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Autore: monochrome    19/07/2011    4 recensioni
Albina Severi, Al per gli amici, stronza megalomane per tutti gli altri, ha poche certezze, certezze che l'aiutano a mantenere quella sicurezza di sè di cui fa sfoggio ogni giorno, quell'arroganza e quel sarcasmo che la contraddistinguono. Ma poi, piano piano, senza rendersene conto, si cresce, le situazioni cambiano, i rapporti cambiano e le certezze cadono una ad una.
***
Dal capitolo 7:
«Diamine Al! Sei così dannatamente fragile! Ti atteggi da dura, ma sei porcellana finissima che può rompersi alla prima caduta. Come potrei farti questo?»
Deglutii.
Non sapevo che dire, non sapevo che diavolo fare. Sapevo che avevo ancora voglia delle sue labbra e nessuna intenzione di rinunciare alla mia indipendenza per nessuno al mondo. Mattia sembrava il ragazzo perfetto per me, perfetto per darmi affetto e ricevere il mio, senza obblighi o etichette di sorta. Perché avrei dovuto rinunciarvi? Perché avrei dovuto lasciarlo andar via? Cosa mi tratteneva? Forse la consapevolezza che non sarebbe mai stato solo e unicamente mio?
Aderii nuovamente col mio corpo al suo, alzandomi in punta di piedi per sfiorare col mio respiro le sue labbra gonfie.
«Sono io che voglio farlo»
Fu lui a far combaciare le nostre labbra, gentilmente.
Mi vidi costretta a tirargli i capelli per fargli aprire quella dannatissima bocca!
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Medea00,
perchè è la mia beta e mi incoraggia a scrivere
con la sua febbre da shipping compulsivo.
A
Nih,
perchè anche lei è un'assetata di capitoli
e continua a ripetermi che devo scrivere tutto quello che mi passa per la testa
(è colpa tua se tutta questa faccenda è surreale a livello Dalì)
A
_Trixie_,
perchè è una merapendosa lettrice.
A
SerenityEndimion,
perchè si è letta e ha recensito tutti i capitoli in un giorno,
rendendomi la scrittrice più soddisfatta al mondo.






All my Certainties

E ora ti punirò nel nome della Luna!




Il mio telefono, abbandonato su un tavolino, da qualche parte nel mio salotto, strillò un “E ora ti punirò nel nome della Luna!”, segno che mi era arrivato l'ennesimo messaggio del giorno.
Lo ignorai, sotto lo sguardo dubbioso di tutti gli altri. Mi concentrai piuttosto sulla mappa del risiko che avevamo piazzato sul tavolo da pranzo. Io, fiera rappresentante dei carrarmatini neri, dovevo distruggere in tanti piccoli pezzi l'armata rossa di Marco, spazzandola via, incenerendola e, perchè no, rubandogli anche qualche carrarmato dall'Africa quando non stava guardando, sotto lo sguardo complice di Lorenzo. Ok, lui avrebbe dovuto fare fuori me, me lo aveva confidato in via del tutto straordinaria, ma non era mai stato il tipo che porta a termine gli obiettivi. La sua strategia, piuttosto, era quella di scegliere un caso disperato da spalleggiare e lanciarsi in missioni suicide per agevolarlo. Beh, io ero la sua causa persa del giorno. Incoraggiante.
«Attacco... la Cina dal Giappone!» affermai convinta, accaparrandomi i tre dadi rossi da attacco.
«Al, non puoi.» sbuffò Ivan, di fronte alla mia noncuranza delle regole.
«E perchè scusa?» ribattei, decisa ad averla vinta almeno quella volta.
«Basta, ci rinuncio!» borbottò il castano, alzando gli occhi al cielo. Gli risposi con un'occhiata sfrontata. Era tutta la sera che era intrattabile e dovevo capire il motivo. Persino Cristina era più simpatica di lui quella sera. Forse la mia suoneria lo irritava? A dire la verità aveva irritato anche me, fino alle sei del pomeriggio, ma poi avevo imparato ad ignorarla.
Marco, dotato decisamente di una pazienza maggiore, tentò di sostituirlo nello spiegarmi quella regola che davvero io ancora non avevo compreso.
«Il Giappone e la Cina non sono collegati sulla mappa. Puoi attaccare solo territori confinanti.»
Annuii, pensosa. Poi scossi la testa, ancora più convinta di prima.
«Se il Giappone ha invaso la Cina settentrionale nel '36, non vedo perchè non possa farlo io nel 2011!»
«Stai usando dei carrarmati, porca miseria! I carrarmati non possono saltare gli stati! Devono passargli attraverso!»
Ivan aveva alzato la voce, esasperato. Come avrebbe preso il fatto che lo stavo facendo apposta solo per farlo arrabbiare? Chiamiamola una piccola vendetta per non aver contribuito alla ricerca del cellulare scomparso.
«E ora ti punirò nel nome della Luna!»
Sbuffò, prima di sbattere la testa contro il tavolo. Ridacchiai silenziosamente.
«Beh, se è per questo i carrarmati non attraversano nemmeno l'acqua!»
«Ti prego Al, attacca la Mongolia. Non me ne frega nulla se perdo un territorio!» mi propose Mel, nonostante si stesse divertendo un mondo anche lei a vedermi stuzzicare Iv in quel modo.
Beh, non recepii il messaggio. O, meglio, mi rifiutavo di chiudere quella polemica così velocemente. Dovevo pur sfogarmi in qualche modo!
«Ma io voglio attaccare quelle orribili armate rosse di Marco!»
«E allora attaccalo in Kamchatka!» replicò Ivan, che ancora non aveva rialzato la testa dal tavolo e se l'era contornata con le braccia.
«Ho cinque miseri carrarmatini in Giappone! Marco ne ha almeno una decina in Kamchatka!»
«E ora ti punirò nel nome della Luna!»
«Al, ma sei sicura di non voler leggere nemmeno un messaggio? Magari è importante...»
Come al solito Marco arrivava a fare da paciere. Mi prese il telefono e fece per porgermelo.
Declinai l'offerta con un sorrisetto malizioso sul volto.
«È solo Mattia che mi sta infamando. Gli ho detto che per uscire con me deve prima impararsi a memoria la discendenza di Finwe fino ad Elrond ed Elros.» spiegai, pratica, esaminando la mappa del gioco. «E va bene, attacco l'Alaska dall'Alberta.»
«Bastarda!» borbottò Lorenzo a mezza voce, prendendo i dadi blu per la difesa.
«Al, tu non la sai la discendenza di Finwe.»
«Grazie per l'ovvietà, Mel»
Intanto avevo conquistato l'Alaska, sotto lo sguardo rassegnato alla sconfitta di Lori.
«Non è crudele?» s'intromise Cristina, che fino a quel momento se ne era stata zitta ad ascoltare i nostri discorsi. Con molta sorpresa da parte mia avevamo scoperto che era una grande appassionata di Risiko. Il fatto che stesse vincendo, rendeva la cosa ancor più inquietante. «Insomma, se non vuoi uscirci non fai prima a dirglielo?»
«Ma così è più divertente!»le rispose Lorenzo, al posto mio. Sorrisi a Nasino a maiale (no, non avrei mai smesso di chiamarla in quel modo), come per dirle «Ci ha preso in pieno!».
«In realtà era la mia prima idea ad essere crudele...» cominciai, ma venni sovrastata da un altro messaggio in arrivo. «Avrei voluto proporgli come sfida quella di farmi amare quell'insulsa materia chiamata matematica, ma così avrebbe perso in partenza» risposi, pratica.
Marco mi guardò in modo strano, come se volesse guardarmi dentro, in modo profondo, e capire che cavolo di intenzioni avessi. Beh, non lo sapevo nemmeno io. Sapevo che mi ero voluta vendicare per lo scherzetto del falso professore e che quella era la prima cosa che mi era venuta in mente. Sapevo che, siccome era lui a voler uscire con me, conducevo io il gioco, anche a costo di tirare troppo la mano. E anche se si fosse stancato di me, mi sarei davvero persa una grande occasione? Ne dubitavo e quindi potevo permettermi di fare tutto quello che mi passava per la testa. O almeno, io la pensavo così.
«Ma si può sapere chi diavolo è questo Mattia?» borbottò Ivan a un certo punto, riemergendo dal suo groviglio di braccia e guardandoci tutti, me in particolar modo, per capirci qualcosa.
Lorenzo fece spallucce, Mel sorrise maliziosamente e sapevo perfettamente che stava pensando una cosa tipo “Chiappette d'oro”.
«Mattia, quello di sabato scorso. Sorriso da paresi, Bipolarismo in atto... non mi ricordo come te l'ho chiamato.» risposi, liquidando la faccenda con un gesto e senza nemmeno guardarlo negli occhi. Ero tutta presa dal sapere se avevo collezionato un tris per buttare un po' di forze in quel povero Giappone. Il Kamchatka andava distrutto!
«Quello?!» domandò, Ivan, in un misto di incredulità e principio di rabbia. Chissà poi cosa aveva da scaldarsi tanto. «E come cavolo ha fatto ad avere il tuo numero?!»
«È lui che mi ha riportato il cellulare.» Non c'erano cadenze particolari nella mia voce, una gran cosa, visto che Ivan stava per dare in escandescenze. Non ero convinta fosse per i miei Risiko-dispetti. Doveva essere qualcos'altro, ma non riuscivo a capire cosa.
«Beh, ce lo ha avuto lui tutto il tempo, era il minimo.» mormorò Mel, quasi timorosa di averlo detto, come se avesse potuto sganciare una bomba atomica dritta dritta sulla capigliatura perfetta del nostro amico alterato.
Ivan sbarrò gli occhi, guardando da me a lei per capirci qualcosa.
«Perchè non ne sapevo nulla? E da quando lo chiami Mattia?!» Si era alzato in piedi, aveva poggiato le mani sul tavolo e si sporgeva verso di me. Mi sembrò scortese non guardarlo negli occhi, ma quasi mi sconvolse vedere nei suoi occhi di ghiaccio tanto calore. Capii finalmente che avrei potuto scottarmi se non avessi agito con cautela, ma il mio orgoglio non mi permise di trattenermi.
«Lo avresti saputo se ti fossi dedicato a me solo per dieci minuti in questi ultimi giorni.» Volevo suonare piatta, ancora una volta. Invece nella mia voce riuscirono tutti a notare una vena di risentimento. Ebbene sì, non lo avevo perdonato per avermi messo da parte. Problemi?!
Lui assottigliò gli occhi, cercando di capire che razza di intenzioni avessi, ma poi, sotto l'incoraggiamento di Cristina, si rimise seduto e lasciò perdere.
«Mi dispiace Albina, sono stata io a monopolizzarlo» Sembrava realmente dispiaciuta ed io ero troppo concentrata a capire quella strana scenata di Ivan per prendermela con lei. La colpa era di Ivan, che non riusciva a dirle di no, non sua. Quindi le rivolsi, in un moto di improvviso buonismo, un mezzo sorriso.
«E ora ti punirò in nome della Luna!»
«Nessun problema Cristina»
Ignorai lo sbuffo contrariato di Iv.
«Ma quanti soldi sta spendendo?» domandò Lorenzo, l'unico estremamente divertito dall'intera faccenda. Secondo Mel stavo solo sprecando tempo. Tanto, a suo parere, saremmo sicuramente finiti a letto nel giro di un mese, meno se smettevo di torturarlo in quel modo. Marco si era rabbuiato nel sentir starnazzare quel telefono così tante volte. Avrei scommesso che non gli piaceva la suoneria, ma era decisamente meglio di quella che recitava “Angeli protettori, della Terra custodi, miao!” presa dalle Mew Mew. Cristina appariva interessata, ma disturbata dai miei “metodi da rimorchio”. Ivan invece sembrava infastidito e basta, da cosa non si era capito. Magari aveva solo mangiato brioche e acidità a colazione, a pranzo e a cena. Avrei dovuto sottoporre a test clinici i resti della sua pizza celiaca.
«Penso abbia la Tim per tutti, o una robaccia così» buttai là, osservando il campo di gioco. Ormai, lo avevo capito, nessuno avrebbe più ripreso a giocare.
«Ma tu non hai Tim» osservò Marco, che tante volte si era lamentato di quella mia mancanza, visto che per mandarmi messaggi spendeva una fraccata di soldi ogni settimana.
Toccò a me fare spallucce. «Lui non me l'ha chiesto.»
Il telefono ricevette un altro messaggio e questa volta quella pasta di pane del mio amico decise di leggere qualcosa.
«”Stronza bastarda, ho finito i soldi!”» Aggrottò le sopracciglia, leggendo quegli improperi senza la minima inflessione. «Quello prima recitava “Ma tu hai Tim, vero?”»
Sorrisi, soddisfatta del mio operato.
«Sicura di non voler leggere gli altri? Ce ne sono venti non letti e la metà di questi insulti non li avevo mai sentiti...» borbottò.
«Ne ho già letti una cinquantina da stamattina. Alcuni sono davvero originali.»
«Tipo?»
«In uno mi ha dato della brutta faccia di merlo»
«Offesona!» scherzò Lorenzo. Cominciammo a mettere a posto carrarmati, carte e mappa, visto che tanto l'interesse era scemato. Avevo la sensazione che se la serata non fosse finita in fretta qualcuno di noi ci avrebbe rimesso. Ivan, magari, che sembrava davvero di pessimo umore. Oppure io, che non avevo la minima intenzione di venirgli incontro.
Lorenzo si schiarii la voce, richiamando su di sé l'attenzione anche di quello scazzatissimo Iv.
«Visto che siamo in vena di confidenze sentimentali...» cominciò, leggermente titubante. La cosa non allarmò nessuno (tutto il contrario di quando io avevo riferito a Marco e Lori di Mattia) rendendo tutti quanti -e dico davvero tutti- stranamente felici ed elettrizzati. L'ultima storia di Lorenzo non era finita proprio benissimo. «Vi ricordate di Camilla?»
Capimmo improvvisamente la sua titubanza. Vide i nostri sorrisi ammosciarsi a quella notizia.
Camilla era la sua per-ben-dieci-volte-ex, con la quale si era preso e lasciato per circa un anno e con la quale diceva di aver chiuso ogni rapporto da almeno sei mesi. Non ci aveva mai voluto confessare i motivi delle rotture. Non a me, almeno. A me nemmeno l'aveva mai presentata. L'unico ad averla conosciuta era stato Marco, che ne era rimasto piuttosto dubbioso. E se Marco era dubbioso vuol dire che a me non sarebbe piaciuta certamente. Beh, Marco era piuttosto dubbioso anche su Mattia, magari un'occasione -l'ennesima- a questa Milla-Camilla avrei anche potuto dargliela...
«Ce la ricordiamo, Lorenzo» borbottò Ivan, che aveva rimesso il broncio. Cristina cominciò a sussurrargli qualcosa all'orecchio, nel tentativo di calmarlo e, per una volta, apprezzai quella donna. Magari lo avrebbe reso più piacevole per il resto della serata.
«Beh, abbiamo deciso di riprovarci.» ci informò, entusiasta della sua scelta. Tentammo tutti di mostrarci emozionati. Mel e Marco ci riuscirono mediamente bene, assestandogli qualche pacca sulla schiena, congratulandosi con quel sorriso incerto sul viso, dicendogli quanto erano felici. Ivan non disse nulla, contrario almeno quanto me a quella storia, mentre Cristina gli rivolse un sorriso caloroso solo perchè non aveva passato circa tre mesi della sua vita a tentare di raccogliere i pezzi del nostro amico dopo ogni rottura con quella ragazza.
Io, dal canto mio, non sapevo che diavolo fare. Dirgli che ero felice per lui sarebbe stata una balla colossale e non mi piaceva mentire, non quando, quella sera, lui era stato l'unico insieme a Mel ad appoggiarmi con tutta la storia di Mattia (a proposito, che l'avesse fatto per questo?). Non potevo nemmeno dirgli che stava facendo la più grande cazzata della sua vita, però! Lo avevo fatto a sufficienza le sei volte precedenti, quando ormai mi ero stancata di vederli prendersi e lasciarsi. «Ottimo, davvero» commentai, senza esserne però realmente convinta. Gli rivolsi un debole sorriso, che lui però accettò comunque. Sapeva già la mia posizione su quella faccenda senza che gliela comunicassi e il fatto che non demolissi il suo entusiasmo gli bastava.
Annuii, accompagnando quel gesto a un movimento accondiscendente della mano, come per dirgli «Farò un tentativo». Avevo la vaga sensazione che avrei conosciuto Milla-Camilla molto presto.
«Ottimo! Adesso ci basta trovare una ragazza a Marco e poi saremo tutti sistemati!» esclamò, Lorenzo, fin troppo euforico sotto lo sguardo seccato del biondo.
Io aggrottai le sopracciglia, leggermente interdetta.
«Io non sono sistemata»
«Perfetto! Mettetevi insieme e risolveremo la cosa in un batter d'occhio!» sbottò Ivan. Alzai gli occhi al cielo, senza la minima intensione di mettermi a litigare con lui. Marco, dal canto suo, arrossì, senza però smettere di guardare Iv in cagnesco. A dire la verità tutti quanti stavano guardando male Ivan, persino Nasino a maiale. Un evento irripetibile. Perchè diavolo non mi portavo mai dietro la macchina fotografica?!
«Direi che è l'ora di andare a casa» borbottò Mel, alzandosi dal tavolo. «Mi riaccompagni tu Lori?»
Il moro annuii e sia lui, sia Marco si alzarono, seguendo la ragazza verso l'armadio dove avevano riposto i cappotti.
«Avete intenzione di lasciarmi da sola con il sindaco di Sono-incazzato-col-mondo-ma-dovrei-solo-togliermi-dal-culo-quel-palo e la sua first lady?» dissi, guardandoli in quella loro sfilata verso l'uscita del mio appartamento. Se proprio le mie tre ancore di salvezza dovevano andarsene, perchè diavolo non se ne andavano anche Mr.Musone e la sua donna?
«Oh, non preoccuparti Al, ce ne andiamo anche noi. Almeno riusciremo a salvare la serata con un po' di buon sano sesso. È un problema per te?» rispose acido Ivan, alzandosi e chiedendo a Cristina di fare altrettanto.
Questa si scusò ancora con me, con lo sguardo. Risposi con un gesto incurante della mano. Mi sentivo improvvisamente stanca, non avevo nemmeno la forza di incazzarmi.
«Bye bye» salutai, senza nemmeno accompagnarli alla porta. Rimasi lì al tavolo a riordinare il risiko, senza sapere esattamente come avrei dovuto sentirmi.
Magari in colpa, perchè con Ivan avevo esagerato, sia con la suoneria idiota, sia con le continue battutine. Magari incazzata, perchè era stata la sua ragazza a chiedermi scusa, e non lui. La qual considerazione mi faceva sentire stranamente benevola con lei ed estremamente soddisfatta per essere stata la causa del cattivo umore di Iv.
Alla fine mi sentii soltanto spossata. Amavo le cose semplici e, chissà perchè, Ivan era diventato improvvisamente complicato. Sbuffai, nel chiudere la scatola.
«E ora ti punirò nel nome della Luna!»
Afferrai il telefono distrattamente, andando a leggere l'ultimo messaggio ricevuto.
“Non so come usare questi ultimi centesimi che mi rimangono. Ho l'impressione che se ti augurassi la buonanotte mi manderesti a quel paese. Ti informo che rinuncio alla dinastia di Finwe. Altre torture alternative?”
Sorrisi appena. Stavo per rispondere, quando sentii un movimento alle mie spalle e mi girai. Mi sorpresi nel trovare Ivan ancora accanto alla porta.
«Non mi piace.» disse, piatto. Eppure riuscii a notare una strana inflessione nascosta nella sua voce, o nel suo sguardo. Un qualcosa che mi fece capire la sua preoccupazione.
«Pensavo fossi andato via.» risposi, soltanto, posando il telefono sul tavolo e appoggiandomici a mia volta.
«Non mi piace.» ripeté ed io inarcai le sopracciglia, per farlo essere meno criptico. «Sorriso da paresi. Non mi piace.»
Annuii, per fargli capire che avevo capito, che avevo preso in considerazione il suo punto di vista. «Si chiama Mattia. Comunque ok.» Suonai calma. Ero calma. Avevo capito che il cattivo umore di Ivan era stato causato anche dalla sua preoccupazione. Non mi era mai piaciuto un ragazzo, non tanto da parlarne con loro. Ad essere sincera, non ero nemmeno sicura che Mattia mi piacesse. Ma lo trovavo interessante e avevo voluto condividerlo con i miei amici, anche solo per sapere cosa diavolo stavo facendo.
«Ti piace?» chiese soltanto e si sforzò di rimanere impassibile. Non mi piaceva in quella veste. Era stranamente inquietante in quel modo, lontano da me, stagliato sulla porta con quel suo cappotto nero e lungo.
Scrollai le spalle in risposta. Non lo sapevo.
«Però lo chiami Mattia.»
«Gli troverò un soprannome carino se può farti piacere.»
«Sorriso da paresi o Bipolarismo in atto erano soprannomi carini per lui» borbottò, mettendo le mani in tasca e distogliendo lo sguardo da me.
«Un po' offensivi» commentai, con semplicità. Non capivo dove volesse andare a parare. O almeno, lo capivo, ma non capivo perchè facesse tanti giri di parole. «Non mi danno l'idea di esserci in confidenza»
Lui spostò nuovamente gli occhi azzurri su di me, assottigliandoli appena nel guardarmi, un po' minaccioso, un po' arrabbiato.
«Voi due non siete in confidenza!» soffiò, quasi offeso dalla sola idea.
Roteai gli occhi, cominciando a perdere la pazienza.
«Potremmo diventarlo.»
Rimanemmo in silenzio, ognuno nella propria irritazione, a scrutarci da lontano. Io non avevo intenzione di parlare, non fino a quando non mi avesse detto che diavolo voleva da me e, magari, fino a quando non si fosse scusato.
Quindi fu lui a ricominciare a parlare.
«Lui non mi piace.»
«Lo hai già detto.»
«L'ho ripetuto, magari la capisci.»
«L'ho capita, ma non capisco dove tu voglia arrivare.»
Quello sbuffò, ballando appena sul posto e guardando al cielo. Attesi che mi rispondesse, che si aprisse e mi confidasse cosa esattamente gli dava fastidio.
«Non è adatto a te» esalò infine, come se gli costasse una gran fatica confessarmelo.
«Non ho mai detto che lo sia. Non ho nemmeno capito se ho voglia di uscirci o no.»
«È ovvio che tu voglia uscirci!»
La mia espressione scettica lo fece sbuffare ancora. Se non gli avessi voluto bene lo avrei chiamato Locomotiva.
«Se tu non fossi interessata non gli avresti nemmeno parlato. Ma tu gli hai dato il tuo numero, gli lanci delle sfide, sorridi ai suoi messaggi! Ti piace! Ti piace anche se non è giusto per te!»
Forse fu l'aggressività con cui lo disse, il tono che voleva far intendere che fossi in errore ad aver dato il mio numero a qualcuno o a sorridere a qualcuno che non fosse lui o uno di noi, forse fu il fatto di sentirmi sbattere in faccia cose che ancora non avevo metabolizzato, fatto sta che mi incazzai.
«E chi diavolo sarebbe giusto per me?! Eh?! Qualcuno come te, che mi scarica per la prima biondina che passa e non si degna nemmeno di starmi vicino quando ho bisogno di aiuto? Chi, esattamente, sarebbe giusto per me?»
«Non sarò io, non sarà Marco o Lorenzo o chi ti pare, ma non è lui! Sei il suo giocattolo! Si divertirà e ti metterà da parte! E non verrà a chiederti scusa, come ho fatto io!»
Fui io a sbuffare, alzando gli occhi al cielo.
«Tu non mi hai chiesto scusa! È stata Cristina a farlo!» gli gridai contro, con estremo dispiacere di mia nonna che dormiva al piano di sopra, tra l'altro.
«Ok, ti chiedo scusa.» disse, abbassando il tono, magari tentando di essere dolce, ma facendo suonare quelle scuse solo come una concessione da fare a una pazza. Storsi la bocca, quasi disgustata. «Tu però non uscire con lui.»
«Non sono fatti tuoi.» sbottai.
«Siamo amici, sono anche fatti miei.» rispose, con semplicità. Non sembrava nemmeno più arrabbiato, come se tutta la sua incazzatura fosse stata trasferita a me in meno di un nano secondo. Si avvicinò appena, allontanandosi dalla porta quando invece avrei voluto soltanto vederlo uscire e andarsene. Ma nel guardarlo negli occhi, nel vedere il suo dispiacere, la sua apprensione, il suo non so davvero che diavolo di che nel suo sguardo, non riuscii più ad essere arrabbiata quanto avrei voluto. Mi chiesi se avevo davvero bisogno di quelle scuse sincere. Mi risposi che sì, le volevo e le avrei avute, ma che per qualche strano motivo uno sguardo così bastava e avanzava a me stessa per perdonarlo.
«Sai cos'è la nostra amicizia per me Iv?» domandai, più calma di quanto avrei voluto e dovuto essere. Non lo lasciai rispondere. Magari nemmeno lo avrebbe fatto. Aveva capito che era una domanda retorica immagino. «Vuol dire che se tu mi chiamassi alle due di mattina dicendomi che ti si è scaricata la batteria nell'autogrill Brembo a Osio Sopra, io ti risponderei soltanto “Arrivo”. Prenderei la macchina e in 5 ore, 4 se mi prendo almeno 10 multe per eccesso di velocità, sarei da te, magari anche senza cavetti, perchè nella fretta me ne sarei dimenticata.»
Sentii il mio sguardo su di lui, ma mi rifiutai di guardarlo. Presi la scatola del risiko dal tavolo e lo superai per andare a riporlo nel suo scaffale. Lui non staccò le iridi azzurre da me nemmeno per un secondo.
«Mi dispiace» disse infine, e questa volta suonò sincero. Avrei voluto sorridere, ma non lo feci.
«Sono stato un idiota, lo ammetto, ma penso davvero che Mattia non sia adatto a te.»
Mi voltai a mostrargli un mezzo sorriso storto.
«Te lo farò sapere. Intanto vattene, o Cristina congelerà!»
«Da quando ti preoccupi per lei?»
«Da quando sei diventato più sgradevole di lei!»
«Era quella dannata suoneria!» tentò di difendersi. «Ti entra nel cervello e non ti lascia più! A me nemmeno piace Sailor Moon!»
Risi della sua sofferenza, perchè era divertente e la mia vendetta era davvero andata a segno. «Vorrà dire che la prossima volta sceglierò qualcosa da Dragon Ball. Una roba tipo “Onda Energetica vai!”»
Lo accompagnai alla porta, aprendola e facendolo uscire.
«Se Sigismondo manca di nuovo all'appello chiamami. Giuro che non sbaglierò ancora!» Notai con piacere che tutto il cattivo umore lo aveva sfogato urlando contro di me. Ancora non capivo bene cosa fosse successo, ma se avevamo risolto non poteva essere qualcosa di così malvagio.
Fu un attimo. In preda all'entusiasmo Iv si sporse a baciarmi una guancia, per poi correre via, verso la sua macchina e Cristina. Rimasi intontita qualche secondo a domandarmi che diavolo fosse successo. Infine rientrai in casa, chiudendomi la porta alle spalle.
Quella sarebbe stata la serata delle insensatezze. Dall'incazzatura alla sbollitura di Ivan, dal nostro litigio a quello che stavo per fare.
Mi mossi sotto l'influsso del mio istinto, Solo per quella volta, sentii il bisogno di lanciarmi e agire impulsivamente. Presi il telefono, cercai un numero in rubrica e, ignorando che fosse mezzanotte, lo chiamai.
La voce che volevo sentire rispose al secondo squillo.
«Pronto?»
«Ciao faccia di merlo!»
«Fraisier!»
Sorrisi, quasi divertita da quel soprannome che di primo acchito avevo detestato.
«Cos'è? Sapendo di essere in svantaggio sei tornato ai soprannomi umilianti?»
«Devo pur difendermi in qualche modo.»
Sembrava piuttosto cauto e capivo anche il motivo: conoscendomi, una parola detta male avrebbe potuto farmi scattare sulla difensiva. Ma cavolo! Lo avevo chiamato io! Non era forse una dimostrazione di interesse?
«Mi hai chiamato per scaricarmi? Se proprio ci tieni ritenterò con la discendenza di Finwe, ma sappi che è crudele e insensato!» sbottò poi, tutt'a un tratto, illuminandomi. Ecco perchè era così titubante.
«Vieni al cinema con me.»
Rimase in silenzio per pochi secondi, il tempo di farmi pensare che fosse caduta la linea o gli fosse presa una sincope.
«Cosa?»
Risi di fronte alla sua incredulità. Mi sentivo euforica e non sapevo nemmeno perchè. Non poteva essere stato il suono della sua voce a farmi questo. No, assolutamente. Era più probabile che ci fosse una fuoriuscita di gas in casa e che mi stesse annebbiando il cervello.
«È la tua nuova... aspetta, com'è che l'hai chiamata? Ah sì, tortura alternativa!»
«Oh, non saprei. Ne varrà davvero la pena?» suonava divertito. Perchè diavolo avevo quel sorriso ebete stampato in faccia? Un po' di contegno Albina, porca miseria! «Suona come una tortura tremenda!»
«La più terribile. Potrebbe segnarti a vita.»
«Correrò il rischio. Va bene domani?»
«Cioè oggi» osservai, gettando uno sguardo alle lancette dell'orologio che segnavano la mezzanotte e un quarto. «Dammi dieci ore per dormire, un paio per svegliarmi... Massì, alle quattro è perfetto.»
«A domani alle quattro Fraisier.»
«Chiamami Al»
«Al?»
«Sì, voglio che mi chiami Al.»
Annuii, convinta. Non avrei retto un altro minuto l'alternanza fra Fraisier e Albina. Fraisier era uno scherzo e Albina era un'estranea. Non volevo essere né l'una né l'altra.
«Solo se mi chiami Matti.»
«Matti? Mai nella vita. Il tuo nome si abbrevia in Tia!»
Non so cosa avrei dato per vederlo sbarrare gli occhi dall'orrore dall'altra parte della cornetta. Già ridevo al solo immaginarmelo.
«Tia? Mio Dio, è osceno!»
«Ok, allora Ti.» convenni, giusto per stuzzicarlo ancora un po'.
«Non ci siamo.» borbottò, suscitando ancor di più la mia ilarità.
Abbassai appena la mia voce di un tono, provando a sembrare seducente. Non ho idea di cose ne uscì. «Professore, fa così il difficile con tutte le sue studentesse?»
Lo sentii sorridere dall'altra parte della cornetta.
«Solo con quelle che mi sottopongono a torture assurde.»





Capitolo riletto appena e che ritengo altamente improbabile. Ma ieri mi girava così, quindi ve lo tenete così come è venuto.
Come diceva Hugo, «compiuta che sia la cosa, non abbiate ripensamenti, non ritoccatela più. Quando il libro è stato pubblicato, quando il sesso dell'opera -virile o meno- è stato riconosciuto e proclamato, una volta che il neonato ha emesso il suo primo vagito, eccolo, è nato, è fatto in un certo modo, né il padre né la madre possono farci più nulla, egli appartiene all'aria e al sole, lasciatelo vivere o morire così com'è. Il vostro libro è riuscito male? Tanto peggio. Non aggiungete capitoli a un libro malriuscito. È incompleto? Bisognava completarlo nel generarlo. Il vostro albero è nodoso? Non lo raddrizzerete. Il vostro romanzo è tisico? Il vostro romanzo non è vitale? Non gli potrete rendere il respiro che gli manca. Il vostro dramma è nato zoppo? Datemi retta, non mettetegli gambe di legno.»
   
 
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