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Autore: AnUnderdog    23/07/2011    5 recensioni
Sapevo di aver ucciso molta gente, ma sapevo anche precisamente perché lo avevo fatto.
Non avevo intenzione di andare in prigione.
Almeno non prima di aver raggiunto il mio obiettivo.
Genere: Azione, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Haunted




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2.
 
Un rumore mi destò dal sonno in cui ero caduta mentre mi  ero stesa sul divano.
Mi guardai intorno per identificare la fonte del rumore… Era il mio cellulare.
Guardai l’ora. Chi diavolo poteva avermi scritto alle due di notte?!?!
Aprii il messaggio.
 
<< Stanno venendo. Scappa.  >>
Mi ci volle qualche secondo per realizzare quello che stava accadendo.
Merda! La polizia era stata veloce questa volta!
Raccattai tutta la mia roba e la gettai frettolosamente nella mia sacca da viaggio, mi assicurai che la casa fosse a posto e che non vi avessi lasciato alcuna traccia, ma lasciai appositamente una sciarpa sul letto: volevo prendermi  gioco di quei poliziotti, volevo umiliarli dimostrando loro che ero stata lì, ma che ancora una volta gli ero sfuggita, perché ero troppo scaltra per loro.
 
Chiusi la porta della casetta e lasciai la chiave sotto il tappetino davanti all’entrata. Neanche per degli imbecilli come quei poliziotti sarebbe stato difficile trovarla.
Passai davanti alla macchina e la guardai di  sfuggita.
Non potevo di certo fuggire a bordo di quella Ford Anglia! Non perché fosse un pezzo da museo, ma perché sicuramente la polizia aveva messo numerosi posti  di blocco alle uscite della cittadina, ed io non potevo certo rischiare di essere beccata in tale modo!
Ma non avevo altra scelta.
Tirai fuori dalla tasca esterna della giacca il mio portafogli e da lì estrassi il mazzo di patenti false che il mio amico della polizia mi aveva preocurato.
Da lì scelsi la più adatta alla situazione: una vecchia signora smunta con pochi capelli in testa. Avrebbero  senz’altro  fatto passare un’adorabile vecchietta.
Estrassi dalla borsa la parrucca con i  capelli grigi  che si addiceva all’occasione, me l’applicai frettolosamente in testa e sopra vi misi uno scialle colorato. Ultimo tocco: degli occhialoni giganteschi che coprivano metà della faccia.
Saltai su quella vecchia e fedele macchina che mi aveva scarrozzata per tre quarti del continente, ed ingranai la quinta.
Ben presto arrivai al posto di blocco, dove un agente grasso con l’aria annoiata insieme ad un assistente mingherlino mi fecero segno di accostare la macchina.
“Prego, fornisca la patente” disse quello grasso, che aveva un distintivo appuntato sulla camicia sgualcita che diceva “Agente Vernon Keelan”.
“Certo signor Keelan” dissi imitando la voce tremolante di un’anziana signora.
Gli porsi la patente, lui la osservò attentamente, e poi passò ad osservare me.
“Potrebbe togliersi gli occhiali?” chiese con fare sospettoso l’agente.
“Oh caro ragazzo, mi dispiace, ma ho appena subito un intervento di cataratta all’occhio sinistro, e queste luci abbaglianti dei lampioni mi accecherebbero senz’altro. C’è qualche problema?” dissi col tono da innocente vecchietta più convincente che riuscissi ad imitare.
“No signora. Ma mi dica: perché alla  sua età esce dalla città a quest’ora di notte? Potrebbe essere pericoloso andare in giro per lei…”
“Vede caro, sto andando a trovare mio marito all’ospedale della qui vicina cittadina di Lima. E’ li che è stato ricoverato. Sa, nell’ospedale di  questa piccola città non hanno i macchinari approprati per curare il diabete, e lui ha avuto un improvviso calo di zuccheri, e mio nipote l’ha portato lì ieri. Potrebbe essergli stato fatale, ma invece è ancora vivo, devo  andare a trovarlo…”
“Capisco signora, ma noi abbiamo avuto dei chiari ordini dal dipartimento: non  possiamo far uscire nessuno.”
“E perché, di grazia?” dissi con tono sorpreso.
“Vede, si aggira un serial killer da queste parti e…”
“Le sembro forse un serial killer?”
“No signora, niente affatto, ma…”
“E allora mi lasci uscire caro Vernon, è una questione di massima urgenza!” dissi.
Il poliziotto, visibilmente in difficoltà, si girò verso il mingherlino, che però scosse la testa in segno di negazione.
Ok, adesso bisognava iniziare con le solite minacce da vecchietta incallita: “Vi denuncerò, vi farò mandare in carcere! Anzi, no, peggio! Andrò dal parroco e gli chiederò di non assolvervi mai più dalle vostre colpe! Andrete a finire dritti all’inferno, marcirete lì, e  rimpiangerete quando avete negato il passaggio ad una povera vecchia…”
“Signora, si calmi!” disse agitato il grassone.
“Senta, se suo marito non  è in pericolo di vita, dove la vede tutta questa urgenza di andare alle tre di notte a trovarlo? Scommetto che gli orari di visita sono anche finiti…” cominciò a dire il poliziotto magro, ma non lo lasciai finire.
Era ora di gettare all’aria qualsiasi forma di prudenza, e di passare alle maniere forti.
Da sotto il pastrano in cui mi ero avvolta estrassi la mia pistola e la puntai contro di loro, che erano palesemente sorpresi di vedere una vecchietta estrarre di punto in bianco un’arma da sotto  la giacca.
“Se non mi lasciate passare, giuro che raggiungerete mio marito  molto prima di quanto pensiate” dissi con la voce da anziana malefica.
“S..signora…”
I due non davano segni di cedimento, seppure spaventati, ma indietreggiarono lentamente.
Quel momento di esitazione mi  bastò: spinsi l’acceleratore al massimo, ruppi la sbarra del casello e mi diedi alla fuga.
Mi  affacciai fuori dal finestrino: i due mi stavano osservando con stupore.
Mi misi a ridere e gridai loro: “Au revoire!” mentre mi tolsi lo scialle e la parrucca facendo vedere i miei lunghi capelli biondi.
I babbei avrebbero certamente chiamato i rinforzi, ma quelli sarebbero stati talmente lenti ad arrivare che avrei perfino fatto in tempo ad arrivare in North Carolina.
Mi rilassai ed accesi la radio.
 
I'm in the middle of nothing
and it's where I want to be
I'm at the bottom of everything
and I finally start to live

this is the story of my life
these are the lies I have created
I created

 
Appena sentii quella canzone, una lacrima salì ai miei occhi, ed un  ricordo affiorò alla  mia mente.
Proprio il ricordo che per tutto quel tempo avevo cercato di seppellire nei meandri del mio animo, ma che costantemente tornava ogni notte a turbare i miei sogni.
 
Io e mia madre eravamo in salotto. Alla radio c’era quella canzone, ed io alzai il volume perché era una delle mie preferite.
Lei  si alzò improvvisamente dal  divano ed  iniziò a ballare in modo bizzarro davanti ai miei  occhi.
Io cercavo di cantare, ma non  ci riuscivo: il modo in cui ballava mi faceva ridere troppo.
Entrambe ridevamo come matte, quando all’improvviso si sentì un rumore forte.
Abbassai il volume, ma non  spensi la radio.
“Amore, sei tu?” gridò la mamma, un po’ preoccupata.
Nessuno rispose.
“Papà?” urlai.
Nulla.
“Veniva dal vialetto” dissi e mi incamminai verso la finestra del salone ch sie affacciava proprio sul vialetto che portava al garage.
Guardai fuori dal vetro e rimasi impietrita.
“Cosa succede?” chiese mamma, che stava arrivando. Non riuscivo ad emettere alcun suono. La mia bocca era impastata. La mia gola si rifiutava di parlare, le mie corde vocali erano come state recise.
Mamma si affacciò e…quell’ urlo di disperazione risuona ancora nelle mie orecchie.
Aveva visto, come me, il corpo di mio padre steso a terra agonizzante. Le gambe perdevano sangue a fiotti.
Ma io avevo visto anche un’altra cosa: una macchina fuggire a tutta velocità.
La canzone finì ed io e mia madre ci precipitammo di sotto ad aiutare mio padre ed a chiamare l’ambulanza.
Mio padre era stato gambizzato.
Avevo appena diciassette anni.
 
Asciugai le lacrime dal mio viso e spensi la radio.
Dopo un po’ afferrai il  cellulare e cercai sulla rubrica “X”.
Premetti il tasto verde ed ascoltai il  cellulare squillare.
“Pronto?”
“Ciao. Sono io.” Non potevamo né dire i nostri nomi durante le conversazioni via telefono, né memorizzarli su di  esso.
“Oh, come è andata?”
“Tutto bene, sono riuscita a scappare. Di nuovo. Grazie per il messaggio” Un sorriso  stiracchiato comparve sul mio volto.
“Benissimo! Allora, volevi sapere la tua prossima destinazione?”
In verità non mi ero neanche accorta di stare guidando senza una meta precisa, e l’avevo chiamato automaticamente, senza pensarci.
“Oh… Sì…” dissi.
“Ok, la prossima città si  trova in uno Stato occidentale prevalentemente agricolo, che fu una colonia inglese. La parola chiave è ‘State of Franklin’. La città si affaccia sull’Oceano. Il rebus questa volta è: primo: il nome di un famoso Smith; secondo: dinastia che governò la Cina dal 1368 al 1644; terzo:‘tuo’ in francese. Buona fortuna!” disse sghignazzando.
Oh no! Odiavo questa parte! In caso fossimo intercettati, lui ogni volta che mi spostavo  mi dava le coordinate del posto in cui dovevo andare tramite degli indovinelli. Era la parte che odiavo di più.
“No, dai, dammi una mano! Di Stati occidentali agricoli ce ne sono a miliardi! Per una volta potresti anche aiutarmi!” dissi esasperata. Secondo me si divertiva con questi indovinelli.
Lui rise: “Sai che è la prassi, T. Adesso devo andare!”
“Aspetta!!” urlai. Aveva attaccato. Sbuffai. Anche questa volta me la sarei dovuta cavare da sola… 



Note dell'autrice:
Allora, cosa ne pensate di questo capitolo?
Io ne sono abbastanza soddisfatta: iniziamo ad entrare un pò di più nel vivo dell'azione e scopriamo qualcosina di più su Taylor...
Scusate se vi ho fatto aspettare così tanto per il primo capitolo, ma meglio tardi che mai, no? u.u
Grazie per tutte le recensioni che ho ricevuto! **
Spero che questo capitolo ne abbia altrettante!
Ah, la canzone che Taylor sente alla radio è "The story" dei 30 second to Mars.
Un bacio
AnUnderdog

  
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