Capitolo
4: Ansie
Quella
notte non sognai molto, o almeno qualunque cosa avessi sognato
non era degna di essere ricordata. Mi svegliai lentamente, senza aprire
gli
occhi, cominciai a togliermi le coperte di dosso. Poi mi misi a sedere
sul
letto e pacatamente mi guardai intorno. Il sole, ormai, era
già sorto e i suoi
raggi giocando tra i rami degli alberi si riflettevano sul vetro della
mia
finestra, illuminando la mia stanza completamente. Sentii i miei
genitori in
salotto, intenti a parlare del più e del meno, probabilmente
aspettavano che mi
svegliassi. Scesi dal letto e mi diressi in salotto per dargli il
buongiorno,
ma quando aprii la porta una strana busta cadde dalla maniglia.
Velocemente, mi
abbassai a raccoglierla e la esaminai. Era una busta bianca del tutto
anonima,
così spinta dalla curiosità l'aprii, dopotutto se
era attaccata alla porta di
camera mia doveva essere destinata a me. Estrassi il bigliettino che vi
era
contenuto e lo lessi attentamente:
Tesoro,
buon Natale! Spero che il mio regalo ti piaccia e che lo userai
con giudizio e responsabilità. Detto questo, divertiti e
fatti accompagnare da
qualcuno a comprare i regali che desideri.
Ti voglio bene, mamma.
Non
capii subito cosa conteneva quella busta, visto che nella lettera di
mia madre non era scritto. Così, infilai la mano
attentamente e ne estrassi una
scheda, la rigirai tra le mani e scoprii, con mia grande sorpresa, che
era una
carta di credito e che a quanto pareva era tutta per me. Trattenere le
urla di
gioia e i balli di festeggiamento fu un'impresa da titani, non riuscivo
a
crederci e non era tanto per la carta di credito, quello che mi faceva
più
piacere era che finalmente i miei genitori riuscivano a vedermi come un
adolescente e non come una bambina di sei anni qualsiasi. Corsi nel
salotto con
un sorriso stampato in faccia e gettai le braccia al collo di mia
madre, che mi
strinse forte a se. “Grazie, è
bellissima” le dissi con il mio potere, ero
l'unica a poter trapassare il suo scudo e ogni tanto si dimostrava
utile.
“Figurati”
mormorò, felice, tra i miei capelli. Restammo abbracciate
ancora qualche secondo, poi, quando sentii avvicinarsi mio padre,
lasciai
andare mia madre per salutare anche lui.
“Buongiorno”
mi salutò, stampandomi un bacio sulla fronte. “Hai
fame?”.
“Si!”
risposi, senza neanche pensarci.
“Uova?”.
Come se non lo sapesse già.
“Vada
per le uova” dissi, sorridendogli. Elegante e leggiadro come
sempre si diresse in cucina ed io e mia madre non potemmo fare altro
che
seguirlo, lei rimase appoggiata sul ciglio della porta a guardarci
mentre io mi
accomodai a tavola, impaziente che mio padre mi desse le sue uova.
“Oggi
andiamo da Charlie” mi informò mia madre.
“Vieni anche tu?”.
“Si”
risposi subito, avevo tanta voglia di rivedere il mio nonno umano.
“Dopo,
però, posso andare a fare i regali?”.
“Basta
che ti fai accompagnare da qualcuno” intervenne mio padre.
“Va
bene” mormorai, quand'è che sarei potuta uscire
per conto mio? Forse
avrei dovuto aspettare la patente per avere un po' di
libertà in più, ma per
come era mio padre avrei dovuto aspettare altri cent'anni. Sorrise,
improvvisamente, e mia madre lo guardò confusa. Doveva
essere frustante per lei
non capire i pensieri miei o di mio padre, visto che spesso
comunicavamo così.
“Ecco,
qui” esclamò mio padre, porgendomi un piatto con
due uova.
“Grazie”
dissi, guardando il piatto. Le uova avevano davvero un buon
aspetto e senza aspettare un minuto di più, iniziai a
mangiarle. Quando ebbi
finito, misi il piatto nella lavastoviglie, mentre mia madre e mio
padre sul
ciglio della porta si guardavano imbambolati e poi mi diressi verso il
bagno.
“Vado
a lavarmi” li informai, ma non ero sicura che mi stessero
ascoltando.
“Aspetta”
mi fermò mio padre. Sbagliato, lui mi ascoltava sempre. Lo
guardai interrogativa e lui, con il suo sorriso sghembo stampato in
viso,
estrasse un pacchetto dalla tasca dei jeans e me lo porse. Lo presi, un
po'
esitante, e lo analizzai. Aveva una forma rettangolare, ma era molto
sottile,
mentre la carta era rossa con disegni dorati. Lo rigirai tra le mani,
non avevo
la minima idea di cosa fosse, alzai lo sguardo verso mia madre ma era
confusa
quanto me, nessuna delle due si aspettava una cosa del genere. Mio
padre alzò
un sopracciglio e disse: “Allora, vuoi aprirlo?”.
Diedi
un'ultima occhiata al pacchetto che avevo tra le mani, poi
lentamente e con attenzione cominciai a togliere la carta rossa,
intravidi
subito il simbolo di una mela su uno sfondo argentato, ma non capii
subito
cos'era. Poi, tolsi il resto della carta, e girai lentamente
l'i”phone che mi
ero trovata tra le mani, sullo schermo illuminato c'era un
messaggio:”Buon
Natale, tesoro”. Guardai
mio padre con
stupore, non ci potevo credere, tutto in un giorno, non era possibile.
Dov'erano i miei genitori? Cosa ne avevano fatto di loro? Dovevano
essersi
coalizzati.
“E'...mio?”
chiesi, sconcertata.
“E
di chi altri se no?” rispose mio padre, ridendo. Guardai di
nuovo il
cellulare tra le mie mani, non ci credevo che era mio.
Fu l'istinto a guidarmi, quando gettai le
braccia al collo a mio padre e gli sussurrai un “Grazie
mille”. Al che lui
scoppiò di nuovo a ridere, ma mi strinse a se e
cominciò a cullarmi sul suo
petto, come faceva quando ero solo una neonata, ma la sensazione di
protezione
che provavo, era sempre la stessa. Avevo il miglior papà del
mondo e nessuno me
lo avrebbe mai portato via, ne la vecchiaia ne il destino. Poi, mi
lasciò
andare e mentre mi allontanavo da lui continuavo a sorridergli
incredula.
“Dai,
ora, va a vestirti” intervenne mia madre e io annuendo corsi
verso
il bagno, dopo aver posato il cellulare sul mio comodino, dove vi
trovai anche
il resto della scatola. Mi vestii e lavai, velocemente come sempre, poi
andai
in salotto e vidi i miei genitori seduti sul divano a chiacchierare
amabilmente.
“Allora
andiamo?” esclamai, allegra.
“Si”
risposero in coro i miei genitori e senza neanche pensarci uscimmo
di casa, mentre mio padre teneva la porta aperta sia a me che a mia
madre. La
foresta era ancora innevata, anche se il sole non mancava affatto,
forse faceva
freddo per gli umani, ma io mi trovavo bene, ero a mio agio in mezzo a
tutta
quella neve.
“Vado
a prendere la Volvo” ci informò mio padre e
scomparì tra gli
alberi, mentre mia madre lo seguiva con lo sguardo. Io,
però, ero attratta da
un altro rumore, un suono sordo che veniva dalla foresta, era ancora
lontano ma
qualcosa mi diceva che stava venendo verso di me. Il rumore sordo delle
zampe
divenne sempre più vicino, infatti dopo pochi secondi un
enorme muso rossiccio
sbucò dalla vegetazione. Jake, in un attimo, uscì
dalla foresta e attraversando
il poco spazio che ci divideva si avvicinò, poggiando
l'enorme muso sulla mia
spalla e io lo abbracciai. Mia madre si avvicinò velocemente.
“Ciao,
Jake” lo salutò e lui rispose con un latrato.
Rimanemmo qualche
altro secondo in silenzio, in cui io continuavo ad accarezzare la calda
pelliccia del mio lupo, mentre mia madre continuava a guardarsi intorno
alla
ricerca di mio padre. Poi, Jake mi guardò interrogativo e io
con il mio potere
gli dissi: “Andiamo da Charlie” e lui
annuì impercettibilmente con l'enorme
muso. In quel momento, sentimmo il rombo di un auto che si faceva
strada a
fatica tra la vegetazione, ormai sulla Volvo i segni della vecchiaia si
facevano sentire e la foresta non era mai stata la sua strada ideale.
Mio padre
fermò l'auto di fronte a noi e poi, scese per salutare Jacob.
“Buongiorno,
Jacob” disse, formale. “Andiamo?”
continuò rivolgendosi a
noi. Mia madre annuì con la testa e fece per salire in
macchina, quando mio
padre alzò lo sguardo verso Jake, che probabilmente gli
aveva fatto qualche
domanda e lei seguì il suo sguardo.
“Torniamo
tra qualche ora, credo” lo informò. “Si,
dopo andiamo a casa
di Carlisle”. Jacob, soddisfatto, annuì e dandomi
un altro colpetto sulla spalla
per salutarmi, sparì di nuovo tra la foresta. Io e mia madre
salimmo
velocemente sull'auto e mio padre partì in un attimo. Il
viaggio fu breve e non
ci diede il tempo di aprire un argomento importante, ci limitammo solo
a fare
futili considerazioni sul tempo o sulla neve, mentre io mi divertivo ad
esplorare il mio nuovo cellulare e mio padre mi guardava soddisfatto.
“Ci
sono già tutti i numeri che ti servono in rubrica”
mi informò. Feci
scorrere velocemente la rubrica alla ricerca di un numero che ero
sicura mio
padre non avrebbe mai inserito.
“No”
sospirai. “Ne manca uno”.
“Quale?”
chiese, sorpreso.
“Quello
di Jacob”.
“Nessie,
quel numero sarebbe inutile, Jacob non è mai a casa e non ha
un
cellulare” lo giustificò mia madre.
“Mi
piacerebbe comunque averlo” insistetti.
“Puoi
chiederlo a Jacob e aggiungerlo, quando vuoi”
continuò mia madre.
“Si,
credo che farò così”.
Continuai
a giocare col cellulare in silenzio, mentre mio padre guardava
dritto sulla strada e mia madre spostava lo sguardo da lui al
finestrino.
“Da
chi ti farai accompagnare?” chiese lei, improvvisamente.
Feci
spallucce. “Non lo so ancora”.
“Potresti
chiedere a Rose” mi suggerì.
“Avevo
pensato anche io a lei” risposi, lasciando cadere
così il
discorso.
“Hai
già in mente qualche regalo?” insistette lei, come
se avesse paura
del silenzio.
“No,
non ancora” mormorai. “Idee?”.
“Non
puoi farti consigliare da me” spiegò lei.
“Non sono per niente
brava a mentire”.
“Ricordati
che non devi fare tardi” intervenne mio padre.
“Non
preoccuparti” risposi. Mio padre stava per aggiungere
qualcosa, ma
ormai eravamo arrivati e la casa di mio nonno aveva già
fatto la sua comparsa
da un bel po'. Mio padre parcheggiò vicino all'auto della
polizia e poi
scendemmo. L'auto di mio nonno era un po' più malandata
dell'ultima volta,
chissà quando si sarebbero decisi a cambiarla, forse ci era
affezionato e
voleva andarci in pensione, visto che ormai non mancava molto. Ci
avvicinammo
alla porta e mia madre bussò con la mano, facendo attenzione
a non lasciare un
segno indelebile sulla fragile porta di legno. Mio nonno venne ad
aprire un po'
assonnato, era vestito con jeans e maglione come quando aveva il giorno
libero,
ma quando ci vide si illuminò, probabilmente aveva gradito
la sorpresa.
“Ragazzi!”
esclamò, sorpreso.
“Ciao,
papà” lo salutò mia madre,
abbracciandolo.
“Buongiorno,
Charlie” disse mio padre.
“Nessie!
Ci sei anche tu!” continuò guardandomi, quando
lasciò andare
mia madre e aprì le braccia verso di me
e gli andai incontro abbracciandolo.
“Diventi
sempre più grande!” constatò.
“Ma cosa fate qui fuori? Avanti,
entriamo dentro, qui si gela!”. Io guardai mia madre che fece
spallucce,
probabilmente, lei come me non sentiva il freddo di cui parlava mio
nonno,
comunque entrammo in casa e ci accomodammo nel piccolo salotto di mio
nonno.
Lui seduto sulla poltrona, mentre noi tre sul divano.
“Allora,
ragazzi” iniziò mio nonno. “Cosa avete
deciso per Natale?”. La
speranza che si accese nei suoi occhi era paragonabile a quella di
qualsiasi
bambino, mi fece un po' pena. Probabilmente, sentiva la nostra
mancanza, la
mancanza di una famiglia vera e se c'era una cosa che avrei dovuto
rimproverare
a mia madre era proprio quella di non passare un po' di tempo con mio
nonno.
Dopotutto, lui prima o poi non ci sarebbe stato più, visto
che trasformarlo in
un vampiro non era minimamente nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto
fare di
tutto per passare un po' di tempo in più con lui.
“Seguiremo
il tuo consiglio” rispose mia madre, mentre le si allargava
un sorriso sul volto di pietra. “Tutti a casa Cullen e
chiamerò anche mamma”.
Mio nonno si illuminò ancora di più, sembrava che
da un momento all'altro si
mettesse a ballare e cantare al centro del salotto.
“Non
sai quanto mi fai felice, Bells” la ringraziò.
“Ci sarà anche
Billy?”.
“Si
e tutti i ragazzi di La Push” intervenni.
“Wow!
Ci entreremo in casa?”.
“Certo”
assicurò mio padre. La conversazione continuò per
molto tempo,
mio nonno era così felice che non la smetteva un attimo di
parlare e mia madre
si accontentava di dire “si” o semplicemente
annuire, mentre mio padre se ne
stava immobile e io mi guardavo intorno e seguivo un telegiornale alla
tv. Dopo
il telegiornale, partì subito un programma di cucina, mi
guardai intorno fino a
trovare l'orologio che segnava che era l'una e guardando quello stupido
programma mi venne una certa fame. Mio padre, naturalmente, se ne
accorse
subito, mentre mia madre era ancora impegnata ad ascoltare gli aneddoti
di mio
nonno e le sue ultime avventure, se così si potevano
definire, lavorative.
“Mamma”
la chiamai e lei si girò verso di me sollevata, come se
l'avessi
salvata da una prigionia. “E' l'una e oggi devo andare a fare
i regali” le
ricordai.
“Perché
non vi fermate a mangiare qui?” chiese, subito, mio nonno.
“A
chi devi fare i regali, tesoro?”.
“Devo
fare i regali di Natale” lo informai.
“Posso
accompagnarti io!” si offrì subito. Mia madre e
mio padre si
guardarono negli occhi allarmati, ma mio nonno non sembrava se ne fosse
accorto
e continuava a fissarmi speranzoso.
“Beh,
sarebbe fantastico” balbettai. “Voi che ne
dite?”. I miei genitori
continuarono a guardare prima me e poi i loro occhi, non sapevano che
fare e
Charlie aspettava impaziente.
“Charlie...”
intervenne mio padre, con il tono di chi vuole negare.
“Va
bene!” lo interruppe mia madre. “Basta, che state
attenti”. Mio
padre la guardò adirato, probabilmente non era affatto
d'accordo. Come avevo
detto prima era iperprotettivo e per lui mio nonno non bastava a
tenermi al
sicuro dai guai che potevo trovare in una piccola, minuscola,
città come
Seattle.
“Allora,
partiamo subito dopo pranzo” gongolò mio nonno.
“Ordino il
pranzo. Pizza?”.
“Vada
per la pizza” risposi.
“Voi,
ragazzi, avete fame?” chiese ai miei genitori.
“No,
grazie” risposero in coro. Mio nonno senza fare commenti si
alzò e
si diresse in cucina, dove digitò lentamente il numero della
pizzeria e
cominciò ad ordinare la pizza.
“Cosa
ti è venuto in mente?” quasi ringhiò
mio padre.
“Cosa
c'è di male?” chiese mia madre. Mio padre la
guardò torvo ma non
le rispose, come se la risposta fosse ovvia, come se non ci fosse
neanche
bisogno di chiedere cosa c'era di male. Dopotutto non c'era, si
capivano
benissimo le ragioni di mio padre, mio nonno era un umano, un semplice
umano,
fragile e ormai anche anziano, non avrebbe potuto proteggermi da
nessuno, mio
padre avrebbe preferito persino Jacob a lui. Ma era pur sempre il padre
di mia
madre e pur sempre mio nonno, non c'era niente di male se avessi
passato un po'
del mio tempo con lui, dopotutto cosa potevo incontrare di tanto
pericolo a
Seattle? Una banda armata? Ero resistente alle pallottole come i
vampiri. Un
gruppo di stupratori? Non ero forte quando un vampiro, ma avrei potuto
ucciderli tutti senza il minimo sforzo. Per una volta ero io la
più forte, per
una volta non ero io quella che doveva essere protetta, ma quella che
doveva
proteggere e per una volta mio padre avrebbe anche potuto darmi un po'
di
fiducia, io non attiravo catastrofi come mia madre. Avevo vissuto sei
anni in
segreto e nessuno aveva mai sospettato della mia esistenza, ero brava a
nascondermi
avevo passato tutta la mia vita a farlo e non era un problema passare
inosservata. Mia madre continuò a fissare mio padre,
aspettandosi una risposta
che non arrivò, così sospirando, disse:
“Va bene, ne parliamo dopo”. Intanto
mio nonno tornò in salotto ancora con il suo sorriso
stampato in faccia e mi
guardò fiero.
“La
pizza sta arrivando!”.
“Fantastico!”
esclamai, felice. Poi, prese il telecomando e cominciò a
fare zapping cercando un telegiornale che non fosse già
finito, mentre la
tensione tra i miei genitori saliva sempre di più e
diventava sempre più
opprimente, tanto che mia madre non riusciva a stare ferma. Non
sopportava
essere in conflitto con mio padre, non entrava minimamente nei suoi
orizzonti,
così si alzò di scatto. Troppo, troppo
velocemente, tanto che Charlie saltò
dalla sedia e la fissò, lei sorrise e girandosi verso di me,
mormorò: “Nessie,
che ne dici se cominciamo a preparare la tavola?”.
“Va
bene, mamma” risposi, alzandomi molto più
lentamente e seguendola in
cucina.
“Le
cose sono dove le hai lasciate l'ultima volta, Bells” la
informò mio
nonno e riprese a guardare la tv. Mia madre entrò in cucina
e sospirando si
guardò intorno, cominciò ad aprire i mobili e a
cercare quello che le serviva
per poi passarmelo, così che io potessi posizionarlo sul
tavolo. Si muoveva
così velocemente che stentavo a riconoscerla, di solito mia
madre era una
persona calma e non si alterava facilmente, invece ora era agitata
all'inverosimile e non riusciva neanche a controllarsi. Che
esagerazione.
“Mamma,
ti senti bene?” chiesi, con un po' di ingenuità
nella voce.
“Si”
balbettò. Ma continuava a muoversi così
velocemente, i piatti nelle
sue mani sembravano fogli di carta velina, così fragili che
un soffio di vento
li avrebbe strappati. Le afferrai il polso saldamente e lei si
fermò per un
attimo, ma non alzò lo sguardo verso di me, semplicemente si
girò verso la
finestra.
“Devi
calmarti” le consigliai. “Finirai per rompere
qualcosa”.
“Sono
calma” disse lei.
“Davvero?
A me non sembra” risposi, ridendo sotto i baffi.
“Che ne dici,
se ora ti siedi e qui finisco io?”. Automaticamente, si
sedette sulla prima
sedia che trovò e portò le braccia al petto, io
girai intorno alla tavola fino
a raggiungere la credenza ed iniziai a preparare la tavola, mentre lei
continuava
a guardar fuori. Sentimmo le ruote arrugginite di una bici percorrere
il
vialetto e poi avvicinarsi alla porta per bussare il campanello. Visto
che
nessuno si mosse dal proprio posto, pensai che fosse meglio andare ad
aprire al
poveretto che stava aspettando fuori, soprattutto se faceva
così freddo come
sosteneva mio nonno. Passando davanti al salotto mio nonno mi
guardò e disse: “Nessie,
i soldi sono sull'entrata”. Presi i soldi e mi diressi verso
la porta, la aprii
piano per non spaventare il ragazzo che aspettava fuori, con due
cartoni
fumanti in mano.
“Ciao”
lo salutai. Era bassino, doveva avere sui sedici anni, aveva una
faccia tonda e qualche problema con l'acne, mi squadrò da
capo a piedi e poi,
mi sorrise con aria imbambolata. “Ciao” balbetto.
“Ho portato...le pizze”.
“Quanto
ti devo?” chiesi, sorridendogli.
“Mmh...10$”
mormorò.
“Ok”
risposi. “Ecco a te”. Mi porse le pizze lentamente,
attento a non
sbilanciarsi per farle cadere, le presi con più sicurezza di
quanto ne avesse
lui e poi, sorridendogli, lo salutai e mi richiusi la porta alle spalle.
“Nonno,
sono arrivate!” lo chiamai.
“Arrivo”
esclamò. Si alzò rumorosamente dalla poltrone e
si diresse in
cucina, mio padre venne verso di me e mi sfilò le pizze di
mano, sorridendo, e
si diresse in cucina. Ci sedemmo tranquillamente attorno al tavolo e
mia madre
divise le pizze per me e mio nonno, posizionandole nel piatto.
Cominciai a
mangiare lentamente, mentre mio nonno riprese a parlare con mia madre,
così
facendo la distrasse un po' dalla tensione che c'era ancora con mio
padre.
Quando finimmo di parlare aiutai mia madre a lavare i piatti e lei
iniziò con
la predica.
“Mi
raccomando, sta attenta” iniziò.
“Cosa
vuoi che ci sia di pericoloso a Seattle?” chiesi, scettica.
“Non
si può mai sapere”.
“Già,
chissà cosa si può incontrare!”
esclamai. “Magari un vampiro in
vacanza...”
“Non
scherzare!” rispose, ridendo.
“Andiamo!
Lo stai dicendo solo perché papà non vuole che
vada con
Charlie” la rimproverai.
“Non
è vero!” negò lei. “Sono solo
preoccupata”.
“Se
sei tanto preoccupata, perché hai detto si?”.
“Non
volevo deludere Charlie” mormorò.
“Non
preoccuparti, starò attenta” risposi, sorridendole.
“Grazie”
disse, rincuorata e poi posò l'ultimo piatto nella credenza.
Ci
dirigemmo in salotto, dove mio padre e mio nonno continuavano a
guardare la
televisione senza proferir parola. Mi avvicinai a mio nonno e
dissi:”Allora,
andiamo?”
“Certo!”
esclamò. “Vado a prendere la macchina della
polizia”. Rimasi un
attimo immobile, mi ero del tutto dimenticata che avremmo dovuto
prendere
quella macchina, era imbarazzante dover andare in giro con le sirene
sul tetto
dell'auto. Non sarei mai riuscita a passare inosservata
così, ma cosa avrei
dovuto fare?
“Non
potremmo prendere la Volvo” chiesi, disperata.
“E
come faranno i tuoi genitori?” mi chiese di rimando mio nonno.
“Non
preoccuparti” intervenne mia madre. “Faremo una
passeggiata”.
“Allora,
vada per la Volvo” rispose mio nonno, sorridendo. Ormai per
lui
non contava con quale macchina dovessimo andare, bastava solo che
andassimo
insieme. Era davvero eccitato e non vedeva l'ora di partire e lasciarsi
dietro
Forks e tutto il resto. Mia madre tirò per un braccio mio
padre, che di
malavoglia la seguì fuori dalla casetta di mio nonno e ci
aspettarono nel
vialetto. Io aspettai che mio nonno indossasse il cappotto e poi
uscimmo
insieme.
“Allora
ci vediamo stasera” mi salutò mia madre, dandomi
un bacio sulla
fronte e poi si allontanò. Mi si avvicinò mio
padre con l'aria di chi avrebbe
avuto voglia di afferrarmi e scappare il più lontano
possibile, ma la sua parte
da gentiluomo gli imponeva di stare in silenzio e lasciar perdere.
“Non
preoccuparti papà, andrà tutto bene” gli
dissi usando il mio potere, ma lui non si tranquillizzò
neanche un po'. “Tieni
acceso il cellulare” sibilò, a voce
così bassa che mio nonno non riuscì a
sentirlo. Annuii impercettibilmente, poi gli diedi un bacio sulla
guancia e mi
allontanai. Raggiunsi mio nonno, che intanto era già entrato
in macchina e
l'aveva messa in moto, e mi sedetti al posto del passeggero,
allacciando la
cintura per non far preoccupare ancora di più mio padre.
Lui, intanto, aveva
raggiungo mia madre e aspettavano che noi ce ne andassimo per tornare a
casa,
speravo solo che mio padre non esagerasse, lei si sentiva
già abbastanza in
colpa. Mio nonno partì e in un attimo ce li lasciammo alle
spalle, mentre le
case sfrecciavano al nostro fianco estrassi il cellulare e mi assicurai
che non
ci fosse il silenzioso, mio nonno mi guardò sott'occhio ed
esclamò: “Wow! Chi
te l'ha regalato quello?”.
“Papà,
stamattina” risposi.
“Per
Natale?”.
“Si”.
Restammo in silenzio e io presi a guardare il paesaggio, Forks era
sempre la stessa, non c'era niente di diverso persino le persone e i
luoghi
dove trovarle erano sempre uguali.
“Quando
inizi la scuola, Nessie?” chiese, improvvisamente, mio nonno.
“Penso
a Settembre” risposi, incerta.
“Andrai
alla scuola di Forks?”.
“Non
lo so, non abbiamo ancora deciso”. Il discorso
morì così e io e mio
nonno ci rintanammo ognuno nei propri pensieri, mentre io guardavo dal
finestrino
lui fischiettava allegramente.
“Siamo
arrivati” mi informò, mentre parcheggiava. Spenta
l'auto,
scendemmo tranquillamente e poi seguii mio nonno per Seattle, visto che
lui la
conosceva molto meglio di me.
“Hai
già qualche idea?” chiese mio nonno.
“Veramente,
no” ammisi, sconsolata.
“Allora
possiamo fare un giro per la città” disse,
contento di poter
prolungare quella gita. Camminammo tra i negozi, ce ne erano di tutti
tipi, da
quelli più strani a quelli che potevi trovare da per tutto.
Passammo davanti ad
un'enorme gioielleria e in vetrina vidi un bellissimo fermaglio d'oro
tempestato di turchesi, mi venne subito in mente la figura slanciata di
mia zia
Rose, pensai che le sarebbe piaciuto.
“Entriamo
un attimo qui?” chiesi a mio nonno.
“Cosa
hai visto?” domandò lui.
“Quel
fermaglio” risposi, indicando il gioiello dietro la vetrina.
Mio
nonno diede una veloce occhiata al fermaglio e poi mi guardò
sbalordito.
“E
come pensi di pagarlo?” chiese di nuovo.
“Ho
la carta di credito” lo informai e lui facendo spallucce, mi
aprì la
porta. Entrai nella gioielleria e cominciai ad guardarmi intorno, era
finemente
decorata e nessun dettaglio era lasciato al caso. Mi si
avvicinò una commessa
vestita di tutto punto, come se fosse anche lei parte dell'arredamento
e sorridendomi
mi chiese: “Posso esservi utile?”.
“Si”
risposi. “Quel fermaglio in vetrina, vorrei
vederlo”.
“Certo” rispose lei, poco
convinta, forse pensava che la stessi prendendo in giro. Intanto, mi
guardai
intorno mentre la ragazza litigava con la vetrina che non ne voleva
sapere di
aprirsi.
“Nonno,
cosa piaceva a mamma?” gli chiesi, sperando mi desse qualche
idea.
“Beh,
amava i libri e...tuo padre” balbettò lui. Bene,
il nonno non era
d'aiuto, dovevo cavarmela da sola. Mi avvicinai al bancone, dove
c'erano tutti
i ciondoli. Ce n'erano di tutti i tipi, fiori, farfalle, cuori,
scorrevo piano
con lo sguardo tutti i ciondoli finché non arrivai ad uno
davvero particolare.
Era una rosa del deserto, piccola come la falange di un dito e
bellissima, non
era come le normali rose del deserto che sembravano disordinate e non
assomigliavano per niente a rose, ogni petalo, se così si
potevano definire,
partiva dal centro della pietra e si avvolgevano l'uno intorno
all'altro,
creando l'effetto di una vera rosa. Ogni petalo aveva il colore della
sabbia,
con varie venature più scure o più chiare, che
percorrevano quasi ogni parte
della pietra. Mi fece venire subito in mente il bracciale di mia madre
con il
lupo e il cuore, a pensarci bene non aveva niente che rappresentasse me
sul
quel bracciale, e quella rosa mi assomigliava molto, era rara come me.
Intanto,
la commessa mi si avvicinò con un sorriso nervoso sul volto
e mi porse il
fermaglio.
“Si,
va bene” confermai. “Posso vedere anche quel
ciondolo” continuai,
indicando la rosa al di là del vetro. La commessa
annuì e si accinse ad aprire
la vetrine, mio nonno mi si avvicinò e mi tirò
per un braccio sussurrando: “Guarda
quel ciondolo”. Mi avvicinai alla vetrina a muro a lato del
bancone, in bella
mostra c'era una scatola di velluto contente un ciondolo d'oro bianco
dalla
forma ovale con un disegno astratto, che assomigliava vagamente ad una
rosa,
inciso su di esso.
“Scusi”
chiamai la cassiera. “Quello è un
porta”foto?”. Lei si avvicinò
per capire di cosa parlassi e dopo aver guardato prima me e poi il
ciondolò,
rispose: “Si, porta due foto”.
“Bene,
allora posso vedere anche quello?”. Mentre la commessa
prendeva
anche la collana, il mio cellulare vibrò prima di cominciare
a suonare.
Estrassi, velocemente, il cellulare e guardai il numero, naturalmente,
era mio
padre.
“Ciao,
papà” lo salutai.
“Ciao,
Nessie” ricambiò lui. “Dove
sei?”.
“A
Seattle” risposi senza pensarci e intanto cominciai a
girovagare per
il negozio, non riuscivo a stare ferma mentre parlavo al telefono.
“Lo
so, che sei a Seattle” sibilò.
“Precisamente, dove?”.
“Non
posso dirtelo!” risposi. “Sto facendo i
regali!”. Rimase in
silenzio per qualche secondo e mi permise di fare un altro giro per il
negozio,
arrivai vicino alla vetrina di fronte a quella precedente. Conteneva
solo penne
di tutti i tipi e di tutte le grandezze, al centro appoggiata su un
cuscino
nero c'era una penna stilografica nera decorata con oro rosso e bianco
e
all'estremità con pietre preziose. Pensai subito a mio nonno
paterno, quella
penna era raffinata come lui e aveva un'aria antica che gli si addiceva
alquanto.
“Papà,
ci sei?” chiesi.
“Si,
quando avete intenzione di tornare?”.
“Non
lo so, mi manca solo qualche regalo”.
“Va
bene, ma fa presto!”.
“Si,
papà” risposi. “Ti voglio
bene”.
“Anche
io” rispose di rimando e chiuse la chiamata. La commessa mi
si
avvicinò con aria incerta e indicando il bancone, disse:
“E' tutto sul bancone”.
“Si”
risposi io. “Posso vedere anche questa penna?”. Lei
mi guardò
cercando di nascondere la rabbia, visto che le stavo facendo perdere
molto
tempo, ma visto che il negozio era vuoto non era una colpa molto grave.
Mi
avvicinai al bancone, attendendo che lei prendesse la penna e me la
portasse.
Arrivò in fretta e mise anche quella sul ripiano di vetro,
io diedi una piccola
occhiata a tutti gli oggetti e poi aprii il portafoglio per prendere le
foto da
mettere nell'ovale di mio padre. Le porsi alla commessa che con
attenzione le
posizionò ognuno al proprio posto e poi lo chiuse nella
propria scatola.
“Sono
regali?” chiese con negli occhi la speranza che non lo
fossero.
“Si”
risposi io e lei con un moto di rabbia, iniziò a fare i
pacchetti.
Mio nonno si avvicinò per guardare quello che avevo scelto e
annuiva
impercettibilmente ad ogni regalo che guardava e poi apprezzava.
“Cosa
voleva tuo padre?” chiese, improvvisamente.
“Niente”
sospirai. “Voleva sapere dove fossi”. Lui non
rispose, visto
che la ragazza dietro al bancone stava mettendo in una busta i vari
pacchetti.
“Paga
in contanti o carta di credito?” Stavo per rispondere ma mio
nonno
mi interruppe di nuovo rispondendo al telefono, poi indicando il
cellulare che
aveva tra le mani mi disse che andava a parlare fuori. Era l'occasione
perfetta! Mi guardai intorno in cerca di qualcosa che avrebbe potuto
essere il
suo regalo e subito intravidi un orologio d'acciaio, finemente decorato
ma non
troppo appariscente. Era perfetto per lui, ma dovevo fare in fretta.
“Scusi,
può prendere anche questo” esclamai con molta
urgenza nella
voce. La ragazza non riuscì a trattenere un sospiro, ma
velocemente aprì la
vetrina e mi mise tra le mani l'orologio, ritirandole subito quando
sentì il
calore che emanavano le mie dita.
“Si,
va bene” sospirai. “Può
incartarmelo?”. Lei non rispose, me lo
sfilò dalle mani attenta a non toccarmi e velocemente lo
incartò e lo mise
nella busta con tutti gli altri.
“Contanti
o carta di credito?” chiese di nuovo.
“Carta
di credito” risposi, porgendole la carta di credito platino.
Poi,
dopo che me la restituì presi la busta con i vari pacchetti
e raggiunsi mio
nonno fuori, che stava ancora parlando al telefono.
“Va
bene, Sue, allora ci vediamo stasera” sussurrava.
“Ora, sono a
Seattle con Nessie”.
“Mi
raccomando, non fare tardi che si raffredda la cena” rispose
lei.
“No,
ma ora vado. Ciao” la salutò lui e le diede solo
il tempo di dire “Ciao”
che riattaccò. Rimise lentamente il cellulare nella tasca
destra dei jeans e
poi si girò verso di me, sorridente.
“Fatto?”.
“Si,
mi mancano solo Jacob, Alice, Jasper, Esme ed Emmett”.
“Idee?”.
“No”
risposi, sorridendogli. “E tu?”.
“Mi
dispiace, piccola, non sono mai stato bravo con i regali”
mormorò,
mentre gli si dipingeva sul volto un sorriso impacciato. Continuammo a
camminare per la città, passeggiando tranquillamente mi
guardavo intorno,
camminare con mio nonno era rilassante, lui non era lì per
proteggermi e non ne
aveva la minima intenzione, certo se ce ne fosse stato bisogno non
avrebbe
esitato a mettersi tra me e chiunque altro. Passammo davanti a vari
cartelloni
pubblicitari e ad attirare la mia attenzione fu un cartellone
più grande degli
altri, che pubblicizzava la vendita di biglietti per una sfilata di
moda di un
rinomato stilista.
“Secondo
te, dove li vendono quei biglietti?” chiesi, improvvisamente,
a
mio nonno. Lui alzò lo sguardo verso il cartellone
pubblicitario e poi si
guardò intorno in cerca di una risposta.
“Forse
lì” rispose, indicando un negozio che si trovava
all'angolo di un
incrocio. Ci avvicinammo e quando entrammo, facemmo
suonare un campanello ed un uomo sulla
cinquantina si girò a guardarmi incuriosito.
“Posso
esservi utile” chiese.
“Posso
comprare qui i biglietti per quella sfilata?” domandai,
indicando
con un dito il cartello posto proprio di fronte al negozio.
“Si,
certo” rispose, subito lui. “Quanti ne
desidera?”.
“Due”
risposi decisa, mi dispiaceva per Jasper ma qualcuno doveva pur
accompagnare Alice e visto che io non ci tenevo minimamente, lui era la
persona
più adatta. Il negoziante fu molto veloce e mise i biglietti
sul bancone.
“Può
incartarmeli?” chiesi, educata. Lui annuì piano e
prendendo un
pacchetto blu ci infilò i due biglietti, poi velocemente lo
incartò con una
carta rossa e me lo porse. Lo presi e gli diedi in cambio la carta di
credito,
lui la guardò un attimo sorpreso, probabilmente non aveva
mai visto una carta
platino, e poi me la ridiede una volta effettuato il pagamento. Io e
mio nonno
uscimmo in silenzio e continuammo a percorre il marciapiede, quando ad
interrompere il nostro silenzio fu lo squillo del mio cellulare. Non ci
fu
neanche bisogno di leggere il nome sul display, sapevo benissimo chi
era...
“Papà?”
risposi e mio nonno sbuffo.
“Nessie,
dove sei?” ringhiò quasi mio padre.
“Sono
sempre a Seattle” dissi, annoiata. “Dove vuoi che
sia?”.
“Quanto
tempo ci vuole ancora?”.
“Non
lo so” sbuffai. “Sono solo le cinque, è
pieno pomeriggio!”. Mio
padre sbuffò e in lontananza sentivo la voce di
qualcun'altro che sbraitava, ma
non riuscii a capire chi fosse.
“Va
bene” si lamentò mio padre. “Ma devi
tornare prima delle sette”.
“Otto!”
urlai.
“Sette
e mezza! Altrimenti vengo a prenderti ora”.
“Va
bene, va bene” risposi, scocciata.
“Ciao,
tesoro” mi salutò lui e chiuse la chiamata,
soddisfatto. Con un
moto di rabbia rimisi in tasca il cellulare e mio nonno mi
guardò di traverso.
“Cosa
voleva ora?”.
“Devo
tornare alle sette e mezza” sospirai e per quanto la
tentazione di
fare anche solo cinque minuti di ritardo mi allettasse alquanto, sapevo
che ciò
sarebbe stato uguale a non uscire più almeno per il resto
della mia vita.
“Allora,
dovremmo sbrigarci” scherzò mio nonno.
“Sono già le cinque”. Risi
insieme a lui, spensierata come non mai e continuammo a camminare sul
marciapiede, fino ad arrivare davanti ad un negozio per architetti.
“Nonno,
possiamo entrare un attimo?” chiesi, prendendolo per un
braccio e lui mi seguì
nel negozio. Entrammo in un negozietto tutto disordinato, c'erano
oggetti
strani di cui non conoscevo il nome e altri che conoscevo impilati in
modo
precario ed erano pericolosamente traballanti. Io e mio nonno, con
molta
attenzione, ci avvicinammo al bancone e visto che non c'era nessuno
premetti il
campanello. Dopo qualche minuto, da una porta, con su un invito a non
entrare,
uscì una vecchietta vestita fin troppo elegantemente per
quel negozio e si
avvicinò il più velocemente possibile.
“Cosa
posso fare per te, tesoro?” mi chiese, benevola.
“Vorrei
un set per architetto” spiegai, brevemente.
“Certo,
se aspetti un secondo lo prendo” rispose, sorridendo.
“Grazie”
mormorai, mentre la signora tornava nel retro e si accingeva a
prendere un set completo, lasciando me e mio nonno soli in quel
disordinato
negozietto.
“Che
ordine” commento lui, come se mi avesse letto nel pensiero.
“Già”
mormorai io, guardandomi intorno.
“Pensi
che ti chiamerà qualcun'altro?” domandò
mio nonno guardandomi
negli occhi.
“Chi
dovrebbe chiamarmi?” chiesi di rimando.
“Sono
tutti così preoccupati” sibilò.
“Come se io non sapessi
proteggerti”.
“Papà
è solo molto protettivo” mormorai, cercando di
giustificare mio
padre.
Lui
sbuffò e poi aggiunse: “Ci manca solo che ora ti
chiami Jacob”.
“Perché
dovrebbe chiamarmi Jake?” domandai, scettica.
Lui
mi guardò di traverso e poi disse: “Si vede
lontano un miglio che ha
una cotta per te!”.
“Io
e Jake siamo solo amici!” sibilai e mio nonno sorrise
sarcastico, ma
non disse niente. Mi voltai verso il bancone e aspettai paziente che la
signora
tornasse con quello che mi serviva, intanto pensavo alla conversazione
con mio
nonno. Io e Jake eravamo solo amici e poi anche volendo non avrebbe
potuto
chiamarmi, lui non aveva un...cellulare! Era il regalo perfetto per il
mio
lupo, così avremmo potuto rimanere in contatto, felice della
mia intuizione
sorrisi all'anziana signora che intanto era tornata con in mano tutto
quello
che mi serviva.
“Ecco
a te, piccola” mormorò porgendomi l'intero set.
“Può
incartarmelo?” chiesi, educata.
“Certo”
rispose, sfilandomi gli oggetti tra le mani e cominciando ad
incartarli. Poi, me li ripose e dopo che ebbi pagato, la salutai
educatamente
ed uscii dal negozio con mio nonno alle spalle.
“Che
ore sono?”.
“Non
preoccuparti, Nessie, sono solo le cinque e mezza” rispose
mio
nonno, guardando il suo vecchio orologio ormai prossimo alla dipartita
finale e
mi sentii soddisfatta pensando che gliene avevo regalato uno nuovo.
“Chi
ti manca?” domandò di nuovo mio nonno.
“Solo
Emmett e Jake” risposi, velocemente.
“Cosa
hai intenzione di regalargli?” chiese, impaziente, mio nonno.
“A
Jacob avevo pensato di regalare un cellulare” dissi,
convinta.
“C'è
un negozio qui vicino” mi informò mio nonno e si
diresse verso il
negozio di cui parlava e io lo seguii, continuando a guardarmi intorno
incuriosita da quel posto che non avevo mai visto e che mi piaceva
molto.
Arrivammo davanti ad un negozio con un enorme vetrina piena di
cellulari di
tutti i tipi e tutte le dimensioni, li guardai ad uno a uno cercandone
qualcuno
che potesse andare bene per Jake, finché il mio sguardo non
cadde su un
cellulare nero che si trovava in un angolo della vetrina. Mi abbassai
per
guardarlo meglio e lessi sotto il cartellino con su scritto
“Nokia n97 nero”.
Mi piaceva e probabilmente sarebbe piaciuto anche a Jake,
così velocemente
entrammo nel negozio e mi feci incartare il cellulare poi, uscimmo
velocemente
e mi fermai fuori dal negozio per chiedere un consiglio a mio nonno.
Per il
regalo ad Emmett ci avevo pensato molto mentre il ragazzo mi
impacchettava il
cellulare di Jake ed ero arrivata ad una conclusione, ma non sapevo
proprio
dove andare a cercare una cosa del genere.
“Nonno”
lo chiamai, un po' incerta.
“Si,
piccola?” chiese lui.
“Dove
potrei comprare dell'attrezzatura da trekking?”.
Lui
ci pensò un attimo, guardandosi intorno. “Non so
se qui c'è un
negozio, ma a Forks c'è quello dei Newton”.
“Perfetto!”
risposi, sollevata.
“Allora,
andiamo a prendere la macchina” esclamò mio nonno
con il
sorriso sulle labbra. Raggiungemmo la Volvo e velocemente, mio nonno
mise in
moto e cominciammo a sfrecciare tra le strade di Seattle. Non parlammo
molto
durante il tragitto, mio nonno, guardando una casa o l'altra mi
raccontava la
storia della famiglia che vi abitava e io ascoltavo interessata. Poi,
arrivammo
di fronte al negozio di articoli sportivi dei Newton e mio nonno mi
raccontò
della cotta che Mike, il figlio del proprietario, si era preso per mia
madre
quando lei andava alla scuola di Forks. Entrammo e ad accoglierci fu un
ragazzo
con un viso infantile e dai capelli biondo cenere. Ci guardò
per un attimo, poi
si aprì in un enorme sorriso.
“Buongiorno,
ispettore Swan” salutò. Poi guardandomi
intensamente,
continuò: “Lei chi è?”. Mi
avvicinai al bancone e porgendogli la mano, risposi:
“Renesmee Cullen, tu sei?”.
“Mike...
Mike Newton” balbettò. “Cullen, hai
detto?”.
“Si,
perché?”.
“No,
niente. Avevo dei compagni di scuola con quel cognome”
spiegò
brevemente. Poi, riacquistando tutto il suo buon umore, aggiunse:
“Cosa posso
fare per voi?”. Stavo per rispondere, quando il trillo del
cellulare ci
interruppe per l'ennesima volta, guardai mio nonno, il cui sguardo era
ricolmo
di rabbia, e mormorai: “Puoi pensarci tu?”. Lui
annuì e io dando la schiena al
bancone, risposi al cellulare.
“Papà!”
esclamai, adirata.
“Nessie,
dove sei?” chiese lui.
“Sono
le sei!” risposi, indignata.
“Dove
sei?” ripeté lui, scandendo le parole una ad una.
“Mi
passi mamma?” domandai, riacquistando la calma.
“Perché?”
mormorò lui, sorpreso.
“Devo
dirle una cosa” spiegai, brevemente. Sentii il vento che
soffiava
nel microfono, mentre mio padre si muoveva a velocità
inumana verso mia madre. “Vuole
te” mormorò, porgendole il telefono.
“Tesoro,
come sta andando la gita?” iniziò lei.
“Mamma,
togligli quel cellulare di mano!” sibilai.
Mia
madre sospirò. “Scusa, lo sai che è
ansioso”.
“E'
la terza volta che mi chiama!”.
“Si,
hai ragione. Farò il possibile” promise.
“Va
bene, grazie” risposi, con evidente gratitudine nella voce.
“Divertiti,
tesoro! E per favore, non fare tardi” mi salutò.
“Va
bene, mamma” risposi e chiusi la chiamata. Raggiunsi mio
nonno e
Mike al bancone che stavano parlando amabilmente.
“Allora,
come va l'università?” gli stava chiedendo mio
nonno.
“Me
la cavo” rispose lui, abbassando lo sguardo, probabilmente
non
gradiva quell'argomento. Quando mio nonno mi vide avvicinare,
fissò la tasca
dove avevo risposto il telefono e poi, sprezzante, disse:
“Era Edward, vero?”.
Non
ebbi il tempo di rispondere che intervenne Mike. “Edward?
Edward è
tuo padre?”.
“NO!”
esclamai, subito. “Edward è solo mio
fratello”. Mike non sembrava
molto convinto ma tornò a sorridermi con aria imbambolata,
mentre prendeva i
vari pezzi del set che mi serviva.
“Ecco
qui” disse, alla fine, soddisfatto. “Che ne
dici?”. Cominciai ad
esaminare i pezzi uno ad uno, controllando che non mancasse niente e
che
fossero tutti integri, lui continuava a fissarmi e io mi sentivo
leggermente
imbarazzata.
“Vieni
qui, spesso?” chiese, improvvisamente.
“No”
risposi, sincera. “Sono qui di passaggio”.
“Peccato”
mormorò lui. “E cosa sei venuta a
fare?”. Non sapevo cosa
rispondergli, così gli lanciai un'occhiataccia e lui si
ritirò subito. “Scusa”
disse, grattandosi la nuca. “Non sono affari miei”.
“Credo
che sia tutto a posto” continuai, risoluta indicando gli
oggetti
sul bancone. “Puoi incartarmeli?”.
“Certo”
esclamò lui, felice che non me la fossi presa e
iniziò ad
incartare il mio regalo. Io e mio nonno aspettammo pazienti,
finché lui non mi
porse il pacco e io lo poggiai ai miei piedi per pagare. Mio nonno lo
prese e
disse: “Comincio a portarlo in macchina” ed
uscì velocemente.
“Spero
di rivederti presto” continuò Mike, senza perdere
le speranze.
“Non
penso che tornerò a Forks molto presto” mormorai,
con finto
rammarico.
“Dove
vivi?”.
“Lontano”
risposi, brusca.
“Fatto”
esclamò, ridandomi la carta di credito.
“Allora,
arrivederci” mi salutò, sorridendo.
“Ciao”
sussurrai ed uscii velocemente dal negozio. Raggiunsi mio nonno,
che mise subito in moto senza dire una parola e così
continuò per tutto il
viaggio. Probabilmente, era arrabbiato con mio padre perché
non gli dava
abbastanza fiducia e aveva perso tutta la sua voglia di parlare.
Arrivammo
davanti casa Cullen dopo una decina di minuti e mio nonno
fermò la macchina
proprio di fronte all'entrata. Sulla soglia c'erano già mio
padre e Jacob,
impazienti e dietro di loro mia madre che cercava di trattenerli
inutilmente.
Appena uscii dalla macchina mi si avvicinarono in un attimo e si
aprirono in un
sorriso liberatorio, da quant'è che andavano così
d’accordo?
“Finalmente”
esclamò mio padre abbracciandomi. Mio nonno era rimasto in
macchina e mia madre gli si avvicinò per parlargli.
“Bells,
perché non mi accompagni a casa” disse.
“Così ti riporti la
macchina”. Mio padre interruppe subito l'abbraccio e
guardò mio nonno adirato,
mentre Jacob raccoglieva tutti pacchetti. “Lasciala
andare!”, mio padre mi
prese per la mano, come se avessi cinque anni, e mi condusse in casa,
poi andò
a salutare mia madre e la guardò mentre partiva.
“Nessie,
perché ci hai messo tanto?” chiese, tornando in
casa.
“Avevi
detto che dovevo tornare alle sette e mezza, sono le sei e
mezza”
lo informai. “Sono in netto anticipo”.
“Non
dovevi andare con Charlie!” esclamò Jacob.
“Perché,
no?” domandai, arrabbiata.
“E'
pericoloso” rispose, calmo mio padre.
“Io
non ho visto niente di pericoloso” esclamai.
“Ragazzi,
basta!” intervenne mio nonno. “Nessie, ha passato
una bella
giornata con Charlie, non rovinategliela”.
“Comunque
non succederà più” continuò
Jacob e io gli lanciai
un'occhiataccia, che lui ricambiò con uno sguardo protettivo
e preoccupato. Mi
si avvicinò, superando mio padre che non lo fermò
e guardandomi negli occhi,
mormorò: “Ci hai fatto preoccupare
molto”.
“Mi
dispiace, ma non posso farci niente! Io mi sono divertita”
precisai.
“Mi
fa piacere” rispose lui.
“Nessie,
ora dobbiamo andare a casa” mi informò mio padre.
“Va
bene”. Salutai tutti velocemente e augurandogli la buonanotte
uscii
di casa, seguita da mio padre e Jake. Corremmo per la foresta, ormai
buia,
probabilmente avevano fretta di arrivare a casa e io non avevo nulla in
contrario. Arrivammo davanti casa e salutai Jake con un bacio sulla
guancia e
stranamente mio padre non disse niente, era troppo sollevato del mio
ritorno e
ancora preoccupato per mia madre. Jake sparì tra le foglie
delle felci e potei
sentire le sue zampe correre sulla neve e poi sparire in lontananza,
per poi
seguire mio padre in casa. Cenai, velocemente, e poi andai in bagno per
lavarmi
e indossare il pigiama. Mi infilai nel letto e chiusi gli occhi,
attendendo che
il sonno mi prendesse e mi portasse via con se. Però, il
cigolio della porta
che si apriva mi costrinse a non cedere ancora al sonno.
“Nessie”
mi chiamò piano mio padre. “Dormi?”.
“No”
mormorai, con la voce stanca. Mio padre lentamente venne a sedersi
sul mio letto e io mi girai verso di lui, che mi guardava intensamente
con i
suoi occhi dorati.
“Hai
gradito il mio regalo?”.
“Si,
ma sto pensando di restituirtelo! Oggi è stato fin troppo
utile!”
scherzai e lui rise di buon umore.
“Mi
dispiace, piccola” si scusò, accarezzandomi la
fronte.
“Sai”
iniziai. “Ho incontrato Mike Newton”. A quel nome
un fremito
percorse la schiena di mio padre e trasformò il suo sguardo,
facendolo
ridivenire preoccupato, mentre guardava il mio incontro con il suo ex
compagno
di scuola e quando vide che ci eravamo quasi traditi, gli
scappò un sibilo.
“Non
preoccuparti” dissi. “Non credo sospetti
qualcosa”.
“Certo
che no” esclamò lui. “Sicuramente, stava
pensando a qualcun'altro”.
“Sei
geloso?” chiesi, incredula e lui non rispose, al che scoppiai
in
una sonora risata.
“Andiamo,
papà! Probabilmente non lo rivedrò
più!” esclamai e lui sembrò
rasserenarsi un po'.
“Ora,
però, dormi” ordinò, sfiorandomi la
fronte con un bacio ed uscendo
velocemente dalla mia stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Chiusi di nuovo
gli occhi, sperando che nessuno mi interrompesse più, era
stata una lunga
giornata, anche se mi ero divertita molto con mio nonno e ora,
pensandoci bene,
anche la gelosia e la preoccupazione di mio padre erano divertenti. Non
so
quanto tempo ci misi per addormentarmi, l'ultima cosa che ricordo era
la foto
sul comodino dei miei genitori e il rombo di un'auto in lontananza.
Dopodiché
caddi in un sonno profondo e le uniche cose che mi fecero compagnia
furono i
sorrisi delle persone a me care, e il fischiettare allegro del mio caro
nonno
umano...
NDA: spero che questo capitolo vi piaccia e spero vogliate lasciarmi qualche commento!! Grazie in anticipo e buona lettura!!