- 'Nelle
mie Fanfiction non c’è romanticismo.
- Nelle
mie Fanfiction al primo capitolo Bella e Edward si conoscono, e al
secondo scopano.
- Le
mie
Fanfiction (TUTTE!) sono
adolescenziali, e non dovrei scrivere. Dovrei darmi
all’ippica, ecco.'
- Quello
che avete letto sopra è un parere personale
arrivato pochi minuti fa, prima
che finissi il capitolo.
- E
non
so quale forza divina mi abbia aiutata, per non cancellare tutto. Ma
proprio tutto.
- Con
amarezza vi lascio, dopo aver sentito anche questo
tipo di lettori.
- Stasera
non ci saranno note alla fine, scusate.
- Quattordicesimo
Capitolo – Complicazioni
- EDWARD’S
POV
- “Emmett…”
Presi un bel respiro, cercando di calmarmi.
- Era solo
Isabella, e a lei potevo dire tutto.
- Tutto.
- “Emmett
è sempre stato un figlio e un fratello perfetto.
Ottimi voti a scuola, e aiutava sempre me ed Alice, ogni volta che ne
avevamo
bisogno. Preso il diploma non sapeva più cosa fare, e un
giorni imbatté nel Pub.
Tornato a casa ne parlò subito
con i miei, entusiasta. Voleva aprirlo, e restare lì per il
resto della sua
vita. Insomma, un vero e proprio affare. Non aveva un capitale, e
quindi chiese
ai nostri genitori dei soldi, almeno per l’affitto dei primi
mesi. Poi, avrebbe
restituito tutto.”
- Sospirai,
incrociando le mie dita con quel di Isabella.
- “Esme
e Carlisle dopo averne discusso animatamente,
decisero di dargli corda. Il Pub i primi mesi non fece nulla, massimo
dieci
clienti a settimana, compresi i festivi. I miei genitori ne parlarono
con
Emmett, dicendogli di chiudere. Non sarebbe servito a niente rimanere
aperti,
se poi lui non avrebbe restituito i soldi. Ma lui li convinse a non
buttare
tutto all’aria, almeno per un altro mese. E in quel mese,
tutti i soldi che i
miei genitori gli avevano prestato, tornarono a casa. Tutti
quanti.”
- Chiusi i
pugni, sentendo la rabbia montarmi dentro.
- “Carlisle
continuava a chiedersi come fosse possibile. E
non solo lui. La clientela al Pub non era aumentata né
diminuita. E in un mese
racimolare tutti i soldi dell’affitto sarebbe stato
impossibile. I miei erano
preoccupati, Emmett ogni sera chiudeva tardi, e a volte tornava
direttamente la
mattina dopo.”
- E in
quell’istante mi venne in mente Charlie Swan.
- Il Capo Swan
aveva avuto un ruolo importante, in
tutta la faccenda.
- “Una
mattina, verso le tre sentimmo le sirene della
volante. Era tuo padre. Preoccupato, ci chiese di seguirlo. Alice ed
Esme
andarono alla Centrale, mentre io e Papà fummo scortati fino
al Pub. Alle macerie,
dovrei precisare.”
- “Macerie?”
Solo in quel momento Bella parlò, alzando gli
occhi per guardarmi.
- “Il
Pub era stato bruciato, nel vero senso della parola.
Dapprima mio padre credé che si fosse trattato di un
incidente. Sai, una svista
mentre cucini ed ecco che brucia tutto. Ma invece era stato un atto
volontario.”
- “Atto
volontario? Chi mai avrebbe fatto una cosa tanto
meschina?”
- “Bisca clandestina.
Così l’hanno chiamata i Giudici, in tribunale.
Emmett apriva il Pub
regolarmente alle diciotto, per poi chiuderlo a tarda ora. Ma solo per
la
clientela. Poi, entravano un altro tipo di clienti. Ecco come aveva
fatto a
racimolare tutti quei soldi in così poco tempo. E non si era
giocato soltanto i
soldi che guadagnava. Ma l’intero affitto del Pub.
All’inizio è stata solo
fortuna, ma poi i giochi si sono fatti seri. Non sapeva più
dove mettere le
mani e cosa scommettersi. Lasciò perdere tutto, ma a loro non andava bene. Così
bruciarono l’intero Pub.”
- “Mi
dispiace, Ed.”
- “No,
non dispiacerti. I miei erano dispiaciuti, anche
Alice. Ma io no. Io volevo solo andare da lui, e picchiarlo. Non
avrebbe dovuto
fare questo a noi, e soprattutto ad Esme e Carlisle. Ma loro lo
perdonarono, dopo
un po’ di tempo. Ma fu così codardo da rifugiarsi
in Alaska, insieme a Rosalie.
E Papà continua a dargli una mano anche a distanza,
aiutandolo con le spese e
con la casa. E noi stiamo ancora pagando i debiti, tenendo il Pub
aperto e
dividendoci il lavoro.” Conclusi, con una nota di amarezza
nella voce.
- E finalmente
Isabella sapeva.
- “Tu
non sai cosa l’ha spinto a fare una cosa
del genere… perché non provi a
parlarci?”
- “Stai
dando ragione a lui?” Assottigliai gli occhi, mentre
lei si voltava per mettersi in ginocchi sul divano, dinnanzi a me.
- “No,
certo che no. Sai che non conosco Emmett, e quello
che ha fatto è da irresponsabili e immaturi. Però
liquidarlo così, senza
neanche parlarci. E’ pur sempre tuo fratello,
Edward.”
- Si
avvicinò, cercando si spostarmi una ciocca di capelli
che mi era ricaduta sulla fronte.
- Ma mi scostai
bruscamente, alzandomi da quel divano.
- “Come
puoi permetterti di giudicare il mio comportamento?”
- “Non
ti sto giudicando, Edward!” Spazientito, mi passai
tutte e due le mani sui capelli.
Ottimo, ci mancava solo che lei, ora. - “Ah,
no, eh? Allora questo che ti sembra, scusa? Stai
sputando sentenze su sentenze, senza neanche sapere di cosa
parli.”
- “So
solo quello che mi hai detto.”
- “Appunto.
Allora taci.”
- “Come
ti permetti? Sei solo un bamboccio. Un ragazzino
stupido, e nient’altro!”
- “Un
ragazzino stupido, eh?” La beffeggiai, avvicinandomi.
“Infatti sono io quello che ha finto di avere il ciclo, per non dirmi la
verità. Ti costava tanto? Sai Edward, non
sono pronta. Non me la sento. Cosa pensi? Che ti avrei costretta? Ho
litigato
con il mio migliore amico, per te.
Ho
cambiato scuola, per te!”
- “Non
te l’ho chiesto io, Edward! Vattene.”
- “Pensavi
davvero che per me fossi soltanto una scopata?
Dio, Isabella!” Continuai,
mettendoci il carico da dodici.
- “Vattene,
Edward.” Ripeté, lasciandomi con la bocca
aperta. “Vai via.”
- “Ragazzo,
è meglio che tu vada.” Una mano si posò
sulla
mia spalla, nello stesso istante in cui mi voltai.
- Charlie Swan
era dietro di me, e chissà da quanto tempo
ascoltava la nostra conversazione.
- Con un cenno
del capo presi il cappotto, e senza guardare
negli occhi Isabella uscii da quella casa.
- BELLA’S
POV
- Stronzo.
- Idiota.
- Testa di
cazzo.
- ‘Solo una scopata.’
Come poteva… Oh, Dio!
- Beato chi
riusciva a capire quel ragazzo!
- Chiusi con
uno scatto il libro di Biologia, buttandolo sul
letto accanto a me.
- Sentii il
letto vibrare sotto di me, e presi il cellulare.
- Beh, se era
lui non glie l’avrei fatta passare liscia.
- Non fate in
tempo a
mettervi insieme che già litigate.
- Siete
impossibili.
Alice. - O
incompatibili, aggiunsi, senza però scriverlo alla mia
migliore amica.
- Sai che
è sempre
colpa sua, vero?
- Lo odio.
- Bella.
- Lo inviai,
aspettandomi una risposta rapida da parte di
Alice.
- Loro hanno sempre
torto, tesoro.
- E lo odi
perché lo
ami.
- Alice.
- Che diamine
di risposta contorta era?
- Lasciai
correre, riponendo il cellulare sul comodino.
- Che lo odiavo
era una perfetta
bugia. Certo, forse ero un po’ arrabbiata con
lui.
- Che lo amavo,
quella era la tremenda
verità.
- Il cellulare
vibrò di nuovo, e maledii mentalmente Alice.
- Ti amo.
Scusa.
- Edward.
- Appunto…
- Sospirai
afflitta, pensando a come potevo rispondergli.
- Non sei
perdonato.
- Bella.
- Ecco, ora non
avrebbe
amata più.
- Aspettai una
risposta, ma il telefono iniziò a squillare.
- “Che
c’è?”
- “Scusa,
scusa, scusa, scusa, scusa.” Una cantilena, che
non finiva più.
- “Dovrei
perdonarti?”
- “Sì.
Perché sono un perfetto coglione. Lo so che tu non
sai nulla di Emmett, e che non hai giudicato. Scusa.”
- “Non
mi basta.”
- Okay, ora lo
stavo usando. E mi divertivo anche.
- “Almeno
fammi entrare. Qui fuori si congela.”
- “Sei
di sotto? Lo sai che se mio padre ti vede
t’ammazza?”
- “Sì,
ne sono consapevole. Quindi apri questa maledetta
finestra.”
- Risi di
gusto, alzandomi e spalancando la finestra.
- Lui era
lì, appeso a quell’albero con il cellulare in
mano.
- “Scusa.”
Mimò con il labiale, mentre le labbra gli
tremarono.
- Mi spostai di
qualche centimetro, lasciandolo entrare.
- Con un salto
finì disteso sul pavimento della mia stanza,
ma impiegò molto meno per tirarsi su.
- “Scusa,
scusa, scusa. E’ tutta colpa mia. Non avrei dovuto
dire quelle cose.” Si avvicinò, abbracciandomi.
- Non potevo
dire che quell’abbraccio fosse caloroso. Era
talmente ghiacciato, che mi congelai anch’io insieme a lui.
- “No.
E’ anche colpa mia.” Sussurrai, contro il suo
petto.
“Io… non avrei dovuto mentirti.”
- “Ne
possiamo sempre parlare, no?” Annuii, alzando gli
occhi per incontrare i suoi.
- “Scus-”
Ma le mie parole furono bloccate sul nascere, da
un suo bacio.
- E se prima le
sue labbra tremavano per il freddo, io le
sentii terribilmente calde.
- “Ti
amo.”
- “Ti
amo anche io, Edward.” Continuammo a baciarci per
minuti infiniti, finché finimmo sul letto, io sopra a lui.
- Non si
azzardò ad andare oltre. Si fermava a semplici
baci, e a sfiorarmi i fianchi.
- E glie ne fui
grata.
- Il giorno
dopo, avremmo parlato anche di quel
problema.
- “Rimani
a dormire?” Gli chiesi, mentre si alzava per
rimettersi il cappotto.
- Ormai erano
le due inoltrate.
- “Ho
la macchina qui sotto, e domani dobbiamo andare a
scuola. Cosa dirai a tuo padre, se ci trovasse qui, a letto
insieme?”
- Piccolo
particolare, di cui mi ero dimenticata.
- “Già.”
- “Cinque
ore, Isabella. E poi ci rivedremo.”
- “Cinque
ore.” Ripetei, cercando di convincermi che alla
fine non erano così tante.
- Avrei
impiegato quel lasso tempo a dormire, questo era
sicuro.
- “’Notte.”
Sorrise, stampandomi l’ennesimo bacio.
- “Buonanotte.”
Poi lo vidi saltare su quell’albero, per poi
scomparire nella notte.
- Con il cuore
in gola e le farfalle nello stomaco richiusi
la finestra, buttandomi sul letto.
- Solo cinque
ore.
- *
- A svegliarmi
fu un gran trambusto, che provenne dal piano
inferiore.
- Riuscii a
malapena ad infilarmi le ciabatte, scendendo. E
non so come, non cadetti sulle scale.
- La porta era
aperta, e Charlie mi dava le spalle.
- “Papà?”
Sussurrai, quando lo vidi scostarsi, per mostrare
la figura dinnanzi a lui.
- “Isabella!
Prepara le valigie, ti porto con me a Phoenix!”
- Renée…