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Autore: Lady Snape    02/08/2011    3 recensioni
Dal secondo capitolo: "Era appeso. L’elenco, la classifica generale degli eredi di L era appesa in bacheca. I ragazzini si accalcavano tutti intorno ad essa per leggere il proprio nome, la propria posizione e il voto ottenuto. Un giudizio scritto era invece consegnato personalmente da Roger; erano segnati dei consigli da seguire per migliorare i propri risultati, quali erano i difetti e quali i pregi di ognuno e ognuno di loro poteva decidere se renderli pubblici o no.
Near si avvicinò alla bacheca, provando a mettersi sulle punte dei piedi. Allungò il collo, ma non vedeva ancora nulla. Mello, invece, preferiva restare incollato alla parete opposta. La sua espressione era quella di uno che non sa se buttarsi dal ponte oppure no. Temeva di leggere un meccanico “2” accanto al suo nome e di vedere sopra il suo quello del rivale. Questa volta non era una delle prove sceme di Roger, era qualcosa che aveva portato con sé la ragazza con i capelli neri, quella che gli rivolgeva quei sorrisi irritanti."
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Mello, Near, Nuovo personaggio, Watari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mello's Revenge'
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E’ il mio primo tentativo con Death Note. Ho scoperto da poco il manga e l’anime e ora eccomi qui!

Nonostante sia rimasta particolarmente male per la morte di L, mi sono piaciuti i suoi “eredi”, Mello e Near, con un una predilezione per il turbolento biondino.

Vi lascio alla fanfiction.

 

Buona lettura!

 

 

Trovare l’erede di L era diventato il suo obiettivo primario, in particolare da quando il detective migliore del mondo si era esposto in prima persona. Era pronto a qualunque cosa, ma tentare di stabilire chi avrebbe potuto prendere il suo posto era fondamentale. L’unico problema era che l’ultima parola spettava a lui, a L. Solo il ragazzo poteva confermare il nome di colui che avrebbe dovuto continuare il suo lavoro.

C’era un altro problema però e questo era Watari. Quillsh Wammy si sentiva ormai vecchio, perché stare dietro alle richieste e ai ragionamenti di un cervello come quello di L era particolarmente faticoso. A prendere il suo posto, a tempo debito, ci sarebbe stato di certo Roger Ruvie, l’uomo di cui si fidava di più e a cui aveva dato la custodia dei possibili eredi di L, ma anche lui era avanti con l’età e non sarebbe riuscito a seguire il futuro detective a lungo.

In realtà l’odierno Watari aveva in mente qualcuno che potesse prendere il suo posto, nonostante L non fosse pienamente d’accodo. Eppure aveva affidato a lei fin da subito compiti che solo un vero Watari avrebbe potuto assolvere. Inoltre si fidava del suo giudizio e della sua opinione talmente tanto che aveva deciso anni addietro di mandarla in avanscoperta dell’erede ipotetico. Non solo test per i ragazzini della Wammy’s House, ma anche un confronto diretto con colei che sapeva come avrebbe dovuto agire un “L”, come avrebbe dovuto pensare per essere un vincente.

 

Era successo anni addietro, quando per un caso particolarmente complicato, aveva deciso di mandarla per un po’ a Winchester, per tenerla al sicuro e per farle dare un occhiata alle persone con cui in futuro avrebbe lavorato. Anche se L si mostrava restio, quando Quillsh gli parlava della possibilità per J di prendere il suo posto, quest’ultimo sapeva che L stesso considerava quella come la soluzione migliore. Lei sapeva e questo la rendeva la candidata migliore; inoltre era sempre stata al suo fianco e aveva imparato a comprendere i ragionamenti di una mente acuta senza intralciarla; per finire non era certo una stupida e, per quanto non avessero lo stesso mostruoso QI, era intelligente abbondantemente al di sopra della media.

< Buon sangue non mente! > aveva detto Watari una sera, mentre riordinava alcuni dati con il detective, quasi fosse una considerazione sul tempo lasciata cadere lì per caso, ma un caso non era di certo. A seguito di quella frase, si era verificato un evento insolito per L: aveva sorriso.

 

L’arrivo alla Wammy’s House di J era stato accolto molto freddamente. Nessuno sapeva chi fosse in realtà e questo andava più che bene. Chi conosceva L non avrebbe mai pensato che quella ragazzina minuta fosse sua sorella. Certo, si somigliavano un po’, stesso colore di capelli e stessi occhi neri, ma il loro modo di agire e di parlare era totalmente diverso e, in ogni caso, nessuno a quell’epoca aveva visto in faccia L.

J era stata capace di fare amicizia con chiunque gli si fosse parato davanti, chiunque finiva per entrare in confidenza con lei, ma, nonostante questo, se qualcuno avesse dovuto descrivere quella ragazza, non avrebbe saputo dire nemmeno quale fosse il suo cibo preferito, il suo colore preferito o qualunque dato sulla sua esistenza, mentre lei era capace di tirare fuori delle vere e proprie confessioni da chi le rivolgeva la parola.  

Watari aveva mandato un appunto a Roger: doveva metterla in contatto con i due candidati migliori, i due ragazzini che avevano attratto l’attenzione di L. Roger non dovette preoccuparsi di far accadere qualcosa del genere, perché l’incontro era avvenuto naturalmente. O meglio, era stato un vero e proprio scontro con Mello.

Mello era l’essere umano più problematico sulla faccia della terra. Roger era di questo modestissimo parere. Era irrequieto, come la sua intelligenza, e non gli importava se chi aveva davanti fosse più grande di lui, un adulto, un’autorità o la regina Elisabetta: se doveva dirti che eri un cretino lo faceva e basta, se doveva tirarti qualcosa in testa per una ragione che sapeva solo lui, lo faceva e basta.

Lo scontro con la nuova arrivata avvenne per una semplice ragione: quella ragazzina era diventata popolare. Non che a lui interessasse essere sulla bocca di tutti, ma già aveva assaporato il secondo posto grazie a Near, di conseguenza non trovava giusto che arrivasse qualcun altro ad oscurare la sua presenza. Nessuno sapeva ancora che lei era in strettissimo contatto con L, quindi diventò il bersaglio della lingua biforcuta di Mello, senza se e senza ma.

A dare il La al ragazzino, fu un puzzle che J tentava di risolvere con Linda, una degli ospiti dell’orfanotrofio. Sembrava che entrambe le ragazzine stessero arrancando nella soluzione del rompicapo. Mello fece finta di essere impegnato nella lettura di un libro, passando “casualmente” davanti al tavolo occupato da Linda e J; si fermò un attimo e chiuse di scatto il volume che aveva tra le mani.

< Sei sicura che questo sia il tuo posto? > disse con uno sguardo sardonico < Sai, qui vengono accolti solo orfani con straordinarie capacità intellettive. > e marcò la parola “straordinarie”, giusto per farle notare che stava facendo la figura della scema. Prese cinque pezzi del puzzle apparentemente a caso e li incastrò perfettamente al loro posto. Lo sguardo che venne fuori fu di pura sfida e un sorrisetto sbilenco gli illuminò il volto ancora candido di bambino.

J era estremamente tollerante ai comportamenti spesso maleducati, spocchiosi, infantili e strani della gente come Mello e come suo fratello; ormai ci aveva fatto il callo e in tutta risposta sorrise. Un sorriso dolce e caldo, un sorriso che spiazzò Mello e che si incise nel suo cervello. Scocciato da quella reazione, lasciò la stanza dei giochi e decise che era meglio torturare qualcun altro, non Near possibilmente, dato che poteva anche prenderlo letteralmente a calci, ma dalla sua bocca non usciva alcun suono e poi voleva batterlo accademicamente, non venendo alle mani, quello sarebbe stato troppo facile.

Near era stato più facile da avvicinare. Era più facile trovarlo: era sempre all’interno, nella sua stanza, in quella dei giochi comuni, ma anche nei corridoi, accucciato per terra in compagnia di qualche gioco, un rompicapo o qualunque altra cosa. Era timido e raramente rivolgeva la parola a qualcuno, ma questo non pregiudicava i suoi rapporti con gli altri: se qualcuno si preoccupava per lui, era di estrema gentilezza, pacato, tranquillo, l’esatto opposto del suo rivale.

Near aveva notato la strana presenza di quella ragazzina e un po’ le era piaciuta. L’intuito gli diceva che poteva essere particolarmente rilassato in sua presenza, che non aveva nulla di cui preoccuparsi. Era come se si sentisse protetto. L’aveva vista “in azione” con Mello e aveva avuto la sensazione che avesse un qualcosa di materno, anche se lui non sapeva esattamente cosa fosse il calore di una madre.

J aveva passato un po’ di tempo con lui, avevano chiacchierato un po’ e aveva avuto la possibilità di capire un po’ di più perché suo fratello fosse eternamente indeciso tra quei due: erano perfettamente complementari. Le loro diversità prese singolarmente potevano essere un fastidioso problema, avrebbero certamente rallentato le operazioni di risoluzione dei casi: non si poteva sempre restare nel proprio guscio, ogni tanto occorreva rischiare per ottenere degli indizi fondamentali e Near era incapace a mettere in gioco sé stesso; allo stesso tempo l’istintività di Mello poteva essere un grosso problema, perché a giocare col fuoco si rischiava di bruciare; quella specie di posseduto si scopriva troppo, si metteva troppo in evidenza e un detective che agiva come L non poteva permetterselo. Insieme, però, quei due avrebbero potuto essere grandi, ma, J lo sentiva, convincere Mello ad agire in coordinazione con Near era a dir poco impossibile. Ne ebbe la conferma da Roger, che invano aveva tentato di farli lavorare insieme.

 

< Vuoi provare a fargli fare questo test? > chiese Roger a J.

Erano passati tre anni da quando era arrivata la prima volta alla Wammy’s House. La ragazza era stata letteralmente addestrata ad essere il nuovo Watari, L si era lasciato convincere e i suoi contatti con gli eredi erano diventati abbastanza frequenti.

< Non è una mia idea, ma di L. L’ha elaborato appositamente. Non c’è una soluzione giusta, ma tutto è lasciato alla fantasia di chi si cimenterà nel risolvere il problema. > spiegò J.

Sarebbe stato un giorno particolare, questa volta non era una delle solite prove che venivano assegnate agli ospiti di quell’orfanotrofio e Mello e Near odorarono questo dettaglio per la presenza della ragazza. Non c’erano davvero dubbi sulle loro capacità e non c’erano dubbi che non avevano altri concorrenti là dentro. Ormai ogni test era rivolto unicamente a loro due, lo sapevano.

Mello si sentì messo pesantemente alla prova. Fece un respiro profondo per provare a scacciare il nervosismo che lo stava cogliendo. Solo qualche giorno prima erano stati “testati” da Roger e la classifica era stata nuovamente impietosa. Si era piazzato ancora una volta secondo, con suo enorme disappunto. Per la rabbia del momento aveva rotto uno dei vetri della biblioteca, lanciando contro la finestra uno dei libri che lo avevano accompagnato nei suoi studi notturni. Ebbene sì, ormai studiava anche di notte pur di riuscire a battere quell’apatico, asettico Near, ma non c’era verso di spuntarla. Poteva anche morirci su quei libri, ma niente sarebbe cambiato. Ora ecco che arrivava quella ragazzina con quegli occhi penetranti e i suoi modi troppo gentili e accondiscendenti con chiunque a mettere lui alla prova. La detestava. Odiava quando arrivava a sondarli con il suo sguardo critico, seppure velato da una disponibilità senza pari. Odiava lo sguardo di pietà che rivolgeva solo a lui, quando visionava la sua posizione in classifica. Odiava le sue parole di conforto per lui, solo per lui. Odiava il suo odore zuccheroso, perché era ormai presagio di sventura.

Stare seduti in quei banchi così scomodi non piaceva molto a Near, ma aveva il permesso di sedersi come gli pareva. Dopo i primi dieci minuti appollaiato sulla sedia di legno, il ragazzino prese foglio e penna e si accomodò tranquillamente per terra. Ecco, quella era posizione migliore per far fluire il sangue al cervello. Appoggiò la testa sul ginocchio destro, piegato verso il suo petto, e la sua penna lasciò scivolare sul foglio una cascata di parole per la risoluzione del caso proposto. Era decisamente un caso quello che stava loro proponendo L, forse uno di quelli da lui risolto, forse uno che doveva ancora risolvere … poteva essere proprio così, dato che in quel momento il detective migliore del mondo era alle prese con il caso Kira, il più complesso che avesse mai affrontato, tanto che era uscito allo scoperto, si era esposto in prima persona e questo Near e Mello lo sapevano.

Dall’altro lato della stanza Mello stava letteralmente rosicchiando fino all’osso la sua penna. Lo faceva ogni volta che spostava lo sguardo sulla testa di Near. La vedeva apparire tra i banchi, dato che, al solito, quello psicopatico si era spostato sul pavimento. Probabilmente quello che Mello stava facendo al tappo della penna voleva farlo al suo rivale: rosicchiargli la testa, spaccargliela per vedere che cavolo conteneva. Il panico lo colse quando quella specie di fantasma ambulante, quel lungodegente perennemente in pigiama si alzò e si diresse verso J, seduta a un tavolo vicino alla finestra, per consegnarle il suo test. Quel dannato aveva finito e lui si era lasciato prendere talmente tanto dalla sua rivalità da essere ancora a metà.

Se era guerra quella che Near voleva, beh, lui non si tirava certo indietro. Partì a razzo, lasciando che la penna percuotesse violentemente il foglio, calcando talmente tanto la mano, da strapparlo in più punti. Il suo sguardo era diventato feroce e in meno di cinque minuti risolse tutto quello che c’era da risolvere e annunciò di aver finito scagliando un pugno sul banco.

Si alzò tanto violentemente da far cadere la sedia con un tonfo e avrebbe lanciato il foglio verso J, se non avesse saputo che non sarebbe mai arrivato a destinazione. Per rimarcare la sua vittoria contro quel lurido foglio scarabocchiato, lo posò con malagrazia, lanciando uno sguardo di sfida alla ragazza e, quando si voltò, anche a tutti gli altri ragazzi che, visto il chiasso che aveva provocato, avevano tutti le penne a mezz’aria e lo sguardo puntato verso di lui. Li fissò talmente storto che tutti, nessuno escluso, ripresero a pensare a fatti propri prima che, e Mello ne era capace, questi si levasse una scarpa e gliela tirasse in testa. Per concludere la sua sceneggiata, uscì sbattendo la porta.

 

   
 
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