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Autore: PanteraNera94    27/07/2011    1 recensioni
"Nell’alte vie dell’universo intero, che chiedo mai, che spero…
altro che gli occhi tuoi più vago, altro più dolce aver che il tuo pensiero?".
Fan-fiction scritta come seguito di Breaking Dawn e ambientata sei anni dopo la fine del romanzo che tutti amiamo e tutti conosciamo. Dal punto di vista di Renesmee, una storia che narra della sua crescita interiore ed esteriore, del suo crescende amore nei confronti di Jacob e delle reazione che esso comporterà nei suoi genitori...Enjoy!
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward, Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Capitolo 4: Ansie

 

Quella notte non sognai molto, o almeno qualunque cosa avessi sognato non era degna di essere ricordata. Mi svegliai lentamente, senza aprire gli occhi, cominciai a togliermi le coperte di dosso. Poi mi misi a sedere sul letto e pacatamente mi guardai intorno. Il sole, ormai, era già sorto e i suoi raggi giocando tra i rami degli alberi si riflettevano sul vetro della mia finestra, illuminando la mia stanza completamente. Sentii i miei genitori in salotto, intenti a parlare del più e del meno, probabilmente aspettavano che mi svegliassi. Scesi dal letto e mi diressi in salotto per dargli il buongiorno, ma quando aprii la porta una strana busta cadde dalla maniglia. Velocemente, mi abbassai a raccoglierla e la esaminai. Era una busta bianca del tutto anonima, così spinta dalla curiosità l'aprii, dopotutto se era attaccata alla porta di camera mia doveva essere destinata a me. Estrassi il bigliettino che vi era contenuto e lo lessi attentamente:

 

Tesoro, buon Natale! Spero che il mio regalo ti piaccia e che lo userai con giudizio e responsabilità. Detto questo, divertiti e fatti accompagnare da qualcuno a comprare i regali che desideri.

                                                       

                                                                                                                                                    Ti voglio bene, mamma.

 

Non capii subito cosa conteneva quella busta, visto che nella lettera di mia madre non era scritto. Così, infilai la mano attentamente e ne estrassi una scheda, la rigirai tra le mani e scoprii, con mia grande sorpresa, che era una carta di credito e che a quanto pareva era tutta per me. Trattenere le urla di gioia e i balli di festeggiamento fu un'impresa da titani, non riuscivo a crederci e non era tanto per la carta di credito, quello che mi faceva più piacere era che finalmente i miei genitori riuscivano a vedermi come un adolescente e non come una bambina di sei anni qualsiasi. Corsi nel salotto con un sorriso stampato in faccia e gettai le braccia al collo di mia madre, che mi strinse forte a se. “Grazie, è bellissima” le dissi con il mio potere, ero l'unica a poter trapassare il suo scudo e ogni tanto si dimostrava utile.

“Figurati” mormorò, felice, tra i miei capelli. Restammo abbracciate ancora qualche secondo, poi, quando sentii avvicinarsi mio padre, lasciai andare mia madre per salutare anche lui.

“Buongiorno” mi salutò, stampandomi un bacio sulla fronte. “Hai fame?”.

“Si!” risposi, senza neanche pensarci.

“Uova?”. Come se non lo sapesse già.

“Vada per le uova” dissi, sorridendogli. Elegante e leggiadro come sempre si diresse in cucina ed io e mia madre non potemmo fare altro che seguirlo, lei rimase appoggiata sul ciglio della porta a guardarci mentre io mi accomodai a tavola, impaziente che mio padre mi desse le sue uova.

“Oggi andiamo da Charlie” mi informò mia madre. “Vieni anche tu?”.

“Si” risposi subito, avevo tanta voglia di rivedere il mio nonno umano. “Dopo, però, posso andare a fare i regali?”.

“Basta che ti fai accompagnare da qualcuno” intervenne mio padre.

“Va bene” mormorai, quand'è che sarei potuta uscire per conto mio? Forse avrei dovuto aspettare la patente per avere un po' di libertà in più, ma per come era mio padre avrei dovuto aspettare altri cent'anni. Sorrise, improvvisamente, e mia madre lo guardò confusa. Doveva essere frustante per lei non capire i pensieri miei o di mio padre, visto che spesso comunicavamo così.

“Ecco, qui” esclamò mio padre, porgendomi un piatto con due uova.

“Grazie” dissi, guardando il piatto. Le uova avevano davvero un buon aspetto e senza aspettare un minuto di più, iniziai a mangiarle. Quando ebbi finito, misi il piatto nella lavastoviglie, mentre mia madre e mio padre sul ciglio della porta si guardavano imbambolati e poi mi diressi verso il bagno.

“Vado a lavarmi” li informai, ma non ero sicura che mi stessero ascoltando.

“Aspetta” mi fermò mio padre. Sbagliato, lui mi ascoltava sempre. Lo guardai interrogativa e lui, con il suo sorriso sghembo stampato in viso, estrasse un pacchetto dalla tasca dei jeans e me lo porse. Lo presi, un po' esitante, e lo analizzai. Aveva una forma rettangolare, ma era molto sottile, mentre la carta era rossa con disegni dorati. Lo rigirai tra le mani, non avevo la minima idea di cosa fosse, alzai lo sguardo verso mia madre ma era confusa quanto me, nessuna delle due si aspettava una cosa del genere. Mio padre alzò un sopracciglio e disse: “Allora, vuoi aprirlo?”.

Diedi un'ultima occhiata al pacchetto che avevo tra le mani, poi lentamente e con attenzione cominciai a togliere la carta rossa, intravidi subito il simbolo di una mela su uno sfondo argentato, ma non capii subito cos'era. Poi, tolsi il resto della carta, e girai lentamente l'i”phone che mi ero trovata tra le mani, sullo schermo illuminato c'era un messaggio:”Buon Natale, tesoro”.  Guardai mio padre con stupore, non ci potevo credere, tutto in un giorno, non era possibile. Dov'erano i miei genitori? Cosa ne avevano fatto di loro? Dovevano essersi coalizzati.

“E'...mio?” chiesi, sconcertata.

“E di chi altri se no?” rispose mio padre, ridendo. Guardai di nuovo il cellulare tra le mie mani, non ci credevo che era mio.  Fu l'istinto a guidarmi, quando gettai le braccia al collo a mio padre e gli sussurrai un “Grazie mille”. Al che lui scoppiò di nuovo a ridere, ma mi strinse a se e cominciò a cullarmi sul suo petto, come faceva quando ero solo una neonata, ma la sensazione di protezione che provavo, era sempre la stessa. Avevo il miglior papà del mondo e nessuno me lo avrebbe mai portato via, ne la vecchiaia ne il destino. Poi, mi lasciò andare e mentre mi allontanavo da lui continuavo a sorridergli incredula.

“Dai, ora, va a vestirti” intervenne mia madre e io annuendo corsi verso il bagno, dopo aver posato il cellulare sul mio comodino, dove vi trovai anche il resto della scatola. Mi vestii e lavai, velocemente come sempre, poi andai in salotto e vidi i miei genitori seduti sul divano a chiacchierare amabilmente.

“Allora andiamo?” esclamai, allegra.

“Si” risposero in coro i miei genitori e senza neanche pensarci uscimmo di casa, mentre mio padre teneva la porta aperta sia a me che a mia madre. La foresta era ancora innevata, anche se il sole non mancava affatto, forse faceva freddo per gli umani, ma io mi trovavo bene, ero a mio agio in mezzo a tutta quella neve.

“Vado a prendere la Volvo” ci informò mio padre e scomparì tra gli alberi, mentre mia madre lo seguiva con lo sguardo. Io, però, ero attratta da un altro rumore, un suono sordo che veniva dalla foresta, era ancora lontano ma qualcosa mi diceva che stava venendo verso di me. Il rumore sordo delle zampe divenne sempre più vicino, infatti dopo pochi secondi un enorme muso rossiccio sbucò dalla vegetazione. Jake, in un attimo, uscì dalla foresta e attraversando il poco spazio che ci divideva si avvicinò, poggiando l'enorme muso sulla mia spalla e io lo abbracciai. Mia madre si avvicinò velocemente.

“Ciao, Jake” lo salutò e lui rispose con un latrato. Rimanemmo qualche altro secondo in silenzio, in cui io continuavo ad accarezzare la calda pelliccia del mio lupo, mentre mia madre continuava a guardarsi intorno alla ricerca di mio padre. Poi, Jake mi guardò interrogativo e io con il mio potere gli dissi: “Andiamo da Charlie” e lui annuì impercettibilmente con l'enorme muso. In quel momento, sentimmo il rombo di un auto che si faceva strada a fatica tra la vegetazione, ormai sulla Volvo i segni della vecchiaia si facevano sentire e la foresta non era mai stata la sua strada ideale. Mio padre fermò l'auto di fronte a noi e poi, scese per salutare Jacob.

“Buongiorno, Jacob” disse, formale. “Andiamo?” continuò rivolgendosi a noi. Mia madre annuì con la testa e fece per salire in macchina, quando mio padre alzò lo sguardo verso Jake, che probabilmente gli aveva fatto qualche domanda e lei seguì il suo sguardo.

“Torniamo tra qualche ora, credo” lo informò. “Si, dopo andiamo a casa di Carlisle”. Jacob, soddisfatto, annuì e dandomi un altro colpetto sulla spalla per salutarmi, sparì di nuovo tra la foresta. Io e mia madre salimmo velocemente sull'auto e mio padre partì in un attimo. Il viaggio fu breve e non ci diede il tempo di aprire un argomento importante, ci limitammo solo a fare futili considerazioni sul tempo o sulla neve, mentre io mi divertivo ad esplorare il mio nuovo cellulare e mio padre mi guardava soddisfatto.

“Ci sono già tutti i numeri che ti servono in rubrica” mi informò. Feci scorrere velocemente la rubrica alla ricerca di un numero che ero sicura mio padre non avrebbe mai inserito.

“No” sospirai. “Ne manca uno”.

“Quale?” chiese, sorpreso.

“Quello di Jacob”.

“Nessie, quel numero sarebbe inutile, Jacob non è mai a casa e non ha un cellulare” lo giustificò mia madre.

“Mi piacerebbe comunque averlo” insistetti.

“Puoi chiederlo a Jacob e aggiungerlo, quando vuoi” continuò mia madre.

“Si, credo che farò così”.

Continuai a giocare col cellulare in silenzio, mentre mio padre guardava dritto sulla strada e mia madre spostava lo sguardo da lui al finestrino.

“Da chi ti farai accompagnare?” chiese lei, improvvisamente.

Feci spallucce. “Non lo so ancora”.

“Potresti chiedere a Rose” mi suggerì.

“Avevo pensato anche io a lei” risposi, lasciando cadere così il discorso.

“Hai già in mente qualche regalo?” insistette lei, come se avesse paura del silenzio.

“No, non ancora” mormorai. “Idee?”.

“Non puoi farti consigliare da me” spiegò lei. “Non sono per niente brava a mentire”.

“Ricordati che non devi fare tardi” intervenne mio padre.

“Non preoccuparti” risposi. Mio padre stava per aggiungere qualcosa, ma ormai eravamo arrivati e la casa di mio nonno aveva già fatto la sua comparsa da un bel po'. Mio padre parcheggiò vicino all'auto della polizia e poi scendemmo. L'auto di mio nonno era un po' più malandata dell'ultima volta, chissà quando si sarebbero decisi a cambiarla, forse ci era affezionato e voleva andarci in pensione, visto che ormai non mancava molto. Ci avvicinammo alla porta e mia madre bussò con la mano, facendo attenzione a non lasciare un segno indelebile sulla fragile porta di legno. Mio nonno venne ad aprire un po' assonnato, era vestito con jeans e maglione come quando aveva il giorno libero, ma quando ci vide si illuminò, probabilmente aveva gradito la sorpresa.

“Ragazzi!” esclamò, sorpreso.

“Ciao, papà” lo salutò mia madre, abbracciandolo.

“Buongiorno, Charlie” disse mio padre.

“Nessie! Ci sei anche tu!” continuò guardandomi, quando lasciò andare mia madre e aprì le braccia verso di me  e gli andai incontro abbracciandolo.

“Diventi sempre più grande!” constatò. “Ma cosa fate qui fuori? Avanti, entriamo dentro, qui si gela!”. Io guardai mia madre che fece spallucce, probabilmente, lei come me non sentiva il freddo di cui parlava mio nonno, comunque entrammo in casa e ci accomodammo nel piccolo salotto di mio nonno. Lui seduto sulla poltrona, mentre noi tre sul divano.

“Allora, ragazzi” iniziò mio nonno. “Cosa avete deciso per Natale?”. La speranza che si accese nei suoi occhi era paragonabile a quella di qualsiasi bambino, mi fece un po' pena. Probabilmente, sentiva la nostra mancanza, la mancanza di una famiglia vera e se c'era una cosa che avrei dovuto rimproverare a mia madre era proprio quella di non passare un po' di tempo con mio nonno. Dopotutto, lui prima o poi non ci sarebbe stato più, visto che trasformarlo in un vampiro non era minimamente nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto fare di tutto per passare un po' di tempo in più con lui.

“Seguiremo il tuo consiglio” rispose mia madre, mentre le si allargava un sorriso sul volto di pietra. “Tutti a casa Cullen e chiamerò anche mamma”. Mio nonno si illuminò ancora di più, sembrava che da un momento all'altro si mettesse a ballare e cantare al centro del salotto.

“Non sai quanto mi fai felice, Bells” la ringraziò. “Ci sarà anche Billy?”.

“Si e tutti i ragazzi di La Push” intervenni.

“Wow! Ci entreremo in casa?”.

“Certo” assicurò mio padre. La conversazione continuò per molto tempo, mio nonno era così felice che non la smetteva un attimo di parlare e mia madre si accontentava di dire “si” o semplicemente annuire, mentre mio padre se ne stava immobile e io mi guardavo intorno e seguivo un telegiornale alla tv. Dopo il telegiornale, partì subito un programma di cucina, mi guardai intorno fino a trovare l'orologio che segnava che era l'una e guardando quello stupido programma mi venne una certa fame. Mio padre, naturalmente, se ne accorse subito, mentre mia madre era ancora impegnata ad ascoltare gli aneddoti di mio nonno e le sue ultime avventure, se così si potevano definire, lavorative.

“Mamma” la chiamai e lei si girò verso di me sollevata, come se l'avessi salvata da una prigionia. “E' l'una e oggi devo andare a fare i regali” le ricordai.

“Perché non vi fermate a mangiare qui?” chiese, subito, mio nonno. “A chi devi fare i regali, tesoro?”.

“Devo fare i regali di Natale” lo informai.

“Posso accompagnarti io!” si offrì subito. Mia madre e mio padre si guardarono negli occhi allarmati, ma mio nonno non sembrava se ne fosse accorto e continuava a fissarmi speranzoso.

“Beh, sarebbe fantastico” balbettai. “Voi che ne dite?”. I miei genitori continuarono a guardare prima me e poi i loro occhi, non sapevano che fare e Charlie aspettava impaziente.

“Charlie...” intervenne mio padre, con il tono di chi vuole negare.

“Va bene!” lo interruppe mia madre. “Basta, che state attenti”. Mio padre la guardò adirato, probabilmente non era affatto d'accordo. Come avevo detto prima era iperprotettivo e per lui mio nonno non bastava a tenermi al sicuro dai guai che potevo trovare in una piccola, minuscola, città come Seattle.

“Allora, partiamo subito dopo pranzo” gongolò mio nonno. “Ordino il pranzo. Pizza?”.

“Vada per la pizza” risposi.

“Voi, ragazzi, avete fame?” chiese ai miei genitori.

“No, grazie” risposero in coro. Mio nonno senza fare commenti si alzò e si diresse in cucina, dove digitò lentamente il numero della pizzeria e cominciò ad ordinare la pizza.

“Cosa ti è venuto in mente?” quasi ringhiò mio padre.

“Cosa c'è di male?” chiese mia madre. Mio padre la guardò torvo ma non le rispose, come se la risposta fosse ovvia, come se non ci fosse neanche bisogno di chiedere cosa c'era di male. Dopotutto non c'era, si capivano benissimo le ragioni di mio padre, mio nonno era un umano, un semplice umano, fragile e ormai anche anziano, non avrebbe potuto proteggermi da nessuno, mio padre avrebbe preferito persino Jacob a lui. Ma era pur sempre il padre di mia madre e pur sempre mio nonno, non c'era niente di male se avessi passato un po' del mio tempo con lui, dopotutto cosa potevo incontrare di tanto pericolo a Seattle? Una banda armata? Ero resistente alle pallottole come i vampiri. Un gruppo di stupratori? Non ero forte quando un vampiro, ma avrei potuto ucciderli tutti senza il minimo sforzo. Per una volta ero io la più forte, per una volta non ero io quella che doveva essere protetta, ma quella che doveva proteggere e per una volta mio padre avrebbe anche potuto darmi un po' di fiducia, io non attiravo catastrofi come mia madre. Avevo vissuto sei anni in segreto e nessuno aveva mai sospettato della mia esistenza, ero brava a nascondermi avevo passato tutta la mia vita a farlo e non era un problema passare inosservata. Mia madre continuò a fissare mio padre, aspettandosi una risposta che non arrivò, così sospirando, disse: “Va bene, ne parliamo dopo”. Intanto mio nonno tornò in salotto ancora con il suo sorriso stampato in faccia e mi guardò fiero.

“La pizza sta arrivando!”.

“Fantastico!” esclamai, felice. Poi, prese il telecomando e cominciò a fare zapping cercando un telegiornale che non fosse già finito, mentre la tensione tra i miei genitori saliva sempre di più e diventava sempre più opprimente, tanto che mia madre non riusciva a stare ferma. Non sopportava essere in conflitto con mio padre, non entrava minimamente nei suoi orizzonti, così si alzò di scatto. Troppo, troppo velocemente, tanto che Charlie saltò dalla sedia e la fissò, lei sorrise e girandosi verso di me, mormorò: “Nessie, che ne dici se cominciamo a preparare la tavola?”.

“Va bene, mamma” risposi, alzandomi molto più lentamente e seguendola in cucina.

“Le cose sono dove le hai lasciate l'ultima volta, Bells” la informò mio nonno e riprese a guardare la tv. Mia madre entrò in cucina e sospirando si guardò intorno, cominciò ad aprire i mobili e a cercare quello che le serviva per poi passarmelo, così che io potessi posizionarlo sul tavolo. Si muoveva così velocemente che stentavo a riconoscerla, di solito mia madre era una persona calma e non si alterava facilmente, invece ora era agitata all'inverosimile e non riusciva neanche a controllarsi. Che esagerazione.

“Mamma, ti senti bene?” chiesi, con un po' di ingenuità nella voce.

“Si” balbettò. Ma continuava a muoversi così velocemente, i piatti nelle sue mani sembravano fogli di carta velina, così fragili che un soffio di vento li avrebbe strappati. Le afferrai il polso saldamente e lei si fermò per un attimo, ma non alzò lo sguardo verso di me, semplicemente si girò verso la finestra.

“Devi calmarti” le consigliai. “Finirai per rompere qualcosa”.

“Sono calma” disse lei.

“Davvero? A me non sembra” risposi, ridendo sotto i baffi. “Che ne dici, se ora ti siedi e qui finisco io?”. Automaticamente, si sedette sulla prima sedia che trovò e portò le braccia al petto, io girai intorno alla tavola fino a raggiungere la credenza ed iniziai a preparare la tavola, mentre lei continuava a guardar fuori. Sentimmo le ruote arrugginite di una bici percorrere il vialetto e poi avvicinarsi alla porta per bussare il campanello. Visto che nessuno si mosse dal proprio posto, pensai che fosse meglio andare ad aprire al poveretto che stava aspettando fuori, soprattutto se faceva così freddo come sosteneva mio nonno. Passando davanti al salotto mio nonno mi guardò e disse: “Nessie, i soldi sono sull'entrata”. Presi i soldi e mi diressi verso la porta, la aprii piano per non spaventare il ragazzo che aspettava fuori, con due cartoni fumanti in mano.

“Ciao” lo salutai. Era bassino, doveva avere sui sedici anni, aveva una faccia tonda e qualche problema con l'acne, mi squadrò da capo a piedi e poi, mi sorrise con aria imbambolata. “Ciao” balbetto. “Ho portato...le pizze”.

“Quanto ti devo?” chiesi, sorridendogli.

“Mmh...10$” mormorò.

“Ok” risposi. “Ecco a te”. Mi porse le pizze lentamente, attento a non sbilanciarsi per farle cadere, le presi con più sicurezza di quanto ne avesse lui e poi, sorridendogli, lo salutai e mi richiusi la porta alle spalle.

“Nonno, sono arrivate!” lo chiamai.

“Arrivo” esclamò. Si alzò rumorosamente dalla poltrone e si diresse in cucina, mio padre venne verso di me e mi sfilò le pizze di mano, sorridendo, e si diresse in cucina. Ci sedemmo tranquillamente attorno al tavolo e mia madre divise le pizze per me e mio nonno, posizionandole nel piatto. Cominciai a mangiare lentamente, mentre mio nonno riprese a parlare con mia madre, così facendo la distrasse un po' dalla tensione che c'era ancora con mio padre. Quando finimmo di parlare aiutai mia madre a lavare i piatti e lei iniziò con la predica.

“Mi raccomando, sta attenta” iniziò.

“Cosa vuoi che ci sia di pericoloso a Seattle?” chiesi, scettica.

“Non si può mai sapere”.

“Già, chissà cosa si può incontrare!” esclamai. “Magari un vampiro in vacanza...”

“Non scherzare!” rispose, ridendo.

“Andiamo! Lo stai dicendo solo perché papà non vuole che vada con Charlie” la rimproverai.

“Non è vero!” negò lei. “Sono solo preoccupata”.

“Se sei tanto preoccupata, perché hai detto si?”.

“Non volevo deludere Charlie” mormorò.

“Non preoccuparti, starò attenta” risposi, sorridendole.

“Grazie” disse, rincuorata e poi posò l'ultimo piatto nella credenza. Ci dirigemmo in salotto, dove mio padre e mio nonno continuavano a guardare la televisione senza proferir parola. Mi avvicinai a mio nonno e dissi:”Allora, andiamo?”

“Certo!” esclamò. “Vado a prendere la macchina della polizia”. Rimasi un attimo immobile, mi ero del tutto dimenticata che avremmo dovuto prendere quella macchina, era imbarazzante dover andare in giro con le sirene sul tetto dell'auto. Non sarei mai riuscita a passare inosservata così, ma cosa avrei dovuto fare?

“Non potremmo prendere la Volvo” chiesi, disperata.

“E come faranno i tuoi genitori?” mi chiese di rimando mio nonno.

“Non preoccuparti” intervenne mia madre. “Faremo una passeggiata”.

“Allora, vada per la Volvo” rispose mio nonno, sorridendo. Ormai per lui non contava con quale macchina dovessimo andare, bastava solo che andassimo insieme. Era davvero eccitato e non vedeva l'ora di partire e lasciarsi dietro Forks e tutto il resto. Mia madre tirò per un braccio mio padre, che di malavoglia la seguì fuori dalla casetta di mio nonno e ci aspettarono nel vialetto. Io aspettai che mio nonno indossasse il cappotto e poi uscimmo insieme.

“Allora ci vediamo stasera” mi salutò mia madre, dandomi un bacio sulla fronte e poi si allontanò. Mi si avvicinò mio padre con l'aria di chi avrebbe avuto voglia di afferrarmi e scappare il più lontano possibile, ma la sua parte da gentiluomo gli imponeva di stare in silenzio e lasciar perdere. “Non preoccuparti papà, andrà tutto bene”  gli dissi usando il mio potere, ma lui non si tranquillizzò neanche un po'. “Tieni acceso il cellulare” sibilò, a voce così bassa che mio nonno non riuscì a sentirlo. Annuii impercettibilmente, poi gli diedi un bacio sulla guancia e mi allontanai. Raggiunsi mio nonno, che intanto era già entrato in macchina e l'aveva messa in moto, e mi sedetti al posto del passeggero, allacciando la cintura per non far preoccupare ancora di più mio padre. Lui, intanto, aveva raggiungo mia madre e aspettavano che noi ce ne andassimo per tornare a casa, speravo solo che mio padre non esagerasse, lei si sentiva già abbastanza in colpa. Mio nonno partì e in un attimo ce li lasciammo alle spalle, mentre le case sfrecciavano al nostro fianco estrassi il cellulare e mi assicurai che non ci fosse il silenzioso, mio nonno mi guardò sott'occhio ed esclamò: “Wow! Chi te l'ha regalato quello?”.

“Papà, stamattina” risposi.

“Per Natale?”.

“Si”. Restammo in silenzio e io presi a guardare il paesaggio, Forks era sempre la stessa, non c'era niente di diverso persino le persone e i luoghi dove trovarle erano sempre uguali.

“Quando inizi la scuola, Nessie?” chiese, improvvisamente, mio nonno.

“Penso a Settembre” risposi, incerta.

“Andrai alla scuola di Forks?”.

“Non lo so, non abbiamo ancora deciso”. Il discorso morì così e io e mio nonno ci rintanammo ognuno nei propri pensieri, mentre io guardavo dal finestrino lui fischiettava allegramente.

“Siamo arrivati” mi informò, mentre parcheggiava. Spenta l'auto, scendemmo tranquillamente e poi seguii mio nonno per Seattle, visto che lui la conosceva molto meglio di me.

“Hai già qualche idea?” chiese mio nonno.

“Veramente, no” ammisi, sconsolata.

“Allora possiamo fare un giro per la città” disse, contento di poter prolungare quella gita. Camminammo tra i negozi, ce ne erano di tutti tipi, da quelli più strani a quelli che potevi trovare da per tutto. Passammo davanti ad un'enorme gioielleria e in vetrina vidi un bellissimo fermaglio d'oro tempestato di turchesi, mi venne subito in mente la figura slanciata di mia zia Rose, pensai che le sarebbe piaciuto.

“Entriamo un attimo qui?” chiesi a mio nonno.

“Cosa hai visto?” domandò lui.

“Quel fermaglio” risposi, indicando il gioiello dietro la vetrina. Mio nonno diede una veloce occhiata al fermaglio e poi mi guardò sbalordito.

“E come pensi di pagarlo?” chiese di nuovo.

“Ho la carta di credito” lo informai e lui facendo spallucce, mi aprì la porta. Entrai nella gioielleria e cominciai ad guardarmi intorno, era finemente decorata e nessun dettaglio era lasciato al caso. Mi si avvicinò una commessa vestita di tutto punto, come se fosse anche lei parte dell'arredamento e sorridendomi mi chiese: “Posso esservi utile?”.

“Si” risposi. “Quel fermaglio in vetrina, vorrei vederlo”.

“Certo”  rispose lei, poco convinta, forse pensava che la stessi prendendo in giro. Intanto, mi guardai intorno mentre la ragazza litigava con la vetrina che non ne voleva sapere di aprirsi.

“Nonno, cosa piaceva a mamma?” gli chiesi, sperando mi desse qualche idea.

“Beh, amava i libri e...tuo padre” balbettò lui. Bene, il nonno non era d'aiuto, dovevo cavarmela da sola. Mi avvicinai al bancone, dove c'erano tutti i ciondoli. Ce n'erano di tutti i tipi, fiori, farfalle, cuori, scorrevo piano con lo sguardo tutti i ciondoli finché non arrivai ad uno davvero particolare. Era una rosa del deserto, piccola come la falange di un dito e bellissima, non era come le normali rose del deserto che sembravano disordinate e non assomigliavano per niente a rose, ogni petalo, se così si potevano definire, partiva dal centro della pietra e si avvolgevano l'uno intorno all'altro, creando l'effetto di una vera rosa. Ogni petalo aveva il colore della sabbia, con varie venature più scure o più chiare, che percorrevano quasi ogni parte della pietra. Mi fece venire subito in mente il bracciale di mia madre con il lupo e il cuore, a pensarci bene non aveva niente che rappresentasse me sul quel bracciale, e quella rosa mi assomigliava molto, era rara come me. Intanto, la commessa mi si avvicinò con un sorriso nervoso sul volto e mi porse il fermaglio.

“Si, va bene” confermai. “Posso vedere anche quel ciondolo” continuai, indicando la rosa al di là del vetro. La commessa annuì e si accinse ad aprire la vetrine, mio nonno mi si avvicinò e mi tirò per un braccio sussurrando: “Guarda quel ciondolo”. Mi avvicinai alla vetrina a muro a lato del bancone, in bella mostra c'era una scatola di velluto contente un ciondolo d'oro bianco dalla forma ovale con un disegno astratto, che assomigliava vagamente ad una rosa, inciso su di esso.

“Scusi” chiamai la cassiera. “Quello è un porta”foto?”. Lei si avvicinò per capire di cosa parlassi e dopo aver guardato prima me e poi il ciondolò, rispose: “Si, porta due foto”.

“Bene, allora posso vedere anche quello?”. Mentre la commessa prendeva anche la collana, il mio cellulare vibrò prima di cominciare a suonare. Estrassi, velocemente, il cellulare e guardai il numero, naturalmente, era mio padre.

“Ciao, papà” lo salutai.

“Ciao, Nessie” ricambiò lui. “Dove sei?”.

“A Seattle” risposi senza pensarci e intanto cominciai a girovagare per il negozio, non riuscivo a stare ferma mentre parlavo al telefono.

“Lo so, che sei a Seattle” sibilò. “Precisamente, dove?”.

“Non posso dirtelo!” risposi. “Sto facendo i regali!”. Rimase in silenzio per qualche secondo e mi permise di fare un altro giro per il negozio, arrivai vicino alla vetrina di fronte a quella precedente. Conteneva solo penne di tutti i tipi e di tutte le grandezze, al centro appoggiata su un cuscino nero c'era una penna stilografica nera decorata con oro rosso e bianco e all'estremità con pietre preziose. Pensai subito a mio nonno paterno, quella penna era raffinata come lui e aveva un'aria antica che gli si addiceva alquanto.

“Papà, ci sei?” chiesi.

“Si, quando avete intenzione di tornare?”.

“Non lo so, mi manca solo qualche regalo”.

“Va bene, ma fa presto!”.

“Si, papà” risposi. “Ti voglio bene”.

“Anche io” rispose di rimando e chiuse la chiamata. La commessa mi si avvicinò con aria incerta e indicando il bancone, disse: “E' tutto sul bancone”.

“Si” risposi io. “Posso vedere anche questa penna?”. Lei mi guardò cercando di nascondere la rabbia, visto che le stavo facendo perdere molto tempo, ma visto che il negozio era vuoto non era una colpa molto grave. Mi avvicinai al bancone, attendendo che lei prendesse la penna e me la portasse. Arrivò in fretta e mise anche quella sul ripiano di vetro, io diedi una piccola occhiata a tutti gli oggetti e poi aprii il portafoglio per prendere le foto da mettere nell'ovale di mio padre. Le porsi alla commessa che con attenzione le posizionò ognuno al proprio posto e poi lo chiuse nella propria scatola.

“Sono regali?” chiese con negli occhi la speranza che non lo fossero.

“Si” risposi io e lei con un moto di rabbia, iniziò a fare i pacchetti. Mio nonno si avvicinò per guardare quello che avevo scelto e annuiva impercettibilmente ad ogni regalo che guardava e poi apprezzava.

“Cosa voleva tuo padre?” chiese, improvvisamente.

“Niente” sospirai. “Voleva sapere dove fossi”. Lui non rispose, visto che la ragazza dietro al bancone stava mettendo in una busta i vari pacchetti.

“Paga in contanti o carta di credito?” Stavo per rispondere ma mio nonno mi interruppe di nuovo rispondendo al telefono, poi indicando il cellulare che aveva tra le mani mi disse che andava a parlare fuori. Era l'occasione perfetta! Mi guardai intorno in cerca di qualcosa che avrebbe potuto essere il suo regalo e subito intravidi un orologio d'acciaio, finemente decorato ma non troppo appariscente. Era perfetto per lui, ma dovevo fare in fretta.

“Scusi, può prendere anche questo” esclamai con molta urgenza nella voce. La ragazza non riuscì a trattenere un sospiro, ma velocemente aprì la vetrina e mi mise tra le mani l'orologio, ritirandole subito quando sentì il calore che emanavano le mie dita.

“Si, va bene” sospirai. “Può incartarmelo?”. Lei non rispose, me lo sfilò dalle mani attenta a non toccarmi e velocemente lo incartò e lo mise nella busta con tutti gli altri.

“Contanti o carta di credito?” chiese di nuovo.

“Carta di credito” risposi, porgendole la carta di credito platino. Poi, dopo che me la restituì presi la busta con i vari pacchetti e raggiunsi mio nonno fuori, che stava ancora parlando al telefono.

“Va bene, Sue, allora ci vediamo stasera” sussurrava. “Ora, sono a Seattle con Nessie”.

“Mi raccomando, non fare tardi che si raffredda la cena” rispose lei.

“No, ma ora vado. Ciao” la salutò lui e le diede solo il tempo di dire “Ciao” che riattaccò. Rimise lentamente il cellulare nella tasca destra dei jeans e poi si girò verso di me, sorridente.

“Fatto?”.

“Si, mi mancano solo Jacob, Alice, Jasper, Esme ed Emmett”.

“Idee?”.

“No” risposi, sorridendogli. “E tu?”.

“Mi dispiace, piccola, non sono mai stato bravo con i regali” mormorò, mentre gli si dipingeva sul volto un sorriso impacciato. Continuammo a camminare per la città, passeggiando tranquillamente mi guardavo intorno, camminare con mio nonno era rilassante, lui non era lì per proteggermi e non ne aveva la minima intenzione, certo se ce ne fosse stato bisogno non avrebbe esitato a mettersi tra me e chiunque altro. Passammo davanti a vari cartelloni pubblicitari e ad attirare la mia attenzione fu un cartellone più grande degli altri, che pubblicizzava la vendita di biglietti per una sfilata di moda di un rinomato stilista.

“Secondo te, dove li vendono quei biglietti?” chiesi, improvvisamente, a mio nonno. Lui alzò lo sguardo verso il cartellone pubblicitario e poi si guardò intorno in cerca di una risposta.

“Forse lì” rispose, indicando un negozio che si trovava all'angolo di un incrocio. Ci avvicinammo e quando entrammo, facemmo  suonare un campanello ed un uomo sulla cinquantina si girò a guardarmi incuriosito.

“Posso esservi utile” chiese.

“Posso comprare qui i biglietti per quella sfilata?” domandai, indicando con un dito il cartello posto proprio di fronte al negozio.

“Si, certo” rispose, subito lui. “Quanti ne desidera?”.

“Due” risposi decisa, mi dispiaceva per Jasper ma qualcuno doveva pur accompagnare Alice e visto che io non ci tenevo minimamente, lui era la persona più adatta. Il negoziante fu molto veloce e mise i biglietti sul bancone.

“Può incartarmeli?” chiesi, educata. Lui annuì piano e prendendo un pacchetto blu ci infilò i due biglietti, poi velocemente lo incartò con una carta rossa e me lo porse. Lo presi e gli diedi in cambio la carta di credito, lui la guardò un attimo sorpreso, probabilmente non aveva mai visto una carta platino, e poi me la ridiede una volta effettuato il pagamento. Io e mio nonno uscimmo in silenzio e continuammo a percorre il marciapiede, quando ad interrompere il nostro silenzio fu lo squillo del mio cellulare. Non ci fu neanche bisogno di leggere il nome sul display, sapevo benissimo chi era...

“Papà?” risposi e mio nonno sbuffo.

“Nessie, dove sei?” ringhiò quasi mio padre.

“Sono sempre a Seattle” dissi, annoiata. “Dove vuoi che sia?”.

“Quanto tempo ci vuole ancora?”.

“Non lo so” sbuffai. “Sono solo le cinque, è pieno pomeriggio!”. Mio padre sbuffò e in lontananza sentivo la voce di qualcun'altro che sbraitava, ma non riuscii a capire chi fosse.

“Va bene” si lamentò mio padre. “Ma devi tornare prima delle sette”.

“Otto!” urlai.

“Sette e mezza! Altrimenti vengo a prenderti ora”.

“Va bene, va bene” risposi, scocciata.

“Ciao, tesoro” mi salutò lui e chiuse la chiamata, soddisfatto. Con un moto di rabbia rimisi in tasca il cellulare e mio nonno mi guardò di traverso.

“Cosa voleva ora?”.

“Devo tornare alle sette e mezza” sospirai e per quanto la tentazione di fare anche solo cinque minuti di ritardo mi allettasse alquanto, sapevo che ciò sarebbe stato uguale a non uscire più almeno per il resto della mia vita.

“Allora, dovremmo sbrigarci” scherzò mio nonno. “Sono già le cinque”. Risi insieme a lui, spensierata come non mai e continuammo a camminare sul marciapiede, fino ad arrivare davanti ad un negozio per architetti. “Nonno, possiamo entrare un attimo?” chiesi, prendendolo per un braccio e lui mi seguì nel negozio. Entrammo in un negozietto tutto disordinato, c'erano oggetti strani di cui non conoscevo il nome e altri che conoscevo impilati in modo precario ed erano pericolosamente traballanti. Io e mio nonno, con molta attenzione, ci avvicinammo al bancone e visto che non c'era nessuno premetti il campanello. Dopo qualche minuto, da una porta, con su un invito a non entrare, uscì una vecchietta vestita fin troppo elegantemente per quel negozio e si avvicinò il più velocemente possibile.

“Cosa posso fare per te, tesoro?” mi chiese, benevola.

“Vorrei un set per architetto” spiegai, brevemente.

“Certo, se aspetti un secondo lo prendo” rispose, sorridendo.

“Grazie” mormorai, mentre la signora tornava nel retro e si accingeva a prendere un set completo, lasciando me e mio nonno soli in quel disordinato negozietto.

“Che ordine” commento lui, come se mi avesse letto nel pensiero.

“Già” mormorai io, guardandomi intorno.

“Pensi che ti chiamerà qualcun'altro?” domandò mio nonno guardandomi negli occhi.

“Chi dovrebbe chiamarmi?” chiesi di rimando.

“Sono tutti così preoccupati” sibilò. “Come se io non sapessi proteggerti”.

“Papà è solo molto protettivo” mormorai, cercando di giustificare mio padre.

Lui sbuffò e poi aggiunse: “Ci manca solo che ora ti chiami Jacob”.

“Perché dovrebbe chiamarmi Jake?” domandai, scettica.

Lui mi guardò di traverso e poi disse: “Si vede lontano un miglio che ha una cotta per te!”.

“Io e Jake siamo solo amici!” sibilai e mio nonno sorrise sarcastico, ma non disse niente. Mi voltai verso il bancone e aspettai paziente che la signora tornasse con quello che mi serviva, intanto pensavo alla conversazione con mio nonno. Io e Jake eravamo solo amici e poi anche volendo non avrebbe potuto chiamarmi, lui non aveva un...cellulare! Era il regalo perfetto per il mio lupo, così avremmo potuto rimanere in contatto, felice della mia intuizione sorrisi all'anziana signora che intanto era tornata con in mano tutto quello che mi serviva.

“Ecco a te, piccola” mormorò porgendomi l'intero set.

“Può incartarmelo?” chiesi, educata.

“Certo” rispose, sfilandomi gli oggetti tra le mani e cominciando ad incartarli. Poi, me li ripose e dopo che ebbi pagato, la salutai educatamente ed uscii dal negozio con mio nonno alle spalle.

“Che ore sono?”.

“Non preoccuparti, Nessie, sono solo le cinque e mezza” rispose mio nonno, guardando il suo vecchio orologio ormai prossimo alla dipartita finale e mi sentii soddisfatta pensando che gliene avevo regalato uno nuovo.

“Chi ti manca?” domandò di nuovo mio nonno.

“Solo Emmett e Jake” risposi, velocemente.

“Cosa hai intenzione di regalargli?” chiese, impaziente, mio nonno.

“A Jacob avevo pensato di regalare un cellulare” dissi, convinta.

“C'è un negozio qui vicino” mi informò mio nonno e si diresse verso il negozio di cui parlava e io lo seguii, continuando a guardarmi intorno incuriosita da quel posto che non avevo mai visto e che mi piaceva molto. Arrivammo davanti ad un negozio con un enorme vetrina piena di cellulari di tutti i tipi e tutte le dimensioni, li guardai ad uno a uno cercandone qualcuno che potesse andare bene per Jake, finché il mio sguardo non cadde su un cellulare nero che si trovava in un angolo della vetrina. Mi abbassai per guardarlo meglio e lessi sotto il cartellino con su scritto “Nokia n97 nero”. Mi piaceva e probabilmente sarebbe piaciuto anche a Jake, così velocemente entrammo nel negozio e mi feci incartare il cellulare poi, uscimmo velocemente e mi fermai fuori dal negozio per chiedere un consiglio a mio nonno. Per il regalo ad Emmett ci avevo pensato molto mentre il ragazzo mi impacchettava il cellulare di Jake ed ero arrivata ad una conclusione, ma non sapevo proprio dove andare a cercare una cosa del genere.

“Nonno” lo chiamai, un po' incerta.

“Si, piccola?” chiese lui.

“Dove potrei comprare dell'attrezzatura da trekking?”.

Lui ci pensò un attimo, guardandosi intorno. “Non so se qui c'è un negozio, ma a Forks c'è quello dei Newton”.

“Perfetto!” risposi, sollevata.

“Allora, andiamo a prendere la macchina” esclamò mio nonno con il sorriso sulle labbra. Raggiungemmo la Volvo e velocemente, mio nonno mise in moto e cominciammo a sfrecciare tra le strade di Seattle. Non parlammo molto durante il tragitto, mio nonno, guardando una casa o l'altra mi raccontava la storia della famiglia che vi abitava e io ascoltavo interessata. Poi, arrivammo di fronte al negozio di articoli sportivi dei Newton e mio nonno mi raccontò della cotta che Mike, il figlio del proprietario, si era preso per mia madre quando lei andava alla scuola di Forks. Entrammo e ad accoglierci fu un ragazzo con un viso infantile e dai capelli biondo cenere. Ci guardò per un attimo, poi si aprì in un enorme sorriso.

“Buongiorno, ispettore Swan” salutò. Poi guardandomi intensamente, continuò: “Lei chi è?”. Mi avvicinai al bancone e porgendogli la mano, risposi: “Renesmee Cullen, tu sei?”.

“Mike... Mike Newton” balbettò. “Cullen, hai detto?”.

“Si, perché?”.

“No, niente. Avevo dei compagni di scuola con quel cognome” spiegò brevemente. Poi, riacquistando tutto il suo buon umore, aggiunse: “Cosa posso fare per voi?”. Stavo per rispondere, quando il trillo del cellulare ci interruppe per l'ennesima volta, guardai mio nonno, il cui sguardo era ricolmo di rabbia, e mormorai: “Puoi pensarci tu?”. Lui annuì e io dando la schiena al bancone, risposi al cellulare.

“Papà!” esclamai, adirata.

“Nessie, dove sei?” chiese lui.

“Sono le sei!” risposi, indignata.

“Dove sei?” ripeté lui, scandendo le parole una ad una.

“Mi passi mamma?” domandai, riacquistando la calma.

“Perché?” mormorò lui, sorpreso.

“Devo dirle una cosa” spiegai, brevemente. Sentii il vento che soffiava nel microfono, mentre mio padre si muoveva a velocità inumana verso mia madre. “Vuole te” mormorò, porgendole il telefono.

“Tesoro, come sta andando la gita?” iniziò lei.

“Mamma, togligli quel cellulare di mano!” sibilai.

Mia madre sospirò. “Scusa, lo sai che è ansioso”.

“E' la terza volta che mi chiama!”.

“Si, hai ragione. Farò il possibile” promise.

“Va bene, grazie” risposi, con evidente gratitudine nella voce.

“Divertiti, tesoro! E per favore, non fare tardi” mi salutò.

“Va bene, mamma” risposi e chiusi la chiamata. Raggiunsi mio nonno e Mike al bancone che stavano parlando amabilmente.

“Allora, come va l'università?” gli stava chiedendo mio nonno.

“Me la cavo” rispose lui, abbassando lo sguardo, probabilmente non gradiva quell'argomento. Quando mio nonno mi vide avvicinare, fissò la tasca dove avevo risposto il telefono e poi, sprezzante, disse: “Era Edward, vero?”.

Non ebbi il tempo di rispondere che intervenne Mike. “Edward? Edward è tuo padre?”.

“NO!” esclamai, subito. “Edward è solo mio fratello”. Mike non sembrava molto convinto ma tornò a sorridermi con aria imbambolata, mentre prendeva i vari pezzi del set che mi serviva.

“Ecco qui” disse, alla fine, soddisfatto. “Che ne dici?”. Cominciai ad esaminare i pezzi uno ad uno, controllando che non mancasse niente e che fossero tutti integri, lui continuava a fissarmi e io mi sentivo leggermente imbarazzata.

“Vieni qui, spesso?” chiese, improvvisamente.

“No” risposi, sincera. “Sono qui di passaggio”.

“Peccato” mormorò lui. “E cosa sei venuta a fare?”. Non sapevo cosa rispondergli, così gli lanciai un'occhiataccia e lui si ritirò subito. “Scusa” disse, grattandosi la nuca. “Non sono affari miei”.

“Credo che sia tutto a posto” continuai, risoluta indicando gli oggetti sul bancone. “Puoi incartarmeli?”.

“Certo” esclamò lui, felice che non me la fossi presa e iniziò ad incartare il mio regalo. Io e mio nonno aspettammo pazienti, finché lui non mi porse il pacco e io lo poggiai ai miei piedi per pagare. Mio nonno lo prese e disse: “Comincio a portarlo in macchina” ed uscì velocemente.

“Spero di rivederti presto” continuò Mike, senza perdere le speranze.

“Non penso che tornerò a Forks molto presto” mormorai, con finto rammarico.

“Dove vivi?”.

“Lontano” risposi, brusca.

“Fatto” esclamò, ridandomi la carta di credito.

“Allora, arrivederci” mi salutò, sorridendo.

“Ciao” sussurrai ed uscii velocemente dal negozio. Raggiunsi mio nonno, che mise subito in moto senza dire una parola e così continuò per tutto il viaggio. Probabilmente, era arrabbiato con mio padre perché non gli dava abbastanza fiducia e aveva perso tutta la sua voglia di parlare. Arrivammo davanti casa Cullen dopo una decina di minuti e mio nonno fermò la macchina proprio di fronte all'entrata. Sulla soglia c'erano già mio padre e Jacob, impazienti e dietro di loro mia madre che cercava di trattenerli inutilmente. Appena uscii dalla macchina mi si avvicinarono in un attimo e si aprirono in un sorriso liberatorio, da quant'è che andavano così d’accordo?

“Finalmente” esclamò mio padre abbracciandomi. Mio nonno era rimasto in macchina e mia madre gli si avvicinò per parlargli.

“Bells, perché non mi accompagni a casa” disse. “Così ti riporti la macchina”. Mio padre interruppe subito l'abbraccio e guardò mio nonno adirato, mentre Jacob raccoglieva tutti pacchetti. “Lasciala andare!”, mio padre mi prese per la mano, come se avessi cinque anni, e mi condusse in casa, poi andò a salutare mia madre e la guardò mentre partiva.

“Nessie, perché ci hai messo tanto?” chiese, tornando in casa.

“Avevi detto che dovevo tornare alle sette e mezza, sono le sei e mezza” lo informai. “Sono in netto anticipo”.

“Non dovevi andare con Charlie!” esclamò Jacob.

“Perché, no?” domandai, arrabbiata.

“E' pericoloso” rispose, calmo mio padre.

“Io non ho visto niente di pericoloso” esclamai.

“Ragazzi, basta!” intervenne mio nonno. “Nessie, ha passato una bella giornata con Charlie, non rovinategliela”.

“Comunque non succederà più” continuò Jacob e io gli lanciai un'occhiataccia, che lui ricambiò con uno sguardo protettivo e preoccupato. Mi si avvicinò, superando mio padre che non lo fermò e guardandomi negli occhi, mormorò: “Ci hai fatto preoccupare molto”.

“Mi dispiace, ma non posso farci niente! Io mi sono divertita” precisai.

“Mi fa piacere” rispose lui.

“Nessie, ora dobbiamo andare a casa” mi informò mio padre.

“Va bene”. Salutai tutti velocemente e augurandogli la buonanotte uscii di casa, seguita da mio padre e Jake. Corremmo per la foresta, ormai buia, probabilmente avevano fretta di arrivare a casa e io non avevo nulla in contrario. Arrivammo davanti casa e salutai Jake con un bacio sulla guancia e stranamente mio padre non disse niente, era troppo sollevato del mio ritorno e ancora preoccupato per mia madre. Jake sparì tra le foglie delle felci e potei sentire le sue zampe correre sulla neve e poi sparire in lontananza, per poi seguire mio padre in casa. Cenai, velocemente, e poi andai in bagno per lavarmi e indossare il pigiama. Mi infilai nel letto e chiusi gli occhi, attendendo che il sonno mi prendesse e mi portasse via con se. Però, il cigolio della porta che si apriva mi costrinse a non cedere ancora al sonno.

“Nessie” mi chiamò piano mio padre. “Dormi?”.

“No” mormorai, con la voce stanca. Mio padre lentamente venne a sedersi sul mio letto e io mi girai verso di lui, che mi guardava intensamente con i suoi occhi dorati.

“Hai gradito il mio regalo?”.

“Si, ma sto pensando di restituirtelo! Oggi è stato fin troppo utile!” scherzai e lui rise di buon umore.

“Mi dispiace, piccola” si scusò, accarezzandomi la fronte.

“Sai” iniziai. “Ho incontrato Mike Newton”. A quel nome un fremito percorse la schiena di mio padre e trasformò il suo sguardo, facendolo ridivenire preoccupato, mentre guardava il mio incontro con il suo ex compagno di scuola e quando vide che ci eravamo quasi traditi, gli scappò un sibilo.

“Non preoccuparti” dissi. “Non credo sospetti qualcosa”.

“Certo che no” esclamò lui. “Sicuramente, stava pensando a qualcun'altro”.

“Sei geloso?” chiesi, incredula e lui non rispose, al che scoppiai in una sonora risata.

“Andiamo, papà! Probabilmente non lo rivedrò più!” esclamai e lui sembrò rasserenarsi un po'.

“Ora, però, dormi” ordinò, sfiorandomi la fronte con un bacio ed uscendo velocemente dalla mia stanza, richiudendosi la porta alle spalle. Chiusi di nuovo gli occhi, sperando che nessuno mi interrompesse più, era stata una lunga giornata, anche se mi ero divertita molto con mio nonno e ora, pensandoci bene, anche la gelosia e la preoccupazione di mio padre erano divertenti. Non so quanto tempo ci misi per addormentarmi, l'ultima cosa che ricordo era la foto sul comodino dei miei genitori e il rombo di un'auto in lontananza. Dopodiché caddi in un sonno profondo e le uniche cose che mi fecero compagnia furono i sorrisi delle persone a me care, e il fischiettare allegro del mio caro nonno umano...


NDA: spero che questo capitolo vi piaccia e spero vogliate lasciarmi qualche commento!! Grazie in anticipo e buona lettura!!
  
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