Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: alechka    28/03/2006    3 recensioni
Prima opera in assoluto, ispirata a uno dei titoli più famosi della celebre Agatha Christie. Nell'affaccendarsi di personaggi vecchi e nuovi, una sola domanda: chi ha ucciso chi?
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nuova pagina 1

                                              DA HOGSMEADE AL CASTELLO

 

 

 

Le ultime ore furono penose e stancanti.

Le scintille sparate da Harry Potter misero in allarme i professori e gli Auror che pattugliavano i confini della scuola.

Gli studenti rimasero nei loro scompartimenti, mentre gli uomini mandati immediatamente dal Ministero facevano i primi rilevamenti nel tentativo di trovare una pista da seguire.

L’uomo incaricato di fare gli interrogatori preliminari era l’ispettore Polemius:  basso e grosso, aveva nerissimi capelli lanosi che spuntavano direttamente dalle sopraciglia, formando un tutto unico con la barba ispida mal rasata e disordinata. Indossava un impermeabile che un tempo doveva essere stato di buon taglio, ma nottate passate in bianco a bere caffè e a risolvere misteri l’avevano trasformato in un informe, trascurato cencio.

Ai collaboratori che si avvicinavano per chiedergli istruzioni rispondeva bruscamente, assorto in altri pensieri. Fumava delle sigarette puzzolenti con estremo disgusto: aspirava concentrato e fissava la cenere ardente come se volesse interrogare anche lei. Soffiava via il fumo e scuoteva la testa indispettito.

Più che parlare Polemius borbottava e lasciava che la penna prendiappunti scivolasse sul taccuino giallo spandendo macchie d’inchiostro dappertutto.

Quando entrò nello scompartimento di Otto si guardò attorno con aria distratta.

Squadrò con distacco la vittima, estrasse da una tasca un fazzoletto logoro e con quello raccolse da terra gli occhiali di Otto. Li studiò un attimo e li infilò in un sacchetto trasparente che tenne con sé.

- Morte naturale o indotta?-

- Probabilmente omicidio, signore. Abbiamo trovato tracce di Narcomors sugli occhiali, sulle dita e sulla bocca della vittima.-

Polemius tirò una profonda boccata dalla sigaretta azzurrina.

- L’autopsia?-

- I risultati saranno pronti fra pochi giorni, ispettore. Finiamo di fare gli ultimi rilevamenti e portiamo il corpo al San Mungo.-

- Trovato altro?-

- No. Purtroppo nulla che ci avvicini a una traccia sicura.-

Polemius si grattò con interesse la barba ispida che spuntava dal collo portando in avanti il mento.

- Devo procedere con gli interrogatori.-

- Signore, le ho fatto liberare la cabina del capotreno.-

- Si. Allora li convochi uno ad uno. Questi li prendo io.- disse sventolando la busta con gli occhiali. Sembrò sul punto di voler aggiungere qualcosa ma poi lasciò perdere e un po’ di cenere cadde sul pavimento.

I primi ad essere sentiti furono i due compagni che si trovavano nello scompartimento con Otto durante il viaggio.

Seduto sul bordo della sedia Ernie Mac Millan si torceva le mani e sudava visibilmente.

- Quando è passato il carrello dei dolci Otto è uscito ma io sono rimasto all’interno del nostro scompartimento. Poi mi sono addormentato fino a poco prima che Millicent scoprisse…tutto.-

Polemius gli fece ancora qualche domanda e lo liquidò senza dire una parola ma solo indicandogli la porta. Ernie Mac Millan schizzò fuori come una trottola lieto di andarsene.

Nel corridoio incontrò Millicent, ancora visibilmente scossa.

- Tocca a me.- sospirò lei sgranando gli occhi ed entrando nella cabina.

Durante l’interrogatorio nel ricordare quei momenti difficili, le lacrime ripresero a sgorgare fra gli sbuffi infastiditi di Polemius.

Raccontò che verso metà viaggio Otto cadde in un sonno sereno senza dare alcun segno di malessere.

- Anzi aveva un’aria talmente stanca, che quando l’ho visto assopito non mi sono neanche mossa per evitare di disturbarlo. Poi, quando ormai stavamo per arrivare, ho provato a svegliarlo ma sembrava che non mi sentisse. Allora gli ho dato un colpetto sulla spalla e lui…- singhiozzò forte e si soffiò il naso- è caduto riverso sull’altro sedile. Gli si sono aperti gli occhi e io…ho urlato perché avevo capito che era morto!-

Millicent aveva il viso rosso e l’aria affitta. Si sforzò di rimanere lucida per rispondere alle domande ma in alcuni momenti non riusciva a parlare perché il respiro affannato le chiudeva la gola.

L’ispettore Polemius attese che si calmasse accendendosi una sigaretta. Con una mano si reggeva la tempia come se il capoccione cominciasse a pesare un po’.

- Di chi sono quelli?- le chiese fissando la busta contenente gli occhiali.

Millicent li mise a fuoco attraverso il fumo e la fuliggine.

- Sono di Otto. Li aveva persi. Dopo che è tornato dal bagno…-

- Quando è andato in bagno?-

- Quando è passato il carrello dei dolci.-

Polemius si grattò la fronte con le dita tozze.

- Continui.-

- Dopo essere tornato dal bagno, dopo circa mezz’ora voleva leggere qualcosa. Così si è accorto di non avere gli occhiali con sé. Mi ha chiesto se li avessi visti da qualche parte. Io mi ricordavo che se li era infilati nella tasca dei pantaloni quando era uscito in corridoio. Gliel’ho detto ma lì non c’erano. Allora gli ho suggerito di controllare nel corridoio o nel bagno, potevano essergli caduti, c’era un sacco di gente e confusione. Infatti li ha trovati nella toilette sotto il lavandino.-

- E poi?-

- E poi nulla. Si è addormentato.-

L’ispettore spense la sigaretta come se volesse uccidere uno scarafaggio sgradevole.

- No. Prima.-

Millicent lo guardò intimorita senza capire.

-Ma prima di cosa?-

- Con gli occhiali, cosa ha fatto?-

La ragazza sembrò sul punto di lasciarsi andare a una crisi di nervi, ma poi corrugò la fronte e si ricordò.

- Aveva il vizio di mordicchiare la stanghetta. Anche poco prima che si addormentasse lo stava facendo. Anzi, ora che ci penso è stata l’ultima cosa che ha fatto prima di…morire!-

E Millicent, esasperata,  si lasciò trasportare al largo dal pianto.

Polemius capì che non era più possibile tirarne fuori qualche altra informazione utile e decise di proseguire con gli altri ragazzi.

 

 

Quando Ramel si recò nello scompartimento del capotreno per il suo interrogatorio, la prima cosa che vide fu la testa nera dell’ispettore china sul tavolo.

Si schiarì la voce e lui alzò il viso. Lei trattenne un sorriso sbigottito, notando come la fuliggine gli aveva sporcato il viso e la giacca facendolo sembrare l’ultimo degli spazzacamini.

- Si sieda. Dichiari nome, cognome, casa di appartenenza.-

- Ramel Simps. Diciassette anni. Corvonero.-

La penna prendiappunti sfrecciò solerte sul taccuino giallo e una goccia d’inchiostro volò indisturbata atterrando sulla cassetta portacarbone che per l’occasione serviva da scrivania.

- Lei conosceva la vittima?-

Si accese una sigaretta e sputò il fumo dagli angoli della bocca.

- Si. Lo conoscevo dal primo anno.-

- Eravate amici.-

Le parole di Polemius non prevedevano la possibilità che tra il conoscersi e l’essere amici ci fosse una preziosa differenza.

Ramel decise di specificare il più possibile il rapporto che aveva avuto con Otto. Un fiotto inaspettato di nostalgia le serrò la gola. Lo rivide un Natale di due anni prima quando, al Ballo del Ceppo, danzarono per un po’ assieme parlando di letteratura. Trasse un profondo respiro, ricacciò indietro la malinconia e parlò.

- No, non eravamo proprio amici. Però ci capitava di scambiare qualche chiacchiera. Non parlavamo del tempo o della scuola. Si trattava in un certo senso di confronti culturali. Vede, io sono figlia di babbani docenti di storia. Lui era figlio di maghi appartenenti a una delle famiglie più antiche e blasonate. Così ogni tanto quando ci incontravamo parlavamo dei nostri rispettivi mondi; lui mi raccontava le vicende delle grandi famiglie di maghi che avevano fatto la storia, e io gli raccontavo di Elisabetta I o della Rivoluzione Inglese. La sua compagnia era piacevole, ma tra di noi non ci sono mai state confidenze o segreti.-

Polemius giocherellava con la sigaretta facendola rigirare tra le dita. La penna si bloccò in attesa. Ramel si chiese se l’ispettore l’avesse ascoltata, perché sembrava concentrato a portare avanti un dialogo muto con il polsino dell’impermeabile.

- Ha notato qualcosa di strano durante il viaggio? Qualcosa di anomalo?-

Ci pensò. Sottili gocce di pioggia sul vetro rompevano il paesaggio in minuscoli pezzi di cristallo.

Il buio della cabina veniva malamente rischiarato da una misera candela.

- No. Ci siamo visti prima di salire sul treno. Mi ha detto che sarebbe passato per chiedermi chiarimenti sui compiti estivi, ma poi l’ho visto solamente in corridoio, quando è arrivato il carrello.-

Polemius si sporse in avanti, la luce della candela lo illuminava dal basso e lo faceva decisamente brutto.

- Conosce qualcuno che avrebbe potuto avere un motivo per ucciderlo? Invidia, gelosia, vendetta trasversale, regolamento di conti?-

La guardò di sottecchi allontanandosi e ripiombando in una zona d’ombra.

“Regolamento di conti?” pensò. Ma chi poteva avere qualcosa da far pagare a Otto, sempre così gentile e inappuntabile con chiunque?

- No. Assolutamente no.- rispose Ramel con fermezza.

Lui parve deluso da quella risposta. Le chiese se avesse ancora qualcosa da dichiarare, lei scosse la testa e fu libera di andarsene.

Mentre tornava nella cabina ebbe la sensazione che se avesse fatto qualche nome o anche solo un’allusione, Polemius  le avrebbe stretto la mano soddisfatto e la penna sarebbe scoppiata di gioia.

Ma lei non nutriva alcun sospetto; si sentiva solo profondamente perplessa e abbattuta.

Gli interrogatori proseguirono per diverso tempo. Sicuramente ci fu chi palesò i propri dubbi riguardo all’innocenza di alcuni, con il risultato che su una pagina del taccuino di Polemius cinque nomi vennero cerchiati e sottolineati.

Ramel entrò nello scompartimento chiudendosi la porta scorrevole alle spalle e accomodandosi sulla poltrona.

- Ho sentito che hanno fatto dei nomi.- disse Terry

- Cinque, per la precisione.- concluse facendo ondeggiare le dita.

Morag sembrava ancora sconvolto. Non aveva proferito parole nelle ultime ore se non quando fu costretto a recarsi dall’ispettore per il suo interrogatorio.

- E chi sarebbero?- chiese Boris porgendo una tazze di caffè a Ramel.

- Allora, i primi due sono Kimberly e Ralph.- fece uno sguardo significativo.

- No. Non li conosco. Passa oltre.-

Ramel prese la tazza di caffè sfiorandogli le dita.

Lui si voltò e lei gli sorrise.

- Ma si! Non puoi non conoscerli! Sono la coppia dell’estate!-

 Terry quasi urlò scandalizzata dall’apprendere che ci fossero persone disinteressate al gossip.

Ramel sorseggiò la sua bevanda. Ringraziò mentalmente la signora del carrello che aveva offerto a tutti un caldo ristoro per aiutarli a superare lo shock. Si domandò se Polemius avesse interrogato anche lei. Osservò il braccio dell’amico accanto a lei: almeno non era sola.

Boris aveva capito che era un po’ di caffè e la voce sonora di Terry ciò di cui aveva bisogno e aveva provveduto all’una cosa e all’altra.

- Ti assicuro che non me li ricordo.-

Terry si alzò sbuffando e andò a sedersi accanto a Morag prendendolo sottobraccio.

- Per farla breve: Kimberly e Otto erano fidanzati. Lui l’ha lasciata a giugno, qualche giorno dopo quell’affare dei Mangiamorte al Ministero. Lui era benestante e lei si faceva riempire di regali. Quando ha capito che la miniera d’oro le aveva chiuso i battenti in faccia, Kimberly ha cominciato a dare di matto.-

Fece una pausa da perfetto narratore. Boris la invitò a proseguire.

- Insomma, ha dato fondo alla fantasia nell’architettare le sue vendette. Pensa che una volta Otto ha ricevuto per posta una Fattura Gambizzante. Nello stesso istante la lettera è esplosa incendiando il divano sul quale lui era seduto. Fortunatamente era abile con gli incantesimi e ha spento il fuoco prima che lo travolgesse.-

Morag cominciò a interessarsi e fissò Terry intrigato.

Ramel terminò il suo caffè e si sistemò più comodamente sulla poltrona, allungando le gambe coperte da un paio di pantaloni che le scoprivano le caviglie sottili.

Quando Terry fu sicura di avere tutti gli occhi puntati su di lei, tranne quelli di Boris che ogni tanto fuggivano per controllare Ramel, riprese.

- Naturalmente queste informazioni le dobbiamo a Ginny Weasley. Il numero estivo dello Spioscopio è stato da Premio Strega! Comunque, stavo dicendo: Kimberly ha iniziato a coinvolgere anche Ralph nelle sue attività vendicative e Otto era messo talmente male, che alla fine si è visto costretto a ricorrere a Madama Fallaway, la famosa strega specializzata nel togliere i malocchi e affini, una settimana fa circa. E questo è quanto.-

Drizzò la schiena e bevve un sorso d’acqua.

- Per quanto riguarda gli altri, il discorso è forse più semplice, ma è pure più grave.-

Il suo sguardo diventò serio. Strinse un poco le labbra e indicò il giornale che stavano leggendo quella mattina.

- Gli ultimi tre sospettati sono Malfoy, Tiger e Nott. Credo che il perché sia chiaro a tutti. Ieri pomeriggio i loro padri sono stati incarcerati . Fredrick de Fae Strotten, il papà di Otto, è uno che conta nel Ministero: è stato lui a proporre i diciannove anni detentivi ad Azkaban. Ed è stato ascoltato.-

I quattro ragazzi osservarono il via vai di maghi e streghe attraverso il vetro della porta scorrevole.

Tutti gli studenti si trovavano ancora chiusi negli scompartimenti, in attesa che finissero gli interrogatori. Molti si chiesero perché il padre di Otto non fosse ancora arrivato, ma quando lo videro comparire con indosso la veste color prugna del Wizengamot, intuirono che riuscire a comunicare con un pezzo grosso del Ministero in riunione segreta era un’impresa assai difficile.

Fredrick de Fae Strotten misurava a grandi passi le carrozze, pallido e smunto.

Chiedeva spiegazioni che non riusciva ad ascoltare. Attraversava il treno velocemente, con gli occhi spalancati dall’angoscia. Entrò nello scompartimento e si bloccò, fissando il figlio con sguardo incredulo.

 Il cuore gli si fermò un attimo, portandogli via l’ossigeno.

 Si gettò sul corpo di Otto e pianse. Lo abbracciò prendendogli le braccia e portandosele al collo nel disperato tentativo di restituire vita al corpo inerte. Ma le braccia ricadevano pesantemente lungo i fianchi, poiché il sangue non scorreva più in quelle vene, e i muscoli ormai freddi non avrebbero più abbracciato nessuno.

Fredrick continuò a chiamarlo, baciandogli le tempie e bagnandole di lacrime. Gli afferrò una mano bianca ed esangue e se la poggiò sul petto all’altezza del cuore, scosso da una sofferenza disperata.

Quando arrivò il momento di portare via il corpo, Fredrick afferrò il mantello del figlio e inspirò profondamente, cercando di trattenere nelle narici l’odore di quella vita volata via.

Otto venne posato su una lettiga bianca.

- Ecco, sangue del mio sangue, figlio mio adorato. Così non ti bagnerai di pioggia.-

Gli adagiò il mantello sul corpo, lasciandogli il volto scoperto.

- Sei un bravo ragazzo, Otto. Fai buon viaggio.-

Represse un singhiozzo violento.

- Dove lo portate?-

- Al San Mungo, signore.-

- Io vado con lui.-

Scese dal treno e sparì.

 

L’eco del dolore di Fredrick de Fae Strotten non voleva abbandonare il treno; fu come un’onda invisibile che lasciò tutti frastornati.

Avevano superato da molto l’ora della cena e per quell’anno il banchetto di benvenuto a Hogwarts non ci sarebbe stato.

Un passaparola tra Prefetti e Caposcuola comunicò la disposizione di indossare i mantelli e di prepararsi all’uscita.

Finalmente Hagrid diede il permesso di scendere dalla locomotiva. Aveva indosso il suo solito pastrano e con una manona reggeva una lanterna. La sua stazza si stagliava sotto la luce della pensilina simile a una montagna in assetto d’umore variabile.

I ragazzini si sistemarono attorno a lui, i tre Grifondoro naturalmente in prima fila, mentre i piccoli del primo anno intimoriti dall’enorme taglia dell’uomo, cercavano riparo l’uno dietro l’altro.

- Bene. Adesso ci dirigeremo a Hogwarts. Gli studenti dal secondo al settimo anno prenderanno le carrozze, i piccoli del primo verranno con me sulle barche. La Cerimonia dello Smistamento avverrà rapidamente in Sala Grande, ma non ci sarà alcun banchetto. Troverete qualcosa da mangiare nelle rispettive Sale Comuni. Bene. Ehm…possiamo andare!-

Si mosse facendo girare la sua mole e invitò i bambini a seguirlo. Gli altri ragazzi si spostarono rapidamente sotto la pioggerella fitta in direzione delle carrozze.

Boris si impossessò della più vicina e in un attimo i quattro ragazzi si trovarono all’asciutto.

Ramel si accorse di avere i piedi fradici: indossava un paio di ballerine estive poco adatte alla pioggia e i pantaloni a metà polpaccio non contribuirono a ripararla dall’acqua. Non vedeva l’ora di arrivare al castello, indossare qualcosa di caldo e sedersi sul divano davanti al camino scoppiettante.

-Che cos’è il Narcomors?- chiese d’un tratto Morag, spezzando la catena dei suoi pensieri sul tepore della Sala Comune. Terry si disse desolata di non poter rispondere.

Boris scrutava ostinatamente fuori dal finestrino e non diede cenno di aver sentito.

- Ramel, tu lo sai?-

- Il Narcomors è un veleno altamente tossico. Anche ingerito in piccole quantità provoca la morte.-

Si sentì Hermione Granger in quel momento e si chiese se per caso non le si fossero increspati i capelli.

- Si dice che Otto sia stato avvelenato con una dose.- disse Terry.

- E’ probabile. Il Narcomors appartiene alla classe dei veleni subdoli. Una volta ingerito non provoca malessere, non si manifesta in alcun modo se non con la morte. Causa sonnolenza, facendo addormentare la vittima. In realtà uccide lentamente e, si suppone, senza dolore. È inodore, incolore ma è estremamente potente.-

- Ma se così fosse, se una goccia fosse caduta sulla mano dell’assassino, sarebbe dovuto morire anche lui. E’ stato molto rischioso.- osservò Moray pensieroso.

- No. Il Narcomors entra in circolo solo se si combina con gli enzimi che si trovano nella saliva, o se viene iniettato. A livello epidermico è innocuo…come l’acqua.- concluse Ramel ispirata dalla sensazione di umido proveniente dalle scarpe.

- Ragazzi, sinceramente: secondo voi chi è stato?- chiese Terry.

- Non saprei.  Non sono riuscito neanche a dare un resoconto coerente all’ispettore…ero ancora molto nervoso.- rispose Moray scuotendo la testa.

- E’ assurdo pensare che possa essere qualcuno fra quei cinque. - si intromise Boris. – Nemmeno con l’unione dei loro cervelli raggiungerebbero il grado di astuzia necessario per mettere su un omicidio apparentemente perfetto.-

- Non si tratta solo di astuzia. Per portare a termine un piano del genere bisogna avere un movente molto forte. –

- Ramel, tu non credi che Malfoy possa provare un odio tale nei confronti del padre di Otto da essersi voluto vendicare sul figlio?-

- No, Terry. Secondo me non ha nulla a che fare con il delitto, né lui né gli altri. Era scontato che venissero fuori i loro nomi. Nelle situazioni inspiegabili l’uomo ha bisogno di un capro espiatorio da punire. Si cerca affannosamente un sospetto sul quale far ricadere la colpa, salvo poi  scoprire l’infondatezza delle accuse. Non che sia sbagliato pretendere giustizia, trovare l’assassino…però adesso mi sconvolge di più l’idea che Otto sia morto. Un ragazzo del settimo anno, come noi. Con il quale facevamo lezione e che incontravamo per il parco del Castello. Quando l’ho incontrato stamattina era il solito Otto, garbato e gentile. Chi avrebbe potuto immaginare che dopo poche ore…-

Ramel avvertì una fitta e riconobbe la tristezza nelle pieghe del suo ragionamento.

Ripensò alla nonna, morta di vecchiaia a novantasette anni, sul suo letto ordinato e pulito, circondata dagli affetti.

Ma Otto era solo un ragazzo. Un ragazzo ucciso.

Boris le circondò le spalle con un braccio e lei sentì il suo respiro calmo e regolare. Provò uno strappo nel cuore, la colse una paura irrazionale per qualcosa che non era successo.

Ringraziò che Boris fosse vivo, lì, seduto accanto a lei.

 Si odiò per quel pensiero ma non poté evitare di farlo: per fortuna non era toccata a lui la fine spaventosa che aveva ammazzato Otto. Per fortuna poteva ancora vederlo agire, ridere, arrabbiarsi.

 - E’ stato tremendo.- mormorò Morag.

Poco dopo il Castello di Hogwarts con le sue numerose torri apparve dal finestrino. Sorvolarono il Lago, dimora della Piovra Gigante; distinsero la casa di Hagrid sotto il pendio, la Foresta Proibita, il campo da Quidditch.

Finalmente  planarono sul prato, atterrando dolcemente davanti allo scalone d’ingresso: erano arrivati.

 

 

La Sala Grande aveva il solito aspetto maestoso.

Dalle ampie vetrate si poteva osservare la pioggia che cadeva in piccole sottili gocce simili ad aghi. I grandi lampadari scendevano dal soffitto incantato e i camini accesi riscaldavano l’ambiente.

Gli studenti entrarono in silenzio disponendosi lungo i quattro tavoli di legno scuro.

Il Cappello Parlante era poggiato sullo sgabello in attesa di essere utilizzato, lo squarcio laterale sembrava una bocca chiusa in una smorfia annoiata.

I ragazzini del primo anno lo guardavano confusi e intimoriti, scambiandosi considerazioni sussurrate con un filo di voce. Non si poteva certamente affermare che il principio della loro vita a Hogwarts si fosse rivelato banale. Neanche nei loro sogni più arditi avevano osato immaginare un’avventura così densa di avvenimenti; si chiesero se quello non fosse solo l’inizio.

La professoressa Mc Grannit attraversò la Sala e si posizionò vicino allo sgabello del Cappello Parlante.

- Benvenuti a Hogwarts. Tra breve avrà inizio la Cerimonia dello Smistamento. Vi chiamerò in ordine alfabetico. Non appena sentirete fare il vostro nome, vi siederete quà.- indicò lo sgabello.

- Il Cappello Parlante dichiarerà la Casa alla quale verrete assegnati. Le Case sono quattro, come i tavoli che vedete intorno a voi. Il tavolo dei Griffondoro si trova alla vostra sinistra, sotto la finestra. Successivamente abbiamo quello dei Tassorosso. Il tavolo dei Corvonero è il terzo da sinistra e per finire quello dei Serpeverde, sotto la finestra alla vostra destra.-

Gli studenti seduti fecero un cenno discreto con le mani, come per salutare.

- Dopo che il Cappello avrà dichiarato la Casa di appartenenza, vi dirigerete al tavolo corrispondente. E ora possiamo iniziare.-

Strinse le labbra sottili così tanto che a momenti scomparvero.

Gazza le porse una pergamena arrotolata e tornò al suo posto con Mrs. Purr alle calcagna.

La Mc Grannit aprì il foglio e la Cerimonia dello Smistamento cominciò nel più assoluto silenzio.

I ragazzi del primo anno venivano accolti dai compagni della Casa con una semplice stretta di mano. Non ci fu nessun applauso, nessun grido di gioia.

Ramel si ricordò della sua prima notte a Hogwarts, quando si sedette sullo sgabello e il Cappello Parlante le  calò dritto sul naso, nascondendole la vista della Sala Grande.

- Signorina Simps. Corvonero, direi.- sentì, come se qualcuno le parlasse direttamente dentro la testa.

- Oh, già deciso? Bene, allora non è stata una scelta difficile.- pensò.

Sentì una risatina soffocata.

- A dire la verità stavo seriamente prendendo in considerazione l’idea di mandarti in un’altra Casa. Ma vedo una mente che scava a fondo alle cose per trasformare le faccende complesse in fatti semplici e comprensibili. Questo è sintomo di un ingegno guidato e capace. Dunque molto meglio…CORVONERO!-

Il nome della sua Casa rimbombò per tutta la Sala Grande.

Quando la Mc Grannit le tolse il Cappello Parlante, vide i suoi nuovi compagni battere le mani e farle dei gran sorrisi. Scese dallo sgabello, lieta di potersi finalmente rilassare.

Pensò a quello che aveva definitivamente lasciato a Londra: la sua casa piena di libri di storia, i suoi vecchi amici, i genitori premurosi, la scuola di danza. Si sedette sulla panca accolta calorosamente da ragazzi e ragazze più grandi.

Davanti a lei si trovava Boris Fokine, con tutta l’ombrosità che un bambino di undici anni riuscisse a sfoggiare. Aveva una carica strana, come se fosse impaziente o infuriato per qualcosa.

Ramel immaginò che fosse rimasto deluso dalla scelta del Cappello, che forse avrebbe preferito finire in un’altra Casa, magari Griffondoro o Serpeverde.

Quella notte notò con stupore il suo accento russo quando lo sentì rispondere malamente a un compagno.

Dopo sei anni si ritrovò ancora seduta al tavolo dei Corvonero, più grande e con Boris accanto.

Altri bambini quella notte venivano smistati e Ramel si domandò quanti di loro avrebbero trovato un amico come il suo.

Boris tamburellò le dita sul tavolo, canticchiando sommessamente. Osservava i bambini agitati con un’aria tediata.

-Quando finisce questo strazio?-

- E dai, Boris. Cerca di pazientare.-

- Credi che Silente ci delizierà con uno dei suoi toccanti discorsi? L’occasione per il sermone annuale sembra propizia…secondo me non se la lascerà sfuggire.-

- Sei proprio fuori luogo. Potrai pure considerare quello che è successo un episodio indegno della tua attenzione, ma molti non la pensano come te.-

Una ragazzina del primo anno scese dallo sgabello e si sedette davanti a loro; era una nuova piccola Corvonero, e aveva uno sguardo spaesato ma felice.

Terry le diede il benvenuto con un buffetto sulla guancia e Ramel le sorrise.

La ragazzina si sentì abbastanza rassicurata da guardarsi attorno. Azzardò rivolgere i suoi occhietti umidi a Boris, aspettandosi un gesto di saluto, ma lui la scrutò con gelida indifferenza e con una vaga espressione di disgusto come se avesse davanti un animaletto strano.

La ragazzina spalancò la boccuccia e incassò la testa nella spalle, fissando atterrita i disegni concentrici del legno.

- Sei odioso. E’ una bambina.- lo rimproverò Ramel.

- La stavo solo guardando.- le rispose con un tono meravigliato.

Ramel scosse la testa, rassegnata.

Lui era così: a tratti crudele. Non poteva farci nulla, se ne era accorta molto tempo prima. L’inquietudine di Boris non si poteva arginare o controllare. A volte si quietava, ma per la maggior parte del tempo aveva qualche motivo per essere antipatico e detestabile.

Lui era l’unico a conoscere veramente Ramel. Sapeva che non era solo una studentessa perspicace e una ragazza gentile. Lei intuiva la vera natura delle persone.

- Tu vai sempre dietro le quinte.- le aveva detto una notte, prima di andare a dormire, dopo un pomeriggio di chiacchiere e risate, un pomeriggio che era volato via senza neanche un minuto di noia. Allora erano solo all’inizio della loro amicizia, eppure già si cercavano tra la folla della Sala Comune al mattino, per scendere assieme a fare colazione, sghignazzando per tutto e niente.

Ramel aveva capito e accettato la personalità irrequieta di Boris, e lui era rimasto affascinato dalla naturalezza con la quale gli parlava, da come lo guardava con interesse e simpatia, come se tentasse di sbirciare dietro la sua asprezza per vedere cosa nascondessero quei modi bruschi e sintetici.

Quando Boris comprese che ormai Ramel si era aperta un varco nel muro che lui aveva messo fra sé e il mondo e vagava indisturbata fra i suoi pensieri, decise di arrendersi.

In fin dei conti non le importava quanto lui fosse scontroso: Ramel aveva ricevuto tanto da lui, e questo le bastava.

- TASSOROSSO!- gridò il Cappello Parlante all’ultimo ragazzino rimasto.

La Cerimonia dello Smistamento era terminata.

Nella Sala Grande l’atmosfera si fece tesa e attenta.

Ramel si sporse in avanti per vedere meglio il tavolo dei professori.

Silente si alzò.

 In ogni ruga del suo volto era incisa la rabbia e la sofferenza. Scrutò per un attimo i ragazzi, poi si girò facendo frusciare le vesti, dirigendosi verso il portone di quercia.

Tanti occhi lo accompagnarono fino a quando sparì dietro una grossa colonna di pietra.

Un timido mormorio si diffuse fra gli studenti. Si sarebbero aspettati un discorso da Silente, qualche parola di conforto, come era nella consuetudine del Preside.

 Nessuno diede cenno di volersi muovere. Anche il vento smise di soffiare.

Finalmente dal tavolo dei professori si alzarono i direttori delle quattro Case.

Le panche strisciarono sul pavimento e la Sala Grande lentamente si svuotò.

Gli studenti si alzarono per recarsi nei propri dormitori. Indossavano ancora i mantelli neri della divisa e camminavano lentamente in fila, con le teste basse.

Gli studenti di Corvonero si dirigevano verso il corridoio che portava all’ingresso della Torre.

Ginny si staccò dal suo gruppo di Griffondoro e raggiunse Ramel.

- Brutta faccenda, eh?-

- Molto. Non riesco ancora a crederci.-

Si strinse al braccio dell’amica parlandole sottovoce.

- Senti, ci vediamo domani? Magari dopo pranzo. Ti va di fare due passi?-

- Certo. C’è qualcosa di cui mi vuoi parlare?-

- Ramel, sono due mesi che non ci vediamo: non ho qualcosa di cui parlare, ho una marea di cose da raccontarti!-

Si fermarono prima di imboccare ognuna le proprie strade, mentre la folla scemava intorno a loro.

- E poi- continuò Ginny  - vorrei sapere cosa ne pensi riguardo a quest’affare di Otto.-

- A dirti la verità non mi sono fatta neanche uno straccio d’idea…-

- Appunto, neanch’io. Ma so che parlare con te mi schiarirà le idee!-

Ramel la guardò negli occhi azzurri.

- Ginny? Non vorrai indagare e improvvisarti giornalista di cronaca nera, vero?-

La ragazzina fece una risatina vaga.

- No, ma che dici? Era solo per avere un tuo parere. A proposito, tu hai fatto qualche nome a Polemius?-

- Scherzi? E comunque anche se avessi avuto un sospetto me lo sarei tenuto per me. E tu?-

- No, però…alcuni di noi, di noi Griffondoro, non hanno resistito alla tentazione di collaborare con la giustizia…e così è saltato fuori qualche nome. Dio, che razza di idioti!-

Aveva un’espressione mortificata.

- Si, ma sono solo sospetti. Ognuno ha detto quello che sembrava più utile per le indagini. Per ora nessuno è stato arrestato e sbattuto ad Azkaban!-

Ginny si morse le nocche del pugno chiuso.

- A volte non li sopporto. Quando credono di avere la verità in mano, poi finiscono sempre nei guai. E non solo loro. Ma io quest’anno penso agli affari miei. Non ho dimenticato cos’è successo al Ministero: è morto un uomo a causa del nostro delirio di onnipotenza. Una cicatrice in fronte non vuol dire avere sempre ragione.-

- Ginny, hai fatto solo quello che era giusto fare: stare accanto ai tuoi amici.-

- Ramel, dimmi la verità: tu l’avresti fatto?-

- Si. Mi sarei comportata esattamente come te.-

Ginny sbuffò facendo svolazzare le ciocche di capelli rossi che le ricadevano sul viso.

- So che abbiamo sbagliato, e anche allora sapevo che ci stavamo imbarcando in una lotta molto più grande di noi. Ma non potevo non esserci. E rifarei tutto da capo.-

- Certo, è ovvio: c’erano i tuoi amici e tuo fratello…-

- Pensa se ci fosse stato il tuo amico, il Russo!-

Ramel rise sentendo chiamare Boris in quel modo.

- Non mi sarei tirata indietro per niente al mondo, e mi avrebbero anche fatto fuori in mezzo secondo. Non sono mica abile e veloce come te, piccola pazza!-

Ginny le rivolse uno sguardo scettico e divertito.

- Figurati! Nessun Mangiamorte avrebbe avuto il fegato di colpire il tuo faccino da ragazza per bene. Me li immagino già, stecchiti da qualche tua maledizione a interrogarsi sulla natura spietata e senza scrupoli che può celarsi dietro due occhi apparentemente pacifici.-

Ramel corrugò la fronte e finse un’espressione offesa.

- Io non sono senza scrupoli!-

Ginny si mise la mani in tasca.

- Si, come no? E io sono Minerva Mc Grannit!-

Erano rimaste sole nel corridoio e i ritratti seguivano interessati la loro conversazione.

- Allora a domani?-

- Perfetto Ramel, grazie.-

- Ah, Ginny! Davvero credi che io sia senza scrupoli?-

La ragazza ci pensò un attimo.

- Non proprio senza scrupoli. Diciamo che se ti trovassi in una situazione di pericolo non esiteresti a difendere ciò che ami con le unghie e con i denti. Anche se preferisci non dimostrare a ogni occasione il tuo coraggio, sei capace di annientare con assoluta freddezza i tuoi nemici. Ciò non toglie nulla alla tua indole giudiziosa da nonnetta con lo scialle e  lavoro a maglia!-

Scoppiarono a ridere e si abbracciarono. Il ritratto di una vecchia strega tossicchiò sentendosi chiamato in causa.

- A domani nonna Simps! E non salutare il Russo da parte mia!-

- Se gli portassi i tuoi saluti sarebbe capace di lanciarmi addosso qualche tizzone ardente. Non ho intenzione di farmi sfigurare!-

Con un’ultima stretta si salutarono, dirigendosi verso i propri dormitori.

Ramel ripensò a Ginny e alla sua esuberanza. Aveva affrontato situazioni gravi e pesanti, eppure non aveva perso lo smalto che la distingueva. La sua spensieratezza non era superficialità, aveva avuto occasione di constatarlo diverse volte.

- Che sciocca!- mormorò quando arrivò all’ingresso della Torre.

Era rimasta indietro e ormai non c’era più nessuno: si era scordata di chiedere la parola d’ordine per entrare.

Il ritratto del Cavaliere Guantato rimaneva immerso nel buio davanti a lei.

Fece qualche passo ancora e dalla finestra vicino al quadro entrò un pallido raggio di luna.

Ramel si bloccò quando vide una sagoma scura poggiata alla parete.

- Boris.- disse in un soffio, riconoscendolo.

Il ragazzo rimase immobile, con le braccia incrociate sul petto, un piede sulla parete. Mosse solo gli occhi. La luce argentata della luna si rifletteva sulle sue pupille di mercurio, sotto le lunga ciglia scure. A Ramel sembrò un lupo solitario in una steppa ghiacciata.

Finalmente il ragazzo si mosse, la raggiunse con un passo.

- La parola d’ordine è Frammens noctis.-

La voce bassa e cavernosa accentuò l’accento russo.

Lei si avviò verso il quadro.

- Grazie.- mormorò.

Boris la afferrò per un braccio facendola voltare. Le stava così vicino che lei riuscì a  distinguere il contorno irregolare della cicatrice sul labbro.

- Ramel, non mi interessa con chi ti intrattieni e perché. Per quanto mi riguarda puoi bighellonare per il castello tutta la notte. Ma è un po’ stupido da parte tua non procurarti la parola d’ordine per entrare nel tuo dormitorio: Hogwarts non è posto sicuro, ultimamente.-

Ramel abbassò lo sguardo e strisciò un  piede sul pavimento.

- Va bene, hai ragione. Grazie per avermi aspettato.-

Boris le lasciò il braccio.

Poi sorrise, scoprendo i denti bianchi perfetti, abbandonando un po’ l’aria severa.

- Non vorrai mettermi nella condizione di dovermi preoccupare per te. Lo sai che non ne ho voglia.-

Le fece l’occhiolino e la spinse delicatamente verso il ritratto.

Il Cavaliere Guantato si irrigidì scuotendo il pennacchio.

- Frammens noctis.- dissero.

Il quadro si spostò.

Mentre attraversavano il passaggio Ramel sentì l’aria familiare della Sala Comune circondarla e accoglierla. Quella giornata stava finalmente per finire.

Lei non era rimasta fuori dal suo amato dormitorio perché Boris l’aveva aspettata.

In piedi, da solo, aveva atteso che lei arrivasse. Ecco chi era Boris per lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: alechka