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Autore: Ziggie    28/07/2011    2 recensioni
"Scappai di casa a 13anni. Venire picchiato da mattino a sera, da un padre padrone e ubriacone, mi aveva stancato. Non avevo avuto un’infanzia, non sapevo cosa volesse dire essere un bambino, io non lo ero mai stato; non conoscevo l’affetto, io non l’avevo mai ricevuto. Non conobbi il volto di mia madre, morta dandomi alla luce, ma conobbi l’ira del mio vecchio, che ogni sera non mi risparmiava botte e bastonate, così feci quanto andava fatto".
Questa fic parla della vita di Hector Barbossa, sono frammenti che il capitano scrive sul suo diario di bordo quando ancora non è diventato uno tra i temibili pirati dei sette mari. Svariate informazioni sono di mia invenzione, ma la maggiorparte vengono dalle rare informazioni che ci sono pervenute, molti spunti biografici sono presi da questo sito (http://pirates.wikia.com/wiki/Hector_Barbossa) E ora a voi, buona lettura e spero di leggere qualche recensione :)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hector Barbossa
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Rieccomi con un nuovo frammento, forse il penultimo, forse il terzultimo, devo ancora decidere. E' piuttosto lungo, quindi armatevi di pazienza e leggete con calma; mi sono divertita moltissimo a scriverlo, scoprirete il perchè tra le righe.
Non ho precisazioni da fare, è tutto frutto della mia fantasia :) Buona lettura compari  

                11. “L’oro delle tenebre”

L’impresa si era presentata senza capo ne coda; il viaggio senza una meta precisa; non sapevamo cosa dovevamo cercare, dove dovevamo andare; nessuna mappa, solo sette oggetti d’oro dispersi ai quattro angoli della terra.

- Partire senza sapere la rotta, fermare una sorta di scienziato pazzo, salvare la fratellanza – ragionò Jack, mentre la ciurma terminava di riapprontare la nave sotto i miei ordini – una bazzecola, se sai da dove partire!!! – gesticolò le mani in aria, irritato.
- Oh! Ma tu sai da dove partire, capitan Sparrow! – commentò ammiccante Tia Dalma, apparendo alle sue spalle.
- E tu da dove spunti fuori?!? – sussultò.
- Spero per voi, signora pescheria, che non vogliate unirvi alla ciurma – mi intromisi io, seccato dall’apparizione della donna.
- Una donna a bordo porta male, conosco le dicerie marinaresche – mi si avvicinò, ad un soffio dalle mie labbra, accarezzandomi il petto – come conosco il vostro animo Barbossa, per nulla toccato da queste dicerie -. Mi diede una spinta, staccandosi da me e tornando a Jack – alla ricerca dei sette pezzi delle tenebre partirete e con questa  bussola li troverete – staccò la piccola scatoletta dalla cinta che aveva in vita e la porse a Jack, che la aprì senza troppe cerimonie.
- Non punta a nord – la agitò, ma invano: l’ago della bussola continuava a puntare verso di lui. La donna ghignò, mentre io sospirai, ci mancava soltanto una bussola rotta adesso!
- Punta in direzione della cosa che, il possessore, vuole di più a questo mondo – spiegò la strega.
- Stai scherzando?!? Donna voodoo… Dalma… Tia… E’ sul serio magica questa scatoletta? – chiese, cercando di mantenere la mente lucida, Jack.
- Quanto le mie parole – assicurò la donna – ti sarà utile, capitano, vedrai -.
- Ninnoli magici, parole… Possiamo almeno sapere cosa diavolo dobbiamo recuperare prima di Dumas? – sbottai impaziente, stavamo perdendo troppo tempo.
- I mari del mondo solcherete, alla ricerca di tesori di ogni specie: il sestante d’oro di Colombo; la coppa d’oro in cui, il dio Bacco, degustava il suo vino: la tessera d’oro del gioco del majong, appartenente a Sao Feng; il medaglione di Atena; il bracciale di Circe; la tiara della regina Aya e l’anello di Morgan. A voi non resta che i sette oggetti trovare, a me la fortuna da augurare -. Ridacchiò poi, sparendo come era venuta, avvolta da un fumo che odorava di incenso e spezie.

Il viaggio non fu dei più semplici ne dei più brevi; più volte ci trovammo ad affrontare gli uomini di Dumas, via mare o via terra, con la compagnia delle Indie Orientali alle calcagna.
La nostra prima tappa fu l’isola di Capo Verde. Meta: il centro della foresta, un vulcano spento. Eravamo in tre ad agire in quell’impresa: io, Jack e Sputafuoco Bill. Insieme ci arrampicammo su per quella montagna: l’odore di zolfo si poteva sentire nell’aria e ti impregnava le viscere, non appena ti affacciavi alla bocca della bestiolina dormiente. Ci calammo al suo interno, aiutati da una cima che agganciammo ad una roccia sporgente della parete vulcanica e proseguimmo, fino a tastare il terreno acquitrinoso formato da: ciottoli, acqua e lava spenta.
Il passaggio non era dei migliori, molti teschi ornavano il pavimento e le loro mani scheletriche indicavano di proseguire verso destra, come se fosse l’unica direzione possibile.
- Ci fidiamo di mani morte o anche del supporto di una bussola magica? – domandai sarcastico, scandendo scettico quelle parole.
- Di entrambi – sorrise Jack, barcollando spedito verso destra – indicano tutte e due la medesima direzione -. Eravamo entrati, senza accorgercene, nel labirinto della morte: cunicoli profondi, strade senza uscita, morti ad ogni angolo e al centro di tutto questo: la tiara della regina Aya, un diadema d’oro con incastonato, al centro, uno zaffiro.
Non racconterò tutto nei minimi dettagli però, devo lasciare spazio anche alle altre imprese, vi basti sapere che sono scampato alla morte e siamo usciti vivi per miracolo da quel buco infernale. Dopo aver afferrato la tiara, la terra ha iniziato a tremare e il supporto della cima ha ceduto, così risalimmo la parete rocciosa a mani nude, sotto il tremore sempre più forte.

Salpammo, nuova destinazione: Singapore.
Jack agì da solo in questa occasione. Nel quartier generale di Sao Feng, aveva due conoscenze alquanto intime, che lo aiutarono ad intrufolarsi nella sala del gioco. Tutto filò liscio, il furto passò inosservato, così credeva Jack, così credevamo noi.
Salpammo alla volta di Santa Cruz, ma appena al largo di Singapore, la Empress, la nave di Sao Feng, ci bloccò la via.
- Passato inosservato, eh! – brontolai, lanciandogli una frecciatina.
- Ci penso io, compare – agitò una mano come se avesse la situazione ben salda tra le mani, roteai gli occhi. – Sao Feng, ma che piacere! -
- Finiamola con i convenevoli, Sparrow. Rivoglio quanto hai di mio -.
- Di tuo? – alzò un sopracciglio – Amico, eppure hai partecipato al consiglio della fratellanza. Oh! Si, dimenticavo. La signora voodoo non ha ritenuto importante renderti partecipe a pieno dei fatti -.
- Jack, lo stai facendo irritare – gli feci notare ovvio, ma non mi diede retta finché una katana non gli sfiorò il cappello – Tutta a tribordo, Hector! – ordinò a gran voce, deglutendo a vuoto. Scappare via senza risolvere i problemi, scossi il capo, ma non gli diedi torto; in quella situazione combattere ci avrebbe indebolito e rallentato e, ciò, non giovava alla nostra causa.
Il vento ci era favorevole, distaccammo la Empress ed entrammo nelle acque del Pacifico.

- Cosa ci aspetterà sull’isola di Santa Cruz? – Jack si attorcigliò attorno ad un dito, una treccina della barbetta, pensieroso.
- Secondo me, riguarda il sestante di Colombo, visto che l’isola si trova a fianco di San Salvador – risposi pacato, poggiandomi al parapetto, al suo fianco.
- Com’è che tu sai sempre tutto? -
- Cosa c’è da sapere? Colombo è approdato sull’isola di San Salvador, Santa Cruz è ad ovest di quest’ultima, è logico che lì ci sia la proprietà del genovese -. E infatti avevo ragione, dopo tre buone settimane di viaggio, arrivammo sull’isola. La circumnavigammo finché quella dannata scatoletta ci indicò la direzione giusta da seguire.
Nell’impresa, a me e a Jack, si unirono Pintel e Ragetti stavolta; calammo in acqua una scialuppa e guadammo il fiume fino ad una piccola baia, non delle più invitanti. Sulle piccole spiaggette ai lati erano impalate, su alcune picche, teste umane: qualcuna appena mozzata, altre già in putrefazione.
- Ci toccano sempre luoghi allegri e pittoreschi, eh! – commentò ironico Jack, deglutendo a vuoto, passandosi una mano sul collo, come ad assicurarsi di aver ben salda la testa.
- Che ti aspettavi? Petali di rosa cosparsi a terra al tuo passaggio? – sospirai.
- Non sarebbe stata una cattiva idea -.
proseguimmo fino ad un’enorme cascata e scendemmo a terra, prendendo alcune torce che avevamo portato con noi per l’evenienza, proseguendo a piedi all’interno di essa.
Fu difficoltoso accendere la fiamma delle due torce, l’umidità non aiutava, ma alla fine ci riuscimmo e continuammo il cammino. L’ago magnetico puntava verso la profondità della grotta, un nuovo cimitero. Lance, spade, qualche moneta e molti scheletri occupavano quella sala e tra tutte queste simpatiche persone, lo scorsi: il sestante stava tra le mani di uno scheletro con i vestiti sbrindellati. Mi avvicinai e osservai gli altri.
- Avanti Hector, un colpo secco – disse Jack serio, raramente lo vedevo così; annuii e con uno strattone strappai lo strumento dalle mani del cadavere.
Con nostra grande sorpresa non accadde nulla: nessun tremolio della terra o cose simili. Sospirammo di sollievo e a passo svelto ci avviammo all’uscita.
- Ma era veramente Colombo quello scheletro? – chiese Pintel, grattandosi il capo, una volta sulla scialuppa.
- No. Messer Colombo giace sull’isola di San Salvador – precisò Ragetti.
- Com’è che sai sempre tutto tu? – grugnì, mentre io avevo l’impressione di aver già visto quella scena.

In circa due settimane e mezzo, raggiunsimo la nostra quarta tappa: la Martinica.
Isola a cui molti marinai erano devoti, isola che nascondeva ricordi e passioni. Vi erano passati tutti da qui: soldati, marinai, pirati e tra questi ultimi, spiccavano nomi importanti come quelli di Barbanera, Bartholomew Roberts e Morgan. Il quarto pezzo che stavamo cercando era, infatti, l’anello d’oro di quest’ultimo.
Jack lasciò la serata libera alla ciurma, dopo mesi di navigazione, rifocillare le membra nel migliore dei modi era d’obbligo, l’avrei fatto anche io, preferendo un buon boccale di rum e la compagnia di qualche donzella di turno a quella di Sparrow, ma mi vidi costretto ad accompagnarlo, sia per suo ordine, sia per mia curiosità.
Ci lasciammo alle spalle la cittadella e proseguimmo lungo un sentiero che si addentrò, per un tratto, nella boscaglia, per poi arrampicarsi sulla collina. Continuammo a camminare finché la via ci portò dinanzi ad un eremo.
- Dobbiamo entrare là dentro – esclamò Jack seguendo le indicazioni della bussola.
- Anche se bussasti gentilmente alla porta, non credo ti farebbero mai entrare, conciato così – feci notare, lui ghignò. – E’ qui che viene il bello -.
- Ah, no! Scordatelo – agitai le mani, non avevo la minima intenzione di prendere i voti nemmeno per brevi istanti.
- Suvvia, Hector, non fare il timoroso e segui chi ha già esperienza sul campo -.
- Ti sei già travestito da ecclesiastico quindi? – chiesi alzando un sopracciglio, sorpreso.
- Una volta, in un convento spagnolo, storia lunga -.
Entrammo nella piccola casetta lì a fianco, un piccolo rudere, ma aveva quello che faceva per noi: due ampi sai marroni e dei sandali. Jack si tolse il cappello, gli stivali, giacca e camicia e si rivestì, io lo guardai contrariato.
- Dio! Perché mi hai costretto a seguirti? – brontolai, scuotendo il capo, seguendo poi il suo esempio, mettendomi quella sottospecie di sacco addosso.
- Occhio a non imprecare troppo, sei in veste sacra! -
- Mi limiterò, allora, a fulminarti con lo sguardo -.
Una volta pronti, ci recammo all’ampio portone del monastero, con il cappuccio ben calato in testa. Jack bussò e una voce profonda rispose quasi subito – chi bussa a quest’ora della notte? -
- Viandanti! Siamo dei monaci pellegrini alla ricerca di asilo per la notte -.
Non ci si credeva, ma quella banale scusa ci aveva fruttato non solo l’entrata, ma anche un buon piatto caldo. Eravamo finiti in un convento di monache ed ora che ci pensavo meglio, dovevano essere le stesse che avevano preso in custodia Morgan, quando questi era stato gravemente ferito in battaglia.
- Fratello jack, fratello Hector, una piccola cella vi è stata preparata per la notte -. Cella!?!? A quella parola trasalimmo entrambi, guardandoci, Jack con la bocca ancora mezza piena; presi parola – non preoccupatevi sorella, credo che fratello Jack e io passeremo la notte a rifocillarci lo spirito a contatto con l’eterno, non so se mi spiego -.
- Vi spiegate benissimo – sorrise la donna, acconsentendo. E fu così che la nostra ricerca incominciò.
Le monache erano andate a dormire e le uniche luci nel monastero erano quelle della cappella, dove, teoricamente, dovevamo rimanere. Jack prese la sua bussola, la aprì e questa puntò in direzione dell’altar maggiore; lo superammo e finimmo dietro al coro. Qui vi era una piccola teca in vetro e legno, posta sotto un dipinto della Vergine; dentro di essa vi erano svariati ninnoli tra cui un anello completamente d’oro, con inciso sopra un serpente, che era quello che cercavamo.
Passai il mio pugnale a Jack e gli coprì le spalle; lui forzò la teca, aprendola senza il minimo rumore, afferrando non solo l’anello di Morgan, ma anche un altro lì a fianco, richiuse poi il tutto come se nulla fosse e mostrò un sorriso a ventiquattro carati al quadro della madonna.
- Ora che si fa? Questo saio prude! – mi lamentai, grattandomi braccia, petto, gambe.
- Ora ci caracolliamo fuori, sicuri e lenti, per una passeggiatina al chiaro di luna – sorrise bonario lui, incamminandosi con la sua solita e ciondolante andatura. Non trovammo alcuna difficoltà, tramortimmo la monaca guardiana e uscimmo dal monastero, camminando fino al rudere, dove avevamo lasciato i nostri effetti, cappello e vestiti. Ci guardammo intorno e poi via, giù a perdifiato dalla collina fino alla cittadella.
- Non una parola di questa storia, Jack -
- Non una parola, Hector -.

La nostra quinta tappa fu Tenerife, una delle isole più grandi e belle delle Canarie. Entravamo da qui in contatto con la mitologia greca; i tre pezzi mancanti riguardavano, infatti, quel mondo: materia che mi aveva sempre affascinato.
stavo al timone quando attraccammo sull’isola, era primo pomeriggio e la maggior parte della ciurma faceva la siesta sul ponte o sottocoperta. Jack se ne stava sul castello di prua pensieroso, ma non era difficile capire che, fonte dei suoi pensieri, era il prossimo pezzo d’oro. Io ero alquanto sicuro su quale potesse essere e come con il sestante di Colombo, le mie conoscenze si rivelarono fondate.
Uomini dell’impresa: io, Jack, Sputafuoco Bill, Pintel e Ragetti; luogo dell’impresa: un vecchio rudere alle pendici della scogliera.
- Le situazioni troppo tranquille non mi piacciono – grugnì Pintel – chi ci va sempre di mezzo sono le persone come me e te, Ragetti -.
- Ma è un posto così pittoresco questo! – commentò l’altro, sorridendo guardandosi intorno – la leggenda dice che qui viveva una donna bellissima – mormorò sognante.
- Che attraeva gli uomini e li trasformava in maiale – lo stroncai – E’ mitologia- precisai poi lasciando i due omuncoli e Jack spiazzati.
- L’incantatrice dell’Odissea – apostrofò Bill.
- Se così si può definire – commentai io, avanzando.
Il rudere era di medie dimensioni, ricco di legni spezzati, rocce di svariate dimensioni a terra, stoffe ormai lacerate da salsedine, sabbia e tempo. A terra un rivolo d’acqua percorreva la sala principale, immettendosi nel mare sottostante. L’ago della bussola girava all’impazzata, non sapevamo più dove guardare, anche perché avevamo rovistato tutti gli angoli di quella casupola, senza trovare la minima traccia del bracciale.
- Capitan Sparrow, guardate! – attirò la sua attenzione Ragetti, indicando un punto in cui l’acqua si faceva più profonda e luccicante.
- Bene occhio di legno, ci siamo – esultò Jack notando stabilizzarsi l’ago della bussola, ma non appena immerse il braccio, venne risucchiato di sotto. Ragetti e Pintel tirarono un urlo, Sputafuoco e io mettemmo mano alle armi.
Jack risbucò avvolto dal tentacolo gigante fuori dal rudere, appena al largo; si stava dimenando, sia per liberarsi, sia per riuscire ad afferrare il ninnolo dorato che la bestiolina aveva con sé.
- Un aiuto mi farebbe comodo, sapete! – urlò a gran voce. Bill prese la mira, puntò e tirò, colpendo di netto con il proiettile il tentacolo, che mollò la presa di Jack, attaccandoci.
- L’hai fatto arrabbiare – ghignai io.
- Solo un pochino – ridacchiò in risposta. Tenemmo occupata la bestiolina il tanto che bastava a Jack per riprendere il bracciale; una volta che lo ebbe recuperato io e Bill sparammo all’unisono, due colpi secchi, in direzione della testa del mostro. Non so se lo colpimmo, ma ci aprimmo la fuga.
- Direi di mettere distanza tra noi e questo tratto di mare – convenni e, anche se non era proprio un ordine, la cosa fu ben accetta.

Chio e Cipro furono le nostre ultime tappe, non entusiasmanti come le altre, ma pur sempre significative.
Nell’isola delle Cicladi, Jack volle avanzare tutto da solo, finendo vittima dell’incanto di una ninfa; quando si risvegliò sul ponte della Perla, sembrava più ubriaco del solito.
- Dov’è finita quella meraviglia? – chiese agitando le mani.
- Svanita Jack – ghignai mostrandogli il medaglione, lui lo afferrò, ma fece una smorfia.
- Te la sei spassata al posto mio, eh! – mi additò, alzandosi troppo velocemente che a momenti rifinì a terra.
- Cosa ti fa pensare che l’abbia fatto? – portai una mano al petto, fingendomi contrito.
- Il tuo ghigno -
Scossi il capo, agitando una mano all’aria – abbiamo il medaglione, è questo l’importante -.
- Non eri tu, quello che non credeva a certe storielle? – mi punzecchiò.
- Io credo solo a quello che vedo, Jack e, se tasto con mano, è ancora meglio -.

A Cipro ce la sbrigammo in poche ore, era giorno di mercato e fortuna volle che le bancarelle, agli angoli più nascosti, ospitassero qualche rigattiere. L’ago magnetico puntò su uno di questi carretti e Jack sfoggiò la sua abile parlantina, cercando di confondere, più che di convincere, l’uomo a cederci la coppa. Alla fine, l’anello, che Sparrow aveva preso insieme a quello di Morgan, fu il prezzo che pagammo per avere l’ultimo pezzo del tesoro delle tenebre.  
  
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