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Autore: Aya88    24/07/2011    6 recensioni
A volte il passato può essere doloroso, ma si cerca ugualmente di andare avanti e si può giungere a pensare di averlo superato. Quando però ritorna insieme alla sofferenza e ai sentimenti negativi che l'avevano caratterizzato, le certezze acquisite crollano e per non crollare con esse è indispensabile il sostegno di chi ci sta accanto.
E' questo quello che capiranno i protagonisti, chi in un modo, chi in un altro, tra indagini poliziesche e banchi di scuola.
Prima long-fic, spero possa piacere a qualcuno.
Paring: KakaSakuNaru, InoShika, TsunadeJiraiya, AsumaKurenai.
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Capitolo VII

CAPITOLO VII

 

“Si può sapere che cavolo di fine hai fatto, Kabuto?! Ho letto il tuo biglietto. Domani è arrivato da un pezzo ma non ti sei ancora fatto vivo. E’ inammissibile che tu sparisca in questo modo. Il nostro è un lavoro, non un gioco!” 
La voce alterata di Shizune giungeva alle sue orecchie non distorta, nitida, pur attraverso il tramite artificiale del cellulare, ed era piacevole ascoltare quel suono dolce, ancora più dolce per la sfumatura di nervosismo che lo colorava, così vicino, come se la donna fosse accanto a lui e non in un ufficio di medicina legale nel centro della città. Le sue labbra si piegarono in un sorriso malizioso, adombrato da un velo di malinconia, mentre lasciava che Shizune riempisse il silenzio del bar in cui si trovava e alleviasse ancora una volta il senso di oppressione che aveva dentro. Il rapporto che aveva istaurato con lei era iniziato come un gioco, con battutine ironiche e divertenti battibecchi, sulla scia della inevitabile confidenza che lavorare insieme ogni giorno comportava e della innegabile attrazione fisica che provava; era bella, di una bellezza semplice e spontanea, un particolare che non gli era sfuggito. Poi, qualcosa era cambiato, cercare e scoprire la verità sul lavoro di suo zio, il circolo vizioso di affetto e dipendenza che si era palesato davanti al suo cuore talmente vivido da far male, il bisogno di farne a meno; quel legame aveva assunto un’altra forma, era diventato ciò che gli permetteva di non cadere nel vuoto, o che semplicemente lo illudeva che il vuoto fosse un rischio evitabile. Ma anche se fosse stata una semplice illusione, quando si confondeva come in quel momento con ricordi e sensazioni tutt’altro che irreali, si sentiva bene; mentre la donna si impegnava a rimproverarlo per la scarsa professionalità e la superficialità che il suo comportamento denotava, la sua mente era altrove, intenta ad affiancare alla voce che gli parlava un viso annebbiato dal piacere e un corpo caldo e accogliente. Non avrebbe dimenticato quella notte di sesso tanto facilmente, una notte che sarebbe rimasta solo lì, relegata nella sua memoria, senza un seguito. Per un tacito accordo, l’accaduto era stato etichettato come un errore e lui non si era opposto; imporre qualcosa di fittizio non l’avrebbe liberato dal vicolo cieco in cui era rinchiuso. Si sarebbe accontentato di starle a fianco giorno dopo giorno, di vederla di volta in volta seria e concentrata, sorridente, arrabbiata, e di godere delle sue reazioni.
Così come stava facendo da quando era iniziata quella telefonata.
“Ma mi stai ascoltando?!” Sbottò ad un certo punto la donna, insospettita dalla mancanza prolungata di una risposta.
“Sì, sto ascoltando.” Le disse, spezzando il mutismo. “Ho avuto semplicemente un contrattempo, torno appena posso.”
“Che vuol dire appena posso?! Il più in fretta possibile, Kabuto. Già ho tollerato abbastanza la situazione. E’ chiaro?”
L’uomo sorrise di nuovo; il tono perentorio le si addiceva perfettamente. 
“Chiaro.” Assentì.
Quando poi Shizune interruppe la comunicazione, ripose il cellulare sul bancone soffermandosi a fissare il liquido trasparente contenuto nel bicchiere a pochi centimetri dal suo viso.
Nonostante avesse trascorso quasi tutta la notte e le prime ore mattutine all’Alba, non era riuscito praticamente a chiudere occhio, tranne che per qualche insignificante ora, in cui aveva ceduto a un sonno turbato dall’inquietudine. L’unica soluzione che aveva intravisto era stata quindi rintanarsi in quel locale poco frequentato per riflettere con calma, aiutato magari da un po’ di rilassante alcool; si era immediatamente reso conto che la proposta di suo zio, qualunque ne fossero le intenzioni, vincolarlo al silenzio o coinvolgerlo finalmente nella sua attività segreta, aveva messo a rischio la svolta che stava cercando di dare alla propria vita, e non voleva che accadesse. Più del silenzio, però, più del sakè e dell’intricarsi continuo dei pensieri, era stata la conversazione appena conclusa a rinsaldare la sua scelta. Forse passava semplicemente da una necessità ad un’altra, ma per la prima volta non sentiva quella necessità come un peso, come qualcosa di controproducente. 
Lasciò una banconota accanto al bicchiere, poi si alzò e abbandonò il bar. 

Il cadere della pioggia era divenuto fitto ed insistente, incupendo ancora di più l’atmosfera che avvolgeva il fermento della vita cittadina nell’ora di punta. Le autovetture intasavano le vie del centro e la maggior parte dei negozianti abbassavano le serrande per rialzarle nel pomeriggio, mentre i passanti si affrettavano a raggiungere le rispettive mete al riparo degli ombrelli. 
Sakura, intanto, cercava il suo senza successo, con un’espressione spazientita sul volto, pressata dall’idea che Naruto l’aspettasse giù in macchina. Aveva controllato all’ingresso e in soggiorno per poi passare nella sua camera, ma nulla; quell’aggeggio sembrava davvero sparito. Tentò allora di rovistare tra i suoi ricordi, sulle tracce di un input che le permettesse di rammentare dove diavolo l’avesse nascosto. 
Pensierosa si sedette sul letto, adagiando i palmi delle mani sulla coperta. E se per caso l’avesse dimenticato da qualche parte? Se non si sbagliava l’ultima volta che era piovuto risaliva ad una settimana prima, e i posti in cui era stata una settimana prima non erano molto diversi dal solito. Che l’avesse magari lasciato da Ino? Cercò di ricostruire mentalmente tutte le azioni di quando era andata a trovarla. Era il suo giorno libero, e la possibilità di qualche ora di reciproche confidenze l’aveva spinta ad accettare di buon grado la proposta della collega. Ricordava di aver lasciato l’ombrello zuppo d’acqua all’entrata e di averla seguita in cucina per un tè. Lo scrosciare della pioggia aveva accompagnato la loro conversazione, rendendo ancora più confortante il tepore dell’abitazione e il liquido caldo della bevanda. Quando se ne era andata, però, non pioveva più, non poteva sbagliarsi, perché aveva avvertito con piacere dei timidi raggi solari riscaldarle una guancia. E probabilmente era stato proprio quello il motivo per cui le era passato di mente di recuperare l’ombrello, ormai privato della sua utilità col ritorno del sole. Non c’erano molte altre possibilità, salvo che non l’avesse abbandonato involontariamente in qualche negozio. Restava il fatto che doveva rassegnarsi a ripararsi in altro modo dall’acqua piovana. 
Sbuffò annoiata, augurandosi che almeno le condizioni meteorologiche fossero favorevoli; quel giorno ci mancava solo una bella doccia naturale, oltre alle indagini che sembravano ritornare ad un punto morto e il gesto di Kakashi a cui non riusciva ad attribuire un senso, così come non vi riusciva con le sue sensazioni. Si morse leggermente il labbro inferiore, tesa al ricordo di qualche ora prima e in parte arrabbiata con se stessa. Non si sarebbe aspettata che l’uomo la fermasse mentre incerta fuggiva dai ricordi, ma soprattutto non avrebbe creduto che il battito del suo cuore accelerasse all’improvviso nell’averlo così vicino, lo sguardo fisso su di lei e il tocco leggero delle dita sulla pelle. Dai giorni in cui era ripiombato nella sua vita, aveva provato a fare chiarezza, a definire nettamente quello che continuava a legarla a lui, ma quei pochi istanti sembravano aver confuso di nuovo tutto. Strinse i pugni stropicciando il tessuto del copriletto, il volto adombrato dall’amarezza; non poteva e non voleva avere ancora dubbi. Poi sospirò, tentando di liberarsi dalla stretta dell’ansia, consapevole che non avrebbe risolto nulla in cinque minuti e che soprattutto non fosse il momento opportuno per perdersi in simili pensieri. Se fosse ritornata da Naruto con segni di turbamento e lui avesse intuito qualcosa, non se lo sarebbe assolutamente perdonata, perché non sapeva se sarebbe riuscita a tenere per sé quel nuovo stato di incertezza. Si rialzò allora, affrettandosi ad uscire dall’appartamento per raggiungere il collega, sforzandosi durante il tragitto di sgombrare la mente. Giunta in strada, fuori dal portone del palazzo, si avvicinò veloce all’autovettura e aprì la portiera ritrovandosi davanti il volto sereno di Naruto. 
“Allora? Trovato?” Le chiese.
“No, niente da fare.” Rispose Sakura, mentre si sedeva richiudendo fuori dall’abitacolo l’aria fredda, così come ogni pensiero fatto poco prima. “Non abbiamo tempo per passare anche da te, speriamo che smetta.” Continuò, piacevolmente confortata dal calore generato dal condizionatore.
“Sì, dai, vedrai che smetterà, o al massimo facciamo una corsa.” Disse l’altro con leggerezza, mettendo in moto. Poi sì concentrò sul traffico in attesa del momento propizio per immettersi nella fila di macchine.
“Hai ragione.” Assentì la collega poco dopo, incurvando le labbra in un mezzo sorriso e osservandolo con una luce di dolcezza negli occhi: quando era con lui sembrava sempre tutto così semplice. Lo fissò in silenzio per qualche altro breve istante, poi si voltò anche lei a guardare la strada, pronta se necessario a supportarlo con dei consigli, durante il percorso che li avrebbe condotti all’università. Su indicazione di Tsunade, intendevano trovare una conferma alla versione fornita da Hinata Hyuga, confidando in un po’ di disponibilità e di fortuna. In commissariato avevano già verificato via internet che l’esame si era effettivamente svolto e che l’orario d’inizio poteva giustificare l’arrivo della ragazza in azienda verso le dieci; c’era solo da controllare se l’avesse davvero sostenuto e più o meno a che ora.
L’ateneo era ubicato fuori Konoha, quindi per arrivare a destinazione i due poliziotti impiegarono una buona mezz’ora e, andando in parte incontro alle loro attese, il tempo migliorò leggermente. Nonostante il cielo fosse ancora chiuso da scure coltri di nubi, la pioggia sembrò voler offrire una sorta di tregua, facendosi meno martellante. Riuscirono così a non bagnarsi eccessivamente, coprendosi il più possibile con giubbotto e sciarpa, mentre si dirigevano verso la prima entrata visibile. Quando furono finalmente all’interno dell’edificio, provarono un innegabile sollievo di fronte all’immediato cambio di temperatura e, mentre si godevano quell’istante di ristoro, si ricomposero per recuperare un aspetto presentabile, che non includeva certamente capelli arruffati e un abbigliamento stile eschimese. Iniziarono poi a percorrere i corridoi piuttosto affollati dell’università, accompagnati da un brusio di sottofondo. Gli studenti, probabilmente in attesa del proprio turno, sostavano davanti alle aule parlando tra di loro, scambiandosi veloci consigli o forse solo evitando di pensare troppo all’esame. Tra di essi, Naruto individuò un gruppetto che gli appariva più rilassato degli altri e, dopo aver messo Sakura al corrente della sua intenzione di fermarsi, si avvicinò per cercare di ottenere quella che in commissariato avevano ritenuto la prima indispensabile informazione da procurarsi, ovvero dove si trovasse la presidenza della facoltà di economia. Un ragazzo bassino e con gli occhiali non tardò a soddisfare la sua richiesta, fornendogli le indicazioni necessarie per raggiungerla. Il poliziotto, dopo aver ascoltato attentamente le sue parole tentando di non perdere nessun passaggio, lo congedò ringraziandolo per l’aiuto, un aiuto che si rivelò tutto sommato utile. Arrivare a destinazione non comportò infatti eccessive difficoltà, salvo la necessità di porre qualche altra domanda per essere sicuri di non aver imboccato la strada sbagliata. Quel giorno, la presidenza era quasi deserta e si resero conto che ciò avrebbe permesso loro di non dare troppo nell’occhio. Attesero tuttavia che i pochi ragazzi in fila avessero risolto le proprie urgenze, poi entrarono. 
“Salve.” Esordì Naruto, rivolgendosi ad una ragazza che gli venne incontro. “Scusate il disturbo, ma siamo della polizia e avremmo bisogno di un aiuto.” Continuò mostrando il distintivo.
“Oh… ma certo. Ditemi pure.“ Gli rispose quella, sorpresa dalla notizia, ma anche leggermente compiaciuta di poter dare una mano alle forze dell’ordine.
“In pratica, ci servirebbero i verbali di un esame che si è svolto ieri. L’esame sarebbe quello di Economia aziendale.”
“Ho capito, ora chiedo subito. Aspettate solo qualche minuto.” Disse la giovane, prima di sparire all’interno di un ufficio.
Quando poi ritornò da loro, portava con sé una cartellina e alcuni fogli verdi; prese uno di quest’ultimi e lo porse al poliziotto.
“Ecco quello che cercavate. Vi sono riportati i nominativi dei candidati che hanno sostenuto l’esame, più gli argomenti che sono stati trattati durante la prova, ma immagino che vi interessino soprattutto i primi.” Spiegò con tono sicuro. 
Naruto annuì e la ringraziò, dopodiché inizio a visionare il documento insieme a Sakura, che gli si era accostata. Il nome di Hinata Hyuga risultava effettivamente nell’elenco e per la precisione in seconda posizione, quindi non solo aveva davvero dato quell’esame, ma, considerando l’orario di inizio, appariva anche realistico che l’avesse terminato in tempo per trovarsi in azienda verso le dieci, se non addirittura più tardi. Insomma, la versione che la studentessa aveva fornito durante l’interrogatorio sembrava combaciare con la realtà dei fatti. Terminata la veloce lettura del verbale, i due poliziotti si scambiarono uno sguardo, da cui intuirono di essere giunti alla stessa conclusione. Naruto restituì allora il foglio, rinnovando i ringraziamenti per la disponibilità, poi uscì dall’ufficio seguito dalla collega. 
“In sostanza, possiamo dire che l’alibi è verificato.” Le disse, solo quando ebbero raggiunto un punto appartato dell’androne che ospitava la presidenza della facoltà, così da poter tirare le somme della loro rapida indagine senza attirare l’attenzione di nessun curioso. 
“Beh, sì, sicuramente è difficile che possa essere stata lei dato l’orario che risulta dall’autopsia.” Confermò Sakura. “Però, questo significa anche che siamo di nuovo al punto di partenza.” Constatò poi con un pizzico di stanchezza. Quella che all’inizio era una possibilità si era rivelata una dato certo e, nonostante fosse contenta per Hinata Hyuga, per quel giorno avrebbe preferito poter mettere un punto fermo almeno nel campo lavorativo. 
“Fa nulla, se era la strada sbagliata è meglio così, no?” Affermò Naruto con un inevitabile senso di liberazione, sollevando le braccia e incrociando le mani dietro la nuca. “Comunque, quello che possiamo fare è solo tornare all’azienda e ricominciare da lì.” Le spiegò con tono rilassato, e Sakura si lasciò andare ad un sorriso; non poteva certo dimenticare che su quel caso si erano proiettate ombre lontane che lo facevano soffrire e sentire finalmente che ne parlava con una voce priva di note stonate riusciva in un modo o nell’altro a mettere in secondo piano tutto il resto. 
 “Già, hai ragione.” Gli rispose, sperando ingenuamente che l’amarezza che aveva caratterizzato la confessione del giorno prima non tornasse mai più a offuscare la sua consueta solarità.
“Andiamo, allora, e speriamo che abbia smesso del tutto di piovere, così ci risparmiamo un’altra corsa.” Concluse il poliziotto con un chiaro accenno al loro movimentato arrivo all’università.  
Raggiunsero quindi nuovamente il parcheggio e quella volta, per loro fortuna, poterono avventurarsi tra le file di macchine in sosta con tutta calma, confortati dal sole che timidamente faceva capolino tra le nuvole. All’improvviso, mentre camminavano uno affianco all’altro, vennero fermati da una voce, o meglio dal noioso proprietario di quella voce, pensò con disappunto Naruto.    
“Hei, scusa, bellezza. Vai via?” Chiese un ragazzo sulla ventina, sporgendosi dal finestrino di un’auto blu e indirizzando uno sguardo malizioso a Sakura.
Il poliziotto lo fissò subito in malo modo, infastidito da quel brusco apprezzamento, ma si riprese altrettanto velocemente e agì prima ancora che la collega potesse replicare qualcosa.
“No, mi dispiace, abbiamo altro da fare.” Disse sbrigativo, per poi mettere un braccio intono alle spalle della ragazza e baciarla con perfetta noncuranza. 
Pochi istanti dopo, si sentì distintamente apostrofare con un ‘Ma guarda questo!’, mentre il rumore del motore annunciava che la sua strategia aveva sortito l’effetto sperato e che il disturbatore li liberava dalla sua inutile presenza. 
“E così, alla fine, se ne è andato lui.” Osservò a conclusione di quel bacio imprevisto, con un’espressione malandrina sul viso. 
Sakura non riuscì a trattenere una risata. 
“Sei incredibile.” Sussurrò.
Per risposta, il poliziotto si grattò il capo socchiudendo leggermente gli occhi, senza dire nulla, poi riprese a camminare come se nulla fosse, diretto finalmente alla macchina.
Prima di seguirlo, la ragazza rimase ferma per un po’ ad osservarlo seria. Qualunque cosa la legasse ancora a Kakashi, voleva molto bene a Naruto e i momenti che viveva con lui ogni giorno riuscivano innegabilmente a farla stare bene; tutto era così naturale, spontaneo, i punti d’ombra venivano spazzati via senza alcuna difficoltà, semplicemente condividendoli, e un rapporto simile era quello di cui sentiva di aver bisogno, in quel periodo della sua vita così come in futuro, un rapporto che con l’Hatake le risultava difficile intravedere.      


Il ristorante non era per nulla affollato, solo il leggero chiacchiericcio che si levava dai pochi tavoli occupati smorzava il silenzio e l’attesa di Asuma, alleandosi con il solitario fluire dei suoi pensieri. Aveva indubbiamente scelto quel posto perché era il più pratico da raggiungere, dato la sua vicinanza all’istituto scolastico, ma che fosse anche il luogo dove aveva incontrato Kurenai per la prima volta non era ai suoi occhi, e probabilmente non lo sarebbe stato nemmeno a quelli della donna, un aspetto secondario. Non sapeva di preciso che cosa le avrebbe detto durante quella sorta di appuntamento improvvisato, ma la molla che aveva fatto scattare l’idea di un pranzo fuori casa era perfettamente in rilievo nella sua memoria, impressa da una fitta improvvisa di smarrimento e di sofferenza riflessa, come un’immagine calcografica impressa da una matrice: uno sguardo perso a contemplare qualcosa a lui ignoto e un’espressione cupa e meditativa. 
Era stato un fulmine a ciel sereno. Kurenai era appena tornata a casa dopo i corsi di recupero pomeridiani, lui usciva dalla cucina per andarle incontro, e in quei pochi istanti trascorsi sulla soglia della porta, ignara di essere osservata, la donna aveva palesato un malessere di cui prima di allora non aveva colto nessuna avvisaglia, perché troppo chiuso nella sua personale insicurezza, in dubbi e timori sul loro rapporto. Quello il motivo del carattere improvviso dell’amara scoperta - perché la conosceva abbastanza per legare il turbamento evidente nel suo aspetto solo a futili contingenze - ma forse nel contempo la causa stessa del problema. Era giunto a quella possibile conclusione anche grazie alla chiacchierata di qualche ora prima con Shikamaru; ascoltando le confidenze del collega, tra l’odore acre del fumo e dell’asfalto bagnato dalla pioggia, ciò che in modo nebuloso si era insinuato nella sua coscienza la sera prima aveva iniziato ad acquistare contorni sempre più chiari, fino a delinearsi in modo netto con le riflessioni che il dover aspettare l’arrivo di Kurenai gli aveva concesso di svolgere. Stava pensando da dove potesse cominciare per farle capire che per lui la loro storia era molto importante, che nonostante le sue paure ci credeva davvero, quando la vide entrare nel locale, i lunghi capelli neri che le ricadevano morbidamente sulle spalle, le iridi cremisi che indagavano l’ambiente alla sua ricerca, e avvertì un tuffo al cuore. Si era concentrato così tanto su di lei e sul loro rapporto, con un fondo costante di inquietudine riverbero della paura di perderla, che averla lì, a pochi metri di distanza, bella e dolce come sempre, sembrava un dono prezioso, unico. Sarebbe stato davvero uno stupido se se lo fosse lasciato sfuggire. 
Kurenai impiegò qualche istante prima di scorgere dove fosse seduto, poi avanzò tra i tavoli per raggiungerlo. Era venuto a cercarla in aula un’ora prima della fine delle lezioni, generando un invitabile mormorio tra i banchi, e con evidente imbarazzo, non aveva molto probabilmente calcolato la vivace curiosità degli studenti, l’aveva informata che avrebbero pranzato in quel ristorante, senza fornirle una spiegazione chiara. Sulle prime era rimasta spiazzata, in parte piacevolmente colpita da quella proposta, poi però aveva cercato di coglierne la motivazione e in qualche modo si era sentita un po’ in colpa. La sera prima, mentre era bloccata nel traffico, si era soffermata ad osservare un bambino che davanti ad una vetrina, con pressante insistenza, tentava di convincere suo padre a comprargli un giocattolo e per un breve istante aveva immaginato Asuma in quella situazione, provando un’improvvisa tristezza, a cui si era poi lasciata andare non appena era rientrata a casa, con la schiena contro la porta dell’appartamento. Forse l’uomo aveva assistito a quel suo momento di debolezza, traendone la diretta conseguenza che ci fosse qualche problema, nonostante durante la serata dal suo comportamento non fosse trapelato nulla. Per quanto fosse dispiaciuta che ne fosse venuto a conoscenza in quel modo, sapeva anche che eludere il problema non avrebbe portato a nulla di buono, così, mentre si avvicinava, ribadì a se stessa che doveva trovare il coraggio di esternare quello che aveva pensato e provato in quell’ultimo periodo. 
“Ciao.” Lo salutò abbozzando un sorriso. “Scusa il ritardo, ma il preside mi ha trattenuta. Doveva parlarmi di alcune classi.” Si giustificò mentre si sedeva. 
“Tranquilla, non fa nulla. In fin dei conti nessuno ci mette fretta.” Rispose Asuma, apparentemente calmo. 
“Vero. Hai già ordinato qualcosa?” Domandò la donna. 
“Sì, ho chiesto del ramen. Ho pensato che andasse bene anche per te. Altrimenti posso…”
“No, no, va benissimo.” Lo interruppe, addolcendo lo sguardo. 
Una delle prime cose che l’aveva colpita di lui era stato proprio il suo atteggiamento premuroso. Era uno dei suoi primi giorni a Konoha e alcuni colleghi, a cui si era unito in un secondo momento anche Asuma, l’avevano invitata a magiare qualcosa con loro. Il cameriere aveva fatto confusione nel segnare le prenotazioni, così si era ritrovata del misoshiru al posto del sushi, e lui si era offerto gentilmente di invertire le loro pietanze in modo da risolvere velocemente l’inconveniente. Era la prima volta che l’incontrava e il suo gesto le era rimasto impresso. Che fosse un caso o meno, si trovavano proprio nello stesso ristorante di cinque anni prima, e il loro incontro era iniziato con una situazione in qualche modo accostabile a quella di allora. Quelle coincidenze le fecero pensare che forse, parlando, sarebbero riusciti davvero ad allontanare le nuvole che vedeva avanzare verso il loro cielo. Proprio in quel momento giunse il cameriere con le loro ordinazioni. L’uomo adagiò un vassoio al centro del tavolo e domandò se desiderassero altro, ricevendo un pacato diniego, quindi se ne andò lasciandoli soli, mentre i due insegnanti si dedicavano alle ciotole di ramen fumanti, provando ad accantonare momentaneamente ogni pensiero. Fu Kurenai a riprendere dopo un po’  di tempo la conversazione, almeno per esprimere un veloce apprezzamento sulla qualità del cibo. 
“Cucinano sempre bene qui.” Disse con leggero sorriso. 
“Sì, è vero. Non è cambiato per niente.” Assentì l’altro, poi indugiò fissandola negli occhi più a lungo del solito, un brivido di tensione che gli attraversava il petto. “Comunque io… volevo chiederti scusa.”
Poche parole che furono seguite da un silenzio denso, denso di aspettative e speranze, di voglia di capirsi e riparare, mentre Asuma cercava il modo giusto per proseguire e Kurenai attendeva di sapere che cosa le avrebbe detto. 
“Scusami se in questo periodo ho finito per chiudermi in me stesso,” continuò l’uomo “se intrappolato nelle mie insicurezze ti ho forse dato l’impressione di dubitare di noi.”
D’istinto allungò una mano verso di lei fino a sfiorarne con le sue le dita affusolate; la donna, intenerita dalle parole e dal gesto, lasciò che il calore della mano di Asuma avvolgesse con dolce decisione la propria, non senza un mutamento lieve ma chiaramente percepibile nel battito del suo cuore.
“Ma io ti amo davvero e voglio costruire la mia vita insieme a te, nonostante le mie stupide paure.” Dichiarò, con un leggero rossore sul viso. 
Kurenai esitò, divisa tra sentimenti contrastanti: le affermazioni dell’uomo sembravano rispondere ai pensieri dell’ultimo mese, alleviando le preoccupazioni che l’avevano gettata in uno stato di confusione, eppure quell’alone di incertezza che in ogni modo sentiva persistere non riusciva a rassicurarla del tutto.  
“Asuma, temo che questa insicurezza possa prima o poi rompere qualcosa. E…”
E per costruire una famiglia c’è bisogno di basi solide, il nostro bambino ne ha bisogno, avrebbe voluto continuare, ma non ne trovò la forza. Abbassò invece lo sguardo, risentita verso se stessa; nonostante ciò che si era prefissata per quell’incontro, non riusciva a confessare l’unica semplice verità che doveva rappresentare la priorità.
Nell’ascoltarla Asuma avvertì una piccola fitta a cui rispose senza smettere di stringerle la mano, bensì aumentando leggermente la pressione di quel gesto di unione, sperando che anche quello servisse per farle capire quanto per lui fosse importante. 
La donna reagì tornando a guardarlo negli occhi, di nuovo in attesa delle sue parole. 
“Hai ragione. D’ora in poi cercherò di allontanare una volta per tutte stupidi pensieri.” Le disse l’altro con tono serio. “Io non voglio perderti.” Continuò dopo qualche istante di silenzio. 
Kurenai rimase a fissarlo per un po’ con espressione riflessiva, poi abbozzò un sorriso, avvolta da una sensazione di calore, in qualche modo tranquillizzata dal proposito che l’affermazione dell’uomo conteneva e dalla dolcezza che le stava dimostrando. Pensò che doveva assolutamente trovare il momento giusto per dirgli che era incinta, che non poteva e non voleva più nasconderlo, ignara che in quello stesso istante anche Asuma stava pensando di doverle rivelare al più presto qualcosa.  

Sasuke era ritornato in ufficio con un’espressione apatica, o meglio quella era stata l’impressione che Kakashi aveva ricevuto non appena l’aveva visto entrare, sebbene quell’apatia potesse facilmente confondersi con il suo solito atteggiamento serio e distaccato. Perfettamente consapevole che il giovane collega non si sarebbe mai lasciato andare a qualsiasi sorta di confidenza, tanto più con qualcuno che a conti fatti non conosceva per nulla, aveva preferito evitare qualsiasi domanda o osservazione a proposito, limitandosi a chiedere un semplice ragguaglio sull’incontro avuto con l’informatore. Avevano potuto così accordarsi sulla mossa successiva da compiere per proseguire quella che era una delle tante partite a carte che intraprendevano quotidianamente, mossa che consisteva in una piccola visita di cortesia a Kaito Oshiba, che come avevano verificato rientrava  effettivamente tra gli iscritti alla palestra dove era avvenuto l’omicidio. 
L’abitazione dello spacciatore faceva parte di un condominio in una piccola zona residenziale, ad una mezz’oretta dal commissariato. Quando arrivarono al complesso abitativo, i due poliziotti individuarono per prima cosa la guardiola del portiere e chiesero quale fosse l’appartamento della persona che cercavano, ottenendo l’informazione senza troppe difficoltà. Gli alloggi correvano tutto interno ad un cortile interno, affacciandosi su di esso, perfettamente visibili con le loro facciate d’intonaco bianco, separate dal vuoto da un ballatoio ed una ringhiera metallica. Quello che interessavo loro si trovava nell’ala destra del palazzo, al secondo piano, e lo raggiunsero tramite una scala interna. Dopo aver scambiato un rapido sguardo d’intesa con il collega, Sasuke suonò il campanello, poi attese con una leggera impazienza che il loro prossimo interlocutore si facesse vivo. Forse, inconsciamente, vedeva quell’incontro non solo come la semplice fase di un’indagine, ma anche come un’opportunità per allargare il campo della sua ricerca personale, che più passava il tempo e più gli appariva infruttuosa. Si affrettò ad allontanare quel pensiero dalla sua mente, posticipando qualsiasi riflessione sulle eventuali conseguenze dell’arresto che avrebbero compiuto a breve. 
La porta dell’appartamento si aprì nel giro di qualche istante e di fronte a loro si presentò un uomo sulla trentina, non molto alto ma dalla corporatura piuttosto robusta, che lasciava facilmente intuire la sua professione di pugile o quanto meno la passione per il pugilato. Peccato che i suoi interessi non si limitassero ad una sana pratica sportiva, pensò Kakashi osservandolo. 
“Salve. Il signore Kaito Oshiba?” Esordì.
L’uomo scrutò in silenzio chi chiedeva di lui, sforzandosi di ricordare se li avesse visti da qualche altra parte, ma non riuscì a ricollegare i visi dei due ai poliziotti della mattina precedente, così rispose senza avere sentore di nulla e con voce  un po’ seccata.
“Sì, sono io. E voi chi sareste?” Disse.
“Polizia, signor Oshiba. Dovremmo scambiare due chiacchiere.” Rispose l’Hatake serio, mentre mostrava il distintivo per avvallare la sua affermazione.
A quelle parole lo spacciatore si irrigidì in maniera quasi impercettibile, lasciando trapelare l’improvvisa ansia solo dal leggero indurirsi dei lineamenti del volto, dettaglio che non sfuggì alla capacità di osservazione dell’ispettore. Tentò però di rimanere calmo, perché per esperienza sapeva bene che agitarsi avrebbe gettato su di lui più sospetti di quelli che gli inquirenti potevano già avere;  inoltre, comportarsi nel modo più naturale possibile poteva rappresentare una buona via d’uscita proprio per il fatto che la loro presenza davanti a casa sua non implicava necessariamente che avessero delle prove rilevanti. “E a che proposito?” Domandò allora, cercando di conservare ancora un tono annoiato in modo da celare il suo cambio d’umore.
“Credo che lo sappia perfettamente, a che proposito.” Intervenne deciso Sasuke. 
“No, mi dispiace, non saprei proprio di che cosa…” Provò a replicare l’altro con finta noncuranza, dopo aver spostato lo sguardo sul secondo poliziotto.
“Io non ne sarei così sicuro.” Lo interruppe però Kakashi, attirando nuovamente su di sé l’attenzione. ”Volendo, qualche argomento su cui parlare si trova lo stesso.”
“O altrimenti si può sempre cercare qualcuno più loquace.” Concluse l’Uchiha al posto del collega.
Fin dall’inizio, erano perfettamente consapevoli di non poter mettere il loro interlocutore davvero sotto pressione, dal momento che non avevano in mano nulla di concreto, ma solo informazioni e indizi che necessitavano di riscontri oggettivi, un’impresa non semplice; così, come avevano concordato in ufficio, avevano tentato di giocarsi la carta di un innocuo bluff, affidandosi al potere di convinzione del loro ruolo istituzionale e alla malafede del pugile.
“Nessuno si lascerebbe sfuggire una buona occasione per alleggerire la propria posizione.” Spiegò dopo qualche istante di silenzio l’ispettore dai capelli argentati.
La puntualizzazione gettò lo spacciatore nell’incertezza; forse, la polizia sapeva davvero qualcosa che poteva metterlo nei guai.  
“Sempre… sempre che ci sia una posizione da alleggerire.” Rispose, tuttavia, sperando che si stesse sbagliando.
“Beh, di certo non abbiamo tempo da perdere con chi non vuol parlare.” Osservò l’Hatake con tutta calma, dopodiché attese una reazione che non arrivò, per tanto si rivolse a Sasuke. “Mi sa che allora possiamo andare.” Gli disse.
L’altro non tardò ad assentire con un rapido cenno del capo, poi imitò il collega dando le spalle al loro interlocutore e iniziando ad allontanarsi dall’appartamento. Neanche pochi passi, però, e il pugile li richiamò; se ormai erano a conoscenza della storia delle anfetamine, non sarebbe comunque rimasto fuori dalle indagini, quindi tanto valeva collaborare e subire il minore dei mali.
“Aspettate. Forse… forse posso darvi una mano.”
A quelle parole le labbra di Kakashi si incurvarono in un sorrisetto compiaciuto, mentre Sasuke provò un innegabile senso di liberazione; detestava tirare per le lunghe con un criminale da quattro soldi, tanto più se aveva fretta di giungere ad una conclusione. 
“Così va meglio.” Disse l’Hatake, tornando indietro verso l’uomo. “Penso sia inutile specificare di cosa stiamo parlando.”
“Insomma, a questo punto, possiamo arrivare direttamente al punto”. Continuò l’Uchiha aggrottando le sopracciglia. ”Chi spaccia con te nella palestra? E Aizawa Daisuke era coinvolto?” 
“Sì. Eravamo noi due a gestire tutto, insieme ad Akira Hayase. E all’inizio anche il nipote del proprietario.” Rispose lo spacciatore dopo qualche istante di esitazione; sputare il rospo con gli sbirri non era dopotutto qualcosa che gli risultava semplice.
“Che vuol dire all’inizio?” Chiese ancora il poliziotto.
Tutta quella messa in scena era servita a fargli ottenere l’informazione che speravano, quindi non restava altro che ottenere ulteriori dettagli, in vista anche di un nuovo interrogatorio.
“Niente, quell’idiota si è semplicemente tirato indietro.” Gli spiegò l’uomo con una evidente nota di disprezzo nella voce.
“Uhm, io sarei cauto su chi definire un idiota.” Sentenziò Sasuke. “Ora, però, ci segua gentilmente in commissariato.” Disse, poi, avanzando verso il pugile mentre recuperava rapido le manette da una tasca interna del giubbotto, senza che il gesto passasse inosservato.
Kaito Oshiba arretrò d’istinto; consapevole tuttavia che quella era la conclusione inevitabile, non oppose resistenza ma si lasciò arrestare, augurandosi di non aver fatto una grande cavolata. Le parole successive del poliziotto non contribuirono però a sostenere quella speranza.
“Ovviamente è meglio per lei che non abbia nulla a che fare con l’omicidio di ieri.” Affermò l’ispettore, nel stesso momento in cui il ferro delle manette stringeva i polsi del pugile, bloccandoli.

 

Accantonata definitivamente l’ipotesi della colpevolezza di Hinata Hyuga, i due poliziotti non avevano potuto fare altro che ripartire dalla dinamica dell’omicidio e da eventuali testimoni. Ripensando a che cosa potesse essergli sfuggito la prima volta, Naruto si era ricordato di aver posto alla segretaria del signor Hyuga, Keiko Suzuki, nient’altro che una o due domande a causa dell’evidente stato di confusione in cui versava, informazione che aveva subito fatto scattare nella mente di Sakura l’interruttore per un’intuizione. Quando la governante di casa Hyuga si era presentata per prendere Hinata aveva affermato di essere stata avvertita dell’accaduto proprio da una certa Keiko-san, che con buone probabilità doveva essere la stessa segretaria. Erano quindi giunti alla conclusione che qualcosa non quadrasse e che fosse opportuno verificare; così, l’edificio sede degli uffici amministrativi della ditta svettava di nuovo di fronte a loro in tutta la sua altezza, con qualche invitabile ed insistente giornalista appostato davanti all’entrata.
Naruto sbuffò, infastidito all’idea di poter essere importunato, ma per sua fortuna nessuno parve attribuire particolare peso alla loro presenza, permettendo ai due poliziotti di entrare con tutta tranquillità nel palazzo; evidentemente, se qualcuno era presente anche il giorno dell’omicidio, non li avevi riconosciuti. Raggiunsero allora il secondo piano, dove riuscirono a rintracciare senza alcun problema la persona che cercavano, la quale sedeva alla propria scrivania nella stanza che precedeva l’ufficio della vittima, intenta a visionare dei documenti.
“Scusi il disturbo.” Esordì Naruto, dopo aver bussato alla porta nonostante fosse aperta.
La donna, i lunghi capelli legati in una coda e un paio di occhiali sul viso affilato, spostò la sua attenzione su di lui e l’espressione che gli mostrò rivelava una lieve sorpresa e nient’altro; nessuna traccia di preoccupazione sembrava turbarla, alimentando la possibilità che avesse qualcosa da nascondere.
“Salve, ispettore.” Rispose, avendolo riconosciuto immediatamente. “Come mai qui?”
“Salve. Potrei farle la stessa domanda.”  Rispose il poliziotto, poi entrò e si avvicino alla donna seguito dalla collega.
“Beh, veda. Purtroppo ci sono delle pratiche che non possono essere lasciate in sospeso. Le stavo recuperando per darle ad Hiroshima-san, uno stretto collaboratore del povero signor Hyuga.” Spiegò pacata.
“Capisco.” Assentì Naruto. “Comunque siamo qui perché dovremmo chiederle alcune informazioni.”
A quella richiesta la segretaria non si tirò indietro, ma diede la più totale disponibilità.
“Ieri, più o meno tra le nove e le dieci, è sempre rimasta in ufficio o le è capitato di allontanarsi?” Chiese l’ispettore.
Prima di rispondere la donna cercò di fare mente locale, ripercorrendo velocemente con la memoria i vari passaggi della giornata precedente.
“Ecco, in realtà sono stata assente per circa una mezz’ora, ora che ci penso. Mi ha chiamato Yumi-sama, la governante del signor Hyuga, e mi ha chiesto se gentilmente potevo prenotare il ristorante per il capo al suo posto. Non ho ben capito il perché, ma pare che non potesse, così me ne sono occupata io.”
“Ed era proprio necessario che si allontanasse? Non poteva semplicemente chiamare?” Intervenne Sakura, insospettita come Naruto da quella nuova coincidenza.
“No, signorina. Il ristorante che il capo era solito frequentare è piuttosto fiscale su queste cose. Non saprei spiegarle il motivo preciso, ma richiede una prenotazione in un certo senso diretta.”
“Quando poi è ritornata in azienda, ha notato qualcosa di strano? Magari qualche documento fuori posto. Oppure le è sembrato di scorgere la presenza di qualcuno?” Domandò ancora l’altro poliziotto.
“No, nulla, ispettore.” Affermò la segretaria, poi abbassò leggermente lo sguardo. “Ho solo portato delle pratiche al signor Hyuga e l’ho trovato accasciato sulla sedia.” Disse con tono malinconico.
“Va bene lo stesso, non si preoccupi. Vedrà che riusciremo a trovare il colpevole, il suo aiuto ci è stato molto utile.” Replicò Naruto con espressione decisa, dopo aver avuto un attimo di esitazione di fronte allo sconforto della donna. “Un’ultima domanda, poi la lasciamo al suo lavoro. Per caso è stata lei ad avvertire dell’accaduto la governante?”
“Eh… no. Io non sono riuscita a chiamare nessuno dopo la scena che mi sono trovata davanti agli occhi. E’ stato infatti un mio collega a telefonare alla polizia.” Chiarì la segretaria.
I due poliziotti la ringraziarono di nuovo per la disponibilità dimostrata, poi lasciarono l’ufficio. Scesi in strada, si allontanarono il più possibile dall’entrata dell’edificio in modo da essere fuori dal raggio d’azione dei giornalisti e poter fare il punto della situazione senza correre il rischio di essere disturbati o di concedere involontariamente qualche pericolosa soffiata.
“Insomma, non sembra che la segretaria nasconda qualcosa.” Iniziò Sakura quando ritenne che fossero abbastanza lontani. “La governante, invece, è piuttosto sospetta. Ha chiaramente mentito sul come fosse venuta a conoscenza dell’omicidio e oltretutto il suo atteggiamento mi era parso subito un po’ brusco.” Argomentò.
“Già, non me la conta giusta.” Concordò Naruto, mentre appoggiava la schiena contro la facciata di un palazzo incrociando le braccia sul petto. “Il punto più importante, però, è scoprire se anche la scusa del ristorante fosse una frottola, se insomma si trovasse qui nei paraggi e quello fosse un modo per allontanare un testimone scomodo.” Precisò, con espressione seria e meditativa.
La collega lo osservò in silenzio per qualche istante; quell’atteggiamento tra il posato e lo spavaldo gli donava tremendamente. Accantonò, però, rapidamente quei pensieri.
“Uhm, forse potremmo chiedere i tabulati di casa Hyuga.” Disse. “Se scoprissimo che non ha chiamato la segretaria da lì, potremmo avere un indizio in più per supporre che l’abbia fatto da qualche posto qui vicino.”
“Sì, quella dei tabulati mi sembra una buona idea.” Rispose l’ispettore. “Però, se individuassimo da dove ha potuto telefonare, avremmo qualcosa di più concreto in mano.”
Detto ciò, iniziò a scrutare gli edifici dall’altro lato della strada per trovare un bar o qualcosa di simile; nel breve tragitto che avevano percorso fino a quel momento non ne aveva notato nessuno. Sakura non ebbe difficoltà ad intuire che cosa stesse facendo, così, quando Naruto riprese a camminare, lo seguì senza chiedere nulla, supportandolo nella sua ricerca. Non appena videro un bar, decisero di fare subito un tentativo sperando che la fortuna fosse dalla loro parte. Il locale, benché avesse riaperto da meno di un’ora, era già abbastanza frequentato; i tavoli posizionati  all’aperto erano occupati da alcuni ragazzi in attesa delle proprie ordinazioni o in procinto di effettuarle. I poliziotti li superarono entrando nel bar, dove quello che doveva essere il gestore rimproverava un giovane barman per aver sbagliato la preparazione di un drink. Attesero che le acque si calmassero, dopodiché si avvicinarono al bancone e si presentarono, chiedendo poi a chi era stato di turno anche la mattina precedente se una donna anziana avesse domandato di poter fare una telefonata e con loro sollievo ricevettero una risposta positiva.  

    

Con Kaito Oshiba già dietro le sbarre, in una delle celle a disposizione del commissariato, e Akira Hayase in procinto di essere arrestato dai colleghi delle volanti, non rimaneva che far confessare la verità a Rock Lee su quanto accaduto la mattina precedente. Avevano quindi provveduto a convocarlo nuovamente per un secondo e si auguravano ultimo interrogatorio.
“Sei proprio sicuro di non conoscere il signor Oshiba?”
L’ispettore Uchiha riformulò la domanda già posta all’inizio nel tentativo di ricevere una risposta differente, ma senza alcun risultato.
“No, io… ve l’ho detto, gli avrò parlato qualche volta, forse.” Ribadì infatti il pugile, per quanto impacciato.   
“Strano.” Osservò Kakashi, seduto alla destra del giovane. “Lui sembra conoscerti abbastanza bene invece. Pare che aveste degli affari in comune.”
Sulle prime Rock Lee non capì che cosa il poliziotto intendesse, ma non appena vi arrivò ebbe la forte sensazione di essere in un vicolo cieco.
“Non ho idea di cosa possa avervi detto.” Provò a mentire ancora una volta, provocando un sospiro di irritazione da parte di Sasuke .
“Ti conviene decisamente smettere di dire frottole.” Ribatté quest’ultimo con tono drastico. “Così peggiori solo la situazione. Ci hai mentito sull’incidente che ti avrebbe costretto ad abbandonare la palestra e continui a farlo adesso.”
“Il mio collega ha ragione. E’ più saggio iniziare a dire la verità.” Intervenne l’Hatake. “Kaito Oshiba ha già fatto il tuo nome tra le persone coinvolte nello spaccio di anabolizzanti e non abbiamo motivo di non credergli, dato che si è fatto arrestare senza fare storie. Inoltre ci ha detto che ti sei anche tirato indietro. Magari è per questo che hai litigato con Aizawa Daisuke ieri mattina.”
Di fronte alle affermazioni del poliziotto Rock Lee abbassò lo sguardo e strinse i pugni; era deluso e arrabbiato, gli ultimi mesi erano stati segnati solo ed esclusivamente da scelte sbagliate, una dietro l’altra, a coronamento del fallimento che era la sua vita e a cui non era stato in grado di porre un argine.

“Non posso farci nulla se hai smesso di spacciare per non deludere ancora di più lo zietto.”
 Le parole di Daisuke riecheggiarono nella sua mente, quasi ad amplificare il senso di inutilità e di colpa che l’attanagliava. Poggiò i gomiti sul tavolo adagiando il capo tra le mani.
“Io gli avevo chiesto semplicemente una dose per una sfida imminente e di poterla pagare dopo.” Iniziò a raccontare con voce sommessa.” Lui mi disse che a quelle condizioni non poteva darmela, poi inferì sul fatto che mi fossi tirato indietro, disse che non avrei avuto quel problema se non l’avessi fatto e… sottolineò che avevo smetto di spacciare per non deludere ancora di più mio zio.” Rimase in silenzio per qualche istante, le unghie che si conficcavano nei palmi. Confessare tutto l’avrebbe solo liberato da un peso, pensò, mentre soffocava il dolore che provava.
“Gli anabolizzanti mi aiutavano a vincere le gare. La forza di volontà, senza delle buone capacità, non serve a nulla, nonostante quello che pensa mio zio.” Disse, tornando a guardare i due poliziotti con espressione abbattuta.
“Se avesse scoperto che mi dopavo ne sarebbe rimasto deluso e ancora di più se avesse saputo che spacciavo. Quando Daisuke me l’ha ricordato con il suo solito sorriso beffardo non ci ho visto più e l’ho spinto. Ma non volevo ucciderlo, è stato un incidente. C’era il suo borsone a terra e...”
“Sì, questo lo sappiamo.” Lo interruppe Kakashi. “Riuscirai sicuramente ad ottenere delle attenuanti.” Spiegò, poi fece segno ad un agente di portarlo via. 

 

Quando poterono finalmente esaminare i tabulati che avevano richiesto, Naruto e Sakura trovarono una definitiva conferma alla loro ipotesi: da casa Hyuga non risultava nessuna chiamata indirizzata alla ditta tra le nove e le dieci, chiamata che invece era stata effettuata dal telefono del bar. Con un nuovo dato concreto alla mano, decisero di fare visita alla governante nella speranza di concludere il caso e contro ogni loro aspettativa non si trovarono di fronte ad un atteggiamento freddo e riluttante. Quando li vide sulla soglia di casa, infatti, l’anziana donna li fece entrare ed accomodare senza problemi, e Sakura ne notò l’espressione del volto, diversa dalla prima volta che l’aveva incontrata, avrebbe osato dire provata. Fu Yumi stessa ad iniziare la conversazione, senza tergiversare con ulteriori convenevoli o con domande superflue.
“Immagino già perché siate qui.” Esordì con tono calmo. “Per fortuna al momento Hinata non c’è, possiamo parlare tranquillamente.”
“Quindi credo che non ci sia bisogno di girarci intorno.” Disse Naruto in qualche modo sollevato, sebbene sorpreso dall’atteggiamento della donna.
“No, direi di no.” Rispose quest’ultima, seria.
“Perché l’ha fatto?” Fu la domanda diretta dell’ispettore.
La governante abbassò il capo fissando il vuoto davanti a sé. Aveva deciso che avrebbe confessato tutto quando Hinata era tornata a casa dopo l’interrogatorio, visibilmente turbata, ed era scoppiata a piangere tra le sue braccia, non appena le aveva chiesto come fosse andata, sfogando probabilmente solo in quegli istanti tutta la pressione e il dolore che aveva dentro. Non poteva sopportare di vederla soffrire in quel modo, non era quello che voleva ottenere.
“Per lui era come se non esistesse, soprattutto dopo la morte della signora.” Cominciò, posando sul poliziotto uno sguardo indecifrabile, distante, perso forse in un mare di ricordi. ”Da quel momento le figlie non sono diventate altro che dei fogli bianchi, fogli su cui leggere un numero che aveva il solo scopo di soddisfarlo, di soddisfare il suo orgoglio e riempire il suo vuoto. E ovviamente Hinata, con le sue difficoltà scolastiche, era per lui solo una continua delusione.”
Nell’ascoltare quelle parole Naruto provò insieme un moto di tristezza e di rabbia; comprendeva il discorso della governante, l’amore che trapelava da esso, ma non avrebbe mai potuto condividerne le conseguenze, e non solo per il ruolo istituzionale che ricopriva.
“E cosa pensa di aver ottenuto col suo gesto?” Domandò dopo qualche istante di silenzio. “Anche nelle situazioni più buie c’è sempre una strada alternativa, per quanto percorrerla possa apparire la scelta più difficile. Basta trovare la forza di farlo. Così ha solo troncato ogni opportunità, piuttosto di lottare per renderla possibile.” E mentre parlava pensava al coraggio di sua madre, il coraggio di allontanarsi dall’unico uomo che avesse mai amato e di crescere un figlio da sola, e insieme all’incidente che aveva troncato senza via di scampo la vita di suo padre.   

 

Quando Kaito Oshiba e Akira Hayase videro Sasuke davanti le sbarre della cella che li ospitava provarono una inevitabile sorpresa, poiché non credevano di avere qualcos’altro da aggiungere a quello che avevano già detto, e infatti non tardarono a scoprire che il motivo che l’aveva portato fin lì aveva ben poco a che fare con il loro caso.
“Nel vostro giro conoscete un certo Itachi Uchiha?” Chiese l’ispettore saltando ogni preambolo.
I due spacciatori mostrarono qualche attimo di perplessità di fronte a quella richiesta inaspettata, ma   gli risposero nel giro di qualche istante senza alcuna obiezione. Quello che il poliziotto ricevette, però, non fu ciò che desiderava. Deluso dall’ennesimo esito negativo della sua ricerca, trattenne la stizza che lo pervadeva sotto un’espressione indifferente e si allontanò in totale silenzio; quando fu sicuro di essere solo, sferrò un calcio pieno di rabbia contro il muro. Sembrava inesistente, Itachi sembrava essere un fantasma, pensò, eppure quelle lettere misteriose, che ancora custodiva nel cassetto di una scrivania, l’avevano condotto a Konoha e non poteva rassegnarsi all’idea che anch’esse fossero totalmente inutili.

Note dell'autrice

Credo che dovrei solo nascondermi dato l'immenso ritardo... posso solo dire che è stato un anno molto impegnato e ho fatto il prima possibile ^^' Spero che almeno il capitolo possa piacervi e ricompensare un po' l'attesa eterna. Comunque, siamo precisamente a metà della storia, il prossimo sarà un capitolo di transizione, ma ci saranno alcuni nodi che verranno al pettine, uno in particolare, poi l'altra metà della fic, sperando di non metterci altri due anni. Precisazioni da fare non ce ne sono, dovrebbe essere tutto chiaro, e spero che alcnui fatti abbiano una pervenza di realismo. Ah, poi c'è da segnalare che Kabuto è decisamente OOC; il suo ruolo nella storia è del tutto diverso dal manga e questo è il risultato, spero che però sia almeno riconoscibile u_u
Con questo finisco di tediare, ovviamente grazie mille a chi preferisce o segue la storia e a chi trova il tempo per commentare ^^
  
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