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Autore: Deirdre_Alton    29/07/2011    1 recensioni
C'è un piccolo ragno di nome Agravain che tesse la propria tela, nella sua trama saranno in molti a cadere. Sarà l'imprevisto però a far crollare il suo mondo.
C'è un'altra tela, grande, immensa, tessuta da Dio e dalla Dea. Questa trama si espande, oltre il mare, chi ne rimarrà impigliato?
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agravaine, Gawain, Mordred, Morgana, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Grazie a chi sta leggendo questa storia *_*
Vorrei dedicare, come tributo, questo capitolo ad Ailinon, (è colpa sua se scrivo). Mi sono molto ispirata ad un capitolo della sua fanfiction "Lex - The two kings" per una scena di questo mio capitolo.


Capitolo 27

All'alba mi svegliai, intravvedevo della luce grigia dietro alle tende rosse. La fronte di Galahad era appoggiata alla mia schiena, sperando di non svegliarlo, sgattaiolai via dalla sua stanza. Era meglio che non venisse trovato in compagnie discutibili il giorno della sua incoronazione.
Guardai il mio letto, difficilmente mi sarei riaddormentato. Lo disfeci. Preferivo che non iniziassero subito a circolare certe voci... anche se prima o poi sarebbe successo. Ma, saremmo stati cauti, sicuramente.
Sospirai.
Andai alla porta e scrollai il paggio che sedeva addormentato in attesa del mio risveglio.
«Aqua. Aqua calida.»
Il ragazzino tornò poco dopo dopo e mi riempì la vasca, mi crogiolai in quel tepore e cercai di auto convincermi che sarebbe andato tutto bene, che Galahad sarebbe stato un ottimo re e che presto avremmo imparato la lingua di Sarras e quel dannato Dindrane se ne sarebbe tornato a fare la muffa nel suo castello disabitato.
Mi tornò in mente il vecchio marinaio Orithil. Lui era partito dalle terre del suo signore, aveva lasciato la moglie lì in Britannia. Era forse costretto a rimanere sull'isola con il suo padrone? Sperai che così non fosse, era suo diritto poter tornare a casa.
Dopo essermi asciugato, il paggio mi portò un numero sconfinato di tuniche che probabilmente rappresentavano tutti i colori possibili, tranne il nero. Non mi ero ripromesso un giorno di cambiare un po' lo stile? Cercai di non azzardare una scelta troppo eccessiva, optando per un viola scuro con brache nere. Era riccamente decorata in filo d'argento sul collo, polsi e bordo inferiore. Sistemandomi la cintura in vita, vidi il mio riflesso sul vetro di una finestra, avevo uno sguardo da ebete. Sembravo quasi contento.
Feci una parca colazione, stranamente il cibo faticava a scendermi in gola.
Quando mi sentii pronto, bussai alla porta di Galahad ed entrai. Lo trovai attorniato da tre paggi ed altri personaggi non ben identificati che lo vestivano e studiavano con attenzione. Vedendomi mi sorrise ma l'espressione gli si spense in fretta.
«Oh no!» Urlò disperato. Mi voltai, ma non vidi nulla di strano, mi tastai il petto e abbassai lo sguardo per vedere se mi ero in qualche modo macchiato. Lo guardai sbattendo le palpebre.
«Ho scelto una tunica rossa, perchè pensavo che ti saresti vestito di nero. Ma ti sei vestito di viola e il rosso con il viola fa a pugni! Devo cambiarmi!» Cercò di divincolarsi dai servitori ed io scoppiai a ridere. Tutti puntarono gli occhi su di me.
«E questo secondo te è un problema? Mica ci dobbiamo sposare.» Lui impallidì. La cosa era importante per lui. «Mi cambio io Galahad, in effetti avevi ragione, vesto sempre di-»
«Non se ne parla! Bianco, bianco, albus!» Disse spogliandosi e mandando in confusione i paggi.
Mi sedetti sul bordo del letto e rimasi a guardare l'evoluzione della sua vestizione. Il bianco era il suo colore, sebbene fosse pallido, in qualche modo lo faceva risaltare ed era in sintonia con i suoi capelli biondi.
Il bianco era stato anche il colore di mio padre da giovane, prima che scoprisse che era della stirpe di Uther Pendragon. Il bianco era stato sostituito dal drago d'oro sullo sfondo rosso.
Il rosso.
Non avevo mai amato quel colore, era il colore del sangue, il sangue era sofferenza, era discendenza, era famiglia. Dopotutto, fui contento che Galahad non lo dovesse indossare per l'incoronazione.
La cerimonia si sarebbe svolta in una chiesa nella città, l'unica di tutta l'isola. La capitale si estendeva dal porto fino alle pendici del castello-fortezza. All'interno delle mura c'era solo una piccola cappella e non sarebbe stata sufficiente nemmeno a contenere metà dei pari del regno. Scendemmo a cavallo, appena fuori dalle mura fummo accolti da una nutrita folla che gettò fiori su Galahad e anche su di me, che gli stavo dietro. Forse non sarei stato male lì, forse io e Galahad… scacciai via qualsiasi pensiero che non fosse quello di tenere calmo il cavallo.
Seguendo la strada in discesa giungemmo ad una piazza gremita di persone festanti, la chiesa non era molto grande e me ne stupii, credevo che in quel piccolo regno la religione venisse al primo posto.
Entrammo in chiesa e fummo assaliti dal profumo dei fiori e dalla luce. Rimasi a bocca aperta. Da fuori avevo notato che l'edificio era circondato da alti alberi dalla fronde rigogliose, ma non mi ero accorto che era senza tetto. C'era solo la facciata di pietra, il resto era senza muri, le pareti esterne erano formate solamente da delle colonne poste a distanza regolare, attraverso le quali si vedevano gli alti alberi che avevo notato da fuori. C'era il cielo limpido e non travi di legno sopra le nostre teste. Le persone che ti attendevano erano sedute per terra su dei cuscini ed il resto del popolo era sotto gli alberi che ci osservava emozionato. La chiesa era ad un unica navata, con un lastricato in pietra chiara al centro, dove noi ora stavamo camminando.
La cerimonia fu breve, forse perchè era inutile stare tanto a parlare dato che il loro nuovo re non comprendeva una parola. Galahad si inginocchiò, non rivolto al sacerdote, ma verso il suo popolo. Incrociò le mani davanti al petto e chiudendo gli occhi attese che venisse unto sulla testa, sulla bocca e sul cuore. Il sacerdote gli posò la corona in testa, un cerchio d'oro rosso con un rubino tagliato a rombo sul davanti, quando Galahad si alzò la folla intonò un canto che mi stregò, sentii un brivido corrermi lungo la schiena.
Vidi Dindrane, che fino a quel momento non avevo degnato di uno sguardo, che indossava un'appariscente tunica gialla, asciugarsi furtivamente una lacrima. Assomigliava più ad una ragazza che ad un ragazzo in quel momento. Il nuovo Re attese che il canto terminasse e poi alzò la mano. Fece un cenno a Dindrane che si avvicinò, gli disse qualcosa a bassa voce e poi parlò lentamente ai suoi sudditi.
«Popolo di Sarras, sono giunto qui per il volere di Dio a farvi da guida e giudice. Perchè è questo quello che io desidero, solo essere una guida, un consigliere. Che forse dovrete consigliare voi stessi dato la mia giovane età, io non pretendo di essere più sapiente di voi.» Fece una pausa mentre Dindrane terminava di tradurre. Venne applaudito ed alcuni gridarono il suo nome. «Voi sapete che sono giunto qui sulla nave del Graal, la Santa Reliquia mi è stata rivelata ed essa mi ha parlato con la voce stessa di Dio. Io vedo nei vostri cuori che già state adempiendo al suo volere, al volere di Nostro Padre, poiché vivete in libertà di espressione, senza pregiudizi e sapete discutere con il prossimo, ed amate parlare perchè quella è l'unica via. Perchè mai il Signore Dio Padre ci avrebbe donato di questo grande dono? Perchè ci ha resi diversi dagli animali? Ci ha donato la saggezza. Ora, io e voi riporteremo la vera religione che dice: ama te stesso ed amerai gli altri. Perchè è da noi che parte tutto!
Esistono sì tanti dei, ma tutti con nomi diversi sono sempre uno. Che lo chiamate Dio o lo chiamate Natura, è sempre quello. Se chiamate un fiore in un modo o in un altro, in una lingua o in un'altra, non sarà sempre quel fiore?»
Le persone erano rapite dalle sue parole, i loro occhi erano carichi di ammirazione. Mi sarei inginocchiato nuovamente ai suoi piedi, lui lesse nei miei pensieri e mi fermò con un gesto perentorio della mano. Chi era in quel momento Galahad? Era forse uno di quegli angeli dei cattolici sceso sulla terra?
Gabriele. Così si chiamava uno di quegli esseri.
«Non sono un santo, non sono un re, sono solo una persona come tutti voi, che ama, soffre e non comprende appieno il prossimo. Ma tento. Cerco, mi espongo. Io... potrete interpretare le mie parole come desiderate, se vorrete, vi aspetterò a palazzo e sarò contento di discute con voi dei misteri della vita.» Infine la voce gli si spezzò per l'emozione e fu un tripudio di voci ed urla.
Mi avvicinai a lui e gli sussurrai. «Sarebbe questo che ti ha detto il tuo vaso magico?» Mi guardò serio e poi capì che scherzavo.
«Più o meno. Mordred, c'è una cosa che devo fare.» Io alzai le sopracciglia, ebbi paura che mi dicesse che doveva partire da quell'isola, per portare la vera religione nel mondo o qualche altra sciocchezza del genere. Si tolse la corona e la folla ammutolì.
Mi mise il cerchio sulla testa e disse: «Mordred, figlio di Artù, io ti nomino mio primo consigliere, erede e vice Re di Sarras.» Mi sentii a disagio così al centro dell'attenzione.
Dindrane dovette attendere alcuni secondi per riprendersi prima di tradurre quelle parole. Le persone all'interno del santuario si alzarono ed applaudirono fragorosamente. Non dovevano ancora essere circolate brutte storie sul mio conto. Mentre mi toglievo la corona e la riponevo al giusto posto, sulla testa di Galahad, vidi Orithil il marinaio sotto un albero vicino ad una colonna della chiesa, mi sorrise e mi fece l'occhiolino.
Forse questa era la rivincita nei confronti della follia.

   
 
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