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Autore: crazy_world    19/07/2011    4 recensioni
Bellatrix Lestrange è una guerriera, sempre stata al fianco del Signore Oscuro, sempre pronta a servirlo, sempre pronta a dare la sua stessa vita per lui. Ma se in ballo ci fosse un'altra vita, come reagirebbe la Mangiamorte? Se in ballo ci fosse qualcosa di più importante della guerra per il potere?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Draco Malfoy, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Rodolphus Lestrange
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Ragazze, perdonate questo piccolo ritardo, ma ieri sera sono rientrata parecchio tardi e non avevo nemmeno la forza di schiacciare il bottone di accensione del computer.

Posso finalmente affermare che questo è il penultimo capitolo. Poi ci saranno l’ultimo e l’epilogo. In effetti sono un pochino triste per la fine di questa fanfiction che mi ha introdotto nel mondo di Efp per la prima volta. Che mi ha fatto ricevere le mie prime recensioni, e tutto il resto. Devo dire che per essere la prima fanfiction che scrivo, sono davvero entusiasta. Questo però non sarebbe stato possibile senza di voi. (Lo sto facendo davvero. Non state sognando. Lo so, sembra il discorso di un’attrice che vince l’Oscar). Ci tengo a ringraziarvi ancora, per tutto il supporto che continuate a darmi, per i complimenti, i chiarimenti e la vostra disponibilità. Davvero, non potevo avere lettrici migliori di voi, e vi devo tanto.

Per cui, (Lo sto facendo davvero! E non è nemmeno l’ultimo capitolo!), grazie infinite di tutto e, finalmente,

buona lettura!

Un abbraccio,

Marta.

 

 

 

 

 

 

ATTESA E POLISUCCO

 

Al tramonto, Lestrange Manor era di nuovo immerso nel silenzio.

Nessun tipo di suono penetrava tra quelle mura spesse ed antiche; tutti i rumori erano come ovattati dall’ansia che, alcune ore prima, si era insinuata nella villa. Era ansia, o forse era qualcosa di più. Qualcosa che entrambi i padroni di casa non volevano ammettere a loro stessi. Paura.

Perché loro non avevano mai paura.

O almeno fino ad ora.

L’ipotesi di lasciare quella casa sicura, di lasciare Evie, e di non tornare, aveva fatto sì che entrambi si chiudessero in un silenzio meditabondo e depresso.

Bellatrix si era ritirata nella biblioteca con la bambina tra le braccia.

Era troppo.

Si era appena ripresa dal parto, si era appena abituata all’idea di avere una creatura così fragile ed indifesa tra le braccia. Non poteva accettare anche l’eventualità di una morte imminente. La sua.

Perché sapeva che non poteva andare tutto bene; era da stupidi pensarlo.

Sbuffando, rovistò in una tasca della veste che indossava.

La fiala blu luccicò nella penombra della stanza.

Con una sola mano riuscì a stapparla.

Ne bevve un sorso scarso; non aveva un buon sapore.

Rodolphus si era ritirato nel suo studio per calcolare. Così aveva detto.

Come se i suoi dannati calcoli avessero potuto salvare loro la vita. Come se avessero potuto garantire a Evie una vita normale, senza guerra e magari con entrambi i genitori.

Bella si sentiva a pezzi; era davvero difficile starsene lì, seduta su quello stupido divano imbottito, aspettando che il marchio iniziasse a bruciare.

Gli Horcrux erano al sicuro. O almeno lo era quello nella sua camera blindata.

Aveva contattato i folletti per assicurarsi che non fosse stato prelevato nulla.

Allora cosa poteva spingere il Signore Oscuro ad attaccare? Ma soprattutto, dove voleva attaccare? Insomma, era impossibile che tutti i loro nemici si riunissero in un unico luogo nell’attesa di venire ammazzati.

Come faceva ad esserne così sicuro…?

Poi un pensiero strisciò nella mente della strega.

Hogwarts.

Quale luogo migliore per una battaglia in grande stile? Ma certo.

La donna si alzò e depositò la piccola nella culla che aveva fatto portare da Peach. Si accasciò nuovamente sul divanetto e prese a massaggiarsi le tempie.

Rod continuava a starsene chiuso in quella ridicola stanza, con quei suoi assurdi conti.

Dei due, lui era quello che pensava. Lei quella che agiva.

Era per quello che era necessario che stessero insieme: separati, molto probabilmente non sarebbero durati a lungo. Lei avrebbe fatto qualcosa di stupido; lui invece si sarebbe fatto prendere alla sprovvista. Ecco perché non potevano fare a meno l’uno dell’altra.

Però certe volte, la riccia, trovava estremamente irritante dover stare da sola, agognando il momento in cui il marito sarebbe riemerso dai suoi calcoli e dai suoi pensieri, e si sarebbe detto pronto.

Non che lei lo fosse, questo era chiaro.

Non una fibra del suo corpo si sentiva pronta ad affrontare quello che c’era là fuori e che, ormai, era scivolato silenziosamente nel Maniero, gettando un’ombra sinistra su qualsiasi cosa.

Più che sicurezza, il suo era ardente desiderio di porre fine a tutto: la guerra, la morte, il clima di terrore. Tutte cose che non promettevano di costruire un buon futuro a sua figlia.

Le dita della donna si spostarono dalle tempie alle palpebre.

Perfino quelle erano stanche.

Fosse stato per lei, si sarebbe Smaterializzata ad Hogwarts e avrebbe dichiarato guerra.

Ma doveva aspettare. Sempre aspettare.

Aveva dovuto aspettare per finire la scuola; per sposarsi; per entrare nelle schiere dell’Oscuro; per essere processata; per evadere; per avere finalmente sua figlia tra le braccia.

La sua vita era sempre stata un’enorme attesa.

Per cosa poi?

Evie.

Certo, Evie era vitale, ormai. E le stava dando tanta felicità.

Ma era un po’ come indorare la pozione. Insomma, non poteva essere completamente felice, se intorno a lei giravano dozzine di minacce per sua figlia, suo marito e sé stessa.

-Tesoro-.

Si voltò appena, scorgendo con la coda dell’occhio il profilo del marito.

-Oh. Sei vivo-.

I passi pesanti segnalarono che l’uomo stava entrando nella stanza.

Ora era dietro al divanetto dove lei era seduta. Avvertì le sue grandi mani appoggiarsi allo schienale.

-Cos’hai?- sospirò.

Lei non gli rispose subito. Stava ancora aspettando che quelle mani le sfiorassero le spalle. Aspettava, tanto per cambiare, un gesto che la tranquillizzasse, che le dicesse che andava tutto bene.

Ma non avvertì i polpastrelli del mago accarezzarle delicatamente le scapole, né tanto meno il collo o la schiena. Le sentiva arenate sulla stoffa, tese. Non era un bel segno. -Siamo messi così male?-.

Anche lui si prese del tempo per rispondere.

Lo sentì respirare profondamente, come per cercare di calmarsi.

-Non siamo in una bella situazione- ammise.

Toccò a lei respirare a fondo.

Annuì.

Lui continuò: -Innanzitutto, non abbiamo nessuno a cui lasciare Evie-.

L’ovvietà di quella affermazione colpì Bellatrix come un pugno nello stomaco. Aveva pensato solo a salvare sé stessa e Rod per Evie. Ma non aveva mai riflettuto su come salvare Evie.

-Ho pensato a mia cugina- proseguì l’uomo. -Ma sai meglio di me quanto quella assolutamente smemorata. Sarebbe capace di dimenticare Evie da qualche parte-.

Lei annuì di nuovo.

-Mi è venuta in mente anche…- deglutì. -Andromeda. Ma non credo che…-.

-No, lei non può- lo interruppe. -E non perché non lo farebbe. Solo che ha già il figlio di mia cugina a cui badare-.

Rodolphus annuì a sua volta.

-Quindi non rimangono molte altre opzioni. L’unica è Peach. Ma… non è che non mi fidi di lei. È solo che Evie è piccola, troppo piccola-.

Il respiro di Bellatrix si interruppe per un istante, mentre un’idea folle s’insinuava dentro di lei.

Era completamente folle.

-Angelique-.

-Chi?-.

La donna si mosse appena sul divano. -Te la ricordi? È venuta qui chiedendo di poter fare da madrina ad Evie-.

Lui aggrottò le sopracciglia, cercando di ricordare.

-Ah, sì!- esclamò, quando il viso della donna riaffiorò nella sua testa. -Mora, piuttosto bassa, e con gli occhi a palla?-.

Incredibilmente, la riccia ridacchiò. Il tono leggero con cui il mago aveva parlato l’aveva divertita e, per un attimo, solo un istante, si dimenticò della situazione drammatica che li circondava come un serpente che si prepara a divorare la sua preda. -Dai, non essere cattivo! L’hai descritta come se fosse un mostro!-.

-Ma è così!-.

-Bugiardo. Ha gli occhi grandi, non a palla. E sarà più bassa di me solo di qualche centimetro-.

-Sì, una trentina-.

-Oh, taci-.

Anche lui rise piano.

-La contatti tu?-.

Lei annuì. -Le scriverò dopo cena. Credo che sarà entusiasta. Ha sempre amato i bambini. E poi questa è la figlia di Bellatrix Black- sbuffò. -Probabilmente domattina sarà già qui-.

-Bene. Evie è sistemata allora. In teoria-.

Bellatrix si costrinse a porre la domanda che le frullava in testa ormai da ore.

-E… noi?- azzardò. -Noi come siamo… sistemati?-.

-Questo si vedrà solo domani. Se sopravvivremo, saremo sistemati benissimo-.

-Quindi combatteremo fino all’ultimo. Fin proprio alla fine-.

-Pare di sì- sospirò lui.

Le mani di Rodolphus si posarono finalmente sulle spalle della strega. Ma perché ora non suonava come un gesto di consolazione?

-Ho paura- mormorò la donna, in uno sbuffo di fiato appena udibile.

Il mago parve spiazzato.

Fece il giro del divanetto per poi prendere posto in fianco alla moglie; prima di parlare lanciò un’occhiata alla culla, come se la vista della sua bambina potesse infondergli coraggio.

-Bella…- esordì, la voce insicura malgrado tutti i suoi sforzi di dominarla. -Non è un bel momento per noi, lo ammetto. Non lo è per tutta la comunità magica, che siano nostri alleati oppure nostri nemici. Ma ne usciremo. Ci siamo già passati, ricordi?-.

Lei sbuffò sonoramente. -Sì, e siamo rimasti a marcire in una cella per quattordici anni-. Lo fissò negli occhi e continuò: -Rod, adesso è diverso: abbiamo una figlia. Nostra figlia. E dobbiamo occuparci di lei. Come faremo a prenderci cura di Evie da Azkaban?-.

Tacquero entrambi.

Poi lui sembrò riprendersi e si inginocchiò davanti alla riccia, che fissava ostinatamente le proprie mani strette in grembo.

-Bella- ripeté, la voce molto più ferma. -Non mi importa quello che dovremo fare. Dovremo combattere? Combatteremo. Ma non intendo rinunciare in partenza. Siamo i coniugi Lestrange; e tu sei una Black, per Morgana!- aggiunse con un mezzo sorriso. Bellatrix emise uno verso a metà tra una risata ed un latrato. Tipicamente Black. -Non dobbiamo avere paura. Perché noi vinciamo. Sempre-.

La strega lo fissò, rapita, in attesa che continuasse.

-È vero- concesse lui. -Siamo finiti in prigione. Ma ora siamo qui, no? Più felici di prima, più innamorati di prima. E abbiamo una figlia. Siamo più forti. E, ti giuro, non permetterei ad anima viva o morta di strapparci questa felicità. La nostra serenità sarà il mio unico scopo in questa guerra. Combatterò solo per noi-.

-Io ti amo- continuò. -E amo Evie. Farò qualsiasi cosa per salvare la nostra famiglia, te lo prometto, Bella-.

Non appena ebbe finito di parlare, Rodolphus si ritrovò le braccia della moglie strette intorno al collo. E rimase di sasso.

L’aveva abbracciato pochissime volte; aveva sempre detto che l’abbraccio per lei era qualcosa di ancora più intenso di un bacio.

Superato il piccolo shock iniziale, prese ad accarezzarle la chioma ribelle che anni e anni addietro lo aveva stregato.

-Ti amo anch’io- mormorò lei contro la spalla del marito. -Tu non hai idea di quanto ami te e nostra figlia-.

Quando si separarono, Bellatrix aveva gli occhi appena lucidi; quando parlò, la sua voce era ferma.

-Vado a scrivere ad Angelique-.

Lui annuì e, dopo aver incantato la culla, la sospinse dolcemente nella sala da pranzo dove, di lì a poco, i Lestrange avrebbero cenato.

La mora invece imboccò la rampa di scale e i due corridoi che portavano all’ufficio del marito. Una volta dentro, afferrò una pergamena e una piuma grigio perla e iniziò a scrivere la lettera.

Cercò di essere il più gentile possibile.

Scrisse tanti "per favore" ed alcuni "ti sarei davvero grata". Quand’ebbe finito di stendere una richiesta quasi implorante, si scoprì soddisfatta. Perfino lei, se avesse ricevuto una lettera del genere, si sarebbe commossa ed avrebbe immediatamente risposto di sì.

Il tocco di classe fu un appunto che lasciò immediatamente sotto alla firma:


Mi dispiace molto per come ti ho trattata quando sei venuta qui al Maniero. Ti assicuro che la tua visita mi ha fatto molto piacere, ma era in preda a una di quelle crisi di isteria da gravidanza.


Geniale.

Stava anche per aggiungere "Tu saprai di cosa sto parlando", ma poi si ricordò che Angelique non aveva mai avuto figli perché sterile. Si mordicchiò il labbro inferiore ringraziando Salazar per non averlo scritto.

Sigillò la busta con il logo dei Lestrange e la consegnò al gufo, svegliandolo dal torpore.

-Ad Angelique Abrams- ordinò con voce piatta.

Quello spiccò il volo, perdendosi nella luce aranciata del tramonto infuocato nello Yorkshire.

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Le ore erano trascorse con una velocità sconvolgente.

La notte era passata con rapidità allarmante e il pranzo era stato consumato con scarso entusiasmo dai coniugi.

Il pendolo batté senza pietà le tre.

-Manca poco al tramonto- soffiò Bellatrix, fissando la finestra della biblioteca; tra le braccia stringeva quasi convulsamente Evie, che sonnecchiava.

Doveva ancora capire come venti ore erano potute sfuggirle così di mano, senza che lei se ne accorgesse.

La sera prima, dopo aver spedito la lettera ad Angelique, era tornata al piano terra per allattare la bambina e cenare con il marito. Poi erano andati a dormire.

Quella mattina, ad attendere la famiglia sul tavolo della colazione, puntuale come un orologio elfico, la lettera in risposta della Abrams faceva bella mostra di sé.

Inutile dire che la risposta era positiva.

La pazza aveva scritto almeno undici "Sì" e una ventina di "Non preoccuparti per l’altra volta". Oltre ad un centinaio di cuoricini intorno alla firma.

E poi cos’era successo?

Era andata nel giardino del Manor con la carrozzina per far prendere una po’ d’aria fresca alla bambina (non prima di averla coperta per bene).

Erano già le tre. E quattro minuti.

-Lo so- giunse la risposta smorzata di Rodolphus.

-Il tuo marchio brucia?-.

Attimo di silenzio.

-No. E il tuo?-.

-Nemmeno-.

Di nuovo silenzio. Un silenzio assordante, perché troppo carico di tensione. Premeva forte sui timpani, come quando si è sott’acqua

 *

-Rod!-.

Un’esclamazione acuta; un grido quasi, pieno di terrore. Un suono che l’uomo mai avrebbe immaginato di sentire da sua moglie.

Angelique lo guardava curiosa.

-Scusami un attimo- mormorò, interrompendo le istruzioni che stava impartendo alla donna su come prendersi cura di Evie mentre loro erano via.

Via.

Come se fossero in procinto di raggiungere i loro amici al bar.

Quali amici? Quale bar?

C’era solo il lavoro, sporco lavoro. E guerra. Colleghi e guerra. Che magnifica serata romantica.

La donna lo fissò annuendo e raggiunse la culla dove Evie dormiva beata, ignara di tutto.

-Fai pure con calma, Rodolphus- cinguettò. -Credo di aver capito tutto su come comportarmi con questa piccolina- sorrise, fissandola mentre muoveva la manina nel sonno.

Toccò a lui annuire e lasciare il salotto per raggiungere la moglie nella loro camera da letto.

-Cosa c’è…?-. La voce gli morì in gola.

Bellatrix era inginocchiata, in lacrime, lacrime di rabbia, mentre si teneva l’avambraccio con forza.

-No… non è possibile…- farfugliava, sfregandosi furiosamente il teschio sulla pelle candida.

-Bella- gemette lui, raccogliendola dal pavimento.

-No…- singhiozzò lei.

-Che cosa c’è?- insisté lui, scrollandola.

-È arrabbiato- ansimò lei, stringendosi all’uomo. -Potter e i suoi amici hanno distrutto degli Horcrux-.

Lui sbarrò gli occhi. Sapeva cosa voleva dire. Infatti non si stupì quando avvertì il marchio ardere come mai prima d’ora. La sua testa si riempì all’istante di una voce fredda e adirata; la vista si annebbiò.

 

 Stiamo per attaccare. Tenetevi pronti. Foresta Proibita tra dieci minuti. Siate puntuali. 

 

Quando si riprese, Rodolphus trovò ancora sua moglie abbracciata stretta a lui; non stava più piangendo. Più che altro sembrava rassegnata.

-Dobbiamo… dobbiamo andare- mormorò lui, accarezzandole piano i riccioli.

-Sì-.

Si staccò dal mago, si asciugò le poche lacrime e finì di allacciarsi la veste.

-Io sono pronta- disse. -Voglio salutare Evie-.

-Certo-.

Entrambi scesero in salotto con passo svelto; lì trovarono Angelique che cullava la bambina dolcemente. Bellatrix, incredibilmente, provò qualcosa simile alla gratitudine per quella donna.

-State andando?- chiese quella, distogliendo lo sguardo dalla piccola.

Fu la riccia a rispondere, la voce inaspettatamente ferma. -Sì-.

-Io… auguri. Qualsiasi cosa dobbiate fare- sussurrò la Abrams, improvvisamente seria, quasi cupa.

Naturalmente sapeva perfettamente cosa dovevano fare, perché era risaputo da che parte stavano i Lestrange. Ma né lei né loro avevano fatto riferimenti alla guerra.

Di nuovo la mora ringraziò mentalmente Angelique per la sua indiscrezione.

Sembrava impossibile che fosse davvero la donna che era piombata al Maniero mesi prima.

Come se avesse letto i pensieri di Bellatrix, le tese la bambina.

Lei la prese dolcemente tra le braccia lievemente tremanti, e le stampò un bacio delicato sulla fronte.

-Ti amo, Evie. Ricordatelo sempre- bisbigliò, a pochi centimetri dal suo piccolo viso paffuto.

Quasi provando un dolore fisico, la mise piano nell’accogliente e gentile stretta del papà, che passò un paio di volte il pollice su una guancia profumata. Poi accostò il viso a quello della piccina e mormorò qualcosa che né Bellatrix né Angelique udirono.

Con estrema lentezza, riconsegnò sua figlia tra le braccia di quest’ultima.

-Mi raccomando- disse grave.

La donna annuì, affidabile.

I coniugi si guardarono.

Come dovevano salutare?

‘Addio’ sembrava troppo tragico e, soprattutto, troppo negativo.

‘A dopo’ era anche peggio. E se non ci fosse stato un dopo?

-Ciao- uscì di bocca ad entrambi, nello stesso istante. Ambedue le bocche si storsero in un sorriso mesto.

-Ciao. E mettetecela tutta-.

-Sì- rispose Bellatrix. -Questo è sicuro-.

Doveva andarsene da lì.

Più stava in quella casa, e più sentiva la determinazione abbandonarla; sembrava che lì dentro tutta l’adrenalina che di solito attanagliava le sue membra, non riuscisse ad avere il sopravvento sulla paura e la razionalità. Quella campana di vetro stava diventando la sua trappola.

Era convinta che, non appena si fosse ricongiunta al resto dell’esercito, sarebbe di sicuro stata meglio.

-Andiamo- soffiò.

Mentre calpestavano l’erba corta del giardino, la donna fissò il marito.

-Hai detto ad Angelique che se si dovesse presentare Draco per prendere Evie è tutto a posto?-.

-Sì- sussurrò lui stancamente.

Fecero ancora qualche passo, poi la strega sembrò ricordarsi di qualcosa.

-Cos’hai detto a Evie quando l’hai salutata?-.

-Che amo lei e la sua mamma più di ogni altra cosa al mondo- rispose lui semplicemente.

Con un piccolo sorriso, Bellatrix prese la mano di Rodolphus.

Così, insieme al suo compagno di una vita, si Smaterializzò nella Foresta Proibita.

*

Aveva ragione. Merlino, se ne aveva!

Già sentendo le risate fragorose di tutte quelle persone esaltate all’idea di una carneficina, si sentiva più sicura di sé, più attiva. Addirittura più spietata.

Ecco perché aveva sempre amato stare al fianco del Signore Oscuro: si sentiva potente.

Si guardò intorno; tra le fronde, si distinguevano appena i contorni di Hogwarts, la scuola che anche lei aveva frequentato. La scuola che, con ogni probabilità, di lì a poco sarebbe stata distrutta.

Pazienza.

-Bella!- la chiamò una voce dalla massa. -Ehi, Bella!-.

Riconobbe la voce accesa di Anita. Anche lei, come gli altri, amava gli scontri aperti. La cosa che più le piaceva era legare le sue vittime con un bel Incarcerarmus e poi infliggere tanti tagli profondi fino a ucciderle. Ora che sapeva della disavventure della donna all’interno delle mura domestiche, poteva capire che quello era un modo per sfogare la rabbia ed il dolore repressi.

-Ciao An- la salutò, non appena vide il groviglio di capelli biondi sbucare dalle decine di Mangiamorte.

-Pronta?- fece quella, lo sguardo acceso di entusiasmo.

-Insomma…- masticò lei. Poi si guardò intorno. -Dov’è Rod?- esclamò con voce lamentosa. -Era qui giusto qualche istante fa…-.

-Oh, è laggiù con Nott. Lo vedi?-.

Bellatrix si voltò nella direzione indicata dalla donna e in effetti vide suo marito impegnato in un dialogo animato con William.

-Cosa vuol dire ‘insomma’?-.

-Come?- chiese la mora, tornando a guardare l’altra.

-Quando ti ho chiesto se sei pronta-.

-Oh, quello… Sono solo un po’ in ansia per Evie, tutto qui-.

-Ah, capisco. Con chi l’hai lasciata?-.

-Con una donna… non la conosci-.

-Affidabile?-.

-Certo-.

Un rumore secco fece ammutolire tutti i presenti, che si voltarono verso un sasso particolarmente grande.

Lord Voldemort era appena arrivato.

E sembrava davvero in collera.

Bellatrix avanzò di qualche passo, lasciandosi Anita alle spalle. Doveva essere in prima fila, era un suo diritto e dovere. Non che facesse la differenza in quel momento. Era più che altro un’abitudine.

-Miei fedeli amici- esordì l’Oscuro, allargando le braccia, compiendo un ammirevole sforzo per mantenere la calma. -Ho solo due parole per voi-.

Tra i Mangiamorte ci furono occhiate d’intesa; i Ghermidori ghignarono e i Licantropi ringhiarono. Da lontano si udì il pesante grugnito di qualche gigante.

Il mago, soddisfatto da quella reazione, proseguì. -Uccideteli tutti-.

Un ruggito collettivo si levò dalla massa, che scattò immediatamente in avanti, avanzando inesorabilmente verso il castello.

Mentre camminava in mezzo agli altri, Bellatrix chiuse gli occhi.

Sei Bellatrix Black. Una Purosangue, una guerriera e una madre. Ammazzali, fallo per Evie e Rod. Vinci.

Dentro la sua testa vorticarono immagini di persone che aveva ucciso o torturato anni prima. Immagini di quando la sua potenza era tale da far rabbrividire tutti gli altri Mangiamorte.

Quando li riaprì, i contorni di ogni cosa sembrarono più nitidi, ed istintivamente un ghigno si dipinse sulle labbra della Mangiamorte. Una strana sensazione, tuttavia a lei familiare, si impadronì della bocca della stomaco. I capelli ribelli fluttuarono nella notte come serpenti pronti a colpire. Gli occhi si assottigliarono e la presa sulla bacchette divenne ferrea.

Era pronta ad uccidere.

In quel momento non sentiva la mancanza di Rodolphus al suo fianco, né l’ansia di non avere Evie sott’occhio. Voleva solo attaccare qualcuno.

Improvvisamente, come uno scoppio di cannone, parole, che sembravano lontane anni luce da quel momento, le riempirono la testa. Ti prego, ti supplico, risparmia mia figlia e suo marito.

Andromeda.

Una fitta al cuore.

Non poteva attaccare chiunque.

E se fossero stati sua nipote o il marito ad attaccarla per primi? Cos’avrebbe dovuto fare? Ignorare gli attacchi, difendersi e basta? O urlargli che aveva promesso a sua sorella di risparmiare loro la vita?

Certo, e poi prenderete un bel tè insieme e diventerai un Auror. Schiva gli attacchi e proteggili da eventuali altri pericoli e basta.

Con la coda dell’occhio vide Anita, che l’aveva affiancata, sguainare la bacchetta e lanciare un incantesimo in avanti.

Confusa, seguì la scia della fattura e vide che si infrangeva su una specie di cupola invisibile. Al di là della cupola c’era Hogwarts. Non si era accorta di essere già arrivata.

Puntò a sua volta la bacchetta verso la scuola e cominciò a recitare formule su formule. La protezione avrebbe ceduto, prima o poi, lo sapeva.

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L’effetto della Pozione Polisucco sarebbe svanito entro pochi minuti.

Non sapeva per quale diavolo di motivo l’aveva fatto. Non gliene era mai importato nulla dei Lestrange. Eppure, quando era a casa della sua insegnante di pianoforte, Angelique Abrams e aveva visto la lettera di Bellatrix Black che implorava aiuto per la sua bambina, non aveva potuto fare altro. La Abrams era un’idiota bella e buona. D’accordo, con il pianoforte se la cavava, ma sapeva fare solo quello. Figurarsi a badare ad una bambina di pochi giorni! Come minimo l’avrebbe fatta cadere dopo qualche attimo. Così aveva aspettato che Angelique rispondesse alla lettera e, con la scusa di andare in bagno, si era intrufolata nell’armadio delle Pozioni. Era sicura che avrebbe trovato la Polisucco, perché il signor Abrams era stato un abile pozionista.

Allora era tornata indietro e, dopo aver schiantato ed addormentato la donna, le aveva strappato qualche capello e lo aveva messo nella Polisucco. Era ancora troppo presto per berlo, la lettera chiedeva di andare verso le otto di sera.

Aveva messo la signora Abrams sul suo letto e, per essere certa che non avrebbe creato problemi, l’aveva legata - non troppo stretta - e si era assicurata che la quantità di Pozione Dormiente fosse sufficiente.

La falsa Angelique passeggiò avanti e indietro per il salotto, controllando di tanto in tanto che la bambina stesse ancora dormendo.

Amava i bambini. E quella era la cuginetta di Draco, dopotutto!

Non era così strano che se ne prendesse cura.

Sapeva che con la scuola era in un mare di guai: aveva avuto un permesso dal Preside solo per la mattina. Ora era sera ormai. Forse il fatto che sua madre conoscesse i Carrow, anzi, forse il fatto che i Carrow temessero sua madre era un bene; non l’avrebbero disturbata. Non quella sera almeno. Quella sera si combatteva.

L’aveva capito dagli sguardi nervosi dei Lestrange.

Senz’altro anche sua madre era in battaglia. E anche suo… padre, se proprio doveva chiamarlo così. Se fosse morto non le sarebbe dispiaciuto tanto, davvero.

L’impostora, se così meritava di essere chiamata, risalì di nuovo il salotto e si arrestò davanti allo specchio.

Ecco che il suo corpo si alzava; i capelli si allungarono e si schiarirono in egual misura: da corti e neri a lunghi e biondissimi. Gli occhi si tramutarono da cioccolato a ghiaccio. Il naso a patata tornò ad essere fine ed impercettibilmente all’insù. Le rughe sparirono.

Astoria Greengrass osservò la sua immagine riflessa restituirle la stessa espressione preoccupata che deturpava la bellezza disarmante di quel viso.

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L’enorme Sortilegio Scudo era saltato.

Non si poteva negare che uno dei potenti incantesimi di Bellatrix aveva fatto la differenza.

Erano dentro.

I detriti giacevano ai loro piedi, mentre Auror, Mangiamorte e perfino studenti, combattevano con ferocia.

Il cuore della mora perse un battito quando i suoi occhi color pece individuarono una ragazzina riversa su un fianco, in una pozza di sangue. Uno dei Licantropi, senza dubbio.

E poi la vide.

Sua nipote. Ninfadora Tonks.

Scendeva i gradini a due a due. Quando vide la zia, il suo sguardo tremò appena.

Bellatrix fece appena in tempo a vedere la mano della donna saettare in avanti; subito dopo, dovette schivare una pioggia di luce verde.

Combatteva per uccidere.

Puoi biasimarla, Bella? Hai fatto lo stesso, l’ultima volta.

-STUPIDA!- ruggì la riccia, schivando la seconda maledizione.

L’altra ghignò e divorò gli ultimi tre gradini con un balzo; in poche falcate si portò davanti alla mora.

-Cosa c’è, zietta?- la canzonò. -Hai paura?-.

Bellatrix vedeva l’odio dentro quegli occhi dal colore indefinibile. E lo accettava, lo capiva.

Lo subiva.

-Lascia perdere, Ninfadora- ringhiò la Mangiamorte.

L’Auror di tutta risposta le scagliò un’altra potente fattura. Fu costretta ad usare un Protego per difendersi.

-Sei impazzita?!- esclamò con voce acuta. -Io ti ho attaccata per caso?-.

Ma la strega non la stava ascoltando; piuttosto, sembrava che stesse pensando ad un altro modo per ferirla. O ucciderla.

-Senti- disse Bellatrix, in fretta. -Non ti attaccherò- annunciò, ignorando la vocina dentro di lei che le urlava di andarsene e basta. -Non ucciderò né te, né tuo marito. Ho parlato con Andromeda-.

Più o meno.

Vide il volto della nipote contrarsi come se avesse appena ingoiato un limone.

-Davvero ti aspetti che io ti creda?- chiese quella, quasi scioccata.

-No. Ma non sto scherzando!- ribatté l’altra, esasperata. -Io non ti attacco, tu non mi attacchi. È molto semplice-.

Non le lasciò il tempo di replicare; corse via, inseguendo Kingsley.

Non si era accorta che Remus Lupin era caduto sotto l’Anatema che Uccide di Dolohov.

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La battaglia infuriava intorno a lei, intorno a loro.

Kingsley aveva avuto la meglio su di lei, ferendola lievemente. Aveva approfittato della reazione oltraggiata della strega nel constatare che brutto taglio era stato inflitto alla sua veste per fuggire.

E dopo erano i Serpeverde i codardi.

Guardandosi intorno, vide Anita battersi con una donna mora a lei sconosciuta.

La bionda la legò e quella cadde per terra.

-Ben fatto!- le gridò la riccia.

-Grazie!- rispose quella, estasiata.

Interruppe la sua opera, fissando il vuoto per qualche istante, meditabonda. Guardò la sua alleata, la sua nemica e di nuovo la sua ex migliore amica.

Decise che poteva lasciare lì un attimo la sua vittima e raggiunse Bellatrix. -So che non te ne importa niente- esordì. -E so anche che il momento non è dei più opportuni. Ma te lo devo dire, dato che in una battaglia non sai mai se ne esci vivo oppure no-.

L’altra rimase in silenzio.

-Ma mi dispiace davvero per quello che ho fatto. Ho passato intere notti a sentirmi uno schifo perché avevo tradito la fiducia dell’unica persona che è stata disposta a volermi bene. Voglio essere sincera con te: se potessi tornare indietro non sono sicura che non lo rifarei. Perché Merlino solo sa quanto tenga alle mie figlie. Ma ti posso assicurare che prima cercherei di ammazzare Marcus in tutti i modi possibili, prima di uccidere la tua fiducia nei miei confronti. Mi dispiace per tutto. Sono un mostro, lo so-.

Bella rimase in silenzio per qualche istante.

Aveva aspettato quelle parole per mesi. Erano esattamente le cose che voleva sentirsi dire. Verità e sincerità, niente di che.

-No, non lo sei- disse infine, parlando lentamente. -Io stessa avrei fatto lo stesso. Ho una figlia adesso, quindi capisco quanto possa essere profondo il tuo amore-. Fece una pausa. -E ti perdono, An. Ti perdono per tutto-.

Vide la bocca della bionda stirarsi in un sorriso perfetto, così fuori luogo in quel luogo di sangue e morte, ma così ugualmente bello. Fece un passo aventi; gongolava.

-Oh, Bella, non sai quanto ho aspettato questo momento! Io non credevo che…-.

Le pupille della donna si dilatarono, mentre i bulbi oculari sembravano voler schizzare fuori dalle orbite; le mani artigliarono l’aria, e la bacchetta cadde, il rumore provocato dal legno contro la pietra completamente coperto dal fracasso della battaglia. Il sorriso euforico si congelò, trasformandosi in una smorfia sinistra. Bellatrix fece appena in tempo a vedere il bagliore verde spegnersi dietro l’amica, prima che il corpo inerme di Anita Greengrass le crollasse addosso.

 

                                                                      *

 

 

NdA

Ecco, e questo è il capitolo. Spero che vi sia piaciuto.

Volevo porvi una piccola domanda: avete visto Harry Potter e i Doni della Morte - Parte II? Vi è piaciuto? Io sono andata il 13 e… sono ancora qui con gli occhi lucidi:)

Grazie per aver letto il capitolo e, mi rivolgo alle lettrici silenziose, recensite se vi va:)

Un bacione! 

  
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