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Autore: Lady_Firiel    01/08/2011    3 recensioni
«Sono a casa»
Erano quasi le sette quando tornai a casa, quel sabato pomeriggio.
Un incontro di lavoro mi aveva tenuta impegnata per mezza giornata ed ora ero stanca e irritata.
«Bentornata»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Why can’t I?

Why can’t I?



«Sono a casa»
Erano quasi le sette quando tornai a casa, quel sabato pomeriggio.
Un incontro di lavoro mi aveva tenuta impegnata per mezza giornata ed ora ero stanca e irritata.
«Bentornata»
Entrai in salotto sbuffando e mi lasciai cadere sul divano, accanto a Sara.
«Quegli idioti… Giuro che appena trovo qualcos’altro lo lascio quel lavoro di merda» dissi, risoluta, poggiando la schiena contro i cuscini e abbandonando il collo all’indietro.
Sara sorrise stancamente, gettandomi un’ultima occhiata e tornando a concentrarsi sul suo libro.
«Tu che hai fatto tutto il pomeriggio?» le domandai poco dopo.
Con la coda dell’occhio la vidi irrigidirsi, ma non distolse lo sguardo dalle pagine.
Mi voltai a guardarla, sorpresa dal suo silenzio; mi tirai su, raddrizzando la schiena, e mi accostai a lei, sfiorandole gentilmente una spalla.
«Qualcosa non va Sara?»
Deglutì.
«Sono andata a fare un giro in centro con Giorgia» rispose, lapidaria.
Arcuai un sopracciglio, scettica: la conoscevo troppo bene per non accorgermi che, in verità, non aveva voglia di parlarne.
Ma anche lei mi conosceva bene, per questo sapeva che non mi sarei arresa finché non le avessi estorto cosa non andasse.
«E che cosa avete fatto?» domandai infatti, tentando di approfondire l’argomento.
Sospirò e chiuse il libro, tenendo il segno con l’indice della mano destra; poi alzò lo sguardo e mi fissò negli occhi.
«Abbiamo girato un po’ di negozi, ci siamo fatte due risate. Poi siamo state in un negozio di giocattoli, per comprare un regalo di compleanno alla figlia di Rosi, e lì… C’erano delle culle bellissime…» la sua voce s’incrinò, ma continuò. «Erano così carine, piccole e colorate, con veli e ricami… E poi… Ce n’era una in vimini, era davvero bella, io…» sorrise, gli occhi brillanti di gioia.
«Ma poi… Ho realizzato che non avrò mai qualcuno da mettere a dormire in una di quelle belle culle. Io ti amo, ti amo davvero dal profondo del mio cuore e non passa giorno in cui non mi ritenga la persona più felice del mondo, però… Ale, io voglio avere un bambino» disse, determinata come poche volte l’avevo vista, gli occhi lucidi e sull’orlo delle lacrime «Perché non posso?»
Rimasi spiazzata.
Non avevo idea del fatto che lei avesse questi desideri, che sognasse così tanto una famiglia.
Le sue parole mi ferirono: la persona che più amavo al mondo desiderava qualcosa alla quale aveva pieno diritto, e l’unica che io non potessi darle.
E questo solo perché lo Stato non consentiva le adozioni alle coppie omosessuali, né l’inseminazione artificiale.
Stavamo insieme da cinque anni, avevamo inevitabilmente avuto i nostri alti e bassi, ma eravamo sempre riuscite ad aggiustare le cose, in un modo o nell’altro.
Io capivo lei e lei capiva me, come nessun’altro riusciva.
La abbracciai più stretta che potei, perché non c’era altro che potessi dirle.
La sentii tremare e singhiozzare contro la mia clavicola, il libro scivolò in terra e le sue mani si aggrapparono alla mia maglietta, sulla schiena.
«Perché non posso, Ale? Solo perché mi sono innamorata di una donna non dovrei avere dei bambini? Io… Io non potrei essere una buona madre?»
«Saresti una mamma fantastica» le dissi, carezzandole i capelli, quasi cullandola come fosse una bambina.
«Non insegnerei dei sani valori a mio figlio?»
«Gli insegneresti i valori più sani di questo mondo, e sarebbe idealista così come lo sei tu»
«Non lo tratterei bene?»
«Sarebbe come un re» risposi, scostandole dolcemente un ciuffo castano dalla fronte «O una regina»
«Io… sarei brutta col pancione?» sussurrò, timorosa.
Le circondai il viso con le mani, sollevandolo in modo da guardarla dritto negli occhi.
«Saresti bellissima col pancione» sorrisi, baciandole la fronte; le lasciai il volto e tornai ad abbracciarla.
«Ascolta, non saresti certo la madre perfetta, ma chi lo è, in fondo? Ma sono sicura che saresti un genitore migliore di molti altri. Saresti in grado di trasmettere a tuo figlio tutti i tuoi principi, sapresti insegnargli ad essere una persona migliore. Io lo so, perché è la stessa cosa che fai con me…»
Sollevò lo sguardo, sorpresa.
«Cosa?»
«Tu ti prendi cura di me» spiegai «Mi parli delle cose che ti piacciono, condividi con me le tue esperienze, sia negative che positive. Io ho imparato un sacco da te, lo sai? Ho imparato persino ad avere più fiducia in me stessa, grazie a te, che ogni giorno mi hai ricordato quanto valessi. È per questo che lo so, lo sento dentro, che tu saresti una buona madre» conclusi, senza abbandonare la smorfia affettuosa che mi si era dipinta in viso.
Delle lacrime le rotolarono sugli zigomi arrossati, ma non capii se fossero a causa della gioia o se avessi semplicemente rigirato il coltello nella piaga; ne asciugò una col dorso della mano, l’altra la feci scivolare via io col pollice.
Le carezzai la guancia con il polpastrello di quello stesso dito e finalmente la vidi sorridere serenamente.
Adesso stava meglio.
«Tu lo vorresti un bambino?» mi domandò.
«Ma certo che lo vorrei. E mi piacerebbe che avesse i tuoi occhi, e i tuoi capelli. Così, quando saremo più vecchie, avrei sempre una tua piccola copia a ricordami di questi momenti. Tu sei la persona che amo, Sara, e sento che insieme potremmo essere dei buoni genitori…»
Scoppiò a ridere, allacciandomi le braccia attorno al collo.
«Dio, ma lo sai che sei inascoltabile quando dici queste melensaggini?» disse, poi avvicinò il suo volto al mio e mi baciò, sulle labbra come avevamo fatto la prima volta; e tutte quelle a seguire.
La strinsi a me.
Sembrava che la preoccupazione e la tristezza dovute a quel desiderio per ora irrealizzabile si fossero dissolte, ma sapevo, sentivo che non era davvero così.
Perché quella domanda mi rimbombava in testa, ed era impossibile che non facesse altrettanto in quella di Sara, così sensibile, così fragile…
Sciolto il bacio, restammo abbracciate sul divano; poggiai il mento sulla sua testa, accoccolata contro il mio seno.

«…Io voglio avere un bambino.
Perché non posso?»



Hola people! ~
Dunque, tento particolarmente a questa shot. Perché tratta un concetto che per me è importante e perché... Beh, perché in qualche modo la sento particolamente vicina a me.
Ma a voi non interessa la storia della mia vita, quindi non ne parliamo.
Boh, io onestamente non so che altro dire, penso che sia abbastanza chiaro.
Unica precisazione sul finale:
La ripresa della battuta di Sara come conclusione, dovrebbe servire per rendere l'idea del problema insoluto, di una domanda senza risposta, di una fine... Che però fine non è.
Non so se mi sono spiegata.... Spero di sì ^^
Fatemi sapere che ne pensate, se vi capita ^^

Alla prossima! ^^

Lady_Firiel
   
 
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