Spaventata dalla verità.
Corro
in camera mia, spaventata e al contempo attratta da quell’ombra che mi segue.
Cosa vuole da me? Vuole farmi del male? Ho paura.
Mi
chiudo in camera mia inchiavando la porta due volte, dopo qualche minuto però la
mia estrema curiosità mi spinge ad aprire la finestra per vedere se quel ragazzo
è ancora attorno al palazzo.
Mi
guardo intorno, vedo l’immensa palude fangosa, i lontani alberi spogli e
grigiastri. Poi guardo esattamente sotto la mia finestra, il ragazzo è lì, con
gli occhi puntati verso di me. Le sue iridi verdi sono visibili anche a cinque
metri di distanza, sono quasi abbaglianti. Mi sorride debolmente e, senza
apparente motivo, sorrido anch’io.
“Il
diavolo ha potere di comparire agli
uomini in forme seducenti e ingannatorie” questo pensiero mi balza alla mente e
ricordo di averlo letto in un libro di William Shakespeare, un saggio autore
umano.
Il
ragazzo mi fa cenno di scendere da lui con la mano ma, improvvisamente, presa
dalla ragione mi tiro indietro e chiudo la finestra, spaventata a morte. Stavo
davvero per infrangere tutte le regole che conosco e parlare con un guerriero
della morte? Se mi vedesse mia madre morirebbe, poi resusciterebbe e ucciderebbe
me. Ne sono certa.
-
Era! Scusami, non ho bussato. – Una donna bionda, dai lineamenti nordici e
angelici, entra in camera mia senza permesso e sorride.
-
Salve, non vi preoccupate. – Le dico, dandole del “voi” per cortesia, sembra una
cinquantenne, non vorrei mancarle di rispetto.
-
Non mi sono ancora presentata scusami. Io sono Desia, rettrice di questo posto,
nonché poetessa e pittrice affermata. – Mi spiega velocemente, con un po’ troppa
enfasi e presunzione.
-
Sono lieta di conoscervi, rettrice. – Mi inchino come devo e lei
sorride.
-
Quanta formalità! Su, su! Era, non preoccuparti di darmi del “voi” o di
inchinarti al mio passaggio. In confidenza, non mi piacciono per niente queste
cose. Voglio solo accertarmi che ti trovi bene qui e che non farai mai nulla per
togliere prestigio e reputazione a questo posto, capisci?
-
Ad
un tratto il suo sguardo si fa duro e impenetrabile, è
seria.
-
Certo, Desia, non devi preoccuparti. Sono una studentessa modello sin dalla
Prima Scuola quindi sta tranquilla, non farò nulla di
inappropriato.-
Le
dico sinceramente, per un attimo le iridi verdi mi tornano in mente ma le
scaccio via con la velocità di un fulmine.
-
Bene, anche perché, detto tra noi, girano delle voci qui a scuola.. si dice che
alcune ragazze facciano uso di sostanze proibite provenienti dalle terre
dell’ovest. Sai bene che chiunque sia scoperto con codeste sostanze viene espulso
e punito dagli Antichi, no? – Mi ricorda per l’ennesima volta, come mia madre.
Annuisco e metto le mani dietro la schiena, come un
cadetto.
-
Buona notte allora. – Mi dice, si avvicina e mi bacia sulla fronte.
Sorrido.
-
Grazie, felice notte, Desia. – Le dico cordialmente, finalmente
esce.
Mi
permetto di respirare affondo e sciolgo le mani dalla schiena, mettendomi la
camicia da notte. E’ corta, quasi trasparente, bianca.
Mia
madre dice sempre che con questa camicia sembro una
fatina.
-
Fatina. – Sento una voce maschile provenire dal mio letto, mi volto allarmata,
ancora nuda. Ma non c’è nulla. Era solo la mia immaginazione, mi convinco. Ma la
possibilità che qualcuno possa essersi introdotto magicamente nella mia stanza
mi tiene sveglia fino a notte fonda. Dopo quel ragazzo fuori dal palazzo e
questa strana sensazione di essere perennemente osservata, non mi sento
tranquilla.
Avrei
dovuto dire tutto alla rettrice, poco fa. E invece sono stata
zitta.
Sono
quasi le quattro del mattino, so bene che dovrei riposare, domani c’è la mia
prima lezione di poesia ma non riesco a chiudere occhio, la finestra è chiusa,
la porta bloccata con una sedia e inchiavata. Ma ho comunque paura che qualcuno,
in qualche modo, riesca ad entrare.
-
Fatina. – Sento nuovamente quella voce e sobbalzo, appiattendomi contro la
spalliera del letto e facendomi male la nuca col pomello.
Lui
è davanti a me, in carne ed ossa, il ragazzo dalle iridi
verdi.
-
Chi siete? Cosa volete da me? – Inizio a piagnucolare come una
bimba.
-
Calmatevi, fatina.- Mi dice lui, accarezzando il comò con un
dito.
-
Vi prego, il denaro è dentro quel cassetto, prendetelo e andatevene.
–
Mi
sembra la cosa più sensata da dire, anche se, notando il suo sguardo, mi accorgo
che non è il denaro che vuole.. ma me.
-
Ho bisogno di parlare con voi, ho bisogno di certezze. – Mi dice, serio, facendo
scomparire il sorriso beffardo di qualche secondo prima.
-
Se sono solo informazioni quelle che volete ve le darò, ma poi dovrete andarvene
e promettere di non tornare più qui. – Gli dico, sicura di me stessa e di ciò
che sto dicendo. Meglio assecondarlo finché posso.
-
Io.. voglio chiedervi una cosa, fatina, perché a me non è permesso fare ciò che
fate voi? Studiare, dipingere o fare una passeggiata? Perché non posso
redimermi? L’unica colpa che ho è essere stato messo al mondo da due guerrieri.
Non ho mai ucciso nessuno né ho mai rubato qualcosa. Allora.. se voi non
peccate, ed io non ho peccato, non siamo forse destinati a fare le stesse cose?
– Il suo discorso mi lascia boccheggiante, rilasso i muscoli e capisco che
l’unica cosa che l’ha spinto a venire qui, da me, è la curiosità e la tristezza.
Riesco a vedere il suo animo, è dolce, un po’ ruvido e grezzo, ma buono. I suoi
occhi, nella penombra creata dalla candela, sono ancora più belli di quanto
immaginassi, anche perché sono lucidi e spalancati.
-
Io non posso rispondervi. State chiedendo alla persona sbagliata, non sono
saggia né colta abbastanza per darvi tali soluzioni, posso solo dirvi che mi
dispiace vedervi così affranto. Ma se non vi dispiace vorrei chiedervi qualcosa
io, adesso. – Gli dico, ormai non più spaventata.
-
Voi siete stata gentile e disponibile, adesso voglio ricambiare. – Risponde,
acconsentendo alla mia richiesta. Poi sorride debolmente facendomi segno di
continuare il mio discorso ed io tossisco imbarazzata.
-
Vorrei tanto sapere come avete fatto a sorpassare il confine magico tra il mio
mondo ed il vostro. – Lui sospira, poi fruga tra le tasche lerce dei suoi
pantaloni. Guardandoli bene noto che sono di pelle nera, sporchi di fanghiglia e
piccole erbe.
-
Questo. – Mi mostra un ciondolo con uno scorpione disegnato sopra. – E’ il
ciondolo di Scorpius, un potente mago delle mie terre, nonché mio antenato. – Mi
spiega ed io annuisco, conosco vagamente la storia del mago oscuro. Si narra che
un tempo, centinaia d’anni dopo la divisione delle due terre, un potente mago,
direttamente discendente dallo stesso Lucifero, creò un ciondolo magico capace
di rompere qualsiasi incantesimo per proteggersi dagli attacchi delle fate delle
luce, che l’avevano preso di mira a causa di una sua intromissione nel nostro
territorio.
-
Conosco la storia a somme linee. Continuate. – Dico e lui schiarisce la
gola.
-
Bhé, è da un po’ di giorni che seguo le lezioni di poesia dalla grande finestra
e poi vi ho vista, voi non avete urlato né mi avete denunciato, anzi.. mi avete
sorriso. Quindi ho pensato che magari se fossi riuscito a raggiungervi mi
avreste accolto e saziato di risposte. – Dice, ma sono incapace di capirlo del
tutto, le sue labbra attirano troppo la mia attenzione. E’ davvero un ragazzo
stupendo, con quel fisico e quelle labbra. E poi credo davvero che quelli siano
gli occhi più belli delle terre dei due opposti.
-
Posso sapere come mai mi guardate? – Mi chiede ad un tratto ed io arrossisco e
stringo involontariamente il lenzuolo, appiattendomi all’angolo del
muro.
-
Non saprei, pensavo che voi guerrieri foste più imbruttiti, più rozzi, più
cavernicoli, perdonate gli aggettivi, ma se non fosse per i capelli neri voi
potreste tranquillamente essere scambiato per uno di noi.
–
-
Perché? Qui non avete capelli del genere? – Mi chiede
curioso.
Io
prendo una ciocca bionda dei miei capelli e gliela mostro.
-
Qui abbiamo i capelli biondi, castano chiaro o rossi. E gli anziani li hanno
bianchi. Non esiste il nero, il marrone scuro, il grigio.
–
-
Si, quelli sono i colori che abbiamo noi. – Mi dice, io
sorrido.
-
Bene, adesso dovreste riposare, è notte fonda. Mi dispiace di avervi disturbato
per così tanto tempo. –
-
Non vi preoccupate, è stato illuminante scoprire la vostra gentilezza.- Dico
sincera, al diavolo le credenze popolari.
-
Ma non vi siete ancora presentato! – Dico ricordandomene.
-
Oh, avete ragione. Il mio nome è Ate. – Mi spiega, avvicinandosi un
po’.
-
Io sono Era. – Dico soltanto.
-
Arrivederci Era. – Apre la finestra senza dirmi nulla e inizia a scendere dal
rampicante che fino a qualche minuto prima non c’era. Quella collana aveva
davvero dei poteri magici, mi affaccio e guardo finché non scende. Ad un tratto
ricordo di avergli chiesto di non tornare più e me ne
pento.
-
Tornerete? – Gli dico a bassa voce, provando a non farmi sentire da nessun
altro.
-
Se voi lo volete. – Risponde dal basso, la voce rimbomba.
-
Domani, stesso orario. Buona notte. –
Lo
osservo uscire la collana, metterla davanti alla barriera e aprirne un varco.
Passa senza problemi e comincia a correre per la palude, l’alba è alle
porte.
Ok, capitolo un pò troppo lungo mh? Ma ho sentito il bisogno di spiegare tutto e subito, di farli parlare invece di interromperli. Sono i personaggi che mi portano a scrivere, io li invento e loro vivono, sapete che significa? :) Per quanto riguarda Ate, la collana di Scorpius, il motivo della sua visita, il comportamento di Era ecc.. spero che abbiate capito tutto, se non è così siete pregati di farmelo sapere. Fate qualsiasi domanda ed io risponderò. Un bacione.
Stefy.