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Autore: Kimmy_90    01/08/2011    1 recensioni
Rotolano sotto il cemento i rumori dei Branchi. Ringhiano, graffiano, mordono. Lottano.
Per Gioco.
Fra di loro si chiamano Demoni e Bestie. Sono ragazzi, sono uomini – a volte sono bambini, anche se è raro che un Branco ne accetti uno. Sopra il cemento non ne sa niente nessuno. O quasi.
Fintanto che rimane un gioco, il sangue che cola è semplice divertimento.
Ma ogni gioco viene scoperto, in un modo o nell'altro. E ogni gioco ha le sue regole.
La ragazza levò lo sguardo, continuando, passivamente, ad eseguire gli ordini.
Ma sì, in fondo gli ordini di Riva si eseguivano volentieri.
Credeva.
"Hai due possibilità, Sara. Se vuoi, puoi benissimo far finta che non sia successo niente. Cancella questa giornata dalla tua testa e vai avanti. Sul serio."
L’idea l’attraeva.
"Ma se pensi, anche solo lontanamente, che tu non sia in grado di ignorare completamente questa cosa, è un altro paio di maniche."

// Fantasy contemporaneo cambientato in Italia tra gli anni '70 ed oggi. //
Genere: Azione, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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6

6. Taglio



«Dio, sto male.»

«Ma sentila.»

Sara stava raggomitolata sul divano, tenendosi le ginocchia al petto, la testa china – un riccio. Nora, inginocchiata davanti a lei, le porgeva un catino.

Stefano aveva avuto giusto il tempo di farsi passare il male dallo stomaco alla testa prima di vedere Sara iniziare, lentamente ma inesorabilmente, a piegarsi in due.

«Postumi ritardati. Ti sta bene.»

«Vai a cagare, Ste.»

Dimitri, seduto al tavolo a torso nudo da almeno un'ora, respirava lentamente, guardando la figura di Sara chiudersi sempre più.

«Dev'essere qualcosa che abbiamo mangiato prima.» mormorò il russo.

Stefano si voltò verso di lui, notandone il pallore. «Anche tu?»

«Bene non sto.» fece, a denti serrati. «Ma non mi pareva fosse così male, sinceramente.» Socchiuse gli occhi, inspirando.

«Forse era il latte.»

«No.» mormorò Nora, cercando di non parere troppo offesa. «L'ho comprato stamattina.»

«Forse era il latte con l'alcol.» cercò di inventare, Stefano, su due piedi. «Acido, base... possibile?»

«Non sparare boiate, Ste.» Dimitri si sollevò in piedi, andando verso il bagno. «Dio, sto malissimo.»

Nora osservava Sara, domandandosi se non era un po' cinico essere parimenti preoccupati sia per il divano che per l'amica. Di solito Nora sapeva ben difendere il divano dagli attacchi degli alcolisti del gruppo – bastava una certa aura di santità, impartitagli da lei stessa («per favore, lasciate in pace il divano»), per tenere lontano dall'oggetto chiunque pensasse che il proprio stomaco potesse tradirlo. Ma Sara? Sara non era un'abitué del catino, come si suol dire. Forse non aveva la lucidità per decidere di andare in bagno con il giusto anticipo.

«Non mi viene da vomitare.» ci tenne a specificare la ragazza, la cui voce veniva tamponata dallo stretto contatto fra la sua testa e le sue gambe. Aveva visto Nora preoccuparsi sempre più, e in fondo sapeva che il divano era uno dei motivi della sua apprensione. Era legittimo.

«Cerrrto che no.» fece, falsissimo, Stefano.

«Non mi viene da vomitare, ho detto!» strillò, isterica. «E' come se mi avessero tirato una palla di piombo nella cassa toracica. Ah. E in testa. Anche in schiena – oh, ma piantala. Non puoi capire. Vattene, Ste.»

«Cristo, neanche stessi partorendo!»

«Sparisci!»

Dal bagno rumori molesti lasciavano intendere che, per lo meno, a Dimitri veniva effettivamente da vomitare.



***



Il fischio alle orecchie era passato, attenuatosi con rapidità: Amanda riaprì gli occhi, vagamente disorientata, deglutendo. Appoggiò sul tavolo la boccettina da farmacia, vuota, che aveva estratto con violenza dalla pochette – facendo poi scivolare gli occhi su Ale. Quello, immobile, rimaneva con una boccetta simile ancora piena in mano, pensoso – apparentemente intento a decidere se berne il contenuto o meno.

Era stata una cosa piuttosto veloce, per lei: prima lo stomaco, poi le spalle, il collo, la testa, sino al fischio alle orecchie. Non aveva nemmeno ragionato, era andata in automatico, guidata da abitudini che pensava, dopo tanto tempo, di aver dimenticato. E invece no, erano lì, salde, con lei – a ricordarle che, se una come lei si trovava nei pressi di una ferita di Gaia, quella boccetta di vetro era la sua migliore amica.

Saranno stati più di dieci anni che non ne usava una.

E Samuel, suo figlio? Stava bene?

Oh, lui era a Oslo. Scosse la testa, dandosi dell'idiota per aver formulato un pensiero del genere – tipico pensiero da mamma.

Ma allora perché Ale non si decideva a bere quella roba? Voleva resistere alla risonanza da sé? Aveva una certa età, ormai, per fare queste cose.

Amanda si guardò attorno, domandandosi se non ci fosse qualcun altro nella sua stessa condizione: ma il bar era tranquillo.

«Vado a dare un'occhiata in giro.» fece Ema, alzandosi. Era indenne – ovviamente. Ma empatico. D'altronde lui per primo sapeva cosa c'era dentro quelle famose boccette e fiale che periodicamente smistava in giro per il mondo, da decenni. Ne prese un paio dallo zaino, e si incamminò.

«Ale, vuoi prendere quella roba?»

L'uomo non si mosse, lo sguardo alto, il mento levato, come se stesse guardando l'aria. Annusava, più che altro. Immobile.

«Non capisco.» si limitò a rispondere Alessandro.

Per la donna era tutto finito: una volta preso l'anti risonante, diventava cieca e sorda al potere dei volui di Gaia. Ale no – quelli come lui riuscivano a percepirli al di fuori dei loro effetti, i volui. Per Amanda era solo dolore, fastidio, metamorfosi involontaria imminente; per Ale erano qualcosa.

«Non sono abbastanza.» mormorò l'uomo, decidendosi, infine, a bere dalla boccetta che serrava nella mandritta.

«In che senso?» domandò Amanda, continuando a scrutarsi attorno.

L'uomo si alzò, andando verso il bancone del bar. «Non sono abbastanza da far succedere niente. Tenga il resto.» lasciò una carta da cinquanta euro nelle mani del barista, che la ricevette con non poca perplessità.

«Andiamo a recuperare Ema.»



***



Allen era all'interfono da un'ora, ormai. La Stille lo scrutava con astio, guardandolo muoversi su e giù entro i pochi metri che la cornetta gli consentiva di percorrere.

«La terza è piena.» fece Nave, chiudendo con notevole sforzo la valvola di un contenitore cilindrico, grande quasi come egli stesso. Dovettero mettersi in tre per sollevarlo senza rischiare un'ernia – anzi, senza avercela garantita; il rischio rimaneva, quegli affari erano di un peso allucinante. Figurarsi se gli concedevano un robottino come agli altri, su, del terzo tunnel – macché. A mano, sul carrello.

«Vai con la quarta, veloce.» lo spronò la Stille, gli occhi scuri che saettavano dal suo portatile al terminale principale. «Il flusso si sta riducendo notevolmente.»

«Si rimargina.» fece Allen, da lontano.

«Oh, Allen. Sei fra noi, allora?» fece la donna, la voce tremula che tentava di voler parere offensiva «E dire che c'è gente che sta lavorando, qui – non volevamo certo disturbarti facendo rumore

Allen non le badò – diventava molto, molto suscettibile e incerta quando era nel bel mezzo di una presa dati o roba simile. Meglio non disturbarla più di quanto non si disturbasse da sé.

«Per ora è tutto tranquillo.» si limitò a risponderle.

Stille fece finta di non sentire, continuando imperterrita a trafficare sul portatile.

«E' importante.» specificò Allen, sbuffando.

«Sì, lo so.»

Dalla cornetta ripresero a parlare: Allen ascoltava, teso, i rapporti del SISDE.

Presumibilmente c'erano stati effetti in tutto il Lazio, Umbria, Marche – ed Abruzzo, ovviamente: malori. Pochi. Pochissimi.

Nessuno ci faceva realmente caso: gli ospedali stessi sostenevano che era una normalissima giornata. Che non c'era nulla di anomalo. Gli uomini dei servizi segreti si limitavano ad annuire e continuare a chiedere informazioni.

Li stavano schedando – anzi, ci provavano.

Allen lo sapeva.

«Non tutti andranno in ospedale» fece, il capo chino intento ad ascoltare cosa diceva l'uomo che gli riferiva i rapporti.

«Sì, lo sappiamo. Nemmeno tutti quelli che stanno male stanno male per questo. In realtà, pare che non ci sia nessun dato per correlare in modo sensato qualsiasi tipo di malore a quello che state combinando.»

«Troppo pochi.»

«Infatti. Si riassorbe tutto nella statistica.»

«Per ora.»

«A Perugia sono di tre persone al di sopra della media. Il terzo è appena arrivato.»

Allen tacque, pensoso.

Quel metodo non funzionava assolutamente come campionamento di Demoni e Bestie. Lo sapeva lui e lo sapevano loro. Loro, però, non si facevano mancare l'occasione per stilare una lista di nomi, di persone 'probabili', perché no – tanto per avere un punto di partenza. Ad ogni modo, ora l'importante era che nessuno finisse in metamorfosi. O per lo meno che la cosa non si venisse a sapere. Uomini e donne dell'intelligence, interna ed esterna, italiana ed europea guardavano, ascoltavano, osservavano ogni angolo d'Italia, e su, in Svizzera, Austria, Francia, Slovenia – pure. Controlli ovunque, ma di sicuro mai abbastanza radicati. Sfuggiva sempre qualcosa. Era sempre sfuggito a tutti.

Ma l'importante era che non si venisse a sapere – tanto bastava, per ora.

Allen fece un respiro profondo, scostando lentamente gli occhi su Stille: la donna, agitata come al solito, sedeva facendo tremolare la gamba e serrando il pugno sinistro davanti alle labbra, strette. Povera Stille, pensava Allen. Faceva finta di essere morbosamente interessata all'esperimento, ma si vedeva lontano un miglio che la sua agitazione veniva dalla sola idea che qualcuno si potesse far male, in quel giochetto che stavano facendo. Che fare, Stille? Che fare?

Fidarsi ciecamente dello stregone-Allen, che, non si sa bene come, garantisce che alla peggio viene un po' di nausea e giramento di testa?

Che diavolo ci fai qui, Stille? Perché non sei a Ginevra, o al MIT, o al Fermilab?

Allen tornò a fissare il pavimento, stringendo le labbra.

Almeno a Xander non può succedere niente.



***


S'incamminarono lungo la strada, cercando di notare se, per caso, c'era qualcuno di apertamente dolorante sul loro cammino. Non si poteva fare molto di più, a dirla tutta – ma almeno aiutare chiunque potessero, quello sì.

Alessandro si era drizzato tutto, pareva irrigidito, improvvisamente ritornato alle sue mansioni di capo della banda: responsabilità, responsabilità, responsabilità. Non sapeva nemmeno più se sapeva amministrarle – le responsabilità di un capobranco andavano ben oltre quelle di un professore, erano tutt'altra cosa. Diverse, profonde – difficile trovarsi in situazioni del genere, in un liceo. Difficile provare quella stretta che c'era ogni volta che qualcuno finiva col farsi male o rischiava di far saltare la copertura – oh, bhe, succedevano cose strane anche nelle scuole, era innegabile, ma... era un'altra cosa. Il suo istinto di grande e grosso protettore del branco si era destato, ed era una sensazione vecchia, quasi ancestrale, a cui non era più abituato.

Faceva dondolare gli occhi fra la gente che occupava i marciapiedi, indagando, scrutando oltre le le vetrine dei negozi, dentro le automobili, controllandone gli occupanti.

«Non è una ferita.» continuava a ripetere, il tono di voce basso, oscillando fra l'attonito e l'incredulo, fino alla perplessità sconvolta.

«Anche qua?» domandavano Amanda ed Ema, altrettanto perplessi.

«E' ovunque.»

Volui, densissimi, voui di Gaia – ovunque, ovunque, assolutamente ovunque. Era come un vento di scirocco, lento, costante, caldo: niente a che fare con le ferite. Solo volui, troppi volui, ma non abbastanza da scatenare primi richiami o altro – ce ne sarebbero voluti, mh, almeno dieci volte tanto, in effetti. Ma diamine, se si sentivano. Erano in quella dose che non fa accadere nulla, se non mandare momentaneamente in tilt il sistema nervoso, che non capisce più cosa sta succedendo – umano? Animale? Metamorfosi o no?

Quasi.

Ma no.

Era innaturale.



***



«Oilà.»

La ragazza si chiuse la porta alle spalle, cercando di non fare troppo rumore.

«Oilà. Tutto bene?»

Sara strinse le labbra, cercando di non caracollare troppo nell’incamminarsi verso camera sua.

«Sì.»

Suo padre, diligentemente, fece finta di non aver notato niente.

«Vado in camera.» continuò la ragazza, cercando di raggiungere la sua tana - che, nella sua visione del mondo, si era fatta inauditamente lontana dall’entrata di casa.

«Pranzi?»

«Mmh.» Dannata domanda. Dannata domanda. «Sì.» Rispose, in un soffio, pregando che il suo corpo non prendesse troppo male la notizia. «Serve aiuto?»

«No, no.» tagliò rapido.

«Come vuoi...» Anzi. Meno male. Come ci si fa ridurre così male, Sara? Dimmi, come?

Aveva passato l’ultima mezz’ora raggomitolata sul sedile dell’autobus guardando in basso, mentre ogni muscolo, organo ed osso della sua persona la mandava a quel paese, in modo reiterato. Un’intossicazione alimentare? Ma tutti hanno mangiato tutto, dannazione. Dimitri era giustificato, aveva bevuto - prima o poi doveva cedere anche lui, russo o non russo che fosse. Ma per quel che riguardava lei, tutto quel male non trovava alcuna specificazione.

Al di fuori del Karma, come aveva suggerito Stefano.

Che schifo di situazione, pensava Sara. Dannazione. A farsi vedere così male di domenica mattina si rischia seriamente di passare per degli alcolisti. Suo padre era allegramente disattento, per fortuna - ma è difficile nascondere ciò che è spudoratamente palese: star male così violentemente è difficile da occultare.

Dannazione.


Dal canto suo, il padre di Sara tirò le orecchie, ascoltando, attento, i movimenti della figlia lungo il corridoio. Quando gli parve fosse sufficientemente lontana, allungò lentamente il collo, facendo capolino dalla porta della cucina: fece appena in tempo per vedere la schiena ingobbita ed esausta della ragazza scomparire dietro la porta a soffietto della sua stanza, ma tanto bastava: prese un piccolo appunto mentale, tornando ad impastare polpette.

Dopotutto era la seconda volta che la vedeva così. Per una sedicenne, tutto regolare.




***



Il volto della Stille cercava un’espressione che riuscisse a mostrare contemporaneamente soddisfazione ed angoscia. Difficile, molto difficile: infatti non ci riusciva granché. I suoi muscoli si muovevano in continuazione, le sopracciglia salivano, scendevano, mostravano un istante prima contrito cipiglio e subito dopo un’allegria quasi malsana, estasiata, esaltata.

Allen la guardava con la coda dell’occhio trafficare al portatile, mentre Nave e gli altri finivano di portare via le enormi ‘bombole’ che avevano riempito. Lo sguardo finiva sempre, inevitabilmente, al cellulare spento che affiorava dalla tasca dei pantaloni.

Quanto ancora doveva aspettare, prima di poter uscire?

Era difficile non notare quanto Allen scalpitasse.

«Vai, Allen.»

L’uomo aggrottò le sopracciglia, scrutando perplesso la Stille.

«Non è che devo chiederti il permesso, eh.» precisò.

«Però sembra.»

Allen sbuffò, girando in tondo per l’ennesima volta, in un cerchio che ormai conosceva come le sue tasche.

La piccola ferita artificiale che avevano creato si era rimarginata del tutto: questo sarebbe bastato per poter dire ‘ciao, addio’ a tutti e tornarsene in quel di Roma senza guardarsi indietro. Ma ancora piovevano i rapporti del SISDE, che Allen assolutamente intendeva ascoltare. E ancora era altissima la densità dei volui nello stanzone e, quasi sicuramente, fuori. Ci sarebbe stato di che controllare per giorni, forse mesi - ma non era quello il suo lavoro.

Lo sapeva.

Lui doveva sol fare da spalla. Aiutare. Valutare. Suggerire.

Consulente.

Che termine ignobile.

Sei costretto a dire la tua e sei quasi matematicamente certo che non ti ascolteranno. Mai.

Avrebbe voluto controllare, controllare tutto. Avrebbe voluto poter avere il vero diritto di veto, non quello finto. Avrebbe voluto tante cose.

Non poteva farne praticamente nessuna.

«Va bene. Vado su.»

La Stille annuì distrattamente, mentre il suo volto continuava in quella ginnastica espressiva che la faceva saltare ritmicamente da uno stato d’animo all’altro.


«Ma stasera posso venire da te, allora?»

«Sì, certo.»

Vittoria. Xander strinse il pugno, decisamente soddisfatto.

«Tutto ok?»

«Ti ho detto di sì.»

«Oh, Scusa.» fece Allen, marcando di acidità quello ‘scusa’ decisamente mal piazzato.

«Quando finisco in ospedale ti faccio un fischio, ok?»

«Che idiota. Ci vediamo stasera.»

«Certo. Ciao.»

Xander sbuffò, ricacciando il cellulare nella tasca dei jeans larghi e slavati. Si passò la mano sulla testa, cercando – conscio di star perdendo in partenza – di sistemarsi di capelli, che a momenti gli finivano negli occhi.

Avrebbe dovuto tagliarli.

Ma non lo avrebbe fatto: era curioso di vedere fino a quando lo zio avrebbe resistito. La cresta non gli era piaciuta – ma i capelli lunghi, invece? O forse farlo radere a zero, allora, era stato un semplice atto di forza per chiarire chi era il capo della banda e chi il sottoposto?

Mah.

Psicologi.






____________________________________


[battete le manine perchè sono riuscita ad accorciare il capitolo. come? bhe. tagliandone uno in due, mi pare Evidente. T_T’’’ ma no, dai, è venuto abbastanza bene. Credo. Solo che al momento se vi rompete le palle perchè NON SUCCEDE UN CA**O DI NIENTE vi capisco, e domando scusa. T^T pazienza, pazienza - qui ci vuol pazienza. diciamo che al prossimo... ci sarà più attività u_ù’’’ ecco.]


btw, ho rigirato un po’ la pseudodescrizione di sara, perchè come l’avevo fatta era veramente schifosa. Mi sa che Sara sarà (ahahahah... -.-’’) un personaggio molto... lento. non saprei come altro definirlo.


Detto questo... Oddio, certo che i servizi segreti italiani sono un casino @.@ per non parlare del fatto che – argh – sono stati riformati nel 2007, cambiando tutte le sigle; mentre la storia, per ora, è nel 2006 …

anche se devo ammettere che il fatto che siano stati riformati prrroprio ne 2007 =Q_ casca SCHIFOSAMENTE a fagiolo. Comunque. Riporto un po' di sigle tanto per far chiarezza:


SISDE (ora AISI) – servizio per le informazioni e la sicurezza democratica
SISMI (ora AISE) – servizio per le informazioni e la sicurezza militare

CESIS (ora DIS) – comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza

COPACO (ora CISR) – comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti


Per quanto riguarda il SISDE, qui citato: «I suoi compiti erano finalizzati a difendere la sicurezza nazionale e delle sue istituzioni da qualsiasi minaccia, operando principalmente in Italia, curando l'attività di spionaggio. « (wikipedia)


specifico: non sono una grande conoscitrice dei meccanismi dei servizi segreti; cerco di informarmi come posso. Se notate svarioni siete, davvero, caldamente invitati a riprendermi prima che finisca col basare tutta la storia su un errore madornale O-O''' grazie :3




@wari - hemmm, ma, mhba, come dici tu, "tutti questi fili che sembrano scollegati (ma neanche poi tanto)"... affatto tanto, no. Eh, lo so. Ma è che, eh. Mi sa che la mia dose di vaga intelligenza si è esaurita con i FdO. cioè. più passa il tempo più questa storia mi pare stupida. Mi piace ma mi pare stupida. Il che fa di me una persona a cui piacciono le cose stupide, ergo una stupida :D fuggi, finchè sei in tempo! xD [autostima a -∞, e per più che valide ragioni]. no, mi fa veramente piacere, come ho già detto, che segui e che in un qualche modo ti piaccia. forse. Boh. la cosa comica è che mi sto divertendo di più a tratteggiare GLI ALTRI personaggi che non i principali. OPS.

nyoro-n.



ciao a tuttiH, comunque. :)



   
 
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