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Autore: Iridia    28/07/2011    3 recensioni
Alhira, sedici anni, nessun passato. Solo un vecchio istinto la guida attraverso il mondo, soltanto dolci occhi ambrati vede nel suo riflesso, nessuna traccia di una vita dimenticata.
Non poteva infliggere dolore. Un essere talmente perfetto, talmente angelico, non poteva sapere come far del male. Quelle iridi di miele, dolci e spaventate, quelle gote pallide che sbocciavano in un rossore lieve come fiori di pesco in primavera. Quelle labbra piene, color ciliegia, quelle che non vedevano un vero sorriso da troppo tempo. Quei capelli mai al loro posto, le mani delicate, quel corpo agile.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Potere della Luce Pt.2





L'esercito di Quareon venne sconfitto nei giorni seguenti. La città era ridotta male; case crollate, grandi massi di Elora si erano staccati dalle costruzioni, i corpi invadevano le strade, i fuochi avevano annerito le pietre.
Ma la guerra era finita. Almeno, la loro guerra.
Ferah non aveva più messo piede a Cerelia, perciò non aveva saputo come se la stavano cavando. Decise quindi di tener eretta la barriera finché non avrebbe avuto la possibilità di andare a parlare con il Capo Villaggio. Asidi doveva essere rimessa in piedi, dovevano portare via i resti dei caduti, curare chi era rimasto ferito, trovare un alloggio per chi aveva perso tutto.
Ogni settimana, Ferah e Saith, portavano ciascuna un dono sulla tomba di Nefral. Saith lasciava un biglietto, una lettera o qualche fiore bianco, mentre Ferah, portava un mazzetto di fiori rosa che doveva far creare apposta, data la stagione, da un incantatore della città. In qualche modo ricordava anche Del.
Presto la popolazione si rimise in piedi, così, dopo aver dato la precedenza alle emergenze, ora dovevano fare i conti con Quareon e la nuova amministrazione della città.
Il Grande re non aveva più dato sue notizie, forse aspettava ancora un rapporto da Ashral.
 
-Mettiamoli ai voti!- disse un anziano alla folla radunatasi ai piedi della torre.
Tre uomini stavano in piedi ed aspettavano; un mago dai capelli neri come la notte, pallido e giovane, un contadino sulla cinquantina, ed un nobile ometto, basso, dal sorriso smagliante e dall'età indefinibile.
-Alzi la mano chi offre il proprio voto a Bronu!- l'ometto fece un passo avanti buttando il petto all'infuori.
Qualche mano in fondo alla piazza si alzò, ma potevano essere al massimo una quindicina. L'espressione sul viso di Bronu passò dal falso al turbato, prima di lasciare la propria postazione offeso.
-Alzi la mano chi offre il proprio voto a Sebral!- ora le mani si alzavano numerose, mentre il contadino veniva avanti e fissava la gente con occhi increduli. Le mani si fermarono in aria attendendo che il vecchio dicesse qualcosa. Ferah non aveva ancora votato; per quanto Sebral fosse un buon uomo, di parola, e cordiale con chiunque, sapeva che non poteva essere lui a guidare la città.
-Bene, ed ora, alzi la mano chi offre il proprio voto a Nalir!- il ragazzo fece un passo avanti fissando la punta delle sue scarpe consumate, mentre i tre quarti della folla alzavano i propri palmi verso l'alto. Quando finalmente Nalir ebbe il coraggio di guardare davanti a sé, sul suo volto si dipinse il ritratto dello stupore.
-Perfetto! Spero siate d’accordo con me che la maggioranza di voti è stata ottenuta dal nostro giovane ragazzo!- La folla scoppiò in un applauso e Nalir si volse verso Sebral, che gli stava offrendo la propria mano. Per un attimo rimase immobile, ma dopo qualche secondo, il giovane abbracciò il contadino con le lacrime agli occhi. L'uomo, seppur preso alla sprovvista da quel gesto, rise e gli fece i complimenti, battendogli sonoramente la mano sulla schiena.
Nalir si era fatto valere nella battaglia contro gli uomini di Quareon, aveva guidato tutti gli incantatori, sapeva come gestire le situazioni di emergenza, aveva fegato.
-Ragazzo, ora la città ripone la fiducia in te, non tradirla.- disse l'anziano prendendolo per un braccio e portandolo di nuovo davanti alla folla. I due bisbigliarono qualcosa, ed il vecchio sorrise:
-Fai pure.-
Nalir si schiarì la voce.
-Volevo ringraziarvi, per aver deciso di fidarvi di me. Ma sappiamo tutti che questa città ha bisogno non solo di un giovane mago, ma anche di chi l'ha portata fin qui, di chi ha rischiato la propria vita, di chi ci ha riportato alla nostra pace. Vorrei avere al mio fianco qualcuno dal coraggio infinito, qualcuno che ci ha dimostrato il proprio valore.- Nalir la cercò tra centinaia di visi, cercò gli occhi talmente blu da brillare.
-Ferah, posso avere l'onore di avervi al mio fianco nella guida di Asidi?- Il cuore della ragazza perse un colpo. Quando uscì dalla massa per andare verso Nalir, un rumoroso applauso le riempì le orecchie.
Seppur Ferah conoscesse già Nalir piuttosto bene, si avvicinò, e con grazia fece un breve inchino.
-Ne sarei onorata.- rispose lei sorridendo.
 
Così, nella primavera in cui cadeva il suo sedicesimo compleanno, Ferah si trovava alla guida di un'intera città. Nalir aveva voluto che lei fosse sul suo stesso piano e che avesse il potere di fare ciò che avesse ritenuto giusto. Poco a poco la città ricresceva, la barriera venne abbattuta e le cave ripresero a funzionare con un nuovo sistema. Qualunque atto di violenza contro le sirenidi era considerato reato. Quareon non aveva mandato nemmeno un messaggio, Ferah e Nalir aspettavano un cenno, un inviato, qualcosa che provenisse da Draelia, insomma. Sapevano che mettersi al posto del cavaliere della città era come sminuire il potere del Grande Re, ma per rimettersi in piedi, la città doveva avere qualcuno che la dirigesse.
 
Accadde il mese successivo, quando Ferah si era fermata nella stanza del mago fino a tardi per progettare il nuovo porto, da costruire sopra alle macerie di quello rimasto distrutto durante la prima ondata.
La stanza circolare si chiudeva come un anello attorno alla scalinata che conduceva al vecchio alloggio di Ashral. Come quella, ve ne erano molte, tutte senza finestre ed arredate con lo stretto indispensabile.
-Sei stanca?- chiese lui con gli occhi un poco rossi.
-No … -
-Sei pallida.-
-Perché, tu no?- chiese lei sorridendo.
-Io sono pallido anche quando dormo e mangio regolarmente, mentre tu sembri distrutta.- erano giorni che dormivano quelle poche ore necessarie per rimanere lucidi e mangiavano appena capitava l'occasione. Nessuno dei due era in grado di sopportare un'altra giornata di lavoro senza dormire.
-Finisco io qui, tu puoi andare. Non voglio che stia male.-
-Nalir, se tu lavori, lavoro anch'io, se tu dormi, dormo anch'io. Prima finiamo, più ci riposiamo prima di domani.-
Il mago le prese una mano e si fece avanti sul divanetto di velluto rosso. Era vicino.
-Bene, allora dimmi, quando è stata l'ultima volta che hai dormito?- disse con un sorrisetto sulle labbra e con un sopracciglio alzato.
-Non credere di poter farmi cedere così.- disse lei sentendo la testa in fiamme.
-Oh, ti sto solo chiedendo una cifra: due, tre giorni?- la sua voce diventava sempre più suadente, si avvicinava sempre di più.
-Nalir. Spostati, non andrò a riposare.- fece lei con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra.
-Io ci ho provato … - ma rimase dove era, accanto a lei, con la sua mano fredda tra le dita.
Gli occhi blu della ragazza erano fissi sui fogli sparsi sul tavolino, mentre l'altra sua mano avanzava piano verso quella di Nalir.
Forse era la stanchezza, ma il cuore faticava a battere, il respiro era irregolare, sentiva le guance talmente calde da poter scoppiare in fiamme da un momento all'altro.
I capelli dorati le ricadevano sul volto e la coda alta che si era fatta con un nastrino si stava disfacendo. Nalir aveva sempre portato i capelli lunghi fino al collo, e quella notte i suoi occhi neri come carbone erano di una sfumatura leggermente smeraldina.
Anche se era primavera, faceva abbastanza freddo da tener acceso un fuoco magico, bruciava riscaldando l'ambiente con una tonalità d'arancione scuro.
Nalir le lasciò la mano e la posò sulla sua guancia. Ferah alzò gli occhi.
-Nalir … - cercò di dire, ma le parole non volevano uscire, non in quel momento. La sensazione che provava era meravigliosa, le sue dita calde, sul suo viso sembravano fredde, delicate.
Ferah con mano tremante gli scostò una parte di capelli che gli ricopriva un occhio.
Poteva far scoppiare un fulmine, poteva costruire una barriera alta miglia e miglia, l'energia che scorreva in lei era potente. Migliaia di sensazioni le attraversavano lo stomaco, le avvolgevano la mente impedendole di pensare.
Poco più di qualche centimetro, ecco cosa li separava.
La ragazza chiuse lentamente gli occhi, come se fosse un riflesso incondizionato, aspettando nel buio, sentendo Nalir sempre più vicino.
Fu il primo bacio della sua vita, il momento più bello che avesse mai vissuto.
Il momento in cui la sua mente fu sopraffatta dal cuore, l'attimo in cui il centro del suo universo erano "loro".
Non poté dire quanto tempo durò, tutto quello che ricordò fu l'abbraccio di lui. Poi, il sonno la travolse, spingendola tra un'infinità di sogni.
 
Quella stessa mattina, tre figure incappucciate ed avvolte da neri mantelli si presentarono davanti alle porte della città richiedendo di parlare con il cavaliere Lareon, non sapendo fosse rimasto vittima della prima ondata. Non volevano dare altre informazioni, non volevano mostrare i propri volti.
Ferah venne chiamata con urgenza dal cantiere del porto, ma quando si presentò davanti alle figure ammantate, non sembravano voler credere che una sedicenne ormai, fosse responsabile della città.
Servirono non poche discussioni e l'arrivo di Nalir per lasciarli entrare e farli salire nella torre, fino alla stanza vuota che era appartenuta prima a Lareon e poi ad Ashral. Non erano al servizio di Quareon, quell'uomo non era il tipo che mandava solamente tre persone per consegnare un messaggio. Si limitava a qualche centinaio di guerrieri ed una decina di incantatori, per non dare nell'occhio.
I tre uomini si accomodarono sui divanetti di velluto e finalmente scoprirono i propri volti.
Due di loro avevano la pelle scura, grandi occhi verdi ed i capelli neri e corti. Si assomigliavano parecchio, entrambi robusti e dalla mascella pronunciata, potevano essere scambiati per fratelli se non fosse stato per la loro corporatura, uno alto e snello e uno più tozzo. L'altro uomo era più basso, biondo ma con gli occhi neri, una lunga cicatrice gli attraversava la guancia, ma ciò che lo distingueva era il suo naso aquilino che spuntava dalla faccia come un becco di un falco.
-Allora? Perché siete qui? E perché non avete voluto dirci cosa cercavate?-
-Calma ragazzina- fece il più alto.
-Ferah.- puntualizzò lei incrociando le braccia.
-Qualunque sia il vostro nome. Tutto quello che dovete fare è dirci se voi siete stati mandati da Quareon.-
Ferah e Nalir si scambiarono un'occhiata interrogativa.
-Non è presente nessuno degli uomini di Quareon qui, al momento.- disse Nalir.
-Bene.-
-Questo ci lascia dedurre che neanche voi siete stati mandati da lui?-
-Ragazzo, veniamo dalla rivolta che combatte i suoi eserciti. Forse vi sarete chiesti perché non avete più sue notizie … da quanto ho capito, vi ha quasi "dimenticati".- sottolineò l'ultima parola. -Attualmente, ha cose più importanti a cui pensare; come, ad esempio, migliaia di abitanti dei Territori d'Oriente pronti a dare la propria vita per ottenere l'indipendenza da quel dittatore.-
Ferah e Nalir rimasero colpiti dalla notizia per un attimo, ma prima che potessero aprire bocca, il biondo iniziò a parlare:
-Siamo qui per chiedervi un aiuto. Siamo venuti a chiedervi di contrastare Quareon, come, a quanto pare avete già fatto.-
-La città è appena uscita da una guerra, non sarà pronta per combattere ancora. Possiamo cercare di convincerli a resistere, ma non possiamo contribuire con un esercito.-
-Tutto quello di cui abbiamo bisogno ora e che non permettiate a quel dittatore di mettere piede qui dentro.-
-Cercheremo di fare il nostro meglio.- disse la ragazza.
-Quante città si stanno ribellando?- chiese Nalir.
-Non sappiamo il numero esatto, ma tutti i Territori d'Oriente hanno buttato fuori dalle loro mura i cavalieri di Quareon; fino ai grandi laghi centrali è una continua guerra. Quareon ha spedito eserciti ovunque.-
Nalir ed Ferah rimasero in silenzio, meditando sulla situazione.
-Per quanto tempo volete fermarvi, signori?- fece Nalir.
-Due giorni, non di più.-
Mentre i tre si alzavano facendo ondeggiare i loro lunghi mantelli, Ferah li fermò:
-Quareon è arrivato oltre le Montagne di Krand?- il suo primo pensiero era andato a Del, al suo villaggio, ai suoi genitori.
-Sì. Pochi sono i sopravvissuti, ma non perdete la speranza giovane Ferah.- a rispondere fu uno dei due uomini scuri di pelle, quello più corpulento.
Nalir allora fece cenno loro di seguirlo, lasciando Ferah sola nella stanza; doveva pensare, doveva solo pensare.
 
Non erano passati nemmeno due mesi, che, durante una notte estiva, un centinaio di uomini sfondò le porte di Asidi. La popolazione rispose prontamente, Ferah si mise davanti a tutti. I suoi poteri riuscivano a fermare chiunque, potevano sconfiggere ogni uomo che le si parava davanti, anche se le consumavano le energie, si cibavano della sua forza.
Dopo l'attacco, Ferah eresse una barriera lungo tutte le mura; era lei a decidere chi far passare e, come per la Guerra delle Sirenidi, nessun mago poteva abbatterla.
Ma le cose non andavano bene al di fuori di essa; i tre messaggeri tornarono chiedendo un contributo in uomini. La città non se lo poteva permettere; non avrebbe resistito. Chiesero allora, che fosse lei, Ferah, ad andare.
Nalir, riluttante all'idea di lasciare la propria metà, tentò di trovare un'altra soluzione, ma lei glielo impedì, e dopo lunghe discussioni, Ferah decise di andare.
La barriera non poteva essere tenuta in piedi mentre la creatrice era lontana miglia, così Nalir e tutti i maghi presenti ad Asidi cercarono di ereggerne una potente abbastanza da non permettere l'arrivo dei nemici.
Ferah venne portata nella città di Gloveck, divenuta una base militare dall'inizio della guerra. Si preannunciava uno scontro con un esercito mandato da Draelia stessa, e nel quale doveva essere presente addirittura il figlio di Quareon; Enthiris, giovane cavaliere dall'enorme talento, simile al padre. Le spie dei ribelli erano numerose e si erano insidiate fino nel palazzo del Grande Re.
 
Il giorno della battaglia.
L'alba sembrava rallentare sempre di più. Il vento soffiava timido facendo ondeggiare le enormi praterie dorate. Ferah non aveva chiuso occhio.
Sedici anni appena compiuti, e tutto quello che si ritrovava era una imminente battaglia, morte e distruzione, forza e terrore. Non era passato un solo attimo da quando era partita in cui non aveva pensato a Nalir, al suo unico e primo amore.
Tutto quello che avrebbe voluto era a miglia e miglia da Gloveck, in una città di cristallo.
Ferah si strinse nel mantello mentre usciva dalla capanna. Il sole rosato stava salendo poco a poco, tingendo le nuvole di migliaia di sfumature.
Iniziò a camminare nervosamente lungo tutto il perimetro delle mura, cercando di ignorare il tremore alle mani, il respiro che si continuava a bloccare.
Davanti a lei, nel cielo di colori, un puntino nero si ingrandiva sempre di più. Fece per chiamare qualcuno quando la figura prese forma; la forma di un drago bianco cavalcato da un giovane, un giovane mago dai capelli corvini e gli occhi neri.
-Nalir!-urlò la ragazza, mentre lacrime di gioia iniziavano a sgorgare dai suoi occhi brillanti. Qualcuno uscì dal proprio alloggio, ma a lei non importava. Ora quel drago bianco dagli occhi color oceano che stava planando sopra la città era la sua unica priorità, il suo presente, il suo cuore.
-Fer!- disse lui scendendo dal possente animale ancora prima che si fosse completamente arrestato.
Si abbracciarono con forza, come se rischiassero di essere separati da un momento all'altro.
-Che ci fai qui?- chiese lei, sorridendo tra il pianto.
-Hei, non piangere.- la strinse ancora più a sé. Le sue lacrime gridavano libertà. -Ti ho portato una cosa.-
Con la mano sinistra estrasse una lunga spada dal fodero attaccato alla sua cintura.
L'arma brillava come un diamante in pieno giorno; la lama argentea era affilata come un coltellino da precisione, sull'elsa, radici scure avvolgevano il metallo, laddove crescevano foglie di nera pietra, rilucevano gemme azzurre come il cielo d'agosto.
-L'ho fatta fare per te, per ricordarti che sarò con te in ogni istante, che tutta Asidi ci sarà.
-Io … Non ho parole Nalir.- e le lacrime ripresero a solcarle il volto.
-Ferah, non ti voglio lasciare, non ora.-
La ragazza immerse le sue diafane dita tra i capelli di Nalir, si alzò sulle punte e lo baciò. Lo baciò come mai aveva fatto, come avrebbe dovuto fare fin dall'inizio.
-Ti amo, Ferah.-
-Ti amo, Nalir.-
In quell'istante, il suono di un corno riempì l'aria; la battaglia stava arrivando.
 
Non fu altro che un'arma. Lei, il suo corpo, la sua anima; un'arma. Un oggetto da essere utilizzato per sconfiggere Quareon, nient'altro. Una vita breve, un'infanzia difficile, ed ora che finalmente era giunto l'amore, il destino era stato talmente crudele da metterle i bastoni tra le ruote, anzi, le ruote se le era portate via.
Perché quella poteva essere l'ultima volta che il sole brillava per lei, poteva perdere tutto, cadere come altri uomini, morire senza lui. Poteva scomparire dalla faccia della terra senza aver vissuto davvero, senza aver vissuto abbastanza con lui.
Era un essere incompleto, un frutto ancora acerbo che doveva già lasciare l'albero. Non avrebbe potuto avere una famiglia, vedere i propri figli crescere, raccontare loro tutte le sue avventure.
Quello poteva essere l'ultimo momento per pensare prima di morire.
Poteva morire. Poteva non rivederlo mai più, non avere nessun ricordo di lui, dissolversi, non esistere più.
La linea continua all'orizzonte apparve lentamente, come un destino inevitabile, un presagio di distruzione.
Là, in mezzo a migliaia e migliaia di uomini, una ragazzina dagli occhi di zaffiro attendeva la sua ora.
 
Un urlo, un rumore sordo di passi, di innumerevoli creature. Mostri, ecco cosa erano. I visi deformati, gli occhi due cerchie nere e violacee. La loro pelle di un color verde e sabbia era una corazza naturale, nelle mani impugnavano lunghe asce bipenni, sulle loro teste ricoperte di crini quasi trasparenti crescevano tre corna che si avvolgevano su sé stesse fino a puntare in avanti.
Creature dall'indole calma e pacata, cresciute come carne da macello tra le grinfie di Quareon, ora erano forzuti assassini.
La corsa, lo scontro, una luce bianca avvolse tutto.
Un lampo prolungato, non esisteva più nulla se non lei e le file di nemici disorientati ed accecati dalla luminosità dell'aria. Ferah, un'arma letale, un veleno senza antidoto, un vento di lame.
La sua spada roteava veloce, si macchiava del sangue chiaro dei mostri, trapassava corpi, infliggeva dolore.
La luce scomparve all'improvviso, e la prima fila dell'esercito nemico cadde a terra sanguinante, priva di vita.
Nessuno si mosse. Un enorme drago nero sorvolò il campo lanciando un grido. Una fiammata investì gli uomini. Ferah lanciò un fulmine di azzurra potenza e la bestia si voltò verso di lei.
Enthiris, figlio ormai trentenne di Quareon, cavalcava il drago  tenendo alta in cielo la sua spada argentea.
Ferah iniziò ad attaccare; luci, affondi, urla di straziante dolore, una scia che si lasciava dietro senza pensare a nulla, se non al suo obbiettivo. Enthiris, le avevano detto. Doveva arrivare a lui, privarlo della propria forza vitale, ucciderlo. Era il punto debole di Quareon, e quella battaglia era il momento migliore per colpirlo.
Il drago planò sopra la sua testa, Ferah non si lasciò sfuggire l'occasione e, veloce, legò un tentacolo di luce al collo della creatura. Enthiris tentò ti tagliare la luce, ma dalla sua lama schizzarono solo migliaia di scintille.
Non le importava quanto dolore provocava, era tutto ciò che doveva fare per avere una vita con lui, con Nalir. E se quello era il prezzo, vedere macchiata la propria spada di sangue nemico, avrebbe accettato senza ripensarci.
Ferah si issò fino a giungere alle zampe anteriori dell'animale che si librava in volo a centinaia di braccia da terra. Urlò ed assieme a lei anche il drago ferito dalla sua spada penetrata nell'addome. Metallo e carne.
-No!- fu il grido del Principe.
Il suolo si avvicinava, i muscoli della bestia si abbandonavano al dolce abbraccio della morte.
Un lampo, e Ferah rotolò sull'erba, lontana dalla battaglia. Enthiris cadde con un tonfo sul terreno della prateria ed il drago precipitò a poca distanza da loro.
L'uomo, da sotto la pesante armatura nera come il proprio destriero, si mosse lentamente, tremava, tentando di rialzarsi. Ferah, ferita dalla caduta e povera di energie si avvicinò. Con un calcio lo fece girare, in modo da poterlo vedere in faccia; la faccia di chi doveva uccidere.
-Una ragazzina.- il Principe rise da sotto i suoi lucenti capelli rossicci. Tossì, e un rivolo di sangue gli percorse il mento.
Lei non disse nulla. La sua spada contro il suo collo, le pietre azzurre che spiccavano sotto il rosso del sangue nemico.
-Uccidimi.- un ordine. Il corpo di Enthiris, devastato dalla caduta, non gli rispondeva più. Le gambe poste in una posizione innaturale non sembravano muoversi, continuava a sputare sangue, che usciva copioso dalle sue sottili labbra sorridenti. Pochi spasmi, e la sua lama non fu necessaria. Enthiris morì senza che Ferah facesse altro.
 
Dopo la vittoria, Ferah rivide Nalir, fu tutto quello che ricordò.
La spada, ancora sporca, era rimasta in un angolo, abbandonata dalla ragazza. I giorni erano intensi, Ferah voleva vivere prima che Quareon tornasse a scatenare uragani e tempeste di ira. Una volta poteva sopravvivere, ma chiedere ancora riduceva le possibilità.
Quindici giorni di vita. Quindici meravigliosi giorni passati tra le sue braccia. Il paradiso prima dell'inferno.
 
L'inferno.
 
Un solo, possente, drago atterrò nella prateria, poco distante dal campo di battaglia dove il suo esercito era stato sconfitto miseramente da un gruppo di contadini.  
Ferah, un ramoscello impaurito, aspettava in piedi, i capelli d'oro sospinti dal vento, gli occhi pieni di terrore.
E così, era arrivata la sua ora? Aspettava la morte, la vedeva planare piano, sopra ad un destriero nero. Non era come l'aveva immaginata, pensava fosse un fantasma, trasparente, quasi invisibile. Fumo. L'aveva sempre immaginata andarsene in giro su un cavallo magro, scuro, dalla criniera lunga fino a terra.
La sua morte invece era umana. Quareon aveva cinquant'anni, un viso severo, i capelli castani, quasi rossicci, erano striati di bianco.
La rabbia del Re, alla vista di quella creatura giovane e debole, salì ancor di più. Enthiris era morto a causa di un'adolescente. Non lo poteva permettere. Ecco perché era solo. Aveva chiesto a Ferah di farsi avanti, di combattere, voleva avere la certezza che le mani che avevano ucciso suo figlio morissero.
Ferah era lì. Immobile. Cercava di respirare in qualche modo, cercava di ritrovare un ritmo al proprio battito.
-Bene, bene. Tu? Mio figlio è morto per mano tua?- non erano domande, ma affermazioni. Quareon mascherava il proprio dolore sotto un sorrisetto beffardo. -Scelta saggia venire qui. Avrei potuto uccidere una sola persona per farti abbastanza male da voler morire. Un, solo, uomo.-
Ferah non disse niente. Aspettava soltanto che attaccasse, che venisse l'occasione giusta per lasciar scorrere la luce fuori dalle sue vene. Continuava a ripetersi che era un umano, che come lui ne aveva battuti tanti, li aveva uccisi con solo un lampo, breve, efficace.
-Sono venuto dai territori d'Occidente per vederti morire. Per veder morire chiunque si fosse ribellato alla perfezione di un regno unitario.-   
-Prima di uccidere tutti loro, dovete uccidere me. Sto aspettando.-
-Richiedere la propria morte alla tua età è stupidità, non coraggio.-
-Io richiedo la vostra morte, io richiedo la libertà dei territori dalla vostra tirannia.-
Quareon rise, divertito ed allo stesso tempo infastidito. Una ragazzina presuntuosa, ecco cosa aveva ammazzato Enthiris. Estrasse la spada a due mani e la fece roteare in aria, come a voler scaldare la lama.
Ferah fece lo stesso. Le loro armi non potevano reggere il confronto; la spada della ragazza, delicata e sottile era spessa la metà di quella del Grande re.
-Fatti avanti, ragazzina.-
Ferah scattò. Una luce bianca li avvolse, ma per quanto lei provasse a ferirlo, lui la vedeva normalmente, schivava e parava i colpi alla perfezione. Il lampo si spense e l'uomo rise.
Ferah allungò una mano, e dal palmo fuoriuscirono lunghi tentacoli di luce che si avvolsero sulla spada del nemico. Quareon alzò la lama e, come mai era successo, la luce fu tagliata in pezzi. Poco a poco si dissolvevano nell'aria lasciando la ragazza senza fiato.
Con un globo azzurro, fece esplodere altra luce.
Un punto nero, una pietra brillante comparve per una frazione di secondo sul petto di Quareon.
Era stanca, cominciava a sentire la fatica espandersi in ogni arto. Ferah cercò di colpirlo ad un fianco, ma la sua sottile spada si scontrò contro il metallo di quella nemica, creando innumerevoli scintille dorate. Quareon fece un affondo, lei scaltra schivò con grazia ultraterrena.
Si voltò, un attimo, e sentì la lama tagliare la carne. Un urlò dilagò nella prateria e una macchia rossa si allargava lentamente sulla gamba di Quareon. Lui non si fermò, continuò a colpire con violenza pura, era sempre più forte, più resistente alla luce di Ferah.
Una radice forse, una pietra, il piede della ragazza si impigliò in qualcosa facendola cadere di schiena. Il Re continuava a colpire affondando la propria spada a terra, cercando di abbattere quel corpo agile che si contorceva per evitare di essere ferito. Come se avesse una possibilità, come se potesse davvero uscirne viva.
Ferah si rialzò, un balzo, e la lama andò a tagliare la pelle del collo di Quareon, che quasi non se ne accorse.
-Continuerai a scappare?- urlò consumando il poco fiato rimastogli.
Ferah chiuse gli occhi. Altra luce la circondò, invase qualunque cosa fosse attorno a lei, e finalmente poté vedere con chiarezza un medaglione che emanava oscurità. Quareon lo teneva sotto l'armatura, al sicuro. Ma lei lo percepiva, anzi, lo vedeva attraverso il metallo. Ne sentiva l'essenza, capiva cosa aggirava la sua energia.
-Vedo che non siete arrivato sprovvisto delle giuste armi.- disse camminando lentamente verso di lui.
Scattò. Troppo veloce per essere vista, in quella luce come in una giornata normale, gli fu alle spalle. Quareon cercò di liberarsi della sua presa, ma lei gli affondò la sua spada in un polpaccio. Altre grida, altro sangue.
Le sue dita, delicate anche in battaglia, cercavano la catena del medaglione mentre con il suo peso, quasi irrilevante, tentava di tenerlo a terra.
Una catena. Tirò con tutta la sua forza ed il ciondolo si staccò con uno schiocco.
Un puntino bianco in cielo comparve nel suo campo visivo, non gli diede troppa importanza.
Il Grande Re era sotto le sue mani, era stupidamente venuto a morire, per amore del proprio figlio, era venuto a chiedere vendetta. Ed ora tutto quello che si ritrovava era una gamba ormai distrutta, e l'unica arma che lo poteva salvare non gli apparteneva più.
Ferah, d'istinto, si alzò, in cerca di una roccia. Prese il medaglione per la catena e lo sbatté con tutte le sue forze su un piccolo masso nascosto tra l'erba.
Miriadi di schegge nere volarono ovunque, mentre la potente magia racchiusa nella pietra veniva dissolta nell'aria come fumo in cielo.
-Ferah!- quella voce. Perché Nalir era lì, cosa stava facendo?
Lei non poté rispondere, Quareon gli era già addosso. Ferah vide lo spada conficcarsi lentamente nell'addome del ragazzo.
Il tempo si fermò. La pioggia iniziò a cadere lenta, le gocce parevano rimanere sospese in aria. Altre persone stavano arrivando dalla città, altri guerrieri si erano nascosti dietro le colline.
Vide il corpo di lui accasciarsi lentamente emettendo un grido strozzato.
Dolore. Morte.
Il mondo divenne nero per un istante. Ferah corse da Nalir, disteso a terra, rannicchiato su se stesso.
Quareon rideva.
Nel suo cuore, solo rabbia. Nei suoi occhi di zaffiro, solo dolore.
Vento l'avvolse, acqua accorse al suo richiamo. Luce tutt'attorno.
La terra tremò. L'erba si appiattì. Il turbinio d'aria si faceva sempre più veloce, sempre più potente.
Due eserciti, uno di fronte all'altro, Ferah nel mezzo.
Energia. Potenza, fulmini caddero attorno a lei.
Non servivano parole. Non servivano suoni. Solo un respiro. E luce bianca, abbagliante, accecante come il sole, ricoprì la landa.
Ferah fu a casa. Del la stava ancora rincorrendo tra gli arbusti ricoperti di fiori. Ma la caverna era sparita, davanti ad una parete di roccia azzurra, Nalir l'attendeva. I suoi capelli corvini gli ricoprivano il volto come sempre, i suoi occhi neri erano pieni di dolcezza. Lo abbracciò. Il suo profumo, la sua diafana pelle.
Era come una realtà perfetta.
Ora poteva donargli il proprio cuore, e lui poteva darle il suo. Un amore nato e scomparso troppo presto, un amore puro, giovane, cristallino.
Le loro labbra si toccarono, come la prima volta, con timidezza, paura di ciò che sarebbe successo. La primavera li abbracciava, il vento le scompigliava i lunghi capelli d'oro.
Erano assieme. Era la loro primavera.
Ferah sentì uno strano formicolio avvolgerle le membra, e tutto quello che aveva sempre desiderato svanì avvolto da una nebbia grigia.
Freddo. Qualcosa picchiettava sul suo volto. Pioggia.
Distesa a terra, il viso sull'erba. Fissava gli occhi della propria vita. Occhi neri come voragini senza fine.
Nalir le sorrideva. Disteso di fronte a lei.
Lentamente, allungò la mano tremante verso il suo viso.
La toccò come se fosse cristallo, cristallo sotto la pioggia. Le dita percorsero il profilo del suo volto fragile.
L'acqua passava sulla pelle di Ferah, si mescolava alle lacrime. La lavava di un passato buio, le dava piacere.
Gli prese la mano e la strinse. Come una bambina che ha paura del buio, come se volesse ritornare nella caverna, assieme a lui.
Una sensazione familiare.
Sapeva cosa stava per accadere. Impaurita, guardò per l'ultima volta i suoi occhi prima di scivolare nella luce più totale.
Era un luogo dove era già stata.
Era freddo, doloroso. Aghi nella carne, la distruggevano, la dilaniavano.
Il respiro si bloccò, il battito divenne irregolare.
Non urlò come fece la bambina di nove anni fa. Sapeva come funzionava, sapeva che non poteva fare nulla.
Lasciò che il cuore divenisse silenzioso.
Lasciò che i polmoni si svuotassero d'aria.
E quando fu pronta, lasciò sé stessa.
Per la prima volta nella sua breve vita, fu circondata dalle tenebre, dal calore confortante dell'oscurità.
Nero. Morte.
Nalir vide gli occhi della ragazza spegnersi lentamente della loro luce.
Occhi grigi, occhi di ghiaccio lo fissavano.
Niente più blu, niente più vita.
Urlò. Nessuno volle dargli retta. Sentì braccia sollevarlo e portarlo via. Sentì la mano inanimata di Ferah scivolare via.
Silenzio.
Il corpo di Quareon giaceva deformato poco distante dalla ragazza.
Nalir non ricordò più nulla.
 
Quel giorno, il giorno della sconfitta di Quareon, in un villaggio lontano miglia e miglia dal campo di battaglia, nasceva una bambina, e, per la prima volta, spalancava i suoi grandi occhi verso il mondo.
Le sue iridi fissarono il suo primo istante di vita, ed occhi di zaffiro illuminarono la stanza di una fredda luce blu.
 
 
 
 
-Alhira.- una mano sulla spalla la stava scuotendo. -Alhira, ti devo parlare.-
Il libro di storia davanti ai suoi occhi era ancora aperto su quella pagina, quelle lettere ancora scritte con una calligrafia elegante: "Ferah, regina di Asidi. Sconfisse Quareon nella battaglia dei piani di Gaver."
E tutta la sua vita? Tutta la sua storia, le sue emozioni, le vicende, l'infanzia … le luci?
-Alhira, che ti succede?-
-Io …-
-La bibliotecaria mi ha detto che sono ore che fissi quella pagina. Devi venire con me adesso.-
-Ma, Ferah … -
-Sì, Ferah, la nostra eroina. Brava, hai letto due parole, adesso però seguimi.-
-Calen, calmati. Che succede?-
-Ti devo parlare.-
Alhira venne trascinata fuori dalla biblioteca, sentiva lo sguardo truce e le labbra arricciate della bibliotecaria che rimetteva a posto il volume nel proprio scaffale.    
Calen camminava spedita per i complicati corridoi del palazzo. Cristalli di Elora rilucevano alla luce del tramonto. Alhira rabbrividì, da quanto tempo era in quella stanza a fissare quella pagina, a vivere un'altra vita?
Passarono tra i corridoi dagli alti soffitti dipinti con colori scarlatti, scesero lunghe rampe di scale, finché Alhira non poté riconoscere il portone che dava alla sezione del palazzo dedicata alla schiavitù.
Calen la condusse nella sua stanza, spoglia e illuminata da raggi d'oro.
-Siediti.- fece con voce seria.
-Calen, va tutto bene?- vedere quella strana ragazza così seria e severa non le faceva pensare a nulla di buono.
-Sei qui da una settimana quasi, non mi hai ancora detto nulla di te.-
-Oh, avanti. Lo sai che non ne voglio parlare.-
-Ma io voglio sapere.- quella nota nella sua voce non era curiosità, ma bramosia di informazioni, un malato desiderio di portare a termine il proprio compito.
-Che ti prende? Hai dei brutti cambi d'umore-
-Alhira! Parla!- Calen si sporse verso la ragazza seduta sul giaciglio, lo sguardo minaccioso puntato nei suoi occhi color miele.
-Non ti dirò nulla! Non voglio! Sai abbastanza!-
-Non penso proprio.- perfidia. Calen appoggiò la mano sulla parete alle spalle di Alhira, facendola indietreggiare. I loro volti erano vicini, ogni emozione era percepibile.
-Ma che diavolo fai?- chiese Alhira furiosa spingendola lontano da sé.
Calen sorrise e cominciò a recitare una lenta litania dal suono dolce e suadente. Le sue labbra si muovevano senza più emettere suoni, le orecchie di Alhira fischiarono.
-Che …- non fece in tempo ad aggiungere altro; i muscoli si rilassarono, le palpebre divennero pesanti. La vista si annebbiò. Intorpidita, sentì il peso del proprio corpo farsi sempre meno importante. Una voce lontana arrivava come una salvezza, sembrava così invitante, gentile.
-Raccontami la tua storia, Alhira.- una scappatoia dal dolore quotidiano. Un' entità a cui confidare tutto.
Nell'ipnosi, il fiume di parole uscì naturale dalle sue labbra, lasciando che Calen sapesse tutto, confessando il proprio dolore.
 







Ecco la seconda parte della storia di Ferah, personaggio a cui mi sono affezionata parecchio. Alcuni mi hanno chiesto cosa c'entrasse... per scoprirlo la storia deve andare avanti e la trama verrà presto svelata.
Ringrazio Fra_96 e Lavender per il supporto morale ed i consigli.
Spero possiate gradire gli ultimi attimi della storia di Ferah come ho fatto io =)
Ringrazio ancora chi legge, chi continua a recensire, chi mi da la forza di continuare anche se la sezione fantasy original non è molto popolata =)
In caso vogliate aggiungermi su Facebook, e ne sarei davvero felice, chiunque voi siate, potete richiedere l'amicizia a MilunaSky Efp ^^
Grazie, volevo lasciarvi un pezzetto di testo di una canzone che probabilmente tutti bene o male hanno sentito, e che in questo periodo ha significato molto:
"E un bel giorno ti accorgi che esisti
Che sei parte del mondo anche tu
Non per tua volontà. E ti chiedi chissà
Siamo qui per volere di chi
Poi un raggio di sole ti abbraccia
I tuoi occhi si tingon di blu
E ti basta così, ogni dubbio va via
E i perché non esistono più. "

   
 
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