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Autore: Jane The Angel    22/07/2011    2 recensioni
Jane Watson vive a New York e la sua vita già bellissima sta per raggiungere la perfezione assoluta. Eppure non è tutto oro ciò che luccica, e Jane si troverà a riconsiderare la sua vita e le sue scelte in un posto in cui mai avrebbe immaginato di poter vivere...
dal primo capitolo: Attraversò il salotto, passò nel disimpegno e, ascoltando la sorella che la informava sugli orari per l’addio al nubilato, aprì la porta della camera da letto.
Un’ondata d’aria gelida le entrò nei polmoni e tutti i colori divennero d’improvviso dolorosamente vividi –No…- sussurrò.
(ispirata al telefilm "Men in Trees")
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quarto

  

   Il sole entrò dalla finestra, trapassando senza difficoltà le tende della stanza e colpendo gli occhi di Jane. La ragazza si stiracchiò e scese dal letto, portandosi dietro il piumone e passandoselo sulle spalle. Arrivata alla finestra scostò le tende e sorrise davanti a quel paesaggio fantastico.

   Si vestì in fretta e uscì dalla stanza, insolitamente spensierata. Quella notte aveva dormito benissimo, come non le era più successo da quando aveva rotto con Dan. Il silenzio era tanto assordante, laggiù, che le impediva di pensare.

   Salutò Rob, il quale ricambiò e le indicò la stanza per la colazione. Era un buffet e Jane prese un caffè con un pezzo di pane col miele. Lo ingurgitò in fretta e uscì, decisa a godersi la giornata.

   Seguendo la strada che aveva fatto il giorno precedente si diresse verso la strada principale: era arrivata nel tardo pomeriggio, il giorno prima, ed era certa che a quell’ora ci sarebbe stata più vita.

   Si sbagliava, decisamente: la strada era completamente vuota a parte ad eccezione di un paio di auto parcheggiate.

   Un po’ demoralizzata, Jane alzò le spalle e si mise a camminare: avrebbe trovato qualche negozietto, era sicura che la gente si vestisse anche in Alaska.

   Continuò ad andare avanti, ma trovò solo un paio di case. Superando il negozio di Hope e Joe e poi l’Insonnia trovò un parco. Non c’erano giochi né altalene: era un semplice gruppo di alberi recintati, con un sentiero in mezzo. Jane non ne capiva il motivo: attorno al paese era tutto pieno di boschi percorsi da sentieri sterrati, perché mai avevano deciso di recintare proprio quel punto? Tuttavia, lì di certo non si sarebbe persa, così sorpassò il cancello di legno e s’incamminò tra i tronchi.

   Dopo una mezz’oretta vide un prato completamente al sole. Era decisamente troppo allettante per resistere: lasciò il sentiero, si sedette e si distese sul prato, le braccia a cuscino dietro la testa. Chiuse gli occhi e si lasciò riscaldare dal sole, che era caldo ma non tanto da essere fastidioso.

   Si assopì, cullata dalla quiete e dalla temperatura piacevole, ma si svegliò di soprassalto sentendo una voce irritata poco lontano. Si sollevò sulle braccia e, una volta seduta, si guardò attorno.

   -Si tolga subito! Come le viene in mente?-

   Trovata la direzione da cui proveniva la voce, Jane si voltò e vide una donna sui ventotto anni coi capelli castani e la divisa da poliziotta. Una donna che, per altro, le puntava contro una pistola.

   Jane, sbarrando gli occhi, alzò le mani sbalordita.

   -Venga subito via da lì!- ordinò la donna.

   -Si, si arrivo, ma metta via quella pistola! Che avrò mai fatto?- protestò Jane alzandosi cercando di non abbassare le mani.

   -Piano!!!- gridò la donna quando Jane fece il primo passo –Sei qui da un giorno e già crei problemi, Watson?-

   -Fantastico, sono già schedata.- mormorò tra sé Jane –Mi spiega cosa diavolo devo fare?-

   -Uscire dal prato con passi leggeri e le mani in alto!-

   Jane sbarrò gli occhi, ma tentò di seguire le istruzioni, con risultati abbastanza comici. Grazie al cielo, in giro non c’era nessuno –Posso sapere cos’ho fatto, adesso? O vuole arrestarmi?-

   -Eviti il sarcasmo, è già nei guai! Cosa le è saltato in mente di uscire dal sentiero?- abbaiò la poliziotta.

   -Non sapevo che non si potesse…-

   -Lei è l’unica scrittrice al mondo a non saper leggere?- la interruppe la donna –C’è il cartello all’entrata! Questa zona è riserva naturale, ci sono fiori molto rari e sa quanti ne ha calpestati? Eh?-

   -Ehm… no…-

   -Non lo so nemmeno io, perché per contarli dovrei arrivare al centro del prato e ne pesterei altri! Perciò, ha fatto un danno incalcolabile!-

   Sbalordita, Jane cercò di ragionare: lesse il cartellino –Senta… Chloe… cosa devo fare, pagare una multa? Perché…-

   -Oh, no, niente multa. Qui usiamo il lavoro per ripagare i danni. Oggi pomeriggio farai qualche ora di lavoro sociale, signorina. E ora forza, sparisci. Davanti alla centrale alle due.-

   Sempre più stupefatta, Jane fece per dire qualcosa, ma cambiò idea, si voltò e si allontanò bofonchiando tra sé.

   Arrivata all’Insonnia, decise di entrare: tanto era ora di pranzo, ormai.

   -Ehi, Jane!- la salutò Jud vedendola aprire la porta. Erik, seduto al bancone, si voltò e le rivolse un breve cenno.

   -Ciao ragaz…- d’improvviso, Jane sentì la terra mancarle sotto i piedi: poco prima di toccare il suolo, sentì due braccia afferrarla all’altezza della vita e tirarla su con facilità.

   -Tutto a posto?- domandò Jerry dopo averla rimessa in piedi.

   -Ehi, mio fratello ci prova col nuovo arrivo?- domandò Joe a Hope, seduta accanto a lui –Ti ha detto nulla su di lei, ieri sera?-

   -Jane Watson, intendi? Ma dai, cosa ti dice quella testa vuota che ti ritrovi?- rise Hope voltandosi verso il punto che Joe fissava. Quando li vide abbracciati, però, il suo sorriso vacillò.

   -Vedi che ho ragione? Beh, è anche ovvio, visto che con voi non batte chiodo, che si butti sulla nuova. In fondo è stato fortunato… non sarebbe male se arrivasse una ragazza dalla città anche per me.-

   -Già…- concordò Hope, ma non riuscì a suonare molto convincente –Hai ragione, è normale che faccia un tentativo, visto che non interessa a nessuna del paese…- accorgendosi dell’incertezza nella sua voce, scosse la testa: cosa le prendeva? A lei non interessava Jerry, neanche lontanamente, infatti aveva sempre respinto con decisione i suoi approcci… Eppure, quando Jane si allontanò dal ragazzo, il cuore di Hope si fece più leggero.

   -Grazie… ma che cosa ho…- voltandosi, Jane capì di aver inciampato su una gamba, appartenente ad un ragazzo dai capelli castano chiaro e gli occhi nocciola accucciato accanto alla porta con una chiave inglese in mano.

   -Tom, sposta la gamba.- lo rimproverò Jerry –La gente inciampa quando entra.-

   -Lei inciampa. Il resto del paese è in grado di scavalcare.- rispose con noncuranza Tom, senza spostare la gamba.

   -Gentile.- commentò Jane andando a sedersi al bancone, tra Jerry ed Erik.

   -Non badarci, Tom è lo zotico barbone del paese.- la informò Jud facendo attenzione a farsi sentire dall’uomo.

   -Ehi!- si ribellò Tom, farcendo la risposta con un sonoro rutto.

   -Come volevasi dimostrare.- commentò Jud –Come va? Sei riuscita a restare viva nonostante tu sia rimasta senza scorta l’intera mattinata?-

   -In realtà, una poliziotta totalmente fuori di testa mi ha puntato la pistola contro perché non ho letto il cartello che diceva che non si può pestare l’erba.- raccontò Jane –Ha detto che oggi pomeriggio devo fare servizio civile e devo trovarmi alle due in centrale… non è che è una pazza, vero?- s’informò per sicurezza.

   -In realtà è mia cugina.-

   Maledicendosi per la milionesima gaffe, Jane si voltò verso Erik, rossa in volto, mentre Jerry e Jud lottavano per trattenere una risata –Io… ecco… mi dispiace, insomma… è che ho solo calpestato un prato e mi ha puntato la pistola contro e… non volevo dire che…-

   -Tranquilla, Jane.- intervenne Jud notando il suo imbarazzo –Lo sappiamo tutti che Chloe a volte prende i divieti troppo sul serio. Anche io ed Erik siamo ai lavori forzati, oggi.-

   Immediatamente Zac comparve dalla cucina e si materializzò accanto alla collega –Ah si?- domandò –Cosa avete combinato?-

   -Atti osceni in luogo pubblico.- rispose la ragazza con sarcasmo.

   -Andavamo troppo veloce in auto.- ammise Erik: appena in tempo, notò Jane, perché gli occhi di Zac avevano assunto una preoccupante sfumatura rossa –A 53, col limite di 50.- aggiunse rivolgendo un sorriso a Jane, che lei ricambiò: probabilmente era per farle capire che non si era offeso per ciò che aveva detto di sua cugina.

   Dopo pranzo, Jane tornò alla locanda per cambiarsi e mettersi qualcosa di più comodo. Nel frattempo, ne approfittò per chiamare sua sorella, seduta nel solito angolino.

   -Mary? Come va?-

   -Benissimo, io non sono in mezzo ai boschi.- rispose la sorella –Piuttosto, come va a te?-

   -Diciamo bene… oggi pomeriggio devo scontare una pena.-

   Mary si accigliò –In che senso?-

   -Pare che io abbia calpestato un prato con fiori rari.- sbuffò Jane –Quindi sono condannata a qualche ora di servizio civile non so dove.-

   -Poveri noi…- scosse la testa Mary –Ieri l’orso, oggi la polizia… non eri andata lì per avere un po’ di tranquillità?-

   -In fondo è tranquillo.- rise Jane.

   -E va bene. Senti…- s’interruppe un secondo –Cosa devo fare con i preparativi per il matrimonio?-

   Jane sospirò –Ti dispiace disdire tutto per conto mio?-

   -Certo che no.- le assicurò Mary –Cerco di farti avere rimborsi dov’è possibile… senti, tra poco più di una settimana ho qualche giorno di vacanza, che ne dici se vengo a trovarti?-

   -Sul serio?- domandò Jane, incredula ed entusiasta.

   -Certo. Se ti va, ovvio.-

   -Che domande sono? Non vedo l’ora!-

   -Bene.- sorrise Mary –Almeno vengo ad assicurarmi che gli orsi non ti abbiano sbranata. Chiamami, mi raccomando.-

   -Certo.- le assicurò Jane, poi si salutarono e attaccarono.

 

  
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