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Autore: barboncina85    21/07/2011    1 recensioni
Essere un vampiro...o essere un lupo...cosa preferite?? Ve lo siete mai chiesto? Io si...perché non entrambi?
Trovare un bracciale che di giorno ti trasformi nel potente lupo...di notte in un affascinante vampiro.
DAL CAPITOLO 4
"che potessi scegliere? Che cosa essere e quando esserlo o era il bracciale a decidere? E se lo rimetto torno ad essere un lupo o un vampiro?"
CHI LO SA??
Genere: Dark, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Leah Clearweater, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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ALLORA, SO PERFETTAMENTE CHE HO ALTRE STORIE INCOMPIUTE MA QUESTA MI GIRA IN TESTA DA TROPPO E NO RIESCO A PENSARE ALLE ALTRE... LE FINISCO COMUNQUE, NON PREOCCUPATEVI...
NON VI ANTICIPO NIENTE BUONA LETTURA.
^^

 

CAPITOLO UNO

Prendere la decisione di andare a vivere a Forks con mio padre, non è stata sofferta, e nemmeno imposta.
L’ho semplicemente deciso io.
Il nuovo compagno di mamma, un tipo apposto per carità, adorava fin troppo il suo lavoro per restare a Jacksonville, viaggiare, le tournée, le feste, e mamma per lo più cercava di dividersi tra entrambi, convita che da sola, sarei stata male, solo che io somigliavo molto a mio padre, anche nel carattere, e restare da sola non mi dispiaceva.
Certo, rinunciare al caldo della Florida, per il freddo e l’umido della penisola di Olimpia, quello si che era un bel cambiamento.
In fin dei conti era questione di un paio di mesi, passava l’estate e ritornava tutto alla normalità, mamma avrebbe avuto il suo spazio, io un estate con il mio papà.
Al check-in dell’aeroporto, mamma continuava a chiedermi se ne ero sicura, se forse avessi cambiato idea.
<< Ci rivediamo per il mio compleanno >> l’avevo stretta forte a me. Poche volte c’eravamo separate, e la sua spensieratezza e voglia di vivere mi hanno sempre riempito le giornate di sole, anche se fuori era nuvoloso, o pioveva, lei è sempre stata quella forte e spensierata, e so bene che avvolte era solo una facciata, ma lei è cosi, e il carattere non si cambia.
Il viaggio è stato leggero, il volo è durato un paio d’ore, e quando sono sbarcata a Seattle mi attendeva mio padre, in divisa.
Vederlo con quegli abiti mi riempiva il cuore di orgoglio, mio padre lo sceriffo di Forks.
Se non fosse che, per palesare la sua presenza, si stia sbracciando in mezzo alla folla.
<< Bella!! >> continua a gridare agitando le braccia.
Lo raggiungo, non so se sono rossa fino alle orecchie o bianca cinerea, penso più la seconda visto che mezzo aeroporto si è voltato.
<< Sono qui! >> continua indicandosi. Ora, io con tutto il bene che gli voglio, farei decisamente finta che non si rivolge a me, ma dato che con molta probabilità continuerebbe a gridare, lo raggiungo il più veloce possibile.
Quando gli sono davanti mi guarda riprendendo fiato e abbassandosi il giubbotto sollevatosi per il movimento. << Ciao >> sospira affannato.
Lo guardo un attimo, e so perfettamente che è in imbarazzo, come lo sono io del resto. Lui però fa un movimento con le labbra che se non ricordo male fa spesso, porta indietro le labbra sui denti e con la punta della lingua le umetta un po’, cacciando un piccolo sospiro, per poi riportarle in avanti con uno schiocco. Si, ora ricordo, lo fa sempre.
<< Non ti sei accorto che ti avevo visto subito? Anche perché, sinceramente, è difficile non notare un poliziotto >> gli dico con un sorriso puntandogli il dito contro il distintivo.
Lui solleva il braccio portandoselo dietro la nuca. << Scusami >>
Il viso da cane bastonato è uno spettacolo, e abbracciarlo mi viene spontaneo << Mi sei mancato papà >>
Mi stringe appena le spalle, so che per lui è il massimo << Anche tu, tanto >>
Ci avviamo per Forks sulla macchina della polizia, probabilmente era in servizio, appena entrati in città tante caratteristiche della popolazione mi colpiscono, prima tra tutte la presenza di nativi americani, mi è sembrato di contarne anche più della popolazione di bianchi, non so come altro definirci, persino i negozi, molti vendevano oggettistica indiana, c’era pure un chiosco all’angolo di un incrocio che vendeva: tamburelli, acchiappa sogni, archi con frecce, e tanto altro. Mi ripromisi che una volta sistemati i bagagli sarei andata a farmi un giro per quei negozietti, probabilmente non portandomi dietro tutto il capitale, altrimenti sarei rimasta senza.
<< Ti piace? >>
Assorta nei pensieri non mi ero resa conto di guardare come un affamata in tutte le direzioni, e probabilmente, invece, papà se n’è accorto.
Non gli dico niente scuoto il capo in affermazione, e sono fermamente convinta che gli occhi mi brillino.
<< Più tardi fatti un giro, ti piacerà stare qui >> continua a parlarmi sorridendo, è contento che io sia qui, lo so, e comincio ad esserlo anch’io.

La mia camera è sempre la stessa, la porta a sinistra appena dopo la rampa delle scale, quando l’ho aperta l’ultima volta era tutto sul rosa, coperte rosa, tende rosa, orsacchiotti sul letto, poster di attori famosi di quel periodo. Ora, invece, quando l’ho aperta era tutto sull’arancione, giallo, verde pastello, ogni oggetto, ogni tappezzeria, era tutto vivace, e … solare.
<< Qui piove il novanta per cento del tempo, volevo che almeno in camera tua ritrovassi il sole >> me lo dice a pochi centimetri dall’orecchio, e solo in quel momento mi sono resa conto di star ferma sulla soglia di camera mia.
<< è stupendo papà! >> si può essere emozionati per un semplice gesto? Si, si può!

Le valige erano ben poca roba. Mamma ed io abbiamo fatto l’impossibile per trovare roba pesante in florida, infatti, l’unica cosa appena più pesante del resto, era una felpa di Mickey Mouse, niente affatto felpata. Anche se mentre mettevo tutto in ordine, le magliette nella cassettiera di legno, i pantaloni appesi nel piccolo armadio, mentre sistemavo le scarpe sotto i pantaloni, mi venivano in mente quei negozietti sulla strada e comprarmi qualcosa diventava sempre più una fissazione.
Una volta finito trovai papà giù appoggiato al tavolino in cucina, le mani in tasca, la gamba sopra l’altra, e un bel sorriso sul viso, e mi ritrovo a guardarlo con la stessa espressione, credo che quel sorriso non gli andrà via tanto presto.
<< Hai fame? >> mi domanda portando il busto in avanti per trovare una posizione eretta.
L’occhio mi cade sul orologio, appena sopra la sua spalla, attaccato al muro, l’una passate, anche se avevo lo stomaco chiuso, annui.
<< Bene, metti la giacca che ti porto a pranzo fuori >>

Mentre eravamo in macchina diretti dio solo sa dove, continuavano a passarmi negozietti rustici davanti, e uno di quelli attirò la mia attenzione, una libreria, che di libreria aveva ben poco, tante cianfrusaglie coprivano la sua vetrina, ma sul’insegna c’era scritto proprio libreria.
<< Come ci si arriva? >> sapevo che il mio senso dell’orientamento era piuttosto scarso, quindi prima di vagare per la cittadina senza una meta era più prudente chiedere informazioni, e chi meglio del capo della polizia per risponderti?
<< Dove? >> non si volta, la sbircia dallo spioncino cercando di capire cosa stessi indicando.
<< La libreria >>
<< Oh, si, beh questa strada e la seconda traversa dopo casa nostra, poi ti mostro come arrivarci >> appena finisce la frase svolta a destra, e si ferma poco dopo davanti ad una tavola calda.
Si volta nella mia direzione appoggiando il braccio sul volante << Hamburger? >> mi domanda con un sorriso.
<< Perfetto! >>

All’aprirsi della porta uno scaccia spiriti risuono per tutto il locale, la sua struttura in bambù produceva un suono quasi magico, in piena fusione con il locale stesso, le panche di legno i tavoli sembravano tagliati direttamente nel tronco, cosi come il bancone, era uno spettacolo di locale.
Il bancone era di fronte all’entrata, e una signora di mezz’età usci da quella che sembrava la cucina spostando una tenda formata da corde intrecciate.
<< Buon giorno Charlie! >> si affrettò a salutarlo con un sorriso, portando i piatti che aveva in mano ad un tavolo poco distante da noi.
Sorrise ai commensali per poi avvicinarsi, toccandosi il grembiule sabbia, probabilmente per pulirsi le mani. << E questa bella signorina dev’essere Isabella >> allunga la mano destra.
Gliela stringo << Bella, si, piacere >>
<< Carol. Il piacere è tutto mio. Tuo padre ci ha parlato talmente tanto di te che mi sembra di conoscerti. Oh, ma prego, accomodatevi pure >> ci indica un tavolo con entrambe le braccia poco distante.
Ci sediamo e un ragazzetto ci porta due tovagliette sabbia e due contenitori di carta con le posate dentro. Papà le estrae, estraendo subito dopo il tovagliolo che c’è all’interno. Lo imito.
I menu sono provvisti di tutto: antipasti, primi, secondi, panini, piadine, piatti unici. Tutto a base di carne.
Papà non lo guarda, guarda me, e io me ne rendo conto solo una volta sollevato lo sguardo per domandargli cosa ordina.
<< Che c’è? >> dato il suo sorriso, so cos’ha, ma gliel’ho chiesto comunque.
<< Sono contento che tu sia qui! >>
Sorrido << Anch’io >>
Abbassa lo sguardo, prende il menù e continua a non aprirlo. << Ci sono hamburger vegetali, e se vuoi una piadina è ottima anche quella. >>
Il fatto che si ricordi che non mangio carne mi stringe il cuore di emozione. << L’hamburger vegetale è perfetto >>
Carol viene a prendere le nostre ordinazioni, anche papà prende un hamburger, ma con della carne in mezzo ovviamente.
Mangiamo quasi in silenzio, se non per apprezzare la bontà del panino, o per piccoli commenti sulla differenza del tempo che divide la Florida, da Forks.
<< Tua madre come sta? >> mi domanda di punto in bianco.
Ci metto un po’ ad ingoiare il boccone << Bene, dovrebbe partire domani per seguire Phil in un tour >> non so come possa prendere il fatto che parli di Phil, infatti, lo osservo per un attimo, prima che finisca il suo boccone mi pone tranquillamente un'altra domanda.
<< Come si comporta con voi … Phil >> il fatto che abbia ingoiato prima di pronunciare il suo nome può essere anche una coincidenza.
<< Bene, è un brav’uomo, spesso non c’è, quindi abbiamo un rapporto molto tranquillo, e con mamma non sembra essere differente >>
Annuisce mordendo ancora il suo panino, lo osservo bevendo un sorso d’acqua, sembra tranquillo, non dev’essere facile sapere sua figlia e … sua moglie? Ex moglie? Con un altro uomo, ma è passato cosi tanto che penso l’abbia superata. In fin dei conti, è stata mamma a lasciarlo.
Finiamo di mangiare dopo poco, e mi domanda se voglio farmi un giro per la città.
<< Tu non lavori oggi? >> domandarglielo mi viene spontaneo.
<< Si dovrei andare per le quattro, sono ancora le due, devo mostrarti una cosa. >>
Usciamo dal locale salutando Carol, e in macchina ci dirigiamo dalla parte opposta a quella che prendemmo prima, allontanandoci da casa.
Le insegne indicano l’ospedale, lo superiamo, e svoltiamo a sinistra, poco dopo c’era una specie di capanno, e si fermò proprio li davanti.
<< Scendi? >> mi domanda scendendo dalla macchina.
Scendo anch’io seguendolo, lui bussa sul portone arancione creando un boato, di sicuro è di lamiera.
Apre la “porta”, che  viene trascinata di lato, mostrandomi una specie di capanno degli attrezzi. Lo guardo interrogativa per ricevere un occhiolino mal fatto.
<< Vieni! >> mi dice entrando.
All’interno una musica County, anche troppo forte per i miei gusti, disturbata da suoni metallici. Chiunque stia qui dentro mi sembra più che normale che non abbia sentito il nostro bussare.
<< Leah!! >> urla mio padre.
Leah?? Ma non è un nome da donna?
Da sotto un bestione di metallo esce una persona ricoperta interamente di grasso, si solleva dal carrello dove era sdraiata fino a poco prima.
La tuta celeste chiusa con una zip sul davanti completamente sporca che mostrava varie impronte di mani, segno che se le era pulite sopra, la maschera di metallo che gli copre il viso, nel momento in cui vedo il suo braccio alzarsi per togliersi proprio quella maschera, una ragazza, era una ragazza, dai lineamenti indiani, la pelle ambrata, e un sorriso di benvenuto ci saluta con la mano con il quale stringe la maschera, che appoggia su un mobiletto di metallo pieno di cianfrusaglie alla sua sinistra. Si allontana andando davanti al bestione di metallo e la musica si interrompe.
<< Charlie! Non ti aspettavo prima di sera. >> dice abbassando la cerniera e mostrando una canotta di cotone bianco da sotto, sfila le maniche e resta con il torso scoperto.
Con questo freddo? Che coraggio!
<< Si lo so, ma ero in fermento, volevo lo vedesse >> dice euforico << Ah! Bella, lei è Leah >>
<< Piacere! >> Leah, allunga il gomito, non mi porge la mano, forse troppo sporca.
Glielo afferro << Piacere mio >> il suo braccio è caldo, anche troppo per la temperatura esterna, forse quella tuta dev’essere una stufa.
<< Allora >> comincia dando una botta sul bestione di metallo << Questo è un pick-up di tutto rispetto, il motore è completamente rifatto, il carburante è non pulito, di più, e gli ho cambiato il serbatoio, ora va a diesel >> si volta dopo aver accarezzato tutta la carrozzeria rosso sbiadita fino ad arrivare al cofano.
<< Quindi >> continua << Trattalo bene e lui ti proteggerà il meglio che può >>
Resto a guardarla, appoggiata con il gomito al cofano senza riuscire a capire di che cosa stia parlando, forse non è la mia lingua, non lo so.
<< Ti piace? >> la voce di papà mi riscuote dai pensieri incoerenti.
<< Cosa? >>
<< La tua macchina? >>
<< Mia? >> mi indico ancora sorpresa, con questa domanda ho collegato cosa aveva detto Leah, prima non c’ero arrivata. << Mi hai preso una macchina? >> non ero contenta soltanto, ero al settimo cielo.
<< Beh, non potevi di certo andare in giro con la volante della polizia >> mi sorride contento.
Resto con quell’espressione felice, mentre guardo lui, il bestione di metallo, credo che si chiami pick-up e la ragazza che vi è appoggiata sopra.
<< Grazie papà! >> gli getto le braccia al collo, stringendolo.

Avere una macchina mia era una cosa grandiosa, quando ci sono salita Leah si è seduta accanto a me.
<< Non l’ho ancora accesa, voglio sentire le fusa >> mi dice dandomi le chiavi.
Sinceramente una volta inserite le chiavi nella toppa, mi aspettavo di sentire il rumore delle macchine da corsa, invece … fece un ruggito che sembrava quello di cento leoni nella savana, c’è mancato poco che non lasciassi il volante per coprirmi le orecchie.
<< è il capannone che amplifica i suoni, in strada non lo sentirai >>
Mah, io ho i miei dubbi.
Ma non mi sarebbe interessato, questa è la mia prima auto e come tale farò finta che è il più bel gioiello.
Leah ci ha messo altri dieci minuti per stringere un po’ di viti, e forse era una mia impressione ma il rumore era molto meno.
Tornammo a casa, io inseguivo papà altrimenti mi sarei persa un paio di volte, anche se piccola Forks aveva un infinità di stradine, avevo un’ estate per impararle.
Papà scese dalla volante e si avvicinò al pick-up dal quale non ero ancora scesa.
<< Allora, per la libreria. Gira in quella direzione >> mi indica l’esatto opposto di com’era girata la macchina, quindi dovevo invertire la marcia << poi al semaforo gira a sinistra, la seconda traversa a destra, ti ritrovi nella stessa strada di prima, poco più in la sulla destra lo trovi. Ok? >>
Annui con la testa cercando di ricordare, allora: semaforo a sinistra, la seconda a destra, poco più aventi libreria. Speriamo!
<< Hai capito? >> mi domanda dopo non aver afferrato il mio lento movimento del capo.
<< Si, sinistra al semaforo, seconda a destra >>
sinistra al semaforo, seconda a destra. Sinistra al semaforo, seconda a destra. Sinistra al semaforo, seconda a destra.
<< Ok, io ora vado alla centrale, ritorno per le otto. Immagino che poi riesci a tornare a casa. Comunque, non ti preoccupare, se c’è Ben in libreria chiedi a lui, ok? >>
<< Si, seconda a des … ehm, cioè, si, ok, gli chiederò come tornare se mi occorre. >> mi stavo ripetendo cosi tante volte la strada che oramai rispondevo solo con quella.
Giro l’auto e mi dirigo al semaforo, giro a sinistra e alla seconda a destra, la strada mi sembra familiare, solo che quando sposto lo sguardo a destra la libreria la vedo passare appena in tempo. Freno, e menomale che dietro non ci sono auto, altrimenti un tamponamento a catena non me l’avrebbe tolto nessuno, anche se sono convinta che il mio chevy avrebbe retto benissimo l’urto.
Parcheggio poco più dietro facendo manovra in retromarcia, mi aspettavo più rumore che in prima, invece, era molto meno, quasi non si sentiva, quasi quasi l’avrei portata il retro tutto il tempo.
Scendo dal pick-up e mi dirigo al negozio, la vetrina è completamente ricoperta di bigiotteria, e ciondoli, e libri e catenine di bambù, un po’ di tutto insomma.
Quando entro uno scaccia spiriti come nel locale, ma stavolta è di metallo provoca un tintinnio per tutto il negozio.
A primo impatto sembrava tanto un negozio di magia, come quei capanni dove poi trovi la vecchia zingara che ti fa le carte. L’impressione era proprio quella.
Compiendo diversi passi non mi resi conto che il bancone era alle mie spalle, praticamente a ridosso della vetrina.
<< Buona sera! >> la voce alle mie spalle, anche se gentile, mi fece spaventare e girare di scatto.
<< B-b-buona sera … >> credo di dovermi ingoiare il cuore, mi da leggermente fastidio tra le tonsille.
Davanti a me, un ragazzo, poco più basso di me, mi osservava con un sorriso sul volto.
<< Ti posso aiutare? >> nel domandarmelo, un ciuffo bruno gli cade davanti agli occhi, con una mano lo sistema sulla fronte.
<< Si, cioè no, volevo solo dare un occhiata >> credo di essere diventata rossa come un peperone, per non essermi accorta di lui, per essere entrata senza neanche salutare.
<< Certo, qualunque cosa domanda pure >> dopo avermelo detto si siede su uno sgabello dietro il bancone aprendo il libro che vi era posato sopra.
Lo osservo per non più di mezzo minuto quando solleva lo sguardo dalla sua lettura, guardandomi.
<< Scusami >> mi avvicino al bancone con un passo più lungo del normale sbilanciandomi evidentemente << posso farti una domanda? >>
<< Certo, dimmi pure. >> chiude il libro inserendovi un segno per poi appoggiarselo in grembo.
<< Questa è una libreria, giusto? >>
<< Si, esatto >>
<< E come mai è piena di queste cose? >> allargo il braccio indicando genericamente tutti i non-libri presenti all’interno del negozio.
<< Oh, si, beh chi è di queste parti sa bene che questo negozio è stato comprato dalla mia famiglia, dopo che Billy Black ebbe l’incidente e non poté più curarsene >> si sollevò appoggiando il libro sul bancone << quindi le cose che vendeva, sono rimaste in minima parte, sono in vendita ovviamente >>
Spiegazione, più che esauriente, e il mio unico commento è stato un << Oh, ok … >>
Lui resta li, e io intanto vago per il negozio trovando libri sulle mensole e bracciali, collane, scaccia pensieri, e altri monili nelle vetrine e sui banconi.
Era tutto bello, tutto da comprare, ed io avevo pochi spiccioli, giusto per le emergenze. Peccato!
Poi lo vidi.
Avete presente quando, succede per lo più nei mercati, una cosa vi colpisce, una cosa che per molti è insignificante, per te è la cosa più bella del mondo. Ecco, è proprio quello che mi successe, il mezzo a tante mani di plastica protratte verso l’alto per far vedere meglio alcuni bracciali appesi o anelli infilati o bracciali indossati al polso ne vidi uno.
Era appeso al dito, non indossato, aveva una lavorazione di cuoio, che faceva si, che si potesse stringere intorno al polso semplicemente tirandone i lembi, e due ciondoli, uno a forma di lupo, sembrava tagliato nel legno, l’altro a forma di cuore, sembrava cristallo, o diamante, era uno spettacolo.
In quel momento tutta la mia concentrazione fu catturata da quel bracciale.
Un solo pensiero: lo dovevo avere.

 

  
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