piero ha detto che vuole lavorare lui, perché non ce la fa più a sopportare la mamma che urla nella casa, che non trova il corredo, che il ricamo è sbagliato, che il babbo deve andare a vedere se i conigli suono buoni per essere ammazzati, che il giorno del matrimonio è vicino e se non ci sono i conigli non si mangia bene.
Io e Andrea camminiamo un po’ sulla collina, col sole davanti che ci brucia gli occhi, ma illumina i campi ed il cielo, che sembra ancora più azzurro di come già è, ed è un colore splendido.
Ci sediamo in mezzo all’erba e lui si stende vicino a me, con le mani dietro la testa e non mi guarda, ma guarda l’azzurro del cielo.
Mi sento strano, a guardarlo così.
Mi sento come quando la Marinella era ancora qui e non era partita la città e tutti le facevamo la corte perché lei era bella, ma così bella che adesso, sono sicuro, ha incontrato un principe di quelli delle favole che ci raccontavano da bambini, col capello bianco e il mantello rosso.
A stare vicino a Riccioli Neri mi sento come se la Marinella è di nuovo qui e allora mi ricordo di come la guardavo e aspettavo un suo sorriso e quando me lo dava sentivo il cuore contro il petto e faceva male, ma un male dolce di quelli che vorresti piangere perché la felicità è tanta che non riesci a tenertela tutta dentro.
Quando sento la spalla di Andrea contro la mia o il suo respiro quando mi è vicino, ho caldo e i brividi mi vengono sulle braccia e salgono, salgono, salgono e io vorrei dire a Riccioli Neri di andare via, perché mi fa male, ma invece voglio tenerlo vicino, perché quel male che sento mi fa tanto bene anche se mi toglie il fiato e mi brucia il petto e mi rompe le ginocchia.
-A cosa pensi?- mi chiede e io mi giro e abbasso la testa verso di lui, che mi guarda con quegli occhi che sono..sono belli, grandi, neri. Belli.
-Perché c’è la Guerra?-

Andrea si tira su e piega la testa
-Perché rivogliamo l’Italia. Non siamo ancora l’Italia, ci manca la terra degli Austriaci. Noi adesso andiamo a Trento per riprendercela-
Io faccio di sì con la testa
-Ma io non posso venire a fare la guerra per riprendere l’Italia- ci dico e mi sento male, perché lui va a combattere per l’Italia e io rimango come uno scemo all’orto. E anche Piero ci va, anche se è sposato con la Ninetta –Io la leva non l’ho fatta-
-Allora- mi mette una mano sulla spalla, ma mentre lo fa sento le sue dita che mi accarezzano la guancia e io voglio solo prenderci la mano e non lasciarla andare, tenerla lì sulla mia guancia per averci quello strano calore che mi fa sentire freddo sempre vicino –Combatterò anche per te-

 

***

Domani c’è il matrimonio e io e Andrea siamo al ruscello che passa nel bosco.
Non so se ridere o piangere. Mi sento strano e quando provo a sorridere mi esce fuori solo una smorfia che fa ridere Riccioli Neri, ma anche la sua risata è strana e si sente che non è vera, perché i suoi occhi sono ancora più scuri del nero del bosco.
Ci sediamo vicino su un sasso e rimaniamo a guardare l’acqua che scorre. Non mangiamo neanche. Io ho lo stomaco chiuso e sto male se solo ci penso a ingoiare qualcosa. Poi c’è qualcosa che mi blocca la gola, ed è amaro come il fegato di merluzzo.
-Te non ti sposi?- mi chiede all’improvviso e io faccio un salto.
Divento tutto rosso e balbetto qualcosa che non ha senso, non so neanche io se sono parole vere o che mi ci sono appena inventato.
Lui ride e quando io gli faccio se lui è sposato, comincio a pregare in silenzio il Signore che non è così, perché se è sposato io muoio. Oh, so che è brutto, che devo sentirmi così solo con una donna, perché è strano, non è normale che mi sento con Andrea come quando c’era la Marinella e io le facevo la corte, ma non ci riesco, sto male e sto bene, ho caldo, ma ho freddo, voglio tenerlo lontano, ma lo voglio vicino, tanto vicino da avere il suo fiato che mescola al mio e così non ci abbiamo solo lo stesso nome, ma anche lo stesso respiro.
-No- mi dice e io sorrido, sorrido tanto che la bocca mi fa male, ma io continuo a sorridere lo stesso e voglio gridare, ma non lo faccio.

Riccioli Neri scuote la testa e guarda il ruscello
-C’era un tale- comincia e intanto giocherella con un piccolo sassolino che tiene fra le dita –Giù, al mio paese, che si era innamorato di una poco di buono. Gli avevamo provato a dire che non doveva innamorarsi di lei, ma lui era completamente perso e lei, che non lo amava davvero, si divertiva a trattarlo come i cani che teneva in casa. Un giorno lei gli ha detto di uccidere la madre e di portarle il cuore, ché i suoi cani avevano fame-
-Non l’ha fatto, vero?-
Ho la voce che mi trema e Andrea mi poggia la mano sulla mia e io non la muovo.
-Abbiamo trovato la vecchina piena di sangue, nella cucina. Siamo corsi alla casa della donna del tale, ma quando siamo arrivati e abbiamo aperto la porta, lui era sul pavimento, tutto sporco di rosso, e la donna era in piedi che non diceva niente, guardava fisso il sangue che più che rosso, ora che ci penso, era marrone, un marrone tanto scuro che sembrava nero-
La stretta di Riccioli Neri si fa più forte e io ricambio un poco.
-Le abbiamo chiesto cosa è successo e lei ha risposto che gli aveva detto di tagliarsi le vene se l’amava davvero e lui ha preso un coltello ed è morto lì, sorridendo-
Ora, le nostre strette sono uguali.
-L’amava così tanto che si è ucciso-
Non so perché ha raccontato questa storia, o forse lo so, ma non voglio pensarci.
-Andrea- mi fa –Tu sai cos’ è l’amore?-
Io lo guardo, poi giro la testa, raccolgo un sassolino e lo lancio nel ruscello. E succede come diceva il vecchio delle Americhe con la chitarra, le parole mi vengono su, in bocca, e io non ci devo pensare, perché mi escono da sole, le sento tutte, tutte quante e ogni parola è un battito sempre più veloce del cuore.
-E’ come i cerchi nell’acqua- ci dico –Piccoli, ma poi sempre più grandi e larghi e anche quando sembrano sparire, in realtà ci sono ancora, solo che noi non li vediamo perché sono diventati così grandi che noi non ci arriviamo a guardarli-
Lui trattiene il respiro, poi toglie la mano dalla mia e mi prende la testa tra le dita. Appoggia la sua fronte contro la mia e tiene gli occhi chiusi.
Io, ora, voglio solo piangere.

 

***

Quando usciamo dalla Chiesa, piove.
Piero e la Ninetta ridono e si coprono la testa con le mani e tutti corrono di qua e di là, urlando come alla festa del paese: i bambini giocano e non danno retta al babbo e alla mamma, ma si sporcano col fango e con l’erba.
Tutti si dirigono in fretta e furia verso la casa di Piero, lui e la Ninetta prima di tutti e si tengono la mano e si guardano e ridono e hanno gli occhi lucidi, perché se oggi sorridono domani piangono, perché è il settimo giorno e lui deve partire per la guerra.
Ma io non ci voglio pensare, non voglio pensare a nulla, e prendo Andrea per un braccio e lo porto lontano, sotto la pioggia e ridiamo e piangiamo insieme e io ci tengo la mano e lui mi stringe le dita e non mi importa più di sentirmi come quando facevo la corte alla Marinella, che quello che sento è ancora più grande e più bello.
Superiamo i campi e ci teniamo distanti dal bosco, corriamo sulla collina dove gli sono le violette che ci lasciano passare, si piegano sotto la pioggia e sotto il nostro pianto e le nostre risate, arriviamo al pozzo, quello vecchio tutto avvolto dai viticci, che dicono ci sono i fantasmi dell’acqua che parlano nel secchio tutto arrugginito.
Ci fermiamo, ci guardiamo, ridiamo, Andrea mi lascia la mano, ma mi abbraccia, mi abbraccia stretto e forte, e io ci nascondo la faccia nella spalla, fra i suoi riccioli che sanno di bosco e di pioggia, e gli afferro la giacchetta blu, ci strofino il naso contro il collo e lui mi passa le mani fra i capelli e mi dice qualcosa all’orecchio, ma io non lo sento, perché la pioggia è troppo forte, la nostra risata troppo bassa, il nostro pianto troppo alto.
Mi prende la testa tra le mani e mi guarda e io, oh Signore, perdonami, faccio la stessa cosa e guardo quegli occhi di bosco, perché non voglio dimenticarli, perché se li dimentico muoio, e io non voglio morire, perché se muoio non posso più vedere gli occhi di Andrea, sentire il suo fiato o la sua spalla contro la mia, o le sue dita che mi tengono forte la mano, o i suoi riccioli neri che nascondo occhi ancora più scuri e profondi.
Ci guardiamo e adesso la pioggia non fa più rumore, anche se continua a cadere.
Oh, Signore, perdonalo, perdonami, perdonaci, ma la sua bocca è calda, il suo fiato è il mio respiro, non sento niente, non vedo niente, ci sono io e c’è Andrea, e adesso non siamo più io o lui, ma solo lo stesso nome, lo stesso cuore, lo stesso respiro.
Non importa la pioggia, non importa la guerra, non importa niente.
Ci siamo solo noi, e la sua bocca, e il mio respiro, e il nostro bacio che è come quello di Piero e della Ninetta in Chiesa, quando il parroco li ha sposati e ci ha detto a Piero che poteva baciare la sposa.
Dolce uguale, caldo uguale e, oh Signore perdonaci, santo e sacro uguale.

   
 
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