Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: JanisJ    24/07/2011    13 recensioni
Era doppiamente seccata: da un lato perché stava perdendo del tempo prezioso che avrebbe potuto impiegare in altro modo, dall’ altro odiava l’ idea che l’ avessero convocata senza darle la minima spiegazione.
Le porte del primo piano erano tutte aperte tranne una, la loro destinazione.
Quando la professoressa Vector spinse le ante, capì il perché di tutta quella segretezza. Quattro ragazzi sedevano al lungo tavolo: non erano studenti qualsiasi.
Un paio di iridi grigie corsero immediatamente alle sue. Quegli occhi sprezzanti e maligni, e il sorrisetto arrogante sul suo viso scarno, le fecero montare una rabbia istintiva, dettata dall’ abitudine.
Cercò immediatamente il familiare tintinnio al suo polso, che non riuscì però a calmare il suo disagio.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Wanna Be.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Intrusioni.

 
 
 

La luce soffusa che riempiva le pareti rivestite di eleganti pannelli di betulla, sembrava stranamente accecante; come se le flebili fiamme delle candele fossero in grado di sprigionare ustionanti vampate di calore.
Ron allentò il nodo della cravatta che gli stringeva il colletto inamidato. Fece uscire il primo bottone dall’asola riempiendo d’aria i polmoni, ma la sensazione di asfissia non svanì come aveva sperato.
Si sentiva stupido, imbrigliato in abiti che decisamente non lo facevano sentire a suo agio. L’idea che gli era sembrata tanto geniale fino a poche ore prima, prendeva lentamente le sembianze di un errore colossale.
Una cameriera gli si avvicinò, chiedendo con stucchevole gentilezza se fosse pronto ad ordinare la cena. Una donnetta di bassa statura, con un fastidioso sorriso che rivelava brillanti denti perfetti. Era rigida, tanto da sembrare esclusivamente interessata a mettere in mostra la sua nuova dentatura.
Le rivolse uno sguardo esasperato e declinò l’offerta senza prestare particolare attenzione al tono sprezzante e maleducato con cui formulò la risposta; monosillabica, per altro.
Erano tutti troppo cordiali. Nauseanti.
L’orologio al suo polso segnava le otto meno dieci. Hermione era in ritardo di quasi un’ora.

Quella mattina si era svegliato sorridendo.
Fuori dalla finestra brillava il sole, caldo, troppo per il rigido clima invernale inglese. La luce sorprendente pulita e polverosa si era sostituita a quella tenue ed ovattata delle settimane precedenti: condizioni atmosferiche ideali per una innocua fuga mattutina con la sua non-proprio-nuova-ma-quasi Firebolt, comprata dopo il terzo mese di stipendio.
Qualche complicata evoluzione a bassa quota e la sua allegria era schizzata alle stelle.
Aveva ascoltato tutti i suoi muscoli liberarsi dal torpore, aiutati dalle gelide carezze della brezza mattutina.
Quest’euforia imprevista e la prospettiva di una colazione abbondante, avevano però dato inizio ad un valzer di situazioni spiacevoli; prima tra tutte, la serie di paline della luce che non era riuscito a schivare. Massaggiarsi il fondoschiena dolorante però, aveva appena intaccato il suo buon umore. Una sciocchezza.
Dopo una misera colazione – a giudicare dalla desolazione dei piatti da portata, suo fratello Charlie doveva essere rimasto a digiuno per più di un anno in Romania –, aveva afferrato un pesante mantello invernale, sciarpa e cappello, ed era uscito, combattuto tra l’allegria per l’imminente riunione di famiglia e la difficoltà a ritrovarsi in una casa affollata.
Strano periodo, il Natale, aveva pensato, immobile sull’uscio, un secondo prima di smaterializzarsi. Nonil Natale, ma quel Natale. I regali, la famiglia, il profumo di prelibatezze culinarie, la Tana, Harry, Hermione. Tutto nella norma, tutto ordinario. Ma era inutile ignorare le interferenze: niente lunghe e distensive vacanze di Natale, niente compiti da svolgere – non che ne sentisse la mancanza –, un bambino dai capelli cangianti scorrazzante dentro casa, e uno in arrivo per Fleur - che sbalzi d’umore! - e Bill. Fred.
Le sue riflessioni erano state troncate di netto: la volontà di non guastare il rinnovato ottimismo lo spingevano inesorabilmente a nascondere la polvere sotto il tappeto. Un tappeto confortante, ma pieno di gobbe.
Era entrato nel negozio di scherzi fischiettando. Il sorriso gli era morto sulle labbra però, quando aveva costatato che George gli aveva assegnato un doppio turno. Durante le Festività, costringere un commesso a lavorare otto ore di seguito rasentava il sadismo. La prospettiva di rivedere Harmione comunque, lo aveva reso più docile e disposto allo stacanovismo. Non gli era sfuggito lo sguardo incredulo del suo consanguineo datore di lavoro, quando lo aveva visto accogliere la notizia con un grugnito, invece che con la consueta marea di lamentele.
Facendo molta attenzione a non mostrarsi perso in fantasticherie – non avrebbe dato a George motivo di accanirsi –, si era rifugiato nel suo progetto serale: aveva prenotato in un ristorante Babbano nel centro di Londra, nel cuore di Soho: Leicester Square, il loro primo appuntamento. A volte si stupiva del romanticismo di cui si sapeva capace.
Sensibilità di un cucchiaino, tzè!
Il giorno precedente era addirittura andato alla Gringott a cambiare qualche galeone con quegli scoloriti pezzi di carta. Ancora stentava a credere avessero valore. Banconote che, tra le altre cose, aveva il vago sentore sarebbero rimaste inutilizzate nel suo portafoglio.
 
Sospirò, rigirandosi tra le mani una forchetta dalla forma curiosa. Si perse per qualche secondo nella figura elaborata che ingombrava l’intera coda della posata, sentendo il peso della solitudine nuovamente sulle sue spalle.
Schiacciò con forza nel tovagliolo di satin quel pezzo di design che, in modo assurdamente risolutivo, contribuivano a  rendere una comunissima minestra di patate una vellutata di pommes de terre, un’insalata una fantasia di verdure di stagione. E a far lievitare esponenzialmente i costi, ovviamente.
Una ragazza bionda, a cui praticamente non prestò attenzione, si avvicinò con discrezione; gli chiese se volesse almeno aprire una bottiglia di vino, visto che la sua ospite tardava ad arrivare.
“Mi rincresce, ma abbiamo una politica piuttosto ferrea in questo ristorante” Disse, con una voce calda, gentile, quasi familiare. “Dopo un’ora dal momento della prenotazione il cliente deve ordinare. Posso consigliarle una bottiglia di vi-”
Ron non l’ascoltava.
Ambasciator non porta pena” mormorò tra sé e sé.
 
“Ambasciator non porta pena” Aveva esordito sua sorella dopo aver liberato Harry dal suo abbraccio, scesa dall’Espresso per Hogwarts.
“È dovuta rimanere. Credo abbia avuto qualche problema con Malfoy, ma non so dirtelo di preciso. Non mi ha avvertito”
L’espressione di Ginny tradiva la sua irritazione. Sapeva di non essere l’unico Weasley intollerante riguardo alla faccenda-Malfoy.
“Quando l’ho lasciata era stata convocata dalla McGrannit” Aveva aggiunto, alzando le spalle.
La cosa non lo stupiva affatto. L’attenzione che Hermione metteva nelle faccende che riguardavano l’essere era incomprensibile almeno quanto la sua fissazione per il mistero che avvolgeva la morte del suo perverso padre Mangiamorte.
Se n’era andato dalla stazione combattendo con il grumo di cocente delusione che gli ustionava la bocca dello stomaco, ma senza cedere spazio all’orgoglio che premeva per poter dire la sua. Non avrebbe rovinato tutto solo perché lei aveva avuto un imprevisto. Certamente non aveva di proposito perso il treno, e di proposito dimenticato di informarlo del ritardo.
Aveva scacciato a forza l’insopportabile vocina che gli faceva presente che, se non aveva avvertito, evidentemente per lei non era importante. Era tanto disinteressata da dimenticarsene.
Si era smaterializzato obbligandosi a sorridere. Non aveva voluto perdersi in congetture dettate dalle sue insicurezze.
 
Sospirò nuovamente, guardando con i suoi occhi velati di gelosia le dita intrecciate di una coppia che sedeva nel tavolo a fianco. Sussurravano, persi l’uno nell’altra, senza lasciare che il fatto che risultassero zuccherosi o imbarazzanti rovinasse loro il momento.
“…e infine un Pinot bianco italiano dal gusto molto intenso” Concluse quella che, evidentemente, doveva essere la Somm-qualcosa. L’esperta di vini, insomma.
Non ricordava una sola delle bottiglie consigliate, quindi si limitò a sprofondare nella lista, tentando di nascondere l’imbarazzo che si stava velocemente traducendo in un afflusso di sangue all'altezza del collo.
“Forse nella nostra cantina abbiamo qualcosa di speciale per un eroe del mondo magico?”
“Miseriaccia!” Gemette Ron, spaventato nel vedere un ombra prendere posto davanti a lui.
Le labbra piene e coperte da un compatto strato di rossetto di una allegra tonalità di rosa, erano aperte in un sorriso.
“Buonasera Ron” Verity, lo fissava, ironica e perfettamente a suo agio, aspettandosi un saluto altrettanto entusiasta.
“Cosa ci fai tu qui?” Chiese lui, troppo stupito per un normale scambio di convenevoli.
“Io qui ci lavoro”  La sua espressione era indecifrabile, ma sembrava quasi sarcastica.
“Questo locale è dei miei genitori” Indicò con naturale nonchalance una donna con i capelli scuri striati di bianco, sottile e affascinante nella sua eleganza semplice, ma impeccabile.
“Quella è mia madre” Disse aprendosi in un ampio sorriso traboccante d’orgoglio. Poi cambiò repentinamente espressione, sfoderandone una da cui traspariva curiosità e malizia.
“Stai aspettando la tua ragazza?” Chiese.
“Già” Ron abbassò lo sguardo, sperando che la conversazione vertesse su un argomento meno imbarazzante, ma Verity non si lasciò scoraggiare.
“È in ritardo” Non era una domanda.
Osservò per qualche istante l’espressione del suo interlocutore, servendosi della sua infallibile, quanto naturale, capacità di leggere le espressioni altrui. Corrugò leggermente la fronte, prima di scattare in piedi, come una molla sfuggita ad un ingranaggio.
“Andiamo” Disse semplicemente, tirandolo nella direzione dell’entrata, affollata di uomini e donne che gli rivolsero un’occhiata speranzosa nel vedergli liberare il tavolo.
“Ma io devo aspett-” Verity non gli permise  di concludere la frase, spingendolo fuori dalla porta, non prima di essersi liberata del grembiule grigio fumo e aver fatto un gesto di saluto a sua madre. La donna doveva essere abituata a situazioni simili, perché non dedicò più di uno sguardo all’eccentrico gesto della figlia.
 
L’aria fredda di dicembre gli rinfrescò la pelle del viso, regalandogli un'effimera sensazione di libertà.
Verity sghignazzava, coprendosi la bocca con una mano.
“Perché ridi?” Chiese Ron, con una nota d’irritazione nella voce.
“Perché sei veramente ridicolo con quel completo da pinguino”
Le orecchie divennero immediatamente di un acceso rosso scarlatto.
“Oh, ma solo perché non è da te, non perché non ti doni” Specificò, tentando di ricomporsi.
“Certo” Ron provò, pur senza risultato, a sciogliere il nodo della cravatta di seta.
“Aspetta” Verity si alzò sulle punte dei piedi e gli tolse lentamente il costoso cappio che gli impediva di respirare, ma la sensazione di soffocamento non cessò. Gli occhi chiari di Verity fissi sul suo corpo e il suo profumo fresco e ricercato arrivava alle sue narici in zaffate sempre più intense, ma fluide come il movimento con cui lo stava liberando.
“Fatto” Disse, allontanandosi.
Gli porse il laccio antracite che Ron scaraventò in un angolo, con disprezzo malcelato.
“Bravo!” Esultò lei, battendo le mani.
Si soffermò qualche secondo a guardarlo, muovendo pollice, indice e medio sulla pelle vellutata del mento, mimando un’espressione concentrata. Pochi secondi dopo si avventò sui suoi capelli impomatati, scompigliandoli; arrotolò poi le maniche della giacca fin sopra i gomiti e sorrise soddisfatta.
“Ecco, adesso sei di nuovo tu”
Il gelo invernale gli penetrava la pelle degli avambracci, indolenziva i fasci di muscoli, ma Ron non sentiva freddo. Avvertiva invece un piacevole tepore diffondersi in ogni angolo del suo corpo, così diverso dall’afa soffocante del ristorante.
“Non mi aspettavo di incontrarti in un ristorante Babbano” Cominciò lui, dopo alcuni minuti di silenzio.
Verity camminava con il naso all’insù, scrutando il cielo londinese, stranamente terso.
“Io sono una nata-Babbana” Spiegò, senza distogliere lo sguardo da quel nero intenso che li sovrastava.
“Non lo sapevo” Disse Ron, semplicemente.
“Non abbiamo avuto molte occasioni per parlare di noi” Non sembrava un’accusa, piuttosto una constatazione. “Non che tu abbia bisogno di parlarmi di te, perché io ti conosca” Concluse, con disinvoltura.
Lui arrossì nuovamente, mentre un sorriso soddisfatto gli tirava gli angoli della bocca, vagamente in imbarazzo.
Camminarono per un po’ in silenzio, senza meta, percorrendo le vie affollate del centro.
“Posso farti una domanda?” Chiese lei all’improvviso. “Perché lavori nel negozio di tuo fratello?”
Ron le rivolse uno sguardo perplesso.
“Non fraintendermi, io adoro George. È il miglior capo che si possa desiderare e il nostro è un lavoro da favola, ma mi chiedevo perché un ragazzo con il tuo potenziale faccia il commesso”
Il colorito di Ron ora era più simile al porpora.
“Perché tu fai la commessa?” Eluse la domanda, troppo scombussolato per rispondere.
“Oh, a me serve per pagare gli studi a San Mungo. Sarò una Guaritrice a tutti gli effetti questo maggio” Alzò le spalle, come se stesse dicendo un’ovvietà.
“Vuoi dirmi che oltre a lavorare ai Tiri Vispi e a fare la cameriera per i tuoi, studi anche?” Era disorientato e la sua voce non stentò a tradirlo.
“In realtà al ristorante sostituisco mia madre e sfrutto le mie conoscenze da Sommelier – ho frequentato un corso in Francia, due estati fa, sai? –, ma sì, lavoro e studio” Incontrò il suo sguardo. “Odio pesare sulle spalle dei miei genitori e i costi di un appartamento a Diagon Alley sono stellari
“Vivi sola?” Chiese, sempre più sconvolto.
“Sì, beh, io ho venticinque anni, Ron” Sorrideva, condiscendente.
Aveva sei anni più di lui. Era più grande di George e persino di Percy. Cosa ci faceva a passeggiare per una città Babbana, una ragazza bella e adulta con un perdente come lui?
Sbattè le palpebre un paio di volte, continuando a fissarla: il suo viso dai tratti sottili non sembrava quello di una donna, ma le sue movenze erano sciolte, sicure. Non c’era spazio per l’impaccio adolescenziale in quella ragazza che scatenava con sempre maggiore intensità il suo fascino. Grintosa, solare. Logorroica?
“Allora?” Verity ignorava deliberatamente lo sguardo che Ron le stava rivolgendo. “Rispondi alla mia domanda?”
“Che alternativa ho?” Si sentiva stupido ad ammetterlo. Eppure lo fece, lo ammise. Con una perfetta sconosciuta. Una ragazza troppo grande, troppo sicura, ma che stranamente non lo intimidiva.
“Credi davvero di non avere nessuna possibilità? Insomma, qui si parla di te” L’enfasi con cui aveva pronunciato la frase gli fece abbassare di nuovo lo sguardo.
“Non ho un diploma, non sono bravo a fare niente…” Non era preparato a quella conversazione: aveva smesso di sperare di poterne parlare con Hermione da tempo.
“Posso farti una domanda, Ron Weasley?” Chiese lei, improvvisamente seria.
“Un’altra?” Le sue labbra si piegarono in un sorriso appena abbozzato, ma poi tornarono ad essere increspate da un’espressione accigliata.
“Se non avessi il problema dei M.A.G.O. saltati, se non fossi tanto sicuro di essere un buono a nulla, cosa faresti? Come ti immagini nella vita? Cioè, che immagine hai di te stesso tra qualche anno, quando sarai vecchio come me?” Gli schiacciò il piccolo gomito ossuto nel fianco.
Non voleva mettersi troppa fretta, Hermione gli avrebbe intimato di ragionare, ma la risposta era una, ed una soltanto.
“Un Auror, credo. Penso che potrei essere un Auror” Ecco, l’aveva detto.
“Interessante” Disse lei, sfoderando un altro dei suoi sorrisi irresistibili.
“Ma tanto è inutile che perda tempo a sperarci, non ho speranza di entrare”
Il dolore represso negli ultimi mesi sgorgò dirompente, insinuandosi con violenza nel suono delle parole. Aveva la voce roca, infelice.
“Sai Ron,” Verity non aveva perso quel tono amichevole così confortante “io ho capito quale fosse la mia strada tardi, rispetto ai miei coetanei. Ho visto i miei amici sicuri di quale sarebbe stato il loro futuro, abbracciarlo senza fatica. In realtà ho deciso di smettere di assistere a quel triste spettacolo molto prima che loro avessero modo di sbattermelo in faccia. Ho lasciato Hogwarts non appena diventata maggiorenne e mi sono messa a lavorare in una bettola ad Hogsmade, perché nessuno voleva prendersi a carico una diciassettenne fuggitiva e senza curriculum” Verity sorrise di nuovo e si sedette a gambe incrociate su una panchina, invitandolo con un gesto della mano a prendere posto accanto a lei.
“Non sapevo come dire ai mei genitori che avevo perso la voglia di studiare, né come spiegare il mio desiderio di andarmene alle persone che consideravo amiche. Mi avevano sempre considerato ragazza modello…” La sua espressione non era cambiata, ma la voce si era fatta più acuta.
“Scusami, quando si tratta di quel periodo della mia vita, temo di non riuscire ancora a parlarne con il giusto distacco”
Ron scosse la testa, e tornò a fissarla, confuso.
“A scuola ero sempre stata la studiosa biondina Corvonero, il Prefetto gentile e disponibile a cui era tanto facile far riferimento, ma che non era altrettanto semplice considerare come unapersona, con la sua fragilità, i suoi dubbi, le sue insicurezze”
“Se credi che questa descrizione possa avvicinarsi anche solo minimamente alla mia, ti sbagli di grosso” Quasì gridò, reagendo con troppo trasporto.
Hermione. Quella che aveva appena descritto, era Hermione. La vecchia Hermione, la sua Hermione.
Non voleva pensare a lei.
“Scusa, ma non capisco dove tu voglia arrivare”
“Il punto è” Una strana luce lampeggiò nell’azzurro ghiaccio dei suoi occhi. “Che avevo un disperato bisogno di lasciare trasparire la vera me. Tutti si erano fatti un’idea precisa di chi fossi, persino la persona che si presupponeva mi conoscesse più al mondo, la persona di cui ero innamorata”
I pochi secondi che seguirono erano chiaramente pieni di significato, ma Ron non lasciò che traesse conclusioni affrettate.
“Pensi che si sbaglino su di chi sono?” Chiese, disegnando un semicerchio con il braccio disteso.
“Penso che tu sia molto di più della spalla di Harry Potter”
Ron rise.
“Scusa, non fraintendermi, mi fa piacere sentirmelo dire, molto piacere credimi, ma io e te ci conosciamo da pochissimo tempo. Non ti sembra di giungere a conclusioni affrettate?”
“Può darsi” Disse lei. “Ma come io non ero solo una cinquantenne nel corpo di una sedicenne, tu non sei certo solo l’amico di un eroe”
“Cosa ti fa pensare che io pensi di esserlo?”
Lo sguardo di Verity venne nuovamente percorso da un incomprensibile bagliore.
“Vediamo” Disse, enigmatica.
Posò una mano sulla sua tasca destra. Ron si ritrasse con uno scatto fulmineo e lei scoppiò a ridere.
“Tranquillo ragazzino, volevo solo vedere dove tenessi il pacchetto di sigarette”
Ron strabuzzò gli occhi, sconvolto. Come faceva a sapere del suo disgustoso vizio Babbano?
“Ho riconosciuto l’odore sui tuoi vestiti, qualche giorno fa. Mio padre fuma”
“Io-i-io non fumo!” Gemette, ma lui stesso si rese conto di quanto fosse poco convincente.
“Certo” La sua espressione era piuttosto eloquente. “E comunque sei sempre così di cattivo umore, così distante. Ho un ricordo molto diverso di te un paio di anni fa. Eri così spontaneo ed impulsivo”
“La sicurezza non è mai stata tra delle mie numerose qualità” Ammise sospirando, arrendendosi all’idea di confidarsi con lei.
“Forse è perché ho un’idea molto chiara di me stesso” Ron si rese conto che non aveva mai ammesso con nessuno, quanto lo angosciasse la differenza tra il suo essere reale e quello ideale.
“O forse perché non ce l’hai affatto, chi può saperlo” Rise ancora una volta, aggrappandosi al suo braccio sinistro per stringersi contro di lui.
“Non riesco ad immaginarti come una ragazzetta insicura”
“In effetti ho sempre avuto un bel caratterino”
Ron si abbandonò contro lo schienale della panchina, spiando con la coda dell’occhio quella donna così strana. Si toccava distrattamente una ciocca di capelli, sparsi sulle spalle; le labbra socchiuse, piegate in un sorriso cristallino. Da qualunque angolazione la si guardasse, sembrava essere in grado di incanalare la luce e rifletterla con intensità maggiore.
“A cosa pensi?” Le chiese, inclinando il capo quel tanto da poterla guardare negli occhi, turbato dal silenzio.
“Credi nelle anime gemelle, Ron?” Domandò con semplicità.
L’immagine di Hermione gli si materializzò davanti agli occhi, come un fotogramma fugace su uno schermo.
“Non lo so”
“Io credo che esistano” Affermò con enfasi. “Sento che potrei dirti tutto di me”
Attese che le sue parole facessero presa; aveva piantato un seme, ora attendeva che germogliasse.  “Difficilmente il mio istinto sbaglia. Potresti essere la mia!”
Ron rise, nuovamente in imbarazzo.
“Sai, Verity è un nome falso” Lo guardò, desiderosa di catturare la sua reazione. “L’ho scelto in quel pazzo momento in cui ho deciso che non aveva senso annullare me stessa e chissà come mai, non ho più smesso di usarlo”
“Ah” Ron non sapeva se l’entusiasmo che la animava fosse più fascino o pazzia.
“E come ti chiami davvero?”
“Rose”
“Rose è davvero un bel nome”
“Ronald è davvero un bel nome”
Silenzio.
Le prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo, premendo le labbra contro quelle sottili e appiccicose di lei. Sapeva che non era una scelta saggia, ma non gli importava.
Voleva baciarla e l'aveva baciata.
Un bacio diverso da quelli furiosi che si scambiava con Lavanda e da quelli che invece aveva riservato ad Hermione. Era umido. Umido e statico.
Indifferenza.
Lei si sottrasse alla morsa delle sue dita, ridendo. Come se una la battuta di un fantasma avesse improvvisamente scatenato la sua ilarità.

 
 
 

***

 
 
 

Ma stiamo scherzando? Sparisce per mesi e torna con questo?
Ok gente, niente panico.
Lo so che è facilissimo pensare che io abbia battuto la testa e sia completamente impazzita (anche se non è da escludere che la febbre mi abbia fuso qualche neurone). Vi prego di non trarre conclusioni affrettate. Vi chiedo di concedermi il beneficio del dubbio ancora per un paio di capitoli. Please. Concedetemi di essere criptica ancora per un po’.
Intanto vi spiego, senza spoilerare troppo il seguito della storia, cosa (diamine) mi abbia portato a fare questo. Ecco, il fatto è che, rileggendo per la miliardesima volta il settimo libro di Harry Potter mi sono accorta che Ron ed Hermione non sono fatti per stare insieme. Hermione deve sposare Draco Malfoy ed avere tanti bei pargoletti ignavi dai capelli biondi. MA-PER-PIACERE.
No, scherzi (pessimi) a parte, non credo che siano ancora pronti, per stare insieme sul serio, intendo. C’è una ragione se ho interrotto così a lungo questa storia, che va oltre problemi di salute, di tempo, di ispirazione. Non riuscivo ad accettare il decorso naturale delle vicende. Sapevo cosa avrei dovuto scrivere e non mi andava. Cercavo un’alternativa, ma non la trovavo. Poi ho capito. Ron è troppo insicuro e Hermione, beh, traete le vostre conclusioni, presto condividerò le mie. Il loro rapporto deve maturare, ma per farlo è assolutamente necessario che prima crescano i diretti interessati. Aspettatevi qualche (pochi, pochissimi) capitolo brutale, dunque. E non odiate Verity/Rose. E ricordate che io amo Ron ed Hermione e qualsiasi parto della mia fantasia è finalizzato a vederli insieme, soddisfatti, con tutti i loro nipoti, i due figli e una vita felice insieme. Tutto chiaro? :)
Ultime due cose:
First: ringrazio di cuore chi ha commentato e che non ha ancora ricevuto risposta. Odio essere frettolosa, ma ho atteso troppo tempo. E mi dispiace.
Second: sono davvero costernata per la fine di quest’era. Sapete a cosa mi riferisco. Forse era superfluo specificarlo, forse no. Lo faccio perché l’impressione è quella di essere, per la prima volta, davvero fuori dall’infanzia. Adulta. Bleah.
Lo dicono tutti, ma sento di dover unire la mia voce al coro.
Per rimediare a questa presa di coscienza improvvisa, comunque, pubblicherò una nuova long (non troppo long – uccidetemi –) semplice e leggera. Infantile. Ah. Ah.
Mamma mia che note infinite! Vi lascio ad immaginarmi bruciare nell’Ardemonio.
Guys, spero che nonostante tutto questa cosa vi sia piaciuta.
Fatemi sapere, mi raccomando.
Un bacio :*

   
 
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: JanisJ