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Autore: Agapanto Blu    31/07/2011    7 recensioni
Questa fan-fic è la storia di due angeli profondamente innamorati, Miriam e Nicola... La loro relazione è ostacolata dal fatto che lui è un Caduto mentre lei è uno degli Angeli più importanti del Paradiso perchè è destinata a succedere a Gabriele come Arcangelo... A cent'anni dalla loro separazione arriverà qualcuno a scombinare le carte in tavola: una ragazza di nome Lucia che potrebbe spazzar via il passato e dare ai due angeli una seconda possibilità...
Autrice: Non sono brava e questa è la prima long-fic che scrivo... Siate clementi e recensite!!! Anche per scrivere critiche, mi raccomando!!! Ne ho bisogno!!!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La saga degli Angeli di Victoria'
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“Signor Person, sarebbe così gentile da spiegarci perché non sta seguendo la lezione?”
Nick sobbalzò nel sentirsi chiamare.
Il professor Hudson, docente di Fisica al liceo scientifico della minuscola città di Victoria nel nord degli Stati Uniti, se ne stava in piedi davanti alla cattedra a braccia conserte e fissava con finta cordialità il suo studente più odiato: Nicola Person detto Nick.
Dietro la curiosità e la domanda cordiale covava l’odio per uno studente che l’aveva messo in imbarazzo a inizio anno correggendolo di fronte a tutta la classe.
Nick aveva maledetto il suo gesto milioni di volte in quei cinque mesi di scuola forzata.
Forzata, sì! Perché un angelo che vive da secoli non ha certo bisogno che un mortale gli spieghi come fa a respirare!
“Allora?” insistette il professore.
“Mi scusi, signore…” si limitò a rispondere.
Nick dimostrava diciotto anni, aveva i capelli corti biondo chiaro e gli occhi azzurro chiaro tipici delle popolazioni del nord, era alto e abbastanza muscoloso, non aveva le spalle larghe ma era comunque il tipo di ragazzo che non vorresti mai trovarti di fronte in una rissa, la sua pelle era molto chiara anche se ormai stava, quasi, iniziando ad abbronzarsi.
Il professor Hudson parve compiaciuto e riprese la lezione con la frase: “Come stavamo dicendo prima che il vostro compagno ci interrompesse con il suo brillante commento…”
Nick sbuffò cercando di non farsi notare.
Ma quando suonava?
Negli ultimi dieci anni era stato costretto ad iscriversi a decine di scuole diverse ed era arrivato alla conclusione che se c’era qualcosa che lui odiasse più di ogni altra cosa al mondo era la campanella: non suonava mai quando doveva, suonava quando non doveva e sembrava prolungarti l’attesa ogni volta che arrivava l’ultima ora!
Tra l’altro la lezione del giorno verteva sulle domande: perché ci innamoriamo e cosa accade nel nostro corpo?
Considerando che il giorno prima era stato l’anniversario della sua caduta, non era esattamente dell’umore giusto per affrontare un simile argomento.
Driiiin.
Il ragazzo scattò in piedi afferrando la borsa a tracolla verde mimetico che usava come zaino e vi infilò dentro a forza e con malagrazia i libri e l’astuccio. Tenne fuori solo il foglio su cui stava scarabocchiando per osservare cosa la sua mente contorta aveva impresso sulla carta.
“Cavolo! Hudson ce l’ha proprio a morte con te!” fece una voce alle sue spalle mentre usciva dalla porta e si avviava nel corridoio che portava all’uscita.
Mattew Orlean era un suo coetaneo e compagno di classe, un ragazzo di corporatura simile alla sua ma con i capelli rossi ricci e gli occhi verde opaco. Indossava una T-shirt azzurra a maniche lunghe con lo scritta “I’m here, baby!”, cioè “Sono qui, piccola!”, su di un paio di blue jeans con una cintura nera e stava per indossare la giacca pesante di colori bianco, rosso e marrone mentre in testa portava il solito cappellino da baseball blu e bianco che aveva comprato all’EMEA: un’importante gara europea di baseball che suo padre gli aveva fatto vedere quando aveva portato tutta la famiglia in vacanza in Europa per rendere felici sia la moglie che il figlio e per farsi quindi perdonare l’ennesima scappatella. Erano diventati amici quasi subito e il loro legame era forte.
“Ma non te lo togli mai quell’affare?” chiese Nick evitando l’argomento e indicando con un cenno del mento il cappellino, l’abbigliamento sgargiante di Mattew strideva stranamente con il suo, sobrio: blue jeans senza cintura un po’ stinti sul davanti e una maglia a maniche lunghe nera e senza scritte, il suo giubbotto era grigio scuro e anonimo come il resto.
“Scherzi, spero… Guarda che oltre alle gare maschili ho visto le femminili, le ragazze mi hanno baciato il cappello! Le tedesche sembravano degli armadi a due ante ma le italiane… Belle e brave, l’unico problema e che sanno darle di santa ragione!” rispose Mattew gioviale come suo solito.
Nick sorrise furbo mentre si girava di fianco e cercava di farsi il più sottile possibile per passare attraverso la folla degli alunni che restavano a scuola per il pomeriggio.
Una volta dall’altra parte del fiume di corpi si fermò e attese che Mattew riuscisse a riemergere.
Il ragazzo spuntò tra le schiene di due ragazze con la stessa espressione di un maratoneta scarso a fine gara e si piegò in due appoggiandosi alle ginocchia per riprendere fiato, la borsa a tracolla gialla sulla schiena.
“Un giorno verrò a scuola con la maschera con il boccaglio!” borbottò alzando l’indice.
Nick ridacchiò.
Mattew alzò lo sguardo e lo fulminò.
“Taci!” disse.
Nick scosse la testa e tornò sull’argomento interrotto mentre riprendevano a camminare.
“Mi spieghi come fai a sapere che le italiane picchiano duro?” chiese.
“Semplice! C’è quasi stata una rissa tra due energumeni sugli spalti finite le partite: un tedesco e un americano. Due di quelle sono salite e li hanno divisi a forza, uno spettacolo grandioso!” rispose l’altro.
Nick scosse la testa.
“Sei impossibile…”
“No, caro mio! Sono solo di larghe vedute…” fece Mattew alzando l’indice al livello del viso e facendogli fare dei cerchi verso il cielo.
“Hai ragione!” disse Nick con espressione orgogliosa.
“Davvero?” chiese l’altro con stupore.
“Sìììì… Tu per guardare una ragazza gireresti gli occhi a 360 gradi! Più larghe di così!”
Mattew gli tirò un pugno sulla spalla ma ormai erano all’uscita.
“Che fai? Vuoi un passaggio?” chiese a Nick guardando il cielo di febbraio che prometteva pioggia.
“No, tranquillo. Vado a piedi... Grazie lo stesso…”
Mattew alzò le spalle.
“Come vuoi… Ci vediamo domani… Cerca di stare più attento durante le lezioni o la tua media perfetta del nove in tutte le materie colerà a picco! Non voglio vederti piangere se Hudson ti darà solo otto…” disse facendo l’espressione da ‘cocker bastonato’, l’espressione tipica di tutti gli studenti quando viene fatta loro una domanda a cui non sanno rispondere: occhi grandi e languidi, labbro inferiore in fuori e le orecchie che quasi si abbassano.
Scappò via di corsa quando vide Nick abbassarsi a raccogliere una manciata della neve rimasta. Sporca e ghiacciata: quello che ci voleva per far tacere Mattew.
Lo mancò per un pelo e il suo amico salì sulla macchina del padre ridendo a squarciagola.
Nick scosse la testa e guardò il cielo. Dalla Terra sembrava lontanissimo…
Sospirò e si tirò su il colletto del giubbotto per ripararsi dal forte vento freddo che si stava alzando.
Mani in tasca, camminò per due isolati per poi svoltare in una viuzza secondaria e spuntare in un’altra via molto più trafficata delle altre. Il posto con il più alto rischio di incidenti auto/pedone era il parcheggio delle scuole superiori e medie all’uscita: un marasma di auto, clacson, ragazzi a piedi sconsiderati e biciclette da museo superabili da una tartaruga!
Nick preferiva la strada più libera anche se, di certo, un’auto non l’avrebbe ammazzato.
Raggiunse il bar- caffetteria- tavola calda di Joe, un altro angelo caduto.
Entrò e si avvicinò al bancone per cercarlo ma non lo vide, dietro alla cassa nessuno.
Il locale era grande e illuminato da luci gialle che rendevano l’atmosfera calda, sulla sinistra si spiegavano le finestre e i tavolini, alcuni con sedie e altri con divanetti, alcuni rotondi e altri quadrati ma tutti rigorosamente bianchi. Sulla destra correva il bancone sul quale un pittore aveva dipinto lo scorcio di un bosco estivo. Dietro a quello stavano tre ripiani a muro su cui svettavano: bottiglie, insalate già pronte, tramezzini e panini da cuocere, una piastra da toast un forno a microonde e, in mezzo, un buco rettangolare enorme dal quale si vedeva la cucina e dove la cameriera, Betty, portava e prendeva le ordinazioni. Sul bancone, accanto all’entrata svettava la cassa.
“Joe?” chiamò.
“Ehy Nick!” lo chiamò la voce di Joe dal magazzino la cui porta d’entrata era accanto alla cucina, all’estrema sinistra dei ripiani, “Ehy, ragazzo… Vienimi a dare una mano… Credo di avere un problemino…”
Nick aggrottò le sopracciglia e si affrettò ad entrare.
La luce era spenta e quella poca che entrava dalle sue spalle non era sufficiente per vedere così cercò a tastoni l’interruttore. Quando riuscì a trovarlo e ad accendere vide Joe sdraiato a terra sulla schiena con cinque scatoloni addosso.
“Ehy… Credo di essere caduto…” disse l’uomo con un sorrisetto colpevole.
“Aspetta, ti do una mano…” fece Nick raggiungendolo e iniziando a spostare scatoloni.
“Grazie ragazzo…” fece Joe quando, finalmente, potè mettersi a sedere.
Fu allora che Nick si guardò intorno e notò il macello: mobili rovesciati, scatoloni aperti e ribaltati, fogli e oggetti sparsi ovunque.
“Ma che è successo?” chiese sbalordito.
“Eh?” fece Joe, “Ah, quello… Beh dovrò mettere un po’ a posto… Sai al buio ho urtato contro un bel po’ di roba"
Nick spostò lo sguardo ma non credette all’amico, era vicino alla porta quando l’aveva trovato: perché mettere tutto a soqquadro?
“Joe, sei sicuro che…” tentò di dire.
“Santo Cielo, ma sei menagramo, sai?” borbottò uscendo.
“E il danno?” chiese Nick.
“Mangia qualcosa e poi metti a posto tu, ti pago per questo, no?” fece Joe uscendo tranquillo dal magazzino.
Joe dimostrava una quarantina d’anni, aveva la pelle color schiuma di caffé e i capelli neri come gli occhi, era basso, mezza spanna in meno di Nick, ma tosto: nel suo locale niente piantagrane. Era scherzoso e furbo quando voleva.
Il ragazzo sorrise scuotendo la testa a destra e sinistra ma non replicò, trovare un lavoro da un angelo caduto filo-Creatore era stata una vera fortuna: poteva capire che il mattino era impegnato con la scuola, sapeva che era più grande di quello che dimostrava e, soprattutto, a lui poteva raccontare la sua storia…
Joe si era dimostrato molto comprensivo e gli permetteva di andarsene il giorno della ricorrenza della caduta che, tra loro, chiamavano semplicemente: l’Anniversario.
Nick si sedette al bancone e Joe gli portò il solito tramezzino…
Dieci minuti dopo Nick rimise piede in quel pandemonio di magazzino.
La prima cosa che fece fu mettersi le mani nei capelli per poi tirarsi su le maniche e avventurarsi nell’ignoto…
  
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