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Autore: Shainareth    29/03/2006    6 recensioni
Sei la mia forza e la mia debolezza...
Ringrazio quanti mi hanno spinto a dare un epilogo a questa storia. ^^
CONCLUSA
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO III – AMORE

CAPITOLO III – AMORE

 

Cretino. Non c’era altro aggettivo per definirlo. Se ne rendeva perfettamente conto, ma se quella stupida gli avesse lasciato spiegare che quel sospiro sfuggito alle sue labbra non era riferito a lei, di certo ora non sarebbero ai ferri corti.

   Grugnì l’ennesima imprecazione della nottata e riprese a contare: seicentomilacinquantuno, seicentomilacinquantadue, seicentomilacinquantatre…

   Il nome di Kuina da lui pronunciato subito dopo l’atto d’amore, non voleva assolutamente essere un paragonare le due, né tanto meno un identificare la compagna con l’amica d’infanzia. Per la miseria, che razza di bestia credeva che fosse?!

   …seicentomilacinquantaquattro, seicentomilacinquantacinque…

   Oltretutto Kuina era poco più d’una bambina, mentre Nami era donna a tutti gli effetti… come poteva credere che… Porca l’oca, solo al pensiero gli si attorcigliava lo stomaco… Se fosse stato capace di una cosa del genere, non avrebbe esitato a sputarsi in faccia da solo, poco ma sicuro.

   …seicentomilacinquantasei, seicentomilacinquantasette, seicentomilacinquantotto…

   Lui era cretino, ma lei era stupida. E non di poco. Bene, si disse, un cretino ed una stupida: gran bell’accoppiata.

   …seicentomilacinquantanove, seicentomilasessanta, seicentomilasessantuno…

   Ora, pensava, sicuramente quella stupida se ne stava nella sua stanza a piangere, rabbiosa, contro di lui. Colpa sua che non gli aveva dato modo di spiegarsi.

   …seicentomilasessantadue, seicentomilasessantatre…

   Lui, però, avrebbe potuto fare a meno di pronunciare quel nome in una situazione tanto delicata…

   …seicentomilasessantaquattro…

 

Nami non piangeva, però. Se ne stava semplicemente rannicchiata ai piedi delle scale, nella sua cabina, ancora nuda. Le gambe al petto, i gomiti sulle ginocchia, le braccia tese in avanti, i capelli spioventi all’ingiù, il capo nascosto: delusa. Era così che si sentiva.

   Prese un profondo respiro, e tentò di ragionare, scacciando il demone della gelosia dalla mente, forse tornata lucida. Forse.

   Punto uno: Zoro non le aveva mai raccontato balle da che lo conosceva, né amava scherzare su questioni serie; ergo, quel bastardo l’aveva davvero sostituita, almeno nella sua mente, con un’altra.

   Punto due: lei era una bugiarda patentata, capace di far concorrenza persino a quel fanfarone di Usop, e lo spadaccino lo sapeva più che bene, viste le frequenti zuffe nate tra loro proprio per questa sua mania di mentire in qualunque situazione le facesse comodo; ergo, non doveva credere alle parole da lei pronunciate quella sera ‘Non ti sto chiedendo di amarmi...’.

   Punto tre: se Zoro era orgoglioso, lei lo era altrettanto; ergo, quel suo ‘Non ti sto chiedendo di amarmi...’ doveva essere tradotto con un ‘Ho un bisogno disperato del tuo amore’.

   Punto quattro: lei era donna, e tanto bastava per far capire al samurai che, qualunque cosa le uscisse dalle labbra, doveva essere interpretata in mille altri sensi, tutti molto reconditi e complessi; ergo, Zoro non ci sapeva fare con l’altro sesso.

   Ergo, infine, Zoro non era capace di sotterfugi né tanto meno di mentire: troppo stupido, si disse.

   Se voleva darle una spiegazione in merito, e si affannava tanto per fornirgliela, era perché evidentemente essa esisteva.

   Forse doveva ascoltarlo. Forse.

 

Da che era nato, c’era una sola cosa che mai aveva sopportato: che qualcuno piangesse.

   Odiava vedere la gente piangere, proprio non riusciva a resistere all’impulso di riscattare quelle lacrime in qualche modo, fosse anche uccidere chi le aveva causate.

   Vedere una donna che piangeva era anche peggio.

   Vedere Nami piangere, lo uccideva.

   E il saperla da sola, di sotto, in uno stato di rabbiosa disperazione, e per di più per colpa sua, lo teneva in sospeso fra la vita e la morte.

   Forse doveva tentare ancora una volta di scusarsi con lei e di esporle la questione nel migliore dei modi, magari di rispondere anche a delle eventuali domande, semmai lei avesse deciso di porgliene.

   Era raro, però, che Nami piangesse.

   Scosse il capo e riprese in mano i pesi: se gli aveva detto chiaro e tondo che non voleva il suo amore, perché mai lui doveva spiegarle cosa stesse frullando il suo cervello nell’istante in cui aveva fatto il nome di un’altra? Gli aveva anche fatto capire in modo esplicito che cercava soltanto compagnia, il calore di un corpo, nient’altro che questo.

   Ma Nami è bugiarda, gli suggerì una voce, saggia e benedetta, nella sua testa.

   Fermò i bilancieri a mezz’aria.

 

La maglia chiara dello spadaccino, lasciata disordinatamente in terra, fu raccolta da una mano di donna e condotta ad un petto formoso che andava alzandosi ed abbassandosi rapidamente ad ogni singhiozzo, silenzioso, che la bella ladra cercava di reprimere per compiacere il suo orgoglio.

   Strinse la maglietta ai seni, fra i pugni, e questa non tardò ad inzupparsi delle sue lacrime.

   ‘E se dopo sarà peggio?’ le aveva chiesto lui.

   Ora lo sapevano: era meglio lasciare tutto com’era, illudendosi che potesse nascere qualcosa che andasse oltre quell’opprimente desiderio, quell’irresistibile attrazione fisica che era nata fra loro sin dall’inizio della loro avventura insieme.

   Sapeva che Zoro non poteva esser tanto meschino da pensare ad una donna amandone, seppur solo fisicamente, un’altra. Era stata ingiusta con lui, e si rendeva conto, ora, che le sue non erano altro che lacrime di coccodrillo.

 

Oddio… allora lo amava?, si terrorizzò Zoro all’idea.

   No, chiariamoci: non lo terrorizzò l’idea che Nami fosse innamorata di lui, quanto il fatto di non averlo capito subito.

   Se prima lo amava, ora, come minimo, doveva odiarlo a morte.

   Incoraggiante.

   Ragioniamo, si disse, rimettendo i pesi giù. Nami era bugiarda. E donna. E da che mondo è mondo, quando le donne affermano una cosa, intendono esattamente il contrario; glielo dicevano sempre Johnny e Yosaku, e di questo si era convinto quando aveva conosciuto lei, visto i modi carini che usava con Sanji al preciso scopo di ingraziarselo per passate, presenti e future gentilezze che il biondo cuoco le riservava anche senza che lei le richiedesse. Uno schiavo faceva sempre comodo. Uno schiavo scemo, per di più, se alla prima occasione lei gli sbatteva in faccia la verità nuda e cruda: non mi importa un fico secco di te.

   Offesa. L’aveva orribilmente ed irrimediabilmente offesa nella sua più intima femminilità.

   Mai si era macchiato d’un crimine sì crudo.

   Doveva rimediare. Con le buone o con le cattive, poco importava: doveva spiegarle che quella notte aveva amato lei e lei sola, e che non c’era stato spazio per nessun’altra, nella sua mente né nel suo cuore.

   Si fermò dopo pochi passi, mossi in direzione del boccaporto che portava nella cabina di lei.

   Aveva amato lei e nessun’altra.

 

Salì i gradini e, con dita tremanti, fece scattare la serratura che chiudeva il portello dal quale aveva fatto uscire con malagrazia lo spadaccino dalla sua camera. Si affacciò sul ponte superiore, lì, nel magazzino, e lo trovò sull’uscio, lo sguardo fisso su di lei che, il viso ancora arrossato dal pianto, aveva indossato la sua maglietta per non dare indecoroso spettacolo agli occhi dei curiosi.

   «Stavo dicendo addio alla mia vita solitaria»

   Nami non rispose, rimanendo ferma a metà tra le scale e il ponte.

   «Il nome di Kuina mi è salito alle labbra solo per questo: volevo rassicurarla che, se anche tu fossi diventata la mia debolezza, come effettivamente è stato, avrei trovato in te, mio punto debole, quella forza che mi avrebbe spinto a dare il massimo, a non mollare per nulla al mondo»

   Gli occhi della cartografa tornarono ad empirsi di lacrime che però lei, testarda, non permise le bagnassero ancora una volta il viso.

   «Se decido di amarti, decido di farlo fino in fondo»

   Eccola, malandrina, la prima che scendeva giù. L’asciugò con un gesto di stizza: si piangeva per cose tristi, non per cose belle.

   «Se decido di renderti felice, non posso permettermi di morire: manterrò la mia promessa a Kuina, a qualunque costo»

   E un attimo dopo, Nami volò fra le sue braccia, fragile come una farfalla, felice come mai lo era stata fino ad allora.

 

 

 

 

 

Non ci crederete, ma quest’ultimo capitolo si è rivelato il più facile di tutti… ^^;

Che dire? E’ la prima volta che mi ritrovo a scrivere una fanfic a capitoli così breve, improvvisandola da un rigo all’altro, e, se anche la prima e la seconda parte mi hanno lasciato un po’ perplessa, questa terza parte mi ha dato decisamente più soddisfazione.

Magari a voi non piacerà nemmeno, ma pazienza! Meglio prenderla a ridere! XD

Ringrazio tutti coloro che mi hanno incoraggiata a concludere questa storia che, sul serio, ero più che intenzionata a lasciar morire dopo il primo capitolo… ^^;

Siete stati davvero, davvero preziosi.

GRAZIE.

Shainareth J

 

  
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