E’ il mio primo tentativo con Death Note. Ho scoperto da poco il manga e
l’anime e ora eccomi qui!
Nonostante sia rimasta particolarmente male per la morte di L, mi sono
piaciuti i suoi “eredi”, Mello e Near,
con un una predilezione per il turbolento biondino.
Vi lascio alla fanfiction.
Buona lettura!
Trovare l’erede di L era
diventato il suo obiettivo primario, in particolare da quando il detective
migliore del mondo si era esposto in prima persona. Era pronto a qualunque
cosa, ma tentare di stabilire chi avrebbe potuto prendere il suo posto era
fondamentale. L’unico problema era che l’ultima parola spettava a lui, a L.
Solo il ragazzo poteva confermare il nome di colui che avrebbe dovuto
continuare il suo lavoro.
C’era un altro problema
però e questo era Watari. Quillsh
Wammy si sentiva ormai vecchio, perché stare dietro
alle richieste e ai ragionamenti di un cervello come quello di L era
particolarmente faticoso. A prendere il suo posto, a tempo debito, ci sarebbe
stato di certo Roger Ruvie, l’uomo di cui si fidava
di più e a cui aveva dato la custodia dei possibili eredi di L, ma anche lui
era avanti con l’età e non sarebbe riuscito a seguire il futuro detective a
lungo.
In realtà l’odierno Watari aveva in mente qualcuno che potesse prendere il suo posto,
nonostante L non fosse pienamente d’accodo. Eppure aveva affidato a lei fin da
subito compiti che solo un vero Watari avrebbe potuto
assolvere. Inoltre si fidava del suo giudizio e della sua opinione talmente
tanto che aveva deciso anni addietro di mandarla in avanscoperta dell’erede
ipotetico. Non solo test per i ragazzini della Wammy’s
House, ma anche un confronto diretto con colei che sapeva come avrebbe dovuto
agire un “L”, come avrebbe dovuto pensare per essere un vincente.
Era successo anni addietro,
quando per un caso particolarmente complicato, aveva deciso di mandarla per un
po’ a Winchester, per tenerla al sicuro e per farle dare un occhiata alle
persone con cui in futuro avrebbe lavorato. Anche se L si mostrava restio,
quando Quillsh gli parlava della possibilità per J di
prendere il suo posto, quest’ultimo sapeva che L stesso considerava quella come
la soluzione migliore. Lei sapeva e questo la rendeva la candidata migliore;
inoltre era sempre stata al suo fianco e aveva imparato a comprendere i
ragionamenti di una mente acuta senza intralciarla; per finire non era certo
una stupida e, per quanto non avessero lo stesso mostruoso QI, era intelligente
abbondantemente al di sopra della media.
< Buon sangue non
mente! > aveva detto Watari una sera, mentre
riordinava alcuni dati con il detective, quasi fosse una considerazione sul
tempo lasciata cadere lì per caso, ma un caso non era di certo. A seguito di
quella frase, si era verificato un evento insolito per L: aveva sorriso.
L’arrivo alla Wammy’s House di J era stato accolto molto freddamente.
Nessuno sapeva chi fosse in realtà e questo andava più che bene. Chi conosceva
L non avrebbe mai pensato che quella ragazzina minuta fosse sua sorella. Certo,
si somigliavano un po’, stesso colore di capelli e stessi occhi neri, ma il
loro modo di agire e di parlare era totalmente diverso e, in ogni caso, nessuno
a quell’epoca aveva visto in faccia L.
J era stata capace di
fare amicizia con chiunque gli si fosse parato davanti, chiunque finiva per entrare
in confidenza con lei, ma, nonostante questo, se qualcuno avesse dovuto
descrivere quella ragazza, non avrebbe saputo dire nemmeno quale fosse il suo
cibo preferito, il suo colore preferito o qualunque dato sulla sua esistenza,
mentre lei era capace di tirare fuori delle vere e proprie confessioni da chi
le rivolgeva la parola.
Watari aveva mandato un appunto a Roger:
doveva metterla in contatto con i due candidati migliori, i due ragazzini che
avevano attratto l’attenzione di L. Roger non dovette preoccuparsi di far
accadere qualcosa del genere, perché l’incontro era avvenuto naturalmente. O
meglio, era stato un vero e proprio scontro con Mello.
Mello era l’essere umano più problematico
sulla faccia della terra. Roger era di questo modestissimo parere. Era
irrequieto, come la sua intelligenza, e non gli importava se chi aveva davanti
fosse più grande di lui, un adulto, un’autorità o la regina Elisabetta: se
doveva dirti che eri un cretino lo faceva e basta, se doveva tirarti qualcosa
in testa per una ragione che sapeva solo lui, lo faceva e basta.
Lo scontro con la nuova
arrivata avvenne per una semplice ragione: quella ragazzina era diventata
popolare. Non che a lui interessasse essere sulla bocca di tutti, ma già aveva
assaporato il secondo posto grazie a Near, di
conseguenza non trovava giusto che arrivasse qualcun altro ad oscurare la sua
presenza. Nessuno sapeva ancora che lei era in strettissimo contatto con L,
quindi diventò il bersaglio della lingua biforcuta di Mello,
senza se e senza ma.
A dare il La al
ragazzino, fu un puzzle che J tentava di risolvere con Linda, una degli ospiti
dell’orfanotrofio. Sembrava che entrambe le ragazzine stessero arrancando nella
soluzione del rompicapo. Mello fece finta di essere
impegnato nella lettura di un libro, passando “casualmente” davanti al tavolo
occupato da Linda e J; si fermò un attimo e chiuse di scatto il volume che
aveva tra le mani.
< Sei sicura che
questo sia il tuo posto? > disse con uno sguardo sardonico < Sai, qui
vengono accolti solo orfani con straordinarie capacità intellettive. > e
marcò la parola “straordinarie”, giusto per farle notare che stava facendo la
figura della scema. Prese cinque pezzi del puzzle apparentemente a caso e li
incastrò perfettamente al loro posto. Lo sguardo che venne fuori fu di pura
sfida e un sorrisetto sbilenco gli illuminò il volto ancora candido di bambino.
J era estremamente
tollerante ai comportamenti spesso maleducati, spocchiosi, infantili e strani
della gente come Mello e come suo fratello; ormai ci
aveva fatto il callo e in tutta risposta sorrise. Un sorriso dolce e caldo, un
sorriso che spiazzò Mello e che si incise nel suo
cervello. Scocciato da quella reazione, lasciò la stanza dei giochi e decise
che era meglio torturare qualcun altro, non Near possibilmente,
dato che poteva anche prenderlo letteralmente a calci, ma dalla sua bocca non
usciva alcun suono e poi voleva batterlo accademicamente, non venendo alle
mani, quello sarebbe stato troppo facile.
Near era stato più facile da avvicinare.
Era più facile trovarlo: era sempre all’interno, nella sua stanza, in quella
dei giochi comuni, ma anche nei corridoi, accucciato per terra in compagnia di
qualche gioco, un rompicapo o qualunque altra cosa. Era timido e raramente
rivolgeva la parola a qualcuno, ma questo non pregiudicava i suoi rapporti con
gli altri: se qualcuno si preoccupava per lui, era di estrema gentilezza,
pacato, tranquillo, l’esatto opposto del suo rivale.
Near aveva notato la strana presenza di
quella ragazzina e un po’ le era piaciuta. L’intuito gli diceva che poteva
essere particolarmente rilassato in sua presenza, che non aveva nulla di cui
preoccuparsi. Era come se si sentisse protetto. L’aveva vista “in azione” con Mello e aveva avuto la sensazione che avesse un qualcosa di
materno, anche se lui non sapeva esattamente cosa fosse il calore di una madre.
J aveva passato un po’ di
tempo con lui, avevano chiacchierato un po’ e aveva avuto la possibilità di
capire un po’ di più perché suo fratello fosse eternamente indeciso tra quei
due: erano perfettamente complementari. Le loro diversità prese singolarmente
potevano essere un fastidioso problema, avrebbero certamente rallentato le
operazioni di risoluzione dei casi: non si poteva sempre restare nel proprio
guscio, ogni tanto occorreva rischiare per ottenere degli indizi fondamentali e
Near era incapace a mettere in gioco sé stesso; allo
stesso tempo l’istintività di Mello poteva essere un
grosso problema, perché a giocare col fuoco si rischiava di bruciare; quella
specie di posseduto si scopriva troppo, si metteva troppo in evidenza e un
detective che agiva come L non poteva permetterselo. Insieme, però, quei due
avrebbero potuto essere grandi, ma, J lo sentiva, convincere Mello ad agire in coordinazione con Near
era a dir poco impossibile. Ne ebbe la conferma da Roger, che invano aveva
tentato di farli lavorare insieme.
< Vuoi provare a
fargli fare questo test? > chiese Roger a J.
Erano passati tre anni da quando era
arrivata la prima volta alla Wammy’s House. La
ragazza era stata letteralmente addestrata ad essere il nuovo Watari, L si era lasciato convincere e i suoi contatti con
gli eredi erano diventati abbastanza frequenti.
< Non è una mia idea, ma di L.
L’ha elaborato appositamente. Non c’è una soluzione giusta, ma tutto è lasciato
alla fantasia di chi si cimenterà nel risolvere il problema. > spiegò J.
Sarebbe stato un giorno
particolare, questa volta non era una delle solite prove che venivano assegnate
agli ospiti di quell’orfanotrofio e Mello e Near odorarono questo dettaglio per la presenza della
ragazza. Non c’erano davvero dubbi sulle loro capacità e non c’erano dubbi che
non avevano altri concorrenti là dentro. Ormai ogni test era rivolto unicamente
a loro due, lo sapevano.
Mello si sentì messo pesantemente alla
prova. Fece un respiro profondo per provare a scacciare il nervosismo che lo
stava cogliendo. Solo qualche giorno prima erano stati “testati” da Roger e la
classifica era stata nuovamente impietosa. Si era piazzato ancora una volta
secondo, con suo enorme disappunto. Per la rabbia del momento aveva rotto uno
dei vetri della biblioteca, lanciando contro la finestra uno dei libri che lo
avevano accompagnato nei suoi studi notturni. Ebbene sì, ormai studiava anche
di notte pur di riuscire a battere quell’apatico, asettico Near,
ma non c’era verso di spuntarla. Poteva anche morirci su quei libri, ma niente
sarebbe cambiato. Ora ecco che arrivava quella ragazzina con quegli occhi
penetranti e i suoi modi troppo gentili e accondiscendenti con chiunque a
mettere lui alla prova. La detestava. Odiava quando arrivava a sondarli con il
suo sguardo critico, seppure velato da una disponibilità senza pari. Odiava lo
sguardo di pietà che rivolgeva solo a lui, quando visionava la sua posizione in
classifica. Odiava le sue parole di conforto per lui, solo per lui. Odiava il
suo odore zuccheroso, perché era ormai presagio di sventura.
Stare seduti in quei
banchi così scomodi non piaceva molto a Near, ma
aveva il permesso di sedersi come gli pareva. Dopo i primi dieci minuti
appollaiato sulla sedia di legno, il ragazzino prese foglio e penna e si
accomodò tranquillamente per terra. Ecco, quella era posizione migliore per far
fluire il sangue al cervello. Appoggiò la testa sul ginocchio destro, piegato
verso il suo petto, e la sua penna lasciò scivolare sul foglio una cascata di
parole per la risoluzione del caso proposto. Era decisamente un caso quello che
stava loro proponendo L, forse uno di quelli da lui risolto, forse uno che
doveva ancora risolvere … poteva essere proprio così, dato che in quel momento
il detective migliore del mondo era alle prese con il caso Kira,
il più complesso che avesse mai affrontato, tanto che era uscito allo scoperto,
si era esposto in prima persona e questo Near e Mello lo sapevano.
Dall’altro lato della
stanza Mello stava letteralmente rosicchiando fino
all’osso la sua penna. Lo faceva ogni volta che spostava lo sguardo sulla testa
di Near. La vedeva apparire tra i banchi, dato che,
al solito, quello psicopatico si era spostato sul pavimento. Probabilmente
quello che Mello stava facendo al tappo della penna
voleva farlo al suo rivale: rosicchiargli la testa, spaccargliela per vedere
che cavolo conteneva. Il panico lo colse quando quella specie di fantasma
ambulante, quel lungodegente perennemente in pigiama si alzò e si diresse verso
J, seduta a un tavolo vicino alla finestra, per consegnarle il suo test. Quel
dannato aveva finito e lui si era lasciato prendere talmente tanto dalla sua
rivalità da essere ancora a metà.
Se era guerra quella che Near voleva, beh, lui non si tirava certo indietro. Partì a
razzo, lasciando che la penna percuotesse violentemente il foglio, calcando
talmente tanto la mano, da strapparlo in più punti. Il suo sguardo era
diventato feroce e in meno di cinque minuti risolse tutto quello che c’era da
risolvere e annunciò di aver finito scagliando un pugno sul banco.
Si alzò tanto
violentemente da far cadere la sedia con un tonfo e avrebbe lanciato il foglio
verso J, se non avesse saputo che non sarebbe mai arrivato a destinazione. Per
rimarcare la sua vittoria contro quel lurido foglio scarabocchiato, lo posò con
malagrazia, lanciando uno sguardo di sfida alla ragazza e, quando si voltò,
anche a tutti gli altri ragazzi che, visto il chiasso che aveva provocato,
avevano tutti le penne a mezz’aria e lo sguardo puntato verso di lui. Li fissò
talmente storto che tutti, nessuno escluso, ripresero a pensare a fatti propri
prima che, e Mello ne era capace, questi si levasse
una scarpa e gliela tirasse in testa. Per concludere la sua sceneggiata, uscì
sbattendo la porta.