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Autore: apochan kenshiro    22/07/2011    3 recensioni
Il Mondo è un luogo unico e misterioso, vasto e sconfinato: vi sono quattro Regioni, più una Quinta, mitica, sconosciuta, leggendaria ...
Zaileh. Ha deciso di partire, per soddisfare la sua sete di conoscenza...
Teörija. Ha deciso di partire, perchè la sua terra è in pericolo...
Shoser. Ha deciso di partire, perchè il mondo sta cambiando...
Kokuro - sama. Aveva già deciso di partire, perchè le Regioni dovevano essere sue...
Queste e molte altre vite ed esistenze, che si intrecciano, in una storia di sorprese, magia, miti e leggende; tutto in un universo completamente nuovo e da scoprire...
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Questa è la prima storia originale in cui mi cimento e la sua "materia" non è in alcun modo semplice... vi ringrazio anticipatamente qualora vi foste incuriositi e la vorreste leggere; in tal caso sarebbero graditi dei commenti, positivi o negativi che siano...
Detto ciò non mi resta che augurarvi buona lettura...
Genere: Avventura, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Survivor

Chiuse gli occhi ed emise un respiro: ormai era finita. Sarebbe bastato poco e sarebbero arrivati anche a lei. Non le restava altro che un ultimo dolce pensiero: la luce. Perché quel periodo era stato l’apogeo della tenebra ed il crepuscolo era cominciato sulle Cinque Regioni fin da troppo tempo … talmente tanto che non ricordava più il sole.

Pensando a questo si cullava, con le gambe rannicchiate al petto, nascosta nell’Androne Dimenticato: lì almeno avrebbero tardato a trovarla, nell’ala più remota del palazzo, nascosta fra tutti gli oggetti dimenticati, sotto un telo di canapa.

Mentre sulle guance cominciavano a scorrere lacrime, da fuori provenivano grida strazianti e l’acuto stridore dello scontrarsi del ferro, assieme all’abbagliante guizzare delle fiamme tutto attorno; lei continuava a singhiozzare, sperando ancora in un po’ di luce, sperando che non arrivassero, o che almeno l’incendio non si propagasse fino a lì, dove si trovava: ma la paura e la speranza continuavano a lottare l’una contro l’altra, cercando di sopraffarsi e scuotendo il corpo di lei.

All’improvviso la porta ad ingresso dell’ala sbatté con forza, e sul pavimento marmoreo risuonarono degli strani passi strascicati, affrettati, confusi … il cuore di lei mancò di diversi battiti e la paura prese quasi definitivamente il sopravvento; cominciò a mancarle forza negli arti ed i suoi denti presero a battere con frenesia, mentre si stringeva spasmodicamente le gambe al petto, tentando di scomparire sotto quel logoro telo. I passi, sempre più veloci, si avvicinavano e sembravano venire proprio nella sua direzione, sempre con più risolutezza; lei continuava a tremare … poco a poco si fecero prossimi ai resti del bassorilievo di Nuur, raffigurante le mitiche gesta del padre ancestrale, Woden, dietro al quale lei si nascondeva, stretta fra la pietra, il marmo e l’alabastro. “Ormai è giunta la mia ora …”, pensò, mentre stringeva le sue mani al petto, in una sorta di ultimo anelito.

Il silenzio la avvolse per molto tempo, finché una voce chiara e cristallina non lo ruppe:“Principessa Teörija, rispondetemi, siete qui?”. Come la nebbia si dissolve e lascia finalmente intravedere i contorni di ciò che ci sta intorno, così la principessa gettò a terra il consunto telo di canapa e si alzò velocemente in piedi: la paura l’aveva completamente abbandonata e la speranza aveva acceso una piccola luce nel suo cuore. “Parla, Ughirash, sei tu, mia fedele ancella?” “Voi lo dite, mia signora e lo sapete: avete udito la mia voce.”

La fanciulla, completamente rinfrancata da quella voce a lei conosciuta e dalla conferma, corse fuori dal nascondiglio, andando incontro alla ben nota figura, che era illuminata dalla fioca luce di una candela e dalle lingue di fuoco, che guizzavano riflettendosi sul soffitto d’avorio. Ella aveva un volto dalla carnagione diafana, incorniciato da lunghi e morbidi capelli castano rossicci, occhi neri come il mare di notte ed una sottile bocca rosa, accompagnata da un piccolo nasino tondo; indossava un abito elegante, come si confaceva alla prima ancella della principessa, di morbido velluto verde, lungo fino ai piedi, con maniche ampie ed una lieve scollatura, attraversato in tutta la sua pregevole stoffa da raffinate damascature dorate, che brillavano curiosamente. Avvicinatasi dunque alla fedele Ughirash, Teörija le si presentò in tutto il suo splendore, resa ancora più bella dalla paura appena provata: sulla pelle del volto, anch’essa diafana, si potevano scorgere lievi segni di rossore, attorno ai bellissimi occhi color ghiaccio, circondati da lunghe ciglia nere; i capelli, leggermente scompigliati, ricadevano lunghi e setosi sul petto e sulla schiena, come fili d’argento, il colore che solo un appartenente alla casata reale poteva avere; la bocca, di uno straordinario rosso scarlatto, contrastava ampiamente con il naturale pallore della fanciulla; ad aumentare questo effetto si aggiungeva la candida, ed ora lievemente sciupata, veste di seta, delle medesime fattezze di quella dell’ancella, ma ricamata con fili d’argento e piccoli cristalli, a formare motivi simili ad arabeschi; una piccola coroncina d’argento e d’avorio completava l’aspetto regale della principessa degli elfi.

Quindi Teörija prese la mano dell’ancella e la strinse fra le sue, inclinando un poco in avanti il capo e socchiudendo le labbra: “O cara Ughirash, non immagini la mia gioia nel vederti: ormai credevo di essere prossima alla fine …” “Ma, altezza, cosa dite? Non avrete davvero pensato fosse giunta la vostra ora? Non dopo il grande sacrificio della guardia suprema … considerate poi la vostra natura: come avete potuto pensarlo?” “Oh, mia cara ancella, come sei buona ed ingenua …  è vero che la nostra natura consisterebbe nel vivere per l’eternità, ma la nostra carne è debole di fronte alle armi ed alla violenza: diveniamo vulnerabili e mortali come gli uomini, abitanti di Errel, la regione dell’Est … inoltre contro di LORO non possiamo quasi niente … ma non fraintendere il mio ragionamento: come ti ho detto ora sono lieta di constatare la tua presenza, che mi ha ridato un poco di speranza, e non temere: non lascerò che il sacrificio della guardia sia vano …” “Allora, mia signora, cosa dobbiamo fare?”. La principessa sollevò il capo, guardando  dritta negli occhi la docile ancella: c’era sicurezza nel suo sguardo. “Non abbiamo un minuto da perdere,” disse con risolutezza, “dobbiamo fuggire … dobbiamo arrivare almeno al confine di Oderlaad, verso le terre di Wisdal … dobbiamo risanare l’antica alleanza.”. Il colorito di Ughirash, per quanto fosse possibile, raggiunse una tonalità marmorea ed i suoi occhi divennero vitrei. “Mia principessa, l’antica alleanza?” “Sì, mia cara Ughirash, l’alleanza, che permetteva la pace nelle Cinque Regioni, la pace primordiale … senza il ripristino di essa non riusciremo mai a fermare l’ondata di violenza e la sete di potere degli hanyou e youkai di Norishi, la regione del Nord …” “Ma è un’impresa pressoché impossibile, altezza. Come mai farete?”, chiese l’ancella allibita. “Niente è impossibile mia cara se si ha la speranza e la forza. Tu stessa me l’hai ridata, comparendo inaspettatamente. Ora però non è più tempo di parlare di cose che hanno ancora la consistenza del vapore. Dimmi piuttosto, Ughirash, come sei riuscita a trovarmi?” “È stato facile, altezza: ricordavo che questo era il vostro nascondiglio preferito dell’infanzia …” “Anche il vostro, Ughirash” “Sì, principessa …”, rispose lei, facendo comparire un lieve rossore sulle guance, “ed ero sicura che vi avrei trovato qui, dopo che vostro padre mi aveva inviato a cercarvi … il loro esercito stava già superando le ultime file della guardia scelta, di fronte all’ultima cinta di mura …” “E mio padre?”, chiese la principessa, con una nota di preoccupazione nella voce, “Vostro padre e vostra madre, come anche il resto della corte, sono già fuggiti verso la valle di Gaard, attraverso il cunicolo delle miniere di Snorut, dalle segrete del palazzo … mi hanno mandato a voi per ricongiungerci a loro …” “Non è necessario … mio padre possiede il prisma del cristallo di Kushi, dono dell’eremita di Soendo, la regione del Sud: finché esso sarà brillante, lui saprà che sono in vita … Ora dobbiamo affrettarci. Quanto tempo hai impiegato per trovarmi, Ughirash?” “Non molto, signora: mi sono precipitata qui appena vostro padre mi ha ordinato di cercarvi.” “Bene … il tempo è ancora dalla nostra? Riusciremo ad evitare l’esercito di Norishi?” “Sì, altezza: sarà sufficiente prendere la Scala di Porfido che porta alle Stalle d’Ebano. Lì già vi sono molte vivande e provviste, che erano state portate lì per la caccia di domani” “Molto bene. È tempo, mia cara ancella, dobbiamo andare”. Detto questo, al lume della candela ormai dimezzata, si diressero correndo verso la Scala di Porfido, posta in fondo al corridoio di quell’ala lontanissima del palazzo. Arrivarono subito alla piccola porticina nascosta, fatta di alabastro opalescente. L’ancella, tenendo con la mano destra la candela, cominciò a frugare nell’ampia manica dell’abito, per poi estrarre una piccola chiave di cristallo. Scostò dunque un drappo di seta dalla parete per inserirvela: la porta segreta scattò e si aprì. Dietro la porticina si delineò una ripida scala a chiocciola, in porfido, illuminata da rare fiaccole alla parete di sinistra.

Principessa ed ancella vi entrarono, avendo cura di richiudere opportunamente la porticina dietro di loro e facendola nuovamente nascondere dietro al drappo; presero poi a discendere i ripidi scalini, cercando di non inciampare ed allo stesso tempo di essere rapide: ogni secondo era prezioso.

Dopo poco tempo la scala finì e davanti a loro si stagliò un enorme portone in legno d’abete rosso: sullo stipite erano intagliate delle maestose figure di purosangue rampanti con le loro criniere al vento. Ancora una volta Ughirash ripeté il rituale, estraendo stavolta dalla manica una chiave di bronzo; la inserì nella toppa di ferro, decorata con cesellature a forma di lingue di fiamma, girò ed afferrò il pomo, una bronzea testa di leone con le fauci spalancate: il pesante portone si aprì ed ai loro occhi comparve un esteso corridoio di nuda pietra, il corridoio che portava alle Stalle d’Ebano.

Le due fanciulle cominciarono a correre spedite, alla pallida luce della candela, sperando di raggiungere il prima possibile la loro agognata meta. Muovendosi nell’ignoto, in un tempo che a loro parve interminabile ed illuminate unicamente dal debole baluginare della fiamma, iniziarono a scorgere a poco a poco un chiarore, che si intravedeva in fondo al corridoio. Aumentarono così risolute la velocità del loro passo, finché non giunsero a degli scalini anch’essi di pietra, che portavano ad un’altra porta, illuminata da una torcia. Questa non aveva serratura, ma semplicemente un grosso battente di ferro. Lo afferrarono insieme e la aprirono, trovandosi finalmente nella Magione delle Provviste, in realtà una sorta di ampia stanza, dove venivano portate le provviste per la caccia ed i suoi frutti, stanza che era adiacente e collegata con le vere e proprie stalle. Lì raccolsero tre bisacce ciascuna, più altre che avrebbero fermato alle selle dei cavalli. Si diressero dunque nelle stalle vere e proprie, attraversando il corridoio di collegamento.

Le Stalle d’Ebano testimoniavano ancora la maestosità dell’arte degli elfi: ogni singolo centimetro di esse era finemente intarsiato, a rappresentare i miti e le gesta del padre ancestrale, dalla creazione allo stabilirsi dell’ordine dei Tempi. Muovendosi in questo maestoso complesso, Teörija ed Ughirash si diressero subito verso il fondo della stalla, dove si trovavano i cavalli della principessa, due splendidi esemplari bianchi, dal crine dorato. Questi non batterono ciglio quando furono sellati dalle due fanciulle e furono caricati con due bisacce ciascuno, ma rimasero docili ad attendere ordini, scuotendo ogni tanto la criniera con energia. Finita la preparazione, principessa ed ancella si fecero carico delle ultime bisacce; raccolsero poi ed indossarono due pesanti mantelli di lana, sicuramente usati di solito dagli uomini. Salirono dunque a cavallo, dirigendosi poi, impartito l’ordine ai destrieri, verso l’esterno e spalancando le pesanti ante d’ebano. Era tempo di partire.

Fuori il buio della notte era illuminato, dalle lingue di fuoco dell’incendio appiccato alla Prima Cinta, e l’aria si riempiva ancora di grida. Una lacrima solcò il bianco volto di Teörija, mentre i cavalli sbuffavano e trepidavano in quell’oscurità che sembrava non avrebbe mai avuto una fine. Poi ella lasciò indietro ogni incertezza ed ostacolo: era ora.

Principessa ed ancella si guardarono in volto:“Fatti coraggio, amica mia,” disse la prima, “perché il nostro sarà un viaggio lungo e travagliato”.
 

  
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