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Autore: Carmilla Lilith    28/07/2011    6 recensioni
Sofia è la custode delle due Sorgenti Sacre: la Fonte dell’Eterna Giovinezza e la Sorgente dell’Oblio. Rassegnata alla sua solitudine, la donna non immagina che l’incontro con un uomo maledetto dagli dèi le potrà cambiare la vita.
Proseguimento della mia one-shot "Wanderer"
Storia partecipante all'Original Concorso 11 La Sorgente e... Lui e classificatasi decima.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le sette spade di Efesto'
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La Sorgente dell'Oblio
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Sofia sedeva sull’uscio del suo antro, persa nella contemplazione delle innevate vette alpine stagliate contro il cielo azzurrissimo. Avvolta nel suo pesante mantello nero, che la proteggeva dall’aria gelida, stava pazientemente attendendo l’arrivo del suo ospite: il profumo scaturito dai boccioli di rosa e dalle piante aromatiche che ardevano nel braciere lo avrebbe certamente guidato alla sua caverna.
La donna si lasciò sfuggire un rapido sospiro, mentre la sua mano nodosa si posava sull’elsa di Rosacrucix, lo stiletto dall’elsa a forma di rosa rampicante che l’era stato donato quando gli dèi l’avevano scelta per divenire la guardiana della Fonte dell’Eterna Giovinezza e della Sorgente dell’Oblio.
Sofia non aveva mai desiderato quell’incarico, ma era conscia di non potersi sottrarre al suo fato: sin dalla più tenera età, infatti, era stata in grado di leggere nel cuore delle persone, distinguendo all’istante le anime virtuose da quelle corrotte. Poteva, inoltre, apparire in sogno ai dormienti, manipolando i loro pensieri e le loro fantasie. Non v’era da stupirsi che fosse l’unica al mondo in grado di capire chi davvero meritasse d’immergersi nelle acque sacre e di guidare chi meritava un simile privilegio all’agognata meta.
Purtroppo le straordinarie capacità della fanciulla sarebbero svanite se ella avesse perso la sua virtù, così gli dèi decisero di deturparne la figura, in modo che nessun uomo potesse mai desiderarla.
In cambio della perduta bellezza, Sofia ricevette l’eterna giovinezza ma, con l’avanzare degli anni, la donna capì d’essere stata tratta in inganno: la sua intera esistenza doveva essere trascorsa nell’isolamento di una grotta alpina, così lontana dalle coste dell’Egeo dove Sofia aveva sempre vissuto, per sorvegliare l’ingresso alle sorgenti sacre.
Come se non bastasse, il suo aspetto era divenuto tanto orrendo che ella doveva chiudere gli occhi quando si lavava o si dissetava, tanta era la paura d’intravedersi riflessa nell’acqua.
 
Eraclito si sedette a terra per qualche istante, esausto. Erano settimane che l’ateniese si lasciava guidare dalla fragranza delle rose e delle piante aromatiche che avvertiva nell’aria e finalmente sentiva di essere vicino alla meta.
La visione della donna vestita di nero china su un braciere, che gli era apparsa in sogno circa un mese prima, riaffiorò nella mente dell’errabondo: non sapeva come la misteriosa figura fosse in grado di porre fine alla maledizione che Efesto aveva scagliato su di lui, ma era sicuro che ci sarebbe riuscita.
Eraclito vagava per l’Europa dal maledetto giorno in cui aveva assassinato un fabbro per impossessarsi di Apeiron, una spada destinata a non scalfirsi mai e il cui aspetto mutava a seconda delle necessità. Era stato lo stesso Efesto a forgiare Apeiron, per poi affidarla ad uno dei suoi adepti più fedeli: l’uomo che Eraclito aveva ucciso. L’omicidio provocò l’ira del fabbro divino, il quale condannò Eraclito a vagabondare per il mondo in eterno.
Erano ormai trascorsi mille anni da quando Efesto aveva scagliato la sua maledizione e il giovane ateniese non desiderava altro che l’eterno riposo: la sua unica speranza per ottenerlo era quello zefiro profumato che lo stava guidando dal giorno in cui la donna vestita di nero era comparsa nei suoi sogni. Benché la donna non gli avesse fatto alcuna promessa, Eraclito sentiva che ella poteva rompere il maleficio della vendicativa divinità, anche se non avrebbe saputo spiegare perché.
Ripresosi dalla fatica, l’ateniese si alzò, pronto a continuare il suo cammino.
 
Sofia si scosse, interrompendo la sua contemplazione: il suo ospite stava arrivando!
La donna rientrò velocemente nella grotta dove viveva, cercando dei guanti con cui nascondere le sue mani disgustose. Quando li ebbe trovati ed indossati calò il cappuccio sul volto, celandone la deformità.
 
Eraclito era euforico: il profumo si faceva sempre più intenso e poteva intravedere una grotta in fondo al ripido sentiero alpino che stava percorrendo.
L’ateniese accelerò il passo, raggiungendo rapidamente l’antro. Il soave profumo che lo aveva guidato era ora più intenso e l’uomo riconobbe il braciere che gli era apparso in sogno.
“Benvenuto, Eraclito!” Lo accolse una voce femminile.
Eraclito si voltò e riconobbe la donna del sogno: poco si poteva scorgere di lei, dato che era completamente ammantata in una largo e pesante mantello nero e che persino le sue mani erano celate alla vista da dei guanti, neri anch’essi.
“Come conosci il mio nome?”Domandò il guerriero.
“Conosco molte cose di te, nobile ateniese: la superbia che albergava nel tuo cuore e che ti ha spinto a sfidare gli dèi ma anche il dolore tremendo che hai dovuto patire. Hai scontato la tua pena e meriti di poterti ristorare dalle fatiche del tuo lunghissimo pellegrinaggio.” Rispose Sofia.
Eraclito non poté trattenere le calde lacrime che sgorgavano dai suoi occhi scuri: era davvero giunto alla fine del suo viaggio? Avrebbe finalmente potuto abbandonarsi all’abbraccio della morte?
“Seguimi, ti condurrò alla Fonte dell’Oblio, dove finalmente potrai esaudire il tuo desiderio.” Lo invitò la custode, dirigendosi verso il fondo della caverna e levando dinanzi a sé Rosacrucix.
 
L’ateniese restò sbalordito, notando come le solide e fredde pareti rocciose si trasformassero man mano in soffici siepi di rose profumate. Davanti a lui e a Sofia ora era comparso un assolato giardino, dove si trovavano due sorgenti: sulla destra si ergeva un’imponente fontana in marmo bianco impreziosito da gemme, mentre sulla sinistra si trovava una più sobria fonte, simile ad un laghetto termale.
“Quella che vedi sulla destra è la celebre Fonte dell’Eterna Giovinezza: chi si bagna nelle sue acque verrà guarito da qualsiasi male, ringiovanirà e diverrà immortale.
Alla tua sinistra, invece, si trova la Sorgente dell’Oblio, che viene spesso dimenticata: chi si bagna nelle sue acque potrà dimenticare ogni sua pena, scivolando tra le braccia della morte.” Spiegò la custode, riponendo Rosacrucix nel fodero.
Eraclito si avvicinò tremante alla Sorgente dell’Oblio: pareva una fonte termale qualsiasi, ma al contempo trasmetteva una calma innaturale. Il borbottio dell’acqua che sgorgava, il calore percepibile perfino dall’esterno e il rassicurante profumo di rose che aleggiava nell’aria donavano all’errabondo una pace che da tempo agognava.
Erano soli, la sorgente e lui. O quasi.
 
Sofia osservava la scena, in silenzio.
Eraclito era senza dubbio la creatura più dissimile da lei che avesse mai incontrato: se lei era condannata all’eterna immobilità, lui non conosceva riposo da ormai mille anni.
Lui era bello quasi come un dio: alto, muscoloso ed abbronzato, con occhi neri come la notte e capelli biondi come il grano che ondeggia al sole. Lei era orrendamente deturpata, leggermente ingobbita e ricoperta da piaghe immonde. I suoi lunghissimi capelli neri e gli occhi verde smeraldo non erano in grado di compensare il tremendo aspetto del suo corpo.
Mentre l’uomo si spogliava, pronto ad immergersi nelle acque della sorgente, la custode non poté evitare di spiarlo con la coda dell’occhio: non aveva mai visto un uomo nudo ma era incuriosita ed attratta da Eraclito.
Sofia si domandò che cosa avrebbe provato se fosse stata stretta da quelle forti braccia.
Se lui l’avesse baciata e toccata, senza provare ribrezzo per il suo corpo deforme.
La donna si abbandonò per un istante al folle sogno di venire amata, anche per una volta soltanto.
 
Eraclito, ormai nudo, si ricordò improvvisamente di Apeiron.
Ormai da qualche secolo l’arma si era tramutata in un bastone che lo sosteneva nel suo eterno pellegrinaggio e ritornava ai suoi fasti di spada divina, simile ad un fioretto, soltanto quando Eraclito era costretto a difendersi dagli assalti di qualche belva feroce o dall’avidità degli esseri umani.
L’uomo non riuscì a trattenere un sorriso amareggiato: per impossessarsi di quella spada aveva rinunciato alla sua intera esistenza e alla possibilità di costruire un futuro sereno. La sua unica consolazione consisteva nella consapevolezza che presto tutto sarebbe finito, anche se restava un ultimo compito da assolvere.
Cercò con lo sguardo la custode e, quando la vide, la chiamò. Sofia si avvicinò, tenendo il capo chino per non incontrare con lo sguardo la nudità di lui.
“Non so ancora il tuo nome, mia salvatrice!” Osservò l’ateniese.
“Il mio nome è Sofia, Eraclito.” rispose la donna.
Eraclito sorrise con dolcezza. “Lo stesso nome di mia madre. Devi essere una donna splendida quanto lei, nonostante tu sia tanto misteriosa!”
A quelle parole gli occhi di Sofia si riempirono di lacrime: se solo fosse stata veramente bella!
“Sento di potermi fidare di te, Sofia, ed è per questo che vorrei consegnarti Apeiron. Quest’arma non deve cadere nelle mani sbagliate.” Proseguì Eraclito, senza rendersi conto del turbamento della donna., che si limitò ad annuire e a prendere Apeiron.
 
Finalmente libero dal fardello della spada divina, Eraclito si diresse verso la Sorgente dell’Oblio.
L’uomo s’immerse nelle calde acque della fonte fino alla vita, venendo immediatamente pervaso da un piacevolissimo torpore.
Sofia si avvicinò alla sorgente, posando a terra Apeiron e Rosacrucix. Sarebbe nuovamente rimasta sola a custodire ciò che le era stato affidato, ma il pensiero che Eraclito avrebbe finalmente trovato ristoro la rasserenava.
“Mi piacerebbe vedere almeno il tuo viso.” Disse l’uomo, rivolto alla custode.
“No Eraclito, questo non ti è concesso. Serberai un ricordo più piacevole di me, se non mi vedrai!” Rispose Sofia, concedendosi un sorriso: forse la fantasia dell’ateniese lo avrebbe spinto ad immaginarla come una donna meravigliosa e non come il mostro che era in realtà.
Eraclito annuì, sempre più preso dalla sonnolenza.
L’ultima cosa che riuscì ad intravedere furono il dolce sorriso di Sofia e i suoi splendidi occhi verdi, a malapena visibili nell’ombra gettata dal cappuccio. Poi restarono soli, la sorgente e…lui.
 
Sofia fece ritorno al suo antro combattuta tra la tristezza e una strana sensazione di serenità che si era fatta largo nel suo cuore.
Nonostante tutto, Eraclito aveva visto del buono in lei. Le si era affidato più di chiunque altro e Sofia era felice di averlo aiutato a liberarsi di ogni peso, anche se si era dovuta assumere la responsabilità della custodia di Apeiron.
La donna si coricò sul suo povero giaciglio di paglia, abbandonandosi rapidamente al sonno, con la certezza che mai avrebbe dimenticato quella giornata.
 
Mentre dormiva, Sofia si sentì chiamare da una voce virile e profonda. La donna fece per sollevarsi, ma non vi riuscì.
“Sofia, il tuo compito di custode delle Sorgenti Sacre è giunto al termine. Una missione più importante ti attende: dovrai trovare un guerriero dal cuore nobile a cui affidare Apeiron. Quando avrai svolto questo compito, sarai libera di vivere la tua vita come meglio crederai.” Disse la voce, senza curarsi dell’immobilità di Sofia, la quale non poté comunque rispondere, dato che venne nuovamente invasa dal torpore, sprofondando in un sonno sereno.
 
Sofia si risvegliò l’indomani, stranamente euforica. Si rese conto di essere distesa su qualcosa di morbido ed umidiccio, ben diverso dalla paglia del suo giaciglio: era muschio.
La donna si alzò rapidamente a sedere per poi guardarsi intorno, smarrita: si trovava in un rigoglioso bosco di conifere, vicino ad una sorgente. Com’era possibile?
Confusa, Sofia si avvicinò alla fonte e, mentre si chinava sulle limpide acque per dissetarsi, si rese conto di ciò che era accaduto. Le parole che Efesto aveva pronunciato nel suo sogno erano vere: la donna era tornata alla bellezza di un tempo, come le rivelò il suo riflesso.
La donna si voltò verso il suo giaciglio: sul soffice muschio color smeraldo giacevano Rosacrucix ed Apeiron. Quest’ultima aveva assunto la forma di uno stiletto, facilmente occultabile sotto le vesti della custode.
Sofia sorrise: le restava un’ultima missione da compiere, poi sarebbe finalmente stata libera per la prima volta nella sua vita. Lacrime silenziose, cariche di gioia, scesero dagli occhi verdi della donna.
 
Mentre raccoglieva Apeiron, Sofia si ritrovò a pensare ad Eraclito: se l’uomo non le avesse affidato la spada divina, gli dèi non le avrebbero mai dato l’opportunità di emanciparsi.
Trovare un nuovo custode per Apeiron era non solo fondamentale per riacquisire la libertà, pensò Sofia, ma era un gesto che doveva al nobile uomo che aveva brandito quell’arma.
Sorridendo, Sofia si preparò ad affrontare il suo nuovo viaggio e si incamminò nella foresta di conifere, diretta verso la libertà.  

L'angolo dell'autrice

Eccomi di nuovo tra voi! La mia saga sulle 7 spade di Efesto sta lentamente proseguendo, spero abbiate la pazienza di continuare a seguirla nonostante io aggiorni ogni milione di anni circa!
Come al solito, qualche noticina: il nome Sofia, oltre ad essere un richiamo alla parola greca che significa "saggezza", si rifà ad una varietà di rosa antica.
Eraclito, invece, era il nome del filosofo che veniva generalmente associato all'idea di mutamento.
Detto ciò vi saluto, a presto!
Carmilla Lilith
 
 
   
 
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