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Autore: barboncina85    28/07/2011    1 recensioni
Essere un vampiro...o essere un lupo...cosa preferite?? Ve lo siete mai chiesto? Io si...perché non entrambi?
Trovare un bracciale che di giorno ti trasformi nel potente lupo...di notte in un affascinante vampiro.
DAL CAPITOLO 4
"che potessi scegliere? Che cosa essere e quando esserlo o era il bracciale a decidere? E se lo rimetto torno ad essere un lupo o un vampiro?"
CHI LO SA??
Genere: Dark, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Leah Clearweater, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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SCUSATE SE NON COMMENTO MA SONO ABBASTANZA INCAZZATA E NON HO PROPRIO TESTA.
QUESTA STORIA E' FINITA PENSO DI POSTARE OGNI GIOVEDI CONTRATTEMPI PERMETTENDO.
BACIO.

CAPITOLO DUE

Rimasi a fissarlo per non so quanto tempo.
<< Ti piace qualcosa? >> il ragazzo si era avvicinato e neanche me ne accorsi.
<< Sì, quanto costa quel bracciale? >> indicai con il dito sul vetro ma dato che ne erano due in due dita diverse, pensò fosse l’altro.
<< Non quello, l’altro, con i due ciondoli. >>
<< Ah, quello è fatto a mano, credo che stia intorno ai quindici dollari >> m’informa storcendo la bocca, << ma non ne sono sicuro, se passerai domani, te lo farò sapere >> si allontana di qualche passo tornando dietro il bancone.
Ok, il bracciale mi piaceva, sarei potuta tornare domani. Eppure nel momento in cui mi sono mossa il cuore, sembro abbagliarmi.
<< Senti >> cominciai senza staccare lo sguardo dal gioiello << Sono la figlia del capo Swan, ti lascio venti dollari, nel caso costa di più me lo fai sapere ok? >> mi volto solo dopo aver terminato la frase e il ragazzo era rimasto impalato all’angolo del bancone, come se mi avesse sentito dire una bestemmia.
<< Swan? Il capo Swan è tuo padre? Allora tu devi essere Isabella >> il suo viso s’illumino come un albero di natale, e il sorriso giurerei di averglielo visto arrivare da orecchio a orecchio. << Sono Ben, ti ricordi? Ben. Nelle estati che venivi, eravamo sempre insieme! >>
Ora, secondo la sua indole, io dovrei ricordare quando venivo qua d’estate, il punto è che sono passati tipo sette anni dall’ultima volta, però, se me lo faccio amico, forse mi dà il bracciale con più piacere, e meno problemi. << Oh, si Ben! Non ti avevo riconosciuto, sai è passato tanto >> rimanere sul vago.
<< Oh, no, non ti preoccupare >> si avvicina a me con passi svelti << come stai? >> allarga le braccia, chiaro segno di quello che sta per fare, e mi abbraccia.
O. Mamma.
Gli do due pacche sulla schiena, giusto per ricambiare il gesto, lui si stacca da me e apre la vetrina con delle chiavi che si sfila dalla tasca dei jeans.
<< Tieni, non ti preoccupare, te lo regalo >> mi prende la mano e lo poggia sopra, richiudendomela.
<< Grazie >> dovrei fare la preziosa, dicendo che in realtà lo voglio pagare, ma non ci riesco, l’ho avuto, e mio, e non riesco a non guardarlo.
Resto nel negozio un altro po’, il tempo di vedere fuori il giorno che si scurisce.
<< Ben, è stato un piacere ritrovarti, ora è meglio che torni a casa >> gli dico sollevandomi dallo sgabello dietro il bancone, lui è rimasto in piedi davanti a me poggiato con la schiena sul bancone.
<< Oh, sì. Ci vediamo una di queste sere, usciamo con gli altri magari >> mi dà la mano, stavolta, quando lo supero avvicinandomi alla porta.
<< Sì, magari >> gli rispondo poco convinta. Altri?
<< Al massimo ti passiamo a prendere venerdì se ti va >> continua a insistere ondeggiando la mano.
<< Sì, d’accordo >> è martedì, magari se ne scorda, tutto pur di riavere la mia mano. Infatti, la molla.
<< Perfetto! >>
Contento lui, contenti tutti. Non dico altro, se non un ciao, prima di varcare la porta e richiuderla alle mie spalle.
Uff! Finalmente! Mi ritrovo a sospirare, ma una folata di aria gelida mi fa rabbrividire e mi serro il cappottino sotto il mento ricordandomi per l’ennesima volta che non sono in Florida.

Arrivo a casa poco dopo, stranamente non sbagliando la strada. Parcheggio il pick-up nel vialetto ed entro di corsa, il vento è aumentato, ed è gelido.
Come entro in casa mi dirigo in cucina, poggio la borsa sul tavolo, il giubbotto lo tengo ancora un po’, fa troppo freddo per toglierlo.
Il bracciale l’avevo messo in tasca, e lo tiro fuori guardandolo. È proprio bello, lo sollevo per guardarlo meglio, i tagli del lupo si vede che sono fatti a mano, e le sfaccettature del vetro sembrano vere, non irradiano colori alla luce, ma solo luce bianca, che si riflette come un prisma su di me e sui muri.
Bello, proprio bello.
Lo infilo nel polso tirando i lembi per stringerlo, il cuore finisce sul dorso della mano mentre il lupo dalla parte opposta.
Contenta del mio acquisto vado di sopra, oramai il buio è sceso. Entro in camera mia, apro l’armadio cercando una felpa più pesante, se devo togliermi il cappotto almeno, lo sostituisco con qualcosa di più comodo, tiro fuori l’unica felpa, non felpata, che possiedo e la poggio sul letto, mi apro il cappotto e lo sfilo poggiandolo sulla sedia avanti alla scrivania, ma non sento freddo, meglio non avrò bisogno di mettere la felpa, con il rischio di sporcarla.
Scendo di sotto, e guardo l’orologio attaccato al muro, sono le sei, che faccio adesso?
Era meglio se mi prendevo anche un libro da Ben, poiché avevo risparmiato con il bracciale.
Sollevo il polso per istinto guardandolo, e uno strano odore mi colpisce le narici, sembra … muschio, o quello strano odore di albero bagnato. Strano, sarà il lupo di legno che ha quest’odore? Eppure non mi sembrava di averlo sentito nel negozio.
Abbasso il braccio appoggiandomi allo spigolo del tavolo, appena lo faccio sento un rumore strano, metallico. Abbasso lo sguardo e vedo la gamba del tavolo piegata leggermente.
<< Come … >> mi abbasso sulle ginocchia per capire che cosa può essere successo. Possibile che siamo fatti di gomma questi tavoli?
<< Che strano >> mi sollevo e vado ad aprire il frigorifero, almeno perdo tempo a cucinare qualcosa per stasera mentre papà arriva. Ma nel momento in cui apro il frigorifero, un tanfo terribile mi colpisce il pieno.
<< O signore. È tutto da buttare qui! >> mi tappo il naso e controllo ogni alimento.
Il latte: non è scaduto.
Il succo: non è scaduto.
Il formaggio: non sembra andato a male.
Ogni cosa la controllavo, il colore, la data, tutto regolare. Allora perche sentivo puzzare?
Più restavo lì a capire il perche più non lo capivo. Mi tolsi la mano dal naso un po’ riluttante al ricordo del tanfo di prima, ma lo feci e quell’odore mi si ripresentò.
<< Ma che diavolo è? >> mi arresi tre secondi dopo chiudendo il frigorifero.
Allora, calma, sono già le sei e mezzo e si deve mangiare qualcosa, quindi il frigo è off-limits, quindi si preferisce una pizza.
Chiamo o vado alla disperata ricerca di una pizzeria? E come chiamo?
Mi avvicino al telefono attaccato al muro, e apparte il numero della centrale non c’era altro. Ok, al massimo chiamo papà per farmi dire il numero o almeno come arrivarci.
Digito il numero lentamente, lo strano scricchiolio della cornetta mi preoccupa.
Due squilli.
<< Bella? >> risponde mio padre.
<< Come facevi a sapere … o fa niente, papà hai il numero di una pizzeria, il frigo non si può aprire >> gli chiedo di fretta.
<< Bella sei tu? >> continua a domandarmi come se non mi avesse sentito pronunciare niente.
<< Si papà >> ripeto lentamente.
<< Oh, ho visto il numero di casa sul display, ma la tua voce ha qualcosa di strano >> mi dice rallentando le ultime parole.
<< Strano di che tipo? >>
<< Come? >>
Ma è sordo o cosa? << Strano di che tipo, papà? >> ripeto tutto più lentamente.
<< Strano, più alta, come intonazione, non saprei definirlo, hai preso il raffreddore? >>
In un giorno, sarebbe abbastanza difficile << No papà sto bene >> gli dico lentamente, sembra che se parli normalmente non mi senta << mi sai dire dove posso trovare una pizzeria, o il numero? Il frigo non si può aprire >> continuo lentamente.
<< Sì, dietro casa, se vai verso il semaforo e giri a destra, la trovi subito. Fai prima che chiamare >>
<< Ok, grazie papà >> chiudo la comunicazione prima che possa rispondermi con un altro “che cosa?”
Prendo la borsa, prendo le chiavi del pick-up e apro la porta.
Quando il vento mi colpisce, mi ricordo del giubbotto al piano di sopra, ma quando stavo per richiuderla per andare a riprenderlo mi rendo conto che il vento non mi da fastidio, non mi provoca freddo, né fastidio.
<< Ma che succede? >> mi guardo le mani colpite dal vento gelido, di solito diventano rosse, ora sono bianche, quasi cineree. Sento il rumore di una macchina, e passa dopo poco, ne sento ogni cambiamento di suono, la frizione, il cambio di marcia, i freni che si bloccano al semaforo.
Vedo dall’altro capo del viale un uomo che passa con un cane al guinzaglio, si copre con il cappuccio, tenendolo in testa con la mano sul davanti, mentre cerca di non farsi trascinare dal vento e dal cane, ne sento il respiro, che entra ed esce dalla sua bocca, il fischio dei polmoni che accolgono aria fredda per farne uscire quella calda, sento il rumore del suo cuore.
Un'altra folata di vento, il suo cappotto si solleva, lui si rannicchia per fronteggiare il vento preso dal lato, ma quando il vento arriva a me …
Non sono io. Io non penso più razionalmente …
È il mio corpo …
Lo stomaco si contrae, la fame si risveglia, i muscoli scattano, e in un battito di ciglio sono dall’altro capo della strada.
Il cane avverte la mia presenza e si gira ringhiando.
Il padrone cerca di trattenerlo per poi alzare lo sguardo su di me.
So di guardarlo, lo vedo, mi fissa, ma il mio cervello non vede una persona come i miei occhi, il mio cervello continua a dire, “fame” e “cibo”, in cosa lo vede? Nell’uomo che ho davanti?
<< Non si preoccupi, non morde >> mi rassicura lo sconosciuto con un sorriso.
Abbasso lo sguardo sul cane, continua a ringhiare e abbaiare, poi guardo lui, e le parole mi escono dalla bocca senza che io ci abbia pensato o riflettuto. << Chi? Io, o lui? >> e neanche un decimo di secondo dopo spezzo il collo al cane con una pedata e affondo i denti nella giugulare dell’uomo.
Caldo, denso, ferroso. Il suo sangue mi bagna il palato e la gola, e mi sembra di rinascere, e più succhio più ne voglio, e l’uomo lentamente smette di tremare, di respirare, e infine il suo cuore smette di pompare. Quando mi rendo conto che continuando a succhiare non ne esce più niente mi stacco dal suo collo, e il cervello ritorna a funzionare in maniera razionale.
Lo vedo tra le braccia, vedo l’uomo e rivedo quello che ho fatto.
Un grido mi esce dalle labbra, lasciando andare l’uomo, un grido di puro e semplice terrore, terrore per me stessa e per quello che ho fatto.
<< Aiuto … >>
Chiedi aiuto Bella e a chi?
<< Aiutatemi vi prego … >>
Le gambe mi cedono, sotto la colpa, lo shock. Le mani a coprirmi il viso.
Non voglio vedere, non voglio, cosa ho fatto?
<< Perché? No … >> la gola mi pizzica, ho voglia di piangere, ma non ci riesco, ho voglia di urlare, ma non ne ho la forza << che cosa ho fatto? >> continuo a dirmi.
<< Shhhh >> un sibilo, come un fioco vento mi fa scattare, e mi ritrovo a quasi un metro dal corpo dell’uomo che ho appena dissanguato.
Una ragazza, mi osserva, i suoi occhi di uno strano caramello, i capelli d’oro le ondeggiano con il vento, e anche lei sembra non aver problemi di freddo dal vestito che indossa. Mi osserva attenta, osserva me, non il cadavere che ha ai piedi, me.
<< Chi sei? >> mi chiede.
Chi sono? Perché, lo vuole sapere? Per denunciarmi? A chi, a mio padre?
Scappa Bella!
È l’unica cosa che penso, e, non appena il pensiero si forma nella mia mente comincio a correre. Corro nella foresta, a pochi metri dalla strada, corro tra i rami, tra le foglie, che si scontrano con il mio corpo provocandomi solletico. Corro tra i rami, e mi ritrovo a scalare un albero più alto di altri con una facilità spaventosa.
Quando mi fermo su un ramo appena sopra la vegetazione mi blocco, smetto persino di respirare, e lentamente mi lascio scivolare con la schiena sul tronco, per poi sedermi sul ramo.
<< Che mi sta succedendo? >> mi guardo le mani, mi tocco il viso, e nel farlo mi sfioro con le dita i denti.
Ho morso un uomo, ne ho bevuto il sangue, e … e … mi è piaciuto.
Mi copro di nuovo il viso tirando su le gambe, in una posizione quasi fetale. << Che cosa sono? >>
Come posso aver fatto una cosa del genere?
Come posso tornare a casa dopo questo … l’uomo sarà ancora li, e mio padre comincerà ad indagare sul colpevole, e cosa penserà non trovandomi a casa?
Che sia stata rapita, magari dalla stessa persona che ha ammazzato il povero uomo, senza sospettare minimamente che quella persona sia io.
Un rumore di rami che si spezzano mi fa scattare in piedi, e il movimento di un cespuglio mi fa acquattare, non sono movimenti normali, non so perche il mio corpo me li faccia fare, la mia coscienza mi dice di scappare ma il mio cervello no, come se invece di poter essere una potenziale preda nel bosco, sia io il cacciatore. Ma è assurdo!
Dal cespuglio esce una ragazzetta, piccola e magra, con un caschetto di capelli neri maestralmente disordinato, il suo odore è particolare, attraente quasi.
Muove la testa in cerca di qualcosa, poi solleva lo sguardo.
<< Eccoti >> mi dice sorridendo.
La mia reazione? Ovvia. Ricomincio a scappare.
Mi blocco davanti ad un fiume, lentamente ne scendo le rocce cercando di non scivolare, e mi specchio nell’acqua. Quello che vedo mi lascia di stucco.
Quel viso, quegli occhi, quelle labbra, non sono io, eppure, quando mi sfioro il viso con la mano, lo fa anche l’immagine che ho davanti, con uno schiaffo cancello quell’immagine increspando l’acqua << NO! >> mi sollevo e dall’altra parte della riva un cerbiatto lecca la superficie dell’acqua bevendo.
Lo osservo, ne studio quasi i movimenti e vedo le sue orecchie muoversi, prima di sollevare la testa e guardarmi, appena lo fa i suoi muscoli scattano per fuggire, ma qualcosa arresta la sua corsa, o qualcuno.
Quel qualcuno si solleva tenendo le zampe del cerbiatto con una mano e la testa con l’altra, non riesco a vedere cosa fa perche è di spalle, ma lo osservo, resto immobile ad osservare le zampe dell’animale che lentamente smettono di muoversi, finche il suo carnefice lascia a terra la carcassa dell’animale e solleva la testa.
La prima cosa che mi colpisce è lo strano colore dei capelli, rossi, come i miei occhi riflessi dall’acqua. Per reazione mi ritrovo di nuovo a fissare la mia immagine ormai ritornata. Quando sollevo di nuovo lo sguardo, quel qualcuno mi guarda, il busto girato di lato il viso nella mia direzione e i suoi occhi sono d’oro, e non riesco a guardare altro, neanche quando aggrotta le ciglia, neanche quando volta il busto nella mia direzione con gesti lenti, continuo ad essere calamitata dai suoi occhi, ovviamente la vista periferica funziona e quando lo vedo alzare un braccio lentamente, l’incantesimo svanisce e mi ritrovo a scappare di nuovo.
<< Aspetta! >> lo sento gridare, ma non ho intenzione di fermarmi.
Continuo a correre, supero un ruscello e quando poggio i piedi sul terreno, sento di nuovo quell’odore di muschio. Sollevo il polso con il bracciale, in casa era il lupo di legno ad emanare quell’odore, qui dev’essere la foresta, o magari lo stesso albero.
Lentamente comincio a cercare la fonte dell’odore, albero dopo albero e tutti avevano un odore simile ma non uguale. Mentre camminavo, l’odore era sempre più nitido, ma non capivo da dove proveniva, finche non trovo un tronco spezzato, l’odore della resina e del legno erano identici al piccolo lupo.
L’albero non sembrava tagliato ma spezzato, e non da un fulmine come spesso accade, altrimenti sarebbe stato bruciato, è come se qualcuno l’avesse abbattuto, probabilmente il vento.
<< Ma il tronco è troppo grosso perché l’abbia spezzato un colpo di vento >> mi ritrovai a dirlo ad alta voce senza rendermene conto.
<< Fu uno di voi a buttarlo giù >> la voce tonante mi arrivò alle spalle, facendomi voltare di scatto.
Un ragazzone moro mi guardava con una freddezza calcolata, quasi con odio e disprezzo, il suo abbigliamento consisteva in un paio di pantaloni sgangherati e rovinati. Stranamente al contrario degli altri tre non mi ha dato sensazioni di pericolo.
<< Uno di voi? >> non riuscivo a capire giacché ero lì da pochissimo tempo, e quest’albero sembrava cosi da decenni.
<< Sì, schifoso parassita, uno di voi! Hai violato il patto!! >> la sua voce tuonò per l’intera foresta e il suo corpo fu scosso da terribili fremiti prima di trasformarsi in qualcosa che non avrei mai pensato di poter vedere, un enorme lupo nero, alto quanto me, se non di più.
<< Wow, wow, aspetta! >> istintivamente cominciai ad agitare le mani davanti al corpo, con la speranza che quel lupo smettesse di venire verso di me, ma come cercai di fare qualche passo in dietro, lui cominciò a caricare.
Vedendolo arrivare con un balzo e una mezza rovesciata in aria, sono riuscita a schivarlo atterrando dietro di lui, ma come una sciocca, meravigliata dallo scatto istintivo del mio corpo, mi sono distratta e l’immenso lupo nero mi piombò sopra.
In quel momento accaddero tre cose: la prima, una fioca luce cominciò a sorgere. La seconda, un dolore immenso mi prese al petto e poi a tutto il corpo, facendomi urlare, un urlo cosi intenso che sembrava venire dal cuore del bosco, non da me. La terza fu l’impatto dell’enorme lupo con qualcosa di altrettanto grosso, nel momento in cui le sue fauci si stavano aprendo sul mio volto.
Poi il buio…

 

  
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