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Autore: Kimmy_90    21/07/2011    1 recensioni
Rotolano sotto il cemento i rumori dei Branchi. Ringhiano, graffiano, mordono. Lottano.
Per Gioco.
Fra di loro si chiamano Demoni e Bestie. Sono ragazzi, sono uomini – a volte sono bambini, anche se è raro che un Branco ne accetti uno. Sopra il cemento non ne sa niente nessuno. O quasi.
Fintanto che rimane un gioco, il sangue che cola è semplice divertimento.
Ma ogni gioco viene scoperto, in un modo o nell'altro. E ogni gioco ha le sue regole.
La ragazza levò lo sguardo, continuando, passivamente, ad eseguire gli ordini.
Ma sì, in fondo gli ordini di Riva si eseguivano volentieri.
Credeva.
"Hai due possibilità, Sara. Se vuoi, puoi benissimo far finta che non sia successo niente. Cancella questa giornata dalla tua testa e vai avanti. Sul serio."
L’idea l’attraeva.
"Ma se pensi, anche solo lontanamente, che tu non sia in grado di ignorare completamente questa cosa, è un altro paio di maniche."

// Fantasy contemporaneo cambientato in Italia tra gli anni '70 ed oggi. //
Genere: Azione, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4. Un giorno qualsiasi.

«Signore?»

Allen si raddrizzò malamente sulla sedia imbottita del suo ufficio, sporgendosi verso l'interfono piazzato sulla scrivania. Premette stancamente il pulsante, rispondendo alla segretaria con un «Mhnsì» gutturale e bofonchiato.

«C'è vostro nipote.»

«Mmhn...» questo parve più un grugnito.

«Lo faccio entrare?»

«Perché, pensi forse di riuscire ad impedirglielo?»

L'interfono tacque, lasciando presumere che la segretaria stesse meditando su questa ultima eventualità. Allen si allontanò dalla scrivania, ondeggiando col busto e schiaffandosi sullo schienale della sedia, che si mosse di qualche centimetro all'indietro sotto tale impeto.

«Xander!» lo chiamò, a voce più che alta: «Vieni dentro.»

Il ragazzo sgusciò sgraziatamente fra le due ante della porta, comparendo nell'ufficio e poi richiudendosele alle sue spalle con un colpo di tallone.

«Si rovinano, così.»

«No.» rispose quello, guardandosi attorno.

Allen lo scrutò di sottecchi. Xander, moderatamente alto, robusto, lo fissava a sua volta con le labbra arricciate e gli occhi scuri immobili. Non fece più un singolo movimento: rimase in attesa, il fastidio calato sul volto, lo sguardo attento, la mente chiaramente intenta ad elaborare.

Dopo qualche istante di silenzio, Allen riprese:

«Con quegli anfibi sì.»

Xander non rispose, mantenendosi immobile. L'uomo, seduto più che scomposto, le braccia penzolanti oltre i braccioli della sedia, inspirò ed espirò lentamente.

«Mi servono soldi.» fece, finalmente, il ragazzo.

«Ti servono soldi.» Allen levò il mento, impassibile.

«Per favore.»

«Per favore?» continuò Allen, assottigliando lo sguardo ancor di più.

«Zio.»

«Ah, zio

Xander era partito carico e convinto – Xander era sempre carico e convinto: era lo zio che lo faceva svampire come se niente fosse – un soufflé venuto male, ecco cosa. Oh, ma Xander non ci stava: lui era un duro. Almeno, era convinto di esserlo.

«Bhè?» proruppe il ragazzo, ingrossando la voce: «Dai, cazzo, li ho finiti - potrai mica farmi morir di fame, ti pare?»

Allen non si mosse. Dopo aver visto la sicurezza di Xander vacillare, cadere, rialzarsi, tombolarsi e poi riscalare strenuamente la vetta, accennò a un sospiro. Si passò le mani sul volto, risalendo sino ai capelli grigiastri e congiungendole infine dietro la nuca.

«Come li hai spesi?» domandò l'uomo, flemmatico.

Xander odiava il tono flemmatico dello zio. Le domande flemmatiche. Le domande, a prescindere.

Specie se erano poste in modo così dannatamente retorico.

«Non lo so, dai – li ho spesi.»

«Uh.»

Allen vide la mascella del ragazzo serrarsi: quando faceva così diventava, per un istante, la fotocopia di suo padre. Ma durava poco.

«Per mangiare.» raffazzonò, scostando lo sguardo.

«Dove.»

«In giro.»

«Dove.»

«Kebab.»

«Solo?»

«No.»

«Lo spero.»

Che palle, pensò Xander.

Cadde nuovamente il silenzio: il ragazzo, in piedi, a disagio, fuggiva definitivamente qualsiasi contatto visivo con lo zio, stravaccato, che ora faceva ricadere nuovamente le braccia lungo i fianchi, oltre i braccioli della sedia, in una posizione che si addiceva assai di più ad un liceale che ad un quarantenne plurilaureato. L'uomo osservò il nipote, olivastro come sempre, vestito in modo più o meno convincente – anfibi, pantaloni militari, felpa bucata e giaccone malconcio. Aveva dovuto rasargli la testa di persona, all'epoca, quando andava iniziando a riacciuffarlo dall'enorme mole di casini in cui si era ficcato: ora i capelli neri e disordinati ricadevano in modo completamente casuale sulla fronte alta, sfiorando gli occhi a mandorla. Non un altro paio di forbici aveva mai toccato quei capelli, da allora. E si vedeva.

Ma almeno, pensava Allen...

Almeno era qualcosa.

«Ho mangiato due volte in pizzeria.»

«Mh.»

«E sono andato al cinema.»

«Ok.»

La voce del ragazzo, profonda, si mal adattava a quel tono da bambino colto in flagrante, intento a racimolare idee, scusanti, attenuanti nell'ottica di blandire una futura punizione. Più parlava, più si sentiva sconfortato: e che cazzo, 'sta volta non aveva fatto niente di male. Aveva solo finito i soldi di un mese in dieci giorni – e a dire il vero non comprendeva assolutamente come fosse successo.

Eppure lo zio aveva tutta la faccia di saperlo benissimo.

E questo lo urtava.

«Non ho bevuto niente, cazzo, ok?»

«Ah.» fece l'uomo, come se stesse facendo due chiacchiere inutili con un collega al bar. «Ma dai?»

Xander si rabbuiò. Allen ne osservava i movimenti del corpo – piccoli, discreti – che già nati vigili lo portavano sempre più sulla difensiva: attento, l'orecchio teso, le labbra strette, una certa distanza di sicurezza fra lui e la scrivania.

Diffidente come un gatto, infastidito come un gatto che, appunto, con diffidenza - ma felina saccenza - pretende il pasto. Sa che è un suo diritto, ma non vorrebbe farsi troppo male nell'esercitarlo.

Eccolo lì, Xander. Che sbuffò, grugnendo.

«No.» ringhiò.

Con lo zio era sempre così.

«Ok, ok.»

Un discorso a senso unico. O quasi.

«Sono pulito.»

«Non avevo dubbi.»

Con lo zio mentire non funzionava. Sapeva. Sapeva già.

Fottuti psicologi.

«Piantala, cazzo. Dove vuoi arrivare?»

«Io? Da nessuna parte. Hai avuto i tuoi soldi e li hai spesi. Problema tuo. Ero solo curioso di capire come fa un diciottenne a spendere sessanta euro in dieci giorni – posto che nessuno ti costringe a mangiare fuori.»

«Non ho. Diciotto. Anni.» ci tenne a precisare.

«Sono dettagli.»

«Col cazzo che non lo sono, e lo sai.»

«Non mi interessa quel discorso, adesso. Sei venuto da me a mendicar denaro, dopo che a stento tre volte hai dormito nel tuo letto. Allora?»

«Quel letto fa schifo.»

Allen sbuffò, poggiando gli avambracci sulla scrivania e abbassando il capo. Socchiuse gli occhi, meditabondo.

Non disse più niente per venti lunghi e tediosissimi secondi.

«Xander.»

Quello non rispose.

«L'altro mese ce l'hai fatta a farteli durare. Stai andando bene, perché adesso ti metti a far stronzate?»

«Mangiare fuori è una stronzata, adesso?» domandò, scettico.

Sapevano tutti e due che poteva fare molto di peggio. Oh, molto. Decisamente molto.

«Sì, se hai tre pasti al giorno assicurati in casa famiglia.»

«Sto cazzo, mi sono rotto di quella merda lì.»

«Xander.»

«Che ti costa? Son trenta euro, ti ci pulisci il culo, te, con quello che ti pagano!»

«XANDER

Il ragazzo si zittì. La voce dello zio era uscita come un sibilo, basso, greve, – e adirato, in prima approssimazione. Molto adirato. O così sembrava, perché quel tono, che tanto di rado sentiva, era indecifrabile: affilato come un coltello e pesante come un incudine. Nient'altro.

La reazione più saggia era rimanere zitti.

E magari anche immobili.

Non che Xander se ne rendesse pienamente conto. Si bloccava e basta.

E dopo qualche minuto, forse, realizzava che fare gli psicologi doveva essere proprio da fighi, se si riuscivano a fare trucchetti del genere.

«Verrai a mangiare da me.» fece infine l'uomo, risollevando il capo e riacquistando parte del suo tono tranquillo. Era serio, però. Dannatamente serio. «Per questo mese. Poi vedremo.»

Xander allargò le narici, cercando di capire se era un'idea accettabile o meno.

«Oppure vai in casa famiglia. O non mangiare – non posso certo vietartelo.»

Xander sbuffò, soffiando.

«Questa è l'unica proposta che posso farti. E non è nemmeno onesta, sappilo. Non te la dovrei fare.»

«Ok...»

***

Sara rimase immobile per lungo tempo prima di riuscire a formulare un pensiero che non fosse 'EH!?'. Dimitri passò quel lungo tempo ad osservare l'espressione sconvolta dell'amica, che si poteva definire magistrale: capo ritratto, labbra schiuse in modo asimmetrico, occhi quasi sgranati sotto sopracciglia schizzate verso l'alto.

«Chi è stato?» fece infine, in tono decisamente troppo acuto e stonato.

«Mboh.»

«Mboh?» domandò, sempre con la stessa voce isterica.

«Non lo so.»

«Ohccristo.»

«Vabè. Son cose che capitano. Dovremmo entrare.»

Uno di fronte all'altra, a pochi passi dal portone del liceo, rimasero a fissarsi. Dimitri rimaneva immobile, in attesa che l'altra si riprendesse dallo shock.

«Hanno mutilato Gesù Cristo!»

«Eh?»

«Hanno ammazzato Sansone!»

«E tutti i filistei?»

«Ohccristo.»

«Non ti seguo.»

«Io li ammazzo!»

«Ma chi?»

«Non lo so, ma li ammazzo! Che stronzi, non ho parole!»

Dimitri scosse lontanamente il capo, recuperando una sigaretta dal pacchetto che aveva in tasca.

«Vuoi?»

«No

Motivo di tanto scandalo da parte di Sara – e del resto della classe, e dei conoscenti, e dei professori – era il taglio netto che era stato dato alla selvaggia chioma bionda di Dimitri. Particolarmente netto, il taglio: i capelli erano stati presi in tutta la coda e tranciati via, probabilmente con un coltello, neanche con delle forbici – che non ce l'avrebbero fatta in un compito simile. Ora il ragazzo rimaneva con una capigliatura da spaventapasseri che a stento gli copriva la nuca e le orecchie.

La morale che ne traeva lui era che quello era stato un venerdì sera più che memorabile. Peccato che non fosse nella sezione a tempo corto.

Sara scuoteva il capo, tenendosi leggermente distante dall'amico che puzzava di alcol in modo indegno.

«Turov, immagino che sarei un cinico a chiederti di venire fuori per Dante, vista la tua situazione. Sbaglio?» fece Riva, aprendo il registro sulla cattedra.

Aveva anche lui il suo certo senso dell'umorismo, bisognava ammetterlo.

«Eh.» rispose Dimitri.

«Allora?»

«Non era una domanda?»

«No.» rispose l'uomo, tranquillo. «Era un modo per dirti che comprendo la tua posizione.» spiegò con apprensione.

«Ah.»

«Ma tu comprendi la mia. Manchi solo tu.»

«Eh.»

«Avanti.»

«Sì, prof.»

«'essore.»

Dimitri lo spaventapasseri si alzò stancamente, prendendo in mano il suo vecchio volume della divina commedia.

Sara non capiva Dimitri.

Gli voleva un sacco di bene, ma non lo capiva. Dopo il teatrino con Riva, il risultato fu otto e mezzo. Un otto e mezzo che puzzava di alcol e di sudore – che puzzava e basta – ma un otto e mezzo più che onesto, su questo non c'era alcun dubbio. Non che Sara avesse niente da ridire sul fatto che Dimitri amava Dante in modo viscerale, e quindi non soffriva in alcun modo quel tipo di interrogazioni – ognuno ha le sue: quello che le sfuggiva era perché il ragazzo avesse titubato tanto, svogliatissimo, prima di uscire per l'interrogazione.

Dimitri non capiva perché a Sara premesse capire queste cose.

«Non avevo nessuna voglia, e basta.»

Quando il ragazzo iniziava a dire così, su Sara colava un barile di mediocrità infima e meschina. La sua.

Che non aveva. O forse sì. Mediocrità e/o meschineria che fosse.

Non suonava infinitamente mediocre interessarsi ai risultati scolastici? Avanti. Diciamolo.

Infatti ufficialmente Sara non se ne interessava.

Bhè, non troppo.

Ok, in realtà sì. Ma solo un pochino. Quel tanto da sopravvivere con un minimo di dignità.

C'era di peggio.

E poi Dimitri poteva anche essere quello che prendeva la vita con santa filosofia – almeno, così le pareva, a volte – ma era anche quello che rischiava la bocciatura un anno sì e l'altro pure.

Quindi...

Sara non capiva Dimitri, ma faceva finta che la cosa non le interessasse. Troppo.

In effetti era una ragazza un po' confusa, Sara. Le interessava capire un sacco di cose che in realtà non parevano interessarle troppo. L'unica conclusione era che, alla fine, continuava a non capire – e in un modo o nell'altro, si sentiva mediocre.

Non lo era, le ripetevano gli altri. Questo ovviamente non stemperava le sue convinzioni.

Meschina no, comunque.

Sara fece capolino dalla porta della sala professori, scrutandone rapidamente l'interno. C'erano quatto persone, fra cui svettava Riva, seduto a leggere il giornale. Non era difficile vederlo: era un uomo grande – non c'era altro termine per descrivere la sua stazza: grande. Alto, grosso – una torre: eppure infinitamente flemmatico nei movimenti. Il volto portava moderatamente i segni dell'età – marciava oltre i cinquanta -, e i capelli, corti e sempre in ordine, erano d'un grigio spento, né chiaro né scuro. L'animo del professore era pacato quanto il suo portamento: calmo, gentile e spesso sorridente. Dai due occhi completamente neri traspariva eternamente tranquillità, anche quando non avrebbe dovuto. L'amore per il suo lavoro gli portava quel rispetto da parte degli studenti che, altrimenti, con quell'atteggiamento gli sarebbe stato negato.

«Chi cerchi?» domandò all'alunna, avendo notato il volto chiaro circondato da boccoli scuri che era appena comparso sulla soglia.

Sara si fece avanti di qualche millimetro, giusto per far finta di essere entrata nella stanza: «Rondi.»

«Battaglia persa. E' in laboratorio.»

La ragazza portò gli occhi chiari al soffitto, maledicendo mentalmente una divinità improvvisata.

«Quale?»

«Chimica.»

«Grazie.»

«Se riesci a parlarci digli che lo sto cercando anche io, per cortesia.»

«Sì, prof. Essore.»

Si ritrasse, tirandosi sullo stipite, e si incamminò lungo il corridoio semideserto, decidendo se valeva la pena tentare di entrare nel laboratorio di Rondi o meno.

Prossima alla porta iniziò a rallentare, meditabonda.

Si fermò.

Bussò.

Silenzio.

Beh, era scontato. Bussò con più forza.

Si dondolò sulle gambe, domandandosi se fosse il caso di aprire la porta. Ci pensò a lungo.

Alla fine cedette.

Aprì la tagliafuoco di un minuscolo spiraglio.

«Chi è?» domandò Rondi, dal fondo del laboratorio. Sara si sporse quel tanto da riuscire a vedere quella palla bianca che era il professore in camice.

«Iusti. Terza B.»

«Aaaaaahn... sì.» Rondi parve prima annuire, poi ridacchiare, poi tutti e due insieme. Nulla di scandaloso. «Dopo. Cioè. Un attimo. Mh. Vedremo.»

Rondi – basso, tondo, ben approssimabile con una sfera, sosteneva egli stesso – era chino su un set di provette e affini su cui stava lavorando. Molto probabilmente intento a preparare qualche "simpatica esperienza" per quelli del quarto anno. Rondi si divertiva così.

«Vedremo..?»

Cercava di affilare il volto, tondo, con un pizzetto bianco. Dietro gli occhiali protettivi da laboratorio portava piccoli occhiali da vista rotondi – alla John Lennon, decisamente un tocco di stile; i capelli, cortissimi, erano d'un bianco quasi disorientante: ogni tanto, in mezzo a tutto quel candore, compariva mezzo ciuffo scuro.

«Un attimo solo, Iusti. Bene. Fatto. Sì.»

Finalmente l'uomo si voltò a guardarla in volto: gli occhi chiari, grigiastri e sottili, erano una delle poche cose che le si riuscivano a vedere dallo spiraglio della porta tagliafuoco.

«Dimmi.»

«Hem... la classe... chiederebbe se... per caso... si poteva... posticipare... il compito di fisica.» scelse le parole con una certa difficoltà.

«Oh.» fece quello, pensoso. «Niente delegati, ragazzi. Processo democratico.»

«E' una richiesta piuttosto democratica. Direi unanime.» cercò di suonare modesta e convincente. Continuando a nascondersi dietro l'enorme porta.

«Capisco. Ne parleremo in classe ugualmente.» Rondi si voltò, tornando a trafficare con le provette.

Sara, zitta per qualche altro istante, tornò alla carica: «Sì, ma la prossima volta che ci vediamo in classe è per il compito.»

Rondi parve ridacchiare. In modo affatto maligno, fra l'altro.

E tacque, preso da quello che stava facendo.

«... professore?»

«Vieni a vedere, Iusti. Questa ai vostri colleghi piacerà.»

'Vieni a vedere, Tizio Caio'. Tipica cosa che diceva Rondi in laboratorio. Si avvicinò lentamente, superando a fatica la barriera della porta.

«Vieni, vieni.» insistette quello.

Lei andò, sospirando. Non fece in tempo a percorrere mezzo laboratorio che da un beker si sollevò, in un piccolo 'poof' una nuvola di fumo giallastro: a quella vista la ragazza si immobilizzò, sconcertata. La nuvola lambì il soffitto e si avvicinò minacciosamente al rivelatore di fumo.

Rondi, con sguardo eternamente divertito, la additò: «Guarda.»

Sara guardava.

«Eh, vedi, Iusti. E' per questo che certe reazioni bisogna farle nella cappa aspiratrice.»

L'allarme antincendio iniziò a suonare per tutto il liceo.

«Ah.»

Rondi ridacchiava.

Non era esattamente il momento migliore per un'esercitazione antincendio – improvvisata o meno che fosse –, dato che faceva dannatamente freddo. Sara, poi, che quando Rondi aveva fatto saltare l'allarme non si trovava in classe, era dovuta uscire dall'edificio senza cappotto. Elisa la recuperò entro breve, vedendola aggirarsi smarrita nel campo di atletica.

«Com'è andata la missione?» le chiese l'amica, conducendola verso il loro gruppetto.

«Forse bene.»

«Rondi è simpatico. Mica come D'urso.»

«Sto crepando di freddo.» fece Sara, iniziando a saltellare e a frizionarsi le braccia con la felpa.

«Ma è stato Rondi?»

«Io non di certo.»

«Dai, quel prof è un ganzo!»

Sara si limitò a tremare e saltellare.

Elisa le si avvinghiò addosso, aiutandola a scaldarsi. Quando raggiunsero gli altri. Dimitri le porgeva il proprio cappotto.

«Grazie!» pigolò la ragazza.

«Nessun problema.»

D'altronde un russo non è che abbia grandi problemi con il freddo italiano. Per lui fa caldo. Questo era risaputo – Dimitri usava il cappotto praticamente solo per buon costume.

«Ah – merda. Devo tornare da Rondi.» Sara fece dietrofront senza nemmeno aver finito di sistemarsi l'indumento addosso – lanciata verso la sagoma sferica di Rondi.

Dimitri l'osservò allontanarsi, meditabondo.

Elisa fece scivolare un'occhiata verso quello, interrogativa.

«Beh?»

«Cosa?»

«Ancora?»

Dimitri storse le labbra. Osservò ancora Sara, lontana, persa fra la folla.

«Sai che non lo so?» rispose il ragazzo, tranquillo. Lo spaventapasseri biondo, con un'idea di barba sul volto, lontanamente alto, lontanamente grosso – era un russo, dopotutto – era una di quelle persone che quando non medita, fa. Quindi è meglio che mediti. E infatti, principalmente, meditava.

«Ci stai pensando?»

«Forse sì.»

Sara, lontana, si stringeva nel cappotto nero, continuando a molleggiare ed aspettando di riottenere l'attenzione di Rondi, che aveva iniziato a discutere con un altro professore. I boccoli, nerobluastri, incorniciavano il volto latteo e affilato su cui risaltavano a stento due occhi grigi e sottili. Dimitri l'aveva notata presto, Sara, perché era una che si nascondeva: lui notava le cose che si nascondono. E lei si nascondeva perché trovava che fosse la cosa più adatta da fare: passare inosservata – e forse non lo faceva nemmeno consciamente –, Sara era semplicemente convinta di non essere una persona che si nota, e tanto bastava. Mediocre era la sua parola preferita: tanto la usava quanto la odiava. Inutile stare ad ascoltare i propri amici – che, come noto, hanno una visione distorta delle persone a loro care: la ragazza riteneva, con ferrea ed inamovibile convinzione, di rischiare giorno per giorno la mediocrità. Temendo, d'altro canto, buona parte dei comportamenti estremi.

E' facile volersi del male, a sedici anni. Tutti lo fanno.

«Quindi?»

Ma ci vuole un certo impegno per detestarsi abbastanza da considerarsi una persona – sia nell'aspetto che nell'animo – qualunquemente diversa dalle altre.

«Cosa?»

No, Anomalo era esagerato. Qualunquemente diverso, oh, sì: era un termine intriso di banalità scontenta. Il tipico modo di dire che ti fa pensare di non essere, in fin dei conti, persona degna di nota.

Elisa era Normale, invece. Molto diverso, sosteneva Sara, dalla diversità qualunque. Abbastanza alta, Abbastanza longilinea – anzi, parecchio -, con un volto Abbastanza dolce, un naso Abbastanza piccolo, un sorriso tranquillo e lisci capelli castani. Facile.

«Ancora?»

Dimitri sospirò.

Lui, dal canto suo, era un meditativo, ma che non meditava troppo sulla sua esistenza. Meditava su tutto il resto. Sui sentimenti, soprattutto. Principalmente sui suoi e quelli degli altri – niente a che vedere con i trip mentali di Sara.

La volta in cui aveva smesso di meditare e aveva fatto, aveva fatto una solenne cazzata.

Ma per fortuna lui era Dimitri, e lei era Sara. E avevano Elisa. E Nora, e Stefano.

«Penso che mi sia passata.»

«Hem... prof.»

La voce di Sara era un sussurro. Che Rondi ignorò bellamente.

«Prof, scusi, mi sono dimenticata di dirle una co...»

«Ema!»

La voce di Riva rese tutto quel pigolare e tentare di attirare l'attenzione di Rondi inutile.

«Iusti, grazie.»

Sara si rimpicciolì – cosa facile da fare, quando l'ombra di Riva ti torreggia addosso.

«Ema, mi senti?»

«Oh, sì.» fece Rondi. «Dimmi.»

«Ricordati che domani torna Amanda, per favore.»

«Ah!»

Il volto di Rondi si illuminò. Sara aveva già preso ad indietreggiare, ma ora, vista la colloquialità del discorso, decise che era più saggio fuggire dall'imbarazzo che origliare una cosa del genere poteva suscitare. Con discrezione. Fuggire. Non origliare.

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Saluti! Mi sono leggermente sbloccata xD felicità. Purtroppo come capitolo in sé non dice niente - ma direi che sono bastati i primi a confondere le idee, quindi che ne dite se, ora, andiamo con calma? I personaggi sono tantissimi e per amministrarli in modo decente ho bisogno di tempo, se no temo proprio che perdano. Già così...

"un giorno qualsiasi" - non troppo, in realtà. ma si parte sempre dai giorni qualsiasi, in questo genere di racconti, no? voglio approfondire i pg prima che inizino ad entrare troppo nei casini, perchè poi inizieranno ad evolvere.

ringraziamenti solenni a quelli che hanno messo di recente nelle seguite, che mi hanno aiutata a sbloccarmi. ho finalmente deciso di Divertirmi, con questa storia. Mi ero bloccata perchè avevo paura di scadere nel banale... ma sapete cosa? chi se ne frega, il banale. tutto è banale a questo mondo. quindi vi pigliare una banale protagonista che si fa un sacco di pippe mentali, un banale liceo, dei banalissimi "colpacci di scena" del genere più che pronosticabile - ma io, intanto, mi diverto tantissimo a farli comparire. e spero anche voi, dai, se non farete troppo i pignoli.

Ad esempio far ingrassare Ema. xDDD povero.

volevo descrivere un liceo vero, serio, che non si riducesse ad una copia cattiva della high-school, che non fosse una cosa alla moccia. Ho ceduto e mi sono ispirata alla mia esperienza, che per quel che mi riguarda è stata grandiosa. Ci sono non pochi riferimenti a fatti realmente avvenuti - coerentemente rinarrati e riaggiustati per favorire la situazione, beninteso.

Dimitri mi piace. Elisa si delineerà meglio poi. Xander e Sara sono il mio problema, perchè temo seriamente di cedere agli stereotipi. Così, alla fine Sara è diventata un personaggio molto strano, che Me Gusta. Vedremo cosa succederà. Ciao e grazie a tutti. :D

   
 
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