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Autore: Mushroom    19/07/2011    9 recensioni
<< Siamo bloccati >>
Rimase immobile per un secondo << Che vuol dire che siamo bloccati, Castle? >>
<< Vuol dire che siamo bloccati >> rispose << Che l’ascensore è fermo, di sabato sera, e che non c’è nessuno in tutto il palazzo >>
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Elevator Love Letter
#02 – The Quest

La detective si sentì come se le avessero appena sparato in mezzo agli occhi. Percepì i suoi arti irrigidirsi e un brivido percorrerle la schiena. Non avvertì nessun dolore, la sua anima non spirò, ma le parve di essersi smarrita all’interno della sua stessa mente.  Smarrita in uno spazio di… oh, cavolo! Quanti metri quadri? Pochi, molto, molto pochi.
Infine, sì sentì in trappola. Chiuse nuovamente gli occhi, poggiando la testa contro la parete metallica.
Era stata la sua giornata No.
La peggior giornata No dell’anno.
Non aveva neanche la forza di arrabbiarsi, di rispondere a Castle, di alzarsi. Aveva semplicemente chiesto di tornare a casa, nel suo amatissimo letto, e quella era stata la risposta.
Doveva trattarsi di una specie di scherzo cosmico. Uno scherzo di pessimo gusto.
Lei e Castle. In un ascensore. Bloccati.
Chiunque tenesse le redini del mondo doveva essere improvvisamente impazzito.
<< Hey, tutto bene? >> aprì gli occhi, trovandosi immediatamente a doverli assottigliare. La luce elettronica le bruciò le retine, procurandole per qualche secondo un bruciore agli occhi.
Era una sua impressione o strane lucine blu le volteggiavano davanti?
Strizzò gli occhi << Abbassa quel coso, Castle >> sibilò, ansando.
Lo scrittore articolo un “oh” con le labbra, poggiando l’IPhone a terra.
Ora poteva andare meglio.
<< Tutto bene? >> ripeté Castle.
Beh, cosa poteva andare male? Erano solo rinchiusi in un dannato ascensore.
<< Tut… >> si fermò un attimo, accorgendosi di dover prendere aria. Respirò una, due, tre volte, ma questa sembra rarefatta, incompleta. E si rese conto di star respirando decisamente male.
Guardò lo scrittore, domandandosi se avesse anche lui la stessa reazione, ma tutto ciò che incontrò furono due occhi preoccupati e un’espressione apprensiva.
<< Soffri d’asma? >> domandò.
Kate scosse la testa: assolutamente no.
Lo vide sospirare e sedersi affianco a lei.
Prese un’altra boccata d’aria.
Tutto quello era ridicolo. Era una detective della omicidi, non poteva avere una reazione simile perché rimaneva bloccata in un ascensore. Per quanto potesse essere andata male la giornata, per quanto potesse sentirsi nervosa, era assolutamente ridicola.
Sentì una leggera pressione e un lieve accenno di calore. Il braccio di Richard Castle aveva deciso, come il suo proprietario, di non rispettare gli spazi personali altrui (come se fosse possibile, in quella situazione) e appoggiarsi al suo.
<< Non sei claustrofobica, vero? >> chiese l’uomo.
L’iPhone si spense. Lo scrittore ci passò una mano sopra, riaccendendolo. Lì, davanti a loro, immersi nell’oscurità, quel telefono sembrava quasi una piccola fiamma.
<< No >> prese un respiro, poi un altro << Semplicemente a volte non vado d’accordo con gli spazi bui e piccoli >> controbatté.
<< Questo significa che sei claustrofobica >> lo sentì scrollarsi le spalle, senza divertimento. Si voltò verso di lei e, nella semioscurità, la sua espressione le parve lontana.
<< O >> puntualizzò lei, puntando l’indice contro il suo volto << Vuol semplicemente dire che non sono mai che non sono mai stata bloccata dentro un ascensore
e… >>
<< Ti stai agitando >> completò.
Kate alzò un sopracciglio << Non mi sto agitando >> scandì << Mi sto solo adattando >>
<< Beh, ti sta riuscendo >> disse, avvicinandosi << Ora non boccheggi più >> e sorrise, come se fosse la cosa più semplice e appropriata da fare. Poi raccolse il telefono. Lo vide scorrere qualcosa sul touch screen, digitare qualcos’altro e, infine, sospirare << Mi spiace, non c’è segnale. Niente chiamate >>.
La Detective rimase un attimo immobile, assimilando l’informazione. Quante probabilità c’erano che il suo, invece, riuscisse a far partire una comunicazione?
Estrasse l’apparecchio telefonico.
Ancor peggio: batteria scarica.
Imprecò a denti stretti, ricacciandolo in tasca.
Nel suo lavoro aveva imparato a riflettere velocemente e agire ancor prima che i pensieri prendessero forma. Aveva imparato a non farsi prendere dal panico, poiché esso era nient’altro che un invito per la morte. Aveva imparato che, nelle situazioni di difficoltà, doveva semplicemente essere un buon poliziotto.
L’unico problema era che l’accademia non le aveva insegnato cosa fare nel caso che si fosse ritrovata bloccata in un ascensore.
No, peggio: non le aveva insegnato cosa fare nel caso che si fosse ritrovata bloccata in un ascensore con Richard Castle.
Sbattere la testa al muro le sembrò una buona idea.
<< Bloccati >> ripeté.
<< Bloccati >> concordò il romanziere.
La donna portò la testa all’indietro, passandosi una mano sul volto. << Perché sì è bloccato? >> fu una domanda retorica, appena sussurrata. Una domanda a cui forse non voleva risposta.
<< Un danno all’impianto elettrico, provocato da un Pikachu con l’influenza >> propose Castle, al suo fianco << Un malfunzionamento del sistema >> continuò << Causato da un folletto con istinti omicidi che vuole vendicare la morte del suo fratello elfo, ucciso tragicamente dalla tua tazza di caffè >>.
Kate gli lanciò uno sguardo esasperato, sperando che cogliesse il nesso con “tardi” e “brutta giornata” e “stai zitto o ti punto la pistola alla tempia”.
Lui alzò le mani in segno di resa << Mai sottovalutare i folletti, Beckett >>
<< Mai sottovalutare un poliziotto armato, Castle >>
Questo alzò un sopracciglio, ma non aggiunse altro. Lasciò qualche che qualche minuto di silenzio inondasse l’abitacolo, carpendolo come un soffio di vento in una giornata d’estate.
La detective desiderò mantenere quell’attimo per ore. Intrappolare il tempo nella totale quiete e farlo ripartire quando più l’aggradasse.
Poi, però, si rese conto di non poterlo fare davvero. Effimera illusione, mandata in frantumi – ancora una volta – dalla voce dello scrittore: << E se fosse davvero un malfunzionamento? >>
<< Eh? >>
<< Un ascensore si sposta poiché collocato su guide rigide, aventi un inclinazione superiore ai quindici gradi  >> spiegò << Principalmente costituito da un argano, da una cabina passeggeri – quella dove siamo noi, ora –, da un contrappeso e, soprattutto, da delle funi di trazione >>
La Detective aprì la bocca, intenzionata a chiedergli non solo perché sapesse quelle cose e le ripetesse come se fosse un alunno diligente, ma anche perché gliele stesse riferendo.
Malfunzionamento, ripeté nella sua testa.
<< Poi ci sono, ovviamente, un quadro elettrico e dei sistemi di emergenza – a grandi linee, questa è la struttura di un ascensore >>
Ennesimo sguardo spazientito << Vai al punto >>
<< Se le funi di trazione hanno un problema… l’abbiamo anche noi >>.
Era nella sua indole di scrittore pensare sempre al peggio. Disegnare ogni genere di scenario e renderlo reale con le sue parole. Era normale, e non poteva farci niente.
La Detective rimase in silenzio. Si morse il labbro inferiore, spostando la propria visuale dall’interlocutore all’abitacolo. Sotto i riflettori dell’IPhone, le pareti familiari le apparvero improvvisamente ostili. Il logo della polizia assumeva tonalità grigiognole, mentre pensava.
Controllare i danni, constatò, non era poi un’idea così malsana.
<< Avevo fatto delle ricerche per un libro di Storm >> continuò l’autore, forse stufatosi del silenzio. In realtà non riusciva a sopportale la quiete totale: l’uomo la percepiva come un grosso groppo in gola, che gli impediva di respirare. Usualmente era così, ma doveva ammettere che, certe volte, la calma diventava necessaria. Certe volte il silenzio era necessario, migliore di qualsiasi parola << Ci dovrebbe essere una… >>
<< Botola >> completò Kate << Sul tettuccio >>  indicò in alto, prendendo il telefono in mano e iniziando a illuminare il soffitto << Spero solo che non fosse un escamotage per aiutare Storm a… >> si fermò per un secondo, desiderando di potersi mordere la lingua.
In quel momento non lo poteva vedere chiaramente, ma avrebbe scommesso sul suo stipendio che Castle aveva l’espressione di uno pienamente soddisfatto che gongolava nei suoi successi.
<< Ho sempre saputo che li avevi letti >>
<< Infatti. Per il caso. Ricordi? L’assistente sociale e “Flowers for Your Grave”  >>
<< Come dimenticare >> ridacchiò, seguendo la luce con lo sguardo.  << In realtà gli ascensori mi ricordano uno nei nostri ca… >>
<< Miei >>
<< Nostri casi. Quello di Sara, la ragazza ritrovata nella lavatrice >>
Kate si alzò. Fece pressione sugli arti e vi combinò una buona spinta. Si ritrovò un po’ traballante ma, in ogni caso, funzionante. Ancora indolenzita per la caduta, forse.  Perché ci aveva messo qualche secondo di troppo a capire di essere caduta su Richard Castle. Abbastanza per trovare la cosa imbarazzante. Se avesse raccontato quell’episodio a qualcuno, anche a un gatto randagio, l’avrebbe ucciso.
Scosse la testa e porse una mano a Castle. L’afferrò, prendendola come invito ad alzarsi.
Sempre utilizzando l’apparecchio elettronico come torcia, indicò un punto sopra di loro. Benché l’altezza dell’abitacolo fosse relativamente bassa, non lo era abbastanza perché ci arrivassero senza utilizzare qualche supporto.
Per un attimo, pensò che salire la sopra non fosse necessario, anche se “Malfunzionamento delle funi di trazione” sembrava stranamente inquietante; poi decise che, se da un momento all’altro l’ascensore si fosse schiantato a terra, avrebbe voluto sapere che sarebbe successo.
A quanto pareva, stare in spazi stretti, bui e privi di ogni via di fuga rendeva paranoici.
<< Abbassati >> ordinò Beckett.
Castle alzò un sopracciglio << Cosa? >>
<< Andiamo, abbassati >> ripeté.
Ancora una volta, l’uomo alzò un sopracciglio. << Cosa? >>
<< Così posso salirti sopra >>
Rimase un attimo in silenzio << … Cosa? >>.
A volte si domandava se Richard Castle fosse davvero così allusivo o se fosse semplicemente stupido. Optò per la seconda possibilità. << Abbassati >> ripeté, scandendo bene ogni sillaba << Così posso salire su di te e arrivare al tettuccio >> poi, con un gesto del braccio – del tutto inutile, data la scarsa visibilità – indicò il pavimento, come se stesse ordinando a un cane di mettersi a cuccia.
Gli passò l’Iphone, indicando in alto. La luce verté dal punto che aveva indicato, alla botola, ai suoi occhi. Di nuovo. Avrebbe dovuto tenerlo lei, probabilmente.
Assottigliò lo sguardo, costretta a coprirselo con una mano. Rimase accecata per un secondo.
Per quanto il lume potesse essere flebile – e non più di tanto, in realtà – si era ormai abituata alla totale oscurità.
<< Ah, okay. Allora perché devi essere tu a stare sopra? >> disse lo scrittore, incrociando le braccia.
La detective alzò un sopracciglio << Secondo te? >>
<< Beh, ci sono una serie di… >>
<< Castle, tra i due dovrei essere la meno pesate. Stai zitto e sii d’aiuto: l’idea è stata tua >> sibilò.
L’uomo si arrese, seguendo le sue istruzioni << Sembriamo nel cortile delle elementari a litigare per la merenda >>
<< Ti prego, non farmi rispondere >> allungò la mano e gli prese via il telefono, posizionandolo nella tasca dei Jeans.
Con un po’ di fortuna – sempre che di questa si potesse parlare – riuscì a farsi sollevare. Allentare l’apertura che dava sulla tromba fu un po’ più difficile del previsto. Sembrava incrostata al soffitto, come se nessuno l’aprisse da tanto – forse troppo – tempo. Era robusta e si estendeva per un quarto dell’area totale.
<< Beckett >> si lamentò Castle, dal basso << Non è che potresti… non so… aprilo? >>
<< Non lamentati >> rispose, testando ogni lato del portello << Non è che potresti… non so… pensare di fare un po’ più di palestra? >> lo schernì, ricevendo in risposta un borbottio.
Alla fine, trovò un appiglio. Con un po’ di pressione, riuscì a scrostarlo: si aprì con un cigolio, inondando la donna con un odore di olio bruciato, muffa e polvere.
Sperò vivamente che servisse a qualcosa e, con quelle forze che ormai credeva di aver perduto, si tirò su, afferrando i bordi della botola. Buio più totale. Riusciva a malapena a distinguere il suo naso, figurarsi se poteva riconoscere qualcosa come un contrappeso  o checchessia. Si maledisse un paio di volte per aver ascoltato Castle, poi fece pressione sul braccio sinistro e col destro afferrò il cellulare.
<< Visto che ci sei >> disse la voce sotto di lei << Vedi se il telefono, lassù, prende? >>
Sbuffò e lanciò uno sguardo al display: << No >> rispose << Esattamente >> proseguì, cercando di illuminare lo spazio alla bene e meglio.
<< Che dovrei vedere? >>
<< Guarda alla tua sinistra. Ci dovrebbe essere qualcosa di molto simile a… >>
<< Una corda? >> domandò ironica.
<< Beh, non sono stati troppo originali con i nomi >>
<< Scommetto che dovrebbe essere scura, puzzare d’olio bruciato e essere tutta sfilacciata >>
<< In realtà non dovrebbe essere sfilacciata >> la detective notò una nota di panico nella sua voce, e non poté che sogghignare. Lasciò la presa, dando un po’ di tregua al suo muscolo indolenzito, e richiuse la piccola botola, scendendo dal collega.
<< Bene, perché non lo era >> concluse, premendo la chiamata d’emergenza dell’elevatore.
Richard lanciò un sospiro di sollievo mentre la Detective si risistemava nell’angolino precedente. Nessun danno, solo sfortuna: poteva capitare di peggio, assolutamente. Gli potevano sparare, per esempio, e ciò sarebbe stato poco gradevole, oltre che potenzialmente mortale. 
Stare bloccati in un piccolo spazio con Kate Beckett, oltretutto, non era esattamente nella lista delle dieci peggior cose che gli potevano capitare. Era al massimo al quindicesimo, o giù per lì, ma solo perché la donna era armata e di pessimo umore, nonché visibilmente sfinita.
Non si nascose di aver avuto anche lui un attimo di panico, quando l’ascensore aveva preso a funzionare male. Per un secondo – uno soltanto – aveva pensato a tutte quelle cose che aveva fatto e, soprattutto, a tutte quelle che non aveva fatto.
Da quando era al distretto gli capitava fin troppo spesso. E ogni volta si ripeteva che, se sarebbe uscito da quella situazione, avrebbe fatto tutto ciò che si precludeva, ogni cosa, e alla fine rimaneva con un pugno di mosche in mano, incapacitato da se stesso di compiere certe azioni.
Prese posto affianco a Beckett, rimanendo in silenzio.
Sentiva i suoi respiri regolari, il suo calore, e per un momento gli parve di sentirla più reale. C’erano dei momenti in cui la donna gli sembrava fin troppo lontana, effimera, come se appartenesse semplicemente ai suoi romanzi, e lui stesse scrivendo battute infinite su un foglio elettronico, senza trovare un vero e proprio incontro tra i suoi personaggi. Si dava dello stupido, in quelle occasioni, ricordandosi che la fantasia era stata ispirata dalla realtà – più o meno.
<< Hai intenzione di rimanere arrabbiata tutto il tempo? >> sospirò, poggiando la testa sulla parete meccanica. Sapeva che i soccorsi non sarebbero arrivati così presto, non il sabato sera.
<< Non è stata una buona giornata >> rispose << E tu non hai sicuramente aiutato a renderla migliore, soprattutto rimanendo con me fino a orari
alquanto assurdi  >>
<< Vedila così: se me ne fossi andato alle otto, saresti rimasta da sola dentro questo coso >>
<< Almeno ci sarebbe stato silenzio >> obbiettò.
<< Non saresti andata nel panico, senza di me? >> Kate si trattenne dal mollargli uno scappellotto sulla testa. La verità era che andava nel panico proprio perché c’era lui. Quell’uomo la faceva agire in modo sconsiderato e irrazionale, trasformando il suo lato pragmatico. La distraeva, le faceva dimenticare le cose e, molto spesso, la intralciava. Anche se, qualche volta, sapeva essere utile anche lui, ma solo se c’erano cadaveri, sangue e Men in Black in mezzo.
<< Oggi sei stato più estenuante del solito, Castle. Da primati. Poi rompere un trita documenti non è da tutti >> prese  una pausa, ricordando l’oggetto in fiamme con lo scrittore affianco. L’unico problema era che l’uomo aveva in mano dei fascicoli che doveva portarle e che questi erano andati letteralmente a fuoco, e solo perché si era messo a giocare con quell’affare e ci aveva fatto finire uno spillo dentro. Il perché si fosse incendiato era  a lei ancora ignoto << Ripetilo insieme a me: non si bruciano i documenti >>
<< Non ho bruciato niente >>
<< Sono stati gli alieni? >>
<< Sempre loro >>  Castle alzò le spalle col fare innocente << Siamo le loro vittime preferite, è inutile >>
Si lasciò sfuggire un sorriso, sistemandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio. << Se un giorno introdurrai gli Ufo all’interno di un romanzo di Nikki Heat, non mi stupirò affatto  >>.
<< Beh, sarebbe Rook a proporre la teoria e Nikki la demolirebbe in tre petosecondi. Non funzionerebbe >> fece una piccola smorfia, scuotendo la testa, quasi si stesse immaginando i due personaggi discutere sulle entità extra-terrestri.
<< E questo non ci ricorda niente, vero? >>
<< Mi ricorda la mia abilità nel rendere la psicologia dei miei personaggi  >> dichiarò, sicuro delle sue parole << E la loro profondità. Questo perché io sono un tipo profondo >>
<< La tua profondità è, come dire… come la spiaggia d’estate. Quando ti sembra di aver nuotato abbastanza per raggiungere i punti dove l’acqua dovrebbe essere più alta, ti ritrovi in un dosso dove ti sfiora appena i polpacci >>  Kate rise, vedendo l’espressione che aveva assunto il suo collega. Dapprima increspò le labbra, poi iniziò a trattenere un riolino e, infine, sfociò in una risata. Aveva l’espressione di uno a cui avevano appena detto che il sole non sarebbe sorto il giorno dopo e che Babbo Natale non esisteva; allo stesso tempo, si mostrava col volto che doveva avere qualcuno quando veniva quasi investito e la macchina passava dritta, lasciandolo magari con ferite superficiali, gli occhi stralunati e un grande spavento. Nel complesso, era uno spettacolo ridicolo e estremamente esilarante.
Era proprio in certi momenti che Kate si domandava se non stesse davvero facendo da Babysitter a uno scrittore troppo cresciuto.  
In quell’istante decise di essere troppo stanca per potersi sentire ancora arrabbiata e troppo orgogliosa per ammetterlo anche con se stessa.
<< La prossima volta che decidi di cercare la mia profondità, prendi una barca e vai a largo >> suggerì, sorridendo a sua volta << Rimarresti piacevolmente sorpresa >>. Lei lo guardo e rise di nuovo, seguita successivamente da Castle.
<< Cavolo, ho veramente bisogno di dormire >>  la Detective si asciugò una lacrima, dovuta all’improvvisa crisi di riso. Se avesse avuto una macchina fotografica, sarebbe rimasta mesi a mostrare l’espressione dello scrittore in giro per il distretto, tanto per riderci su ancora.
Scosse la testa e alzò lo sguardo << Sabato sera in ascensore >> mormorò << Avevi qualche programma, Castle? Oltre a passare tutta la notte in distretto, ovviamente >> 
<< C’era la proiezione notturna dell’ultimo di Harry Potter >> rispose, giocherellando un po’ con il telefonino. << All’una del mattino la sala è sempre piacevolmente vuota >> scrollò le spalle, dando all’idea un’intonazione priva di importanza. << Tu? Programmi con Josh? >> domandò, fissando in modo particolarmente ossessivo lo schermo dell’Iphone.
La donna si domandò cosa ci fosse di così interessante nel menù delle applicazioni << No >> questa volta fu il suo turno di scrollare le spalle << Semplicemente avevo intenzione di chiudere una brutta giornata >>
Richard Castle si trattenne dall’alzare lo sguardo e dal domandarle cosa avesse fatto di quel sabato una brutta giornata. Per lui l’ideale di bella giornata si era nettamente ridimensionato nel corso del tempo – in particolare, nel corso degli ultimi anni. Ed era assurdo – o forse, semplicemente divertente – come piccole cose potessero influenzare il suo umore e i suoi programmi. Gli ricordava un po’ la teoria del caos, in cui un singolo battito di una farfalla poteva stravolgere il corso del tempo. Bastava un solo dettaglio – il cosiddetto evento trascurabile – per sconvolgere l’esito di una vicenda. Generalmente questo rimaneva sempre nell’ombra: era un elemento essenziale ma futile agli occhi di tutti.
A Castle piaceva quel particolare, l’idea che qualcosa di così insignificante potesse contenere in sé una così grande dose di potere. Prima o poi ci avrebbe scritto qualcosa sopra. Sarebbe suonato qualcosa come “La piccola farfalla che distrusse il mondo” e sarebbe stato, al contrario di quanto potesse mai dire Beckett, altamente profondo. E gliel’avrebbe fatto ammettere, anche a costo di noleggiare una barca e trascinarla negli angoli più remoti dell’oceano Atlantico.
<< Immagino che Josh avesse dei profondissimi impegni a cui rispondere >>.
Kate sobbalzò e lui se ne accorse.
Era sempre un argomento fragile, quello di Josh. Una specie di Taboo non scritto. Finché si trattava di parlare dei programmi, raccontare (senza dettagli) di serate passate assieme, lei non aveva troppi problemi, sebbene tendesse ad eludere le domande. Il problema si poneva quando le chiedevano come fosse.
E lei rispondeva con un “Simpatico” che sembrava sempre non bastare. Si presume che una donna conosca abbastanza bene l’uomo con cui sta, ma non era il suo caso. Non sapeva quasi niente di ciò che riguardava Josh, perché le andava bene così.
Non le interessava se aveva figli, se aveva divorziato un certo numero di volte o cosa pensasse riguardo all’ultimo film di Harry Potter, ne se avesse intenzione di andare a vederlo. Le stava bene così, la faceva sentire leggera, ma un pelino infelice. Forse gli avrebbe chiesto se sarebbe andato a vedere Harry Potter, uscita da quell’ascensore. Come se Josh avesse tempo per il cinema.
Ma in fondo ci stava bene assieme: era un tipo pragmatico, sicuro di sé, che faceva poche domande.
Josh era Josh. E lei amava Josh.
Più se lo ripeteva, più se ne convinceva.
<< Sai, lui salva vite, Castle >> ribatté sarcastica, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
<< Anche noi, in un certo senso >> si fermò un attimo, e lo vide portarsi una mano al mento e cercare qualcosa con lo sguardo, nel vuoto, come se stesse riflettendo su come spiegare in modo esaustivo la sua risposta << È un paradosso. Attraverso i morti salviamo i vivi >> Beckett fece per controbattere, ma lui l’anticipò << Assicurare alla giustizia un Killer seriale, ad esempio, fa in modo che soffrano meno persone e che ci siano meno perdite; catturare un assassino, di qualsiasi specie esso sia, e comunicarlo ai parenti o ai conoscenti della vittima, a sua volta, salva loro, aiutandoli a lenire un poco il dolore >> lo fisso, senza dire o fare niente. Kate Beckett era a corto di risposte, poiché trovava quella appena ricevuta incredibilmente ottimista. E dolce. Ciò la spiazzava.
Castle alzò un sopracciglio, non udendo risposta. Qualche volta si rendeva conto di dire cose… beh, non pienamente sensate (anche se nella sua mente, il senso, l’avevano eccome) ma riceveva sempre una battutina in cambio. Sempre. Quindi, quella volta, aveva detto qualcosa di terribilmente stupido o qualcosa si particolarmente interessante?
<< In ogni caso non avevo impegni >> concluse, terminando la discussione.
Lo scrittore decise di non indagare oltre. Si era accorto che l’argomento Josh diventava via via sempre più complicato. A volte si chiedeva perché proprio lui.
No, non era così esatto.
La vera domanda non era perché Josh. Non se l’era mai posta, poiché consapevole che non si trattava di Josh nello special modo. Poteva essere chiunque, e non si sarebbe chiesto perché avesse scelto quell’uomo. No, quella non era la vera questione. Era una domanda stupida e c’erano mille modi con cui rispondere.
Poteva essere chiunque – chiunque tranne Richard Castle.
Era questa la vera questione. La domanda.
Perché poteva essere chiunque tranne lui?
Avrebbe voluto scoprirlo. Nonostante fosse così bravo con le parole – abbastanza da viverci – non riusciva mai a pronunciare quelle giuste. Sapeva che se le avesse chiesto di più di quel che avevano lei si sarebbe ritirata. Eppure era qualcosa di inevitabile, perché prima o poi – in ogni storia che si rispetti – l’equilibrio va spezzato. Sapeva che, prima o poi, quando sarebbe emerso che Kate Beckett era diventata molto più di Nikki Heat, molto più di una Musa, tutto sarebbe andato in frantumi.
Perché, esattamente?
Pensarci peggiorava ulteriormente la sua situazione.
<< Oh >> esclamò, guardando il display << È ufficialmente domani >> le mostrò lo schermo che segnalava le ore “00:01” << La tua giornata No è appena finita, Beckett >>

 

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Note
Ed eccoci al secondo capitolo. Sebbene sia uscito totalmente diverso da ciò che avevo in mente (forse perché l’ho scritto a singhiozzo, e ogni parte è stata scritta dopo le due di notte xD) ve lo presento comunque, sperando di ricevere in testa solo materiali freddi. Sì, anche il metallo: se è freddo, va bene lanciare pure quello.
Premetto che – nella mia beata ignoranza – non ho la più pallida idea di come funzioni un ascensore.
Tutte le informazioni vengono da Zia Wikipedia, che me le ha gentilmente fornite dopo che ho digitato “ascensore” su google. La morale di quest’informazione è: mi scuso se ho scritto scemenze riguardo alla funzione tecnica dell’ascensore, ma – per quanto ne possa sapere – si muove solo perché trascinato da corde mosse da buoi XD
Il secondo punto che devo specificare è la reazione di Beckett – perché sì, la prima parte è parecchio OOC, lo so, ma non sono mai stata bloccata in un ascensore (Dio santo, speriamo che non accada mai D=) e credo (penso, spero) che dopo una brutta giornata, ritrovarsi bloccata tra due piani sia proprio il colmo e che, anche se in modo del tutto subconscio, ci siano reazioni esasperate. In questo caso, la mini-crisi-respiratoria.
Beh, non l’ho ancora detto? Io amo i Clichè. Sono come il lato oscuro e sì, hanno i biscotti al cioccolato *porge biscotto* volete? xD
Deliri a parte, vi saluto e vi ringrazio *inchino* per aver letto i miei deliri.
Al prossimo (ultimo) capitolo.
Ps: il titolo del capitolo viene dalla canzone “The Quest” di Bryn Christopher

Recensioni –  (mi scuso per l’alta dose di follia nelle risposte)
MartyStyle: Probabilmente, se non fosse per te, tre quarti di tutte le storie che ho pubblicato sarebbero ancora nel pc. Questa compresa. In realtà, se non ascoltassi i miei deliri, non riuscirei neanche a portarle a termine xD con tutti i problemi psicotici che mi metto durante la stesura, poi… insomma, hai tanttaaaaa pazienza *sorride amichevolmente e si aggrappa al cappello da fungo, sperando che non glielo porti via*

Luli87: sì, gli avvenimenti negativi vengono sempre tutti assieme. Almeno, a me capita sempre così D: si comportano come il domino e una piccola cosa ne scatena altre quarantamila di diversa entità.
Oddio, lo spiraglio di luce xD effettivamente è la “piccola bella cosa” che precede “le grandi brutte cose”.
Sì, effettivamente la giornata di Kate è stata proprio una di quelle classiche giornate No con i controfiocchi. Confezionata, impacchettata e inviata dalla sfortuna in persona XD
Okay, smetto di delirare ^^ Grazie per aver recensito! Alla prossima!

Angol: Io sono grande seguace del lato oscuro, di zio Voldi (anche se preferisce il nome Voldemort, di solito) e del cioccolato. Senza togliere niente ai biscotti, ma il cioccolato è il cioccolato u.u quindi, come potevo non inserirlo? xD
Bah, io mi sono persa eccome – solo perché ho inserito l’ipod, preso il bus sbagliato e mi sono ritrovata dall’altra parte della città, per arrivare a scuola con un ora e mezza di ritardo e beccarsi un due all’interrogazione di non-ricordo-neanche-che-materia. Ehm, sì, sono un tipa leggermente sbadata.
Grazie infinite per i complimenti, mi sento lusingata. Speriamo che non mi perda strada facendo, allora.
Al prossimo capitolo! =D

kate95: Felice che l’inizio ti sia piaciuto! Oddio, non so quale sia la misura standard di un ascensore del distretto (al massimo so di quelli che ci sono qui: capienza quattro persone, ma in due si sta già stretti) ma credo che si avvicini particolarmente a quella che hai suggerito XD Sì, prima o poi Castle ne combinerà una delle sue. Spero solo che la pistola di Beckett sia scarica. Al prossimo capitolo ^^

ivi87:  Beh, sì, speriamo che, minaccia dopo minaccia, non passi ai fatti. Perché credo che se qualcuno può compiere un omicidio e coprire tutte le prove quel qualcuno è proprio un detective dell’omicidi. Grazie mille per la recensione ^^ al prossimo capitolo!

1rebeccam: Credo che lo sport preferito di Castle sia “combinare guai” secondo solo al “formulare teorie cospirative/governative/extra-terrestri” XD E sì, effettivamente Kate aveva ragione – sommare Castle alla giornata che aveva deciso di ribellarsi alle sue idee… beh, posso solo dire che – personalmente – avrei avuto una di quelle crisi di nervi esemplari. Al prossimo capitolo ^^

housina27: Heilà! In realtà il caldo ha sempre strani effetti su di me D: è insopportabile.
In ogni caso, sono contenta che ti sia piaciuta. L’ascensore – per me – fa tanto Grey’s Anatomy. Inutile dire che amo anche io i piccoli elevatori malvagi? xD Spero che anche questo capitolo ti piaccia ^^ alla prossima!

Amy Wendys: Grazie mille! So che sa di già visto, però non ho resistito alla voglia di dare anche una mia versione della “trappola ascensore” e di svagarmi un po’. I risultati di ciò sono… effettivamente sono una one-shot suddivisa in ben tre capitoli. Spero di non averti annoiato troppo ^^ a presto!

francy091: Adorare? Addirittura? o.o Inutile dire che sono assolutamente lusingata dal tuo commento. Credo di avere ancora tanto da imparare e tanto esercizio da fare, riguardo alla scrittura. Ma proprio tanto-tanto.
In ogni caso, sono felice che il precedente capitolo non sia stato così disastroso come credevo ^^ mi sono messa un milione e mezzo di problemi mentali prima di postare (per non parlare dei problemi che mi sono messa scrivendo questo) e quindi ero (sono) leggermente (leggi: molto) insicura.
Ti ringrazio ancora ^W^ al prossimo capitolo.

Luna Renesmee Lilian Cullen: Grazie mille per il commento! XD sono felice che tu abbia apprezzato e che il primo capitolo ti abbia incuriosito. Spero che questo capitolo non sia da meno, anche se le allusioni al “stai zitto o ti sparo” sono leggermente maggiori e dirette xD alla prossima!

   
 
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