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Autore: SunVenice    03/08/2011    9 recensioni
Il governo mondiale ordina una strage oltre la Red Line, tre ragazzi sono costretti ad un doloroso esodo per recuperare almeno un pezzo della propria vita, e due mondi, da anni separati, si incontreranno sulla Grande Rotta, svelando un segreto che nessuno avrebbe mai voluto venisse divulgato. "Vuoi sapere chi sono?"
La storia continua dopo quasi tre anni di assenza! (psss! è anche ON HIATUS,perchè? Perchè sono masochista!)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Barba bianca, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Sirene di Fuoco'
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Kaizoku no Allegretto

L’allegretto del pirata

Atto 17 –parte prima-

Atto 17, scena 1

Il gelo del pavimento del quartier generale, tanto vuoto da risultare quasi inquietante agli occhi di Koby ed Hermeppo, pizzicava i piedi nudi di Clarina con rinnovata insistenza ad ogni suo nuovo passo, fallendo comunque nel tentativo di distoglierla dal proprio obbiettivo.

Le sopracciglia bionde della paradisea si corrugarono verso il centro della fronte, conferendole, senza che i suoi due accompagnatori potessero vederla, essendo dietro di lei,  un aspetto ancor più deciso ed orgoglioso del solito.

Era una donna di carattere Clarina Sassonia.

Koby ed Hermeppo potevano affermarlo con assoluta certezza, nonostante il poco tempo trascorso con lei.

Era una mamma, dopotutto. Le sue azioni erano trascinate da qualcosa di più forte dell’egoismo o l’istinto di autoconservazione.

Non era per se stessa che stava rischiando di essere catturata di nuovo, questo era certo.

C’era una ragione più che valida che stava muovendo i suoi passi, troppo frettolosi e decisi per non esserlo.

Koby aveva sentito menzionare dal vice ammiraglio, seppur brevemente,un frutto, prima di essere sbattuti fuori dalla nave al freddo del mattino.

Possibile?

Per Clarina sembrava che lo fosse e solo i suoi pensieri, riflessi nelle cornee dei suoi occhi cristallini, puntati sulla fine di quel lungo corridoio, potevano celarne il motivo.

 

“Agiata!” esclamò piacevolmente sorpresa, accorgendosi solo in quel momento della paradisea rosa sgusciata alle sue spalle senza che se ne accorgesse.

Non era abituata a ricevere visite. Da quando le altre erano venute a sapere della nascita di Archetto le sue sorelle avevano cominciato ad andare a trovarla sempre meno.

“Che bella sorpresa! Come mai da queste parti? Sei venuta a trovare Allegra? Oggi è fuori con Archetto per la pesca! Mi spiace!”

Si fermò dal continuare, vedendo il visino di Agiata rabbuiarsi di colpo.

Si morse la lingua.

A volte malediceva la propria schiettezza. Grande spirito, sapeva che Agiata era più che gelosa di Archetto, ora che Allegra non aveva più tempo per lei!

O-oh, ma dovrebbe tornare a momenti!” si sbrigò ad aggiungere. Oooh se avesse fatto piangere Agiata e Drama, sua madre, l’avesse scoperto sarebbero stati dolori.

“Veramente io… non sono venuta qui per vedere Allegra.”

Quella frase la sconvolse non poco: Agiata che non voleva vedere Allegra?! Grande spirito, il mondo stava forse per finire?!

Zietta…” mugugnò, storcendo un po’ il naso la piccola paradisea con la vocina incrinata “Sento che qualcosa di brutto sta per arrivare …”

Non ebbe la forza di chiederle cosa, perché poteva percepire benissimo quello a cui si riferiva Agiata: i suoi occhi denudarono l’anima della piccola senza fare il minimo sforzo, facendola sfiorare con la propria.

Sussultò, capendo: una grande minaccia, terribile, letale, spietata, inumana.

Gli occhi della paradisea rosa si alzarono su di lei e la guardarono imploranti.

“… e… io non sopravvivrò.”

Fu come sentirsi schiacciare da un masso pesantissimo.

Avrebbe voluto sorriderle, dirle di non essere così negativa, rassicurarla che forse la minaccia che aveva avvertito non era così terribile, ma non poté. Agiata non sbagliava mai su cose simili e non parlava mai a vanvera.

Per questo lei, paradisea di più alto grado tra quelle della sua generazione, dotata dell’essenza più importante di quell’Era, si ritrovò confusa ed incerta sul da farsi.

Due generazioni prima, quando né lei né Agiata erano ancora nate, due paradisee con le loro medesime essenze si erano fronteggiate in quella maniera, intuendo entrambe l’avvicinarsi della tragedia.

Ma le parti erano ormai invertire: era a lei, la Verità, cui spettava la decisione, e ad Agiata, la Vita, piccola, resistente e cocciuta, non sarebbe restato che chinare il capo.

“No …”

“Zietta … io…

“Non ti lascerò morire così!”

 

No… non l’avrebbe fatto.

Agiata non meritava di sparire in quel modo. Non POTEVA sparire in quel modo.

Fin dalla prima volta che l’aveva vista, con quella sua testina fiammante e gli occhi nerissimi come una notte senza stelle, aveva capito quale fosse la sua Essenza, ed aveva giurato a se stessa che mai e poi mai l’avrebbe abbandonata.

Mai e poi mai.

Arrivare davanti a quella che era stata la sua prigione la lasciò per un attimo sbigottita, forse per i brutti ricordi legati a quel posto, forse per l’inquietante fatto di trovare la porta spalancata.

Si fermò sulla soglia, guardando timorosa l’entrata di quell’antro scarlatto.

Sentiva che qualcosa non andava. L’aria a contatto con la sua pelle si era fatta pesante e strisciante come le spire di un serpente.

La sua mente le diceva di non procedere, ma qualcos’altro la spingeva fare un’altro passo: quello che l’avrebbe fatta nuovamente ritrovare in quel posto maledetto.

La mano gentile di Koby le si posò sulla spalla, cercando timidamente di attirare la sua attenzione

“Signora Clarina?” chiese il ragazzo non ottenendo comunque alcuna risposta né reazione alla propria domanda.

Per una decina di secondi la situazione non si sbloccò.

Clarina stette lì ad osservare con astio l’oscurità di quella camera, quasi ordinando di rivelarle cosa nascondesse di così terribile da farla vacillare, finchè la risposta, con una vibrazione d’aria, calda e appena percettibile, arrivò.

“STATE GIU’!!”

Le sue mani erano riuscite a scansare i due ragazzi appena in tempo per puro miracolo e il colpo di lava, probabilmente diretto proprio a loro, ebbe l’unico effetto di bruciarle i capelli, annerendoli e sgretolandoli come cenere alle punte.

Fu con sollievo che la paradisea, alzando lo sguardo cobalto verso i suoi due protettori, constatò che entrambi, a parte il colorito cadaverico, fossero rimasti illesi dall’accaduto, cosa che non si poteva dire per la sua chioma.

“Guarda cos’hai combinato.”

La voce fredda del peggiore dei suoi incubi attirò nuovamente la sua attenzione sulla soglia di quella camera, facendole assistere alla lenta e funesta apparizione di quello che, dicendole di amarla, l’aveva costretta a stare con lui, contro la propria volontà.

Clarina era conscia di quanto la situazione fosse, in meno di pochi istanti, precipitata, ma lasciarsi prendere dal panico sarebbe stato come scavarsi la fossa, e non poteva.

Per quei ragazzi che l’avevano aiutata, per Agiata, per i suoi bambini che l’aspettavano, doveva essere forte e tirare fuori la parte peggiore di lei.

Le sue sopracciglia bionde si arcuarono verso l’alto dando sfoggio nel contempo al sorriso più malizioso e sfrontato che avesse mai indossato.

“Combinato?” chiese con tono ironico, alzandosi lentamente sulle proprie gambe, senza dare il minimo segno di vacillare.

“Che cosa avrei combinato Akainu?” concluse fronteggiando fieramente e a testa alta il marine, incrociando le braccia sotto il seno con sicurezza.

Il viso corrucciato dell’ammiraglio non tradì la sorpresa di vedere quella donna parlargli in quella maniera, cosa che invece non fecero Koby ed Hermeppo, sbalorditi così tanto da assumere un’espressione forse un po’ troppo fuori luogo, dato il momento.

“Ti ho forse causato qualche problema cercando di ritrovare la mia libertà?”

“Ti ho già permesso troppo lasciandosi in vita, Clarina, e lo sai.” Fu la risposta impietosa di Akainu che come una nuvola nera in cielo oscurò il sorriso derisorio della donna, tramutandolo in una linea curva e stretta.

“Quelle della tua specie non ne avrebbero neppure il diritt-..”

“Zitto.”

Koby ed Hermeppo ingoiarono un groppone di saliva simultaneamente, non credendo a quello che avevano appena udito. Aveva appena ordinato ad Akainu di stare zitto??

“Non una sola parola.”

Koby tremò sentendo il tono della Signora Clarina solleticargli quasi in soffio gelido le orecchie e combatté contro l’istinto di rannicchiarsi a terra come un bambino e tapparsi le orecchie per non sentire un parola di più.

Era terribile. Si sentiva gelare fin delle ossa … e non capiva il perché.

Dov’era finita la voce calda e confortante di quella donna?

Dov’era finita la sua natura dolce, indifesa e materna?

Ugh..” si lamentò stringendo i denti sotto gli occhi confusi e preoccupati di Hermeppo.

“Se ti sentisse mia figlia, saresti già morto.” Continuò intanto la donna, ignara di quello che stava accadendo alle proprie spalle.

“Tua figlia è morta.”

Seguì un intenso momento di silenzio.

Clarina indurì ancora di più lo sguardo a quella insolente affermazione e, dal modo in cui le braccia di Akainu avevano iniziato a tremare impotenti, irrigidendosi sotto uno degli effetti della sua Essenza che meno di tutti usava, intuì di stare andando bene. Nessuno sopportava il peso della Verità, specie quando questa gli è avversa.  

“Osi contraddire me, Sakazuki?” sussurrò, stirando le labbra in un altro seducente e sfrontato sorriso, facendo un passo verso l’ammiraglio.

Uno solo, ma che bastò per vedere gli occhi dell’altro venire offuscati da un velo di dubbio.

Tintinnò l’aria con una risata beffarda e cristallina.

Ahaha..Faccio davvero così paura?” fu solo un attimo di luce il sorriso divertito che mostrò, simile a quello che indossava tutti i giorni, per poi riaffondare nel freddo invernale di poco prima.

I suoi occhi cobalto, benché le due reclute non potessero vederlo dalla loro posizione, non erano mai stati così duri e persino Akainu ne era rimasto turbato.

La donna che per mesi era stata sua succube, accettando con pianti e suppliche la propria prigionia e il fatto di essere amata da qualcuno come lui, in quel momento gli si stava lentamente rivoltando contro, schiacciandolo con qualcosa di talmente forte da non poter essere minimamente paragonabile all’Haki.

Era come sentirsi pungolare da centinaia di coltelli affilati e pronti a trapassarlo da capo a piedi.

L’Ambizione non aveva quell’effetto.

In tutti i suoi anni di carriera aveva incontrato centinaia di pirati capaci di fargli assaggiare una briciola di quello che si provava sentendosi sopraffare dalla volontà altrui, ma non era lontanamente somigliante a quello che stava subendo.

L’Haki ti schiacciava tra due muri come una sardina, facendoti mancare l’aria dai polmoni.

Clarina invece, solo parlando e guardandolo, lo faceva bloccare per la paura, lo faceva sentire in trappola, dandogli comunque l’impressione di poter annaspare in uno spazio astratto per una qualsiasi via di fuga.

Non vide la mano della donna allungarsi e tendersi sinuosa in sua direzione, mostrando il palmo aperto in attesa di essere riempito da qualcosa.

“Rendimela.”

Fu colto da un attimo di smarrimento.

“La Nota, Sakazuki.”

Le sue dita si contrassero mentre avvertì quel piccolo frutto azzurrognolo nella sua tasca palpitare, quasi fosse un essere vivo e pulsante.

I suoi occhi neri questa volta si sbarrarono, lasciando che le sue emozioni traboccassero.

Cosa stava succedendo?

Irritata dall’incertezza dell’altro, Clarina mosse un altro passo in avanti.

“Rendimela Sakazuki, adesso.”

Perso nel proprio stato di innaturale confusione, Akainu digrignò i denti, portandosi la mano alla tasca dove teneva custodito l’oggetto, osservando con rabbia la bionda mentre il suo sguardo continuava a puntellarlo con tanti piccoli aghi.

Quella sensazione lo infastidiva.

Non era da lui lasciarsi intimidire, specie da una donna che tra l’altro conosceva, o meglio credeva di conoscere, come le proprie tasche.

Il potere che stava emanando era certamente  una conseguenza della sua Essenza, ne era sicuro, aveva avuto modo di fare delle ricerche su quella razza cui aveva avuto il compito di cancellare l’esistenza.

Ma perché mostrare una simile capacità solo in quel momento?

Aveva aspettato il momento opportuno fino a quel momento? Così tanto?

Si era finta indifesa solo per poi pugnalarlo al momento propizio?

In quel momento si accorse del suo unico, grande sbaglio: aveva imprigionato una Paradisea, costretta a stare al suo fianco nolente per mesi, senza nemmeno premurarsi di indagare sulla natura della sua Essenza.

Capire una cosa simile l’avrebbe messo in una posizione di enorme vantaggio, ma ormai era troppo tardi per guardarsi indietro.

La rabbia si sostituì alla confusione e l’adrenalina gli pompò al cervello, sotto la spinta dei battiti non più tanto frenetici e irregolari del suo cuore.

Gli importava davvero tanto di quel mandarino dal colore strano?

Bene.

La sua mano si strinse minacciosa attorno alla Nota, ancora fasciata dal tessuto rosso della sua divisa.

“Fai un altro passo e la stritolo.”

Fu con soddisfazione e senso di vittoria che vide gli occhi della paradisea velarsi di paura, anche se per un solo istante.

“Non oserai.” Affermò Clarina, scrutandolo sempre con quella sua espressione inflessibile degna di una regina.

“Non oseresti mai distruggere l’unica cosa che mi tiene ancora legata a te.” Era una certezza quella che stavano pronunciando le labbra rosate di Clarina, una verità indiscutibile.

Di colpo ricadde nello stato di caos mentale inziale: come faceva a capirlo in così poco tempo? Neanche l’avesse avuto scritto in faccia che stava bluffando!

Un momento…

-Bluffare..? - pensò vedendo finalmente i contorni del puzzle farsi più nitidi.

“Non ci credo…” sussurrò osservando rapito come non mai le fattezze e l’espressione di quella paradisea che aveva rapito il suo cuore e la sua mente quasi fino all’ossessione.

Occhi e capelli chiari.

Lineamenti degni di una sovrana inflessibile, tanto crudele in quel momento, tanto pura nell’anima.

Una lingua tanto sincera da ferirlo.

Una fiamma bianca di alto grado.

Per i Cinque Astri…

Come aveva fatto a non capirlo subito?

“Tu sei..”

 

 

Atto 17, scena 2

Betty non sapeva che pesci pigliare.

Betty...”

Era passata un’ora da quando Momo, più sconvolta e rossa in viso che mai, era piombata nell’infermeria nel pieno della mattinata, gettandosi a capofitto tra le sue braccia, affondando il viso nel suo petto come alla ricerca di sicurezza.

Ora, non che le dispiacesse la piccolina si fosse finalmente decisa ad alzarsi presto e cominciare a prendere i ritmi del resto della nave, ma di certo non si aspettava una simile reazione a quell’ora!

L’intero reparto infermieristico si voltato verso di lei, osservando ad occhi spalancati la piccolina rifugiarsi addosso a lei.

Il capo reparto, alzando gli occhi, invisibili dietro le lenti scure, al cielo, si diede coraggio, accompagnando al meglio delle sue possibilità la paradisea verso uno dei letti della stanza.

Era una fortuna che a quell’ora non ci fossero ancora feriti.

E ci mancherebbe altro! – pensò la bruna stringendo inconsciamente le labbra al solo pensiero: erano sì e no le sei del mattino!

“Coraggio tesoro, sediamoci un po’,ok?” sussurrò dolcemente, venendo prontamente affiancata da Penelope, accorsa immediatamente non appena riconosciuta la figura della loro adorabile sorellina minore.

Farla sedere fu un piccolo grande passo che permise a tutte le infermiere di vedere il visino della ragazza.

Rimasero ammutolite.

Se prima si erano solamente fermate, incuriosite da quella piccola ed interessante scenetta, vedere l’espressione di Momo le lasciò esterrefatte.

Chissà.

Forse era per via degli occhi lucidi, o per le guance imporporate.

O forse, cosa molto più probabile, era il tipo di espressione che aveva assunto, definibile solo in un modo: sognante.

B-betty…” balbettò di nuovo la paradisea con voce piccola piccola.

M-mi sento un po’ male..” concluse tenendosi stretta la camicia all’altezza del petto.

Il silenzio piombato nell’infermeria non sembrava volersi dissipare, fatta eccezione per Betty, unica ad essersi ripresa, stendendo le proprie labbra rosse nel solito sorriso grintoso e seducente che la contraddistingueva.

La donna, sedendosi con tranquillità accanto alla ragazza, le mise una mano sulla fronte, trovandola a dir poco bollente.

Le scappò quasi una risatina, intuendo la situazione, ma si trattenne non volendo rovinare l’atmosfera che l’avrebbe portata a scoprire com’era andata a finire...

Uhm…” mugugnò con falso fare pensoso, fingendo di torturarsi la punta del mento con le dita.

“Tachicardia, leggero alzamento della temperatura corporea…” cominciò ad elencare nel modo più professionale possibile, nonostante stesse soffrendo per non scoppiare a ridere.

Momo, tuttavia, non parve curarsi delle sue parole, rimanendo ferma e rannicchiata sull’orlo della branda come impaurita, e non si accorse nemmeno delle dita di Betty che avevano scostato i capelli e il colletto della sua camicia, rivelando qualcosa di talmente interessante da far avvicinare di botto e trattenere il fiato alle altre infermiere.

“E un piccolo ematoma all’altezza collo-spalla.” Terminò Betty con un sorriso da volpe, accavallando le gambe con fare orgoglioso, osservando le sue colleghe ormai in procinto di sbavare per l’emozione.

Fu la volta di Penelope intervenire, sedendosi leggera e radiosa come un angelo accanto alla paradisea, che sembrava non essere particolarmente interessata a quello che le accadeva attorno, quasi non se ne accorgesse.

“È successo qualcosa, per caso?” domandò innocentemente la bionda, toccando con una carezza lieve la spalla della ragazza.

Questa, risvegliatasi un poco dal proprio stato di coma vegetativo, si lasciò sfuggire un piccolo cenno affermativo.

 

Atto 17, scena 3

Essere svegliati di prima mattina da una sinfonia di strilli femminili non era certamente la routine dei pirati di Barbabianca.

E neanche per Ace, a giudicare dal bernoccolo che si era procurato, scivolando dalla posizione nella quale si era appisolato sul ponte della nave.

Urgh…” si lamentò massaggiandosi la parte offesa, osservato dall’alto da Satch, smagliante e sorridente nonostante le vistosissime occhiaie che il brusco risveglio gli aveva procurato.

“Buongiorno anche a te, Ace!”

Il più che vistoso bernoccolo plurimo che gli sorse come una colonna di pietre dal ciuffo biondo, miracolosamente intatto per grazia della brillantina a tenuta extra forte, gli procurò molto più dolore di quanto non dette a vedere, sforzandosi di mantenere un’espressione dignitosa, nonostante dalle labbra non poté fare a meno di bofonchiare:

Eh già.. buongiorno…

Ace non amava svegliarsi di soprassalto.

Al contrario, lo detestava e, benché volesse molto bene ai propri fratelli, finiva sempre col scaricare il suo momentaneo ed incontenibile malumore sul primo che gli capitava a tiro.

In questo caso Satch.

“Scusa Satch.”

Chiedere perdono era comunque una cosa che non si sarebbe mai dimenticato di fare, per fortuna.

“Niente di che…

“Ma si può sapere che cos’è stato?! Un mostro marino? Una flotta di cannoni?”

Il biondo ridacchiò in uno sbuffo.

“Peggio fratellino…

Pugno di fuoco inarcò un sopracciglio per poi accennare ad un sorriso incredulo, tirandosi un po’ indietro la falda del cappello.

“Non dirmelo.”

Il comandante della quarta flotta rispose alzando la testa verso il cielo, ancora ingrigito dagli ultimi fasci della notte.

Socchiuse le palpebre, assaporando un istante di quella beatitudine che solo i primi momenti dell’alba riusciva a dare, soffiando sul mare un’aria fresca e carezzevole tanto sottile da sembrare un velo di seta sulla pelle.

Un sospiro gli sfuggì dalle labbra, mentre tornava velocemente al discorso precedente, notando i bordi frastagliati delle nuvole in controluce assumere la forma di una cascata di capelli biondi e mossi.

Ace seguì quel rapido cambio di espressioni con interessamento e per un attimo gli sembrò quasi di intuire quali pensieri stessero affollando la mente dell’amico.

Anche lui, d’altra parte, la notte prima, in completa assenza della graziosa e quasi innaturale figura calda ed ondeggiante che di solito saltellava sul ponte, si era perso a guardare con fare sognante l’albero della nave in attesa che il rumore delle vele, gonfiate ritmicamente dall’azione del vento, si tramutasse in quello delle fluttuanti fiamme della paradisea gialla.

Inutile dire che si era addormentato a causa di un attacco narcolettico.

Satch tornò a guardarlo con il suo solito sorriso da malandrino dl cuore tenero per poi proferire in una sola parola quella che in pochi minuti sarebbe diventata la loro meta. 

“L’infermeria.”

 

Atto 17, scena 4

 

“Vogliamo i dettagli!!!” urlarono all’unisono le infermiere con occhi scintillanti, accalcandosi il più possibile davanti a Momo che, spaventata a morte da quella reazione, aveva arrancato sulle coperte del letto dell’infermeria dove si era seduta, sperando, inutilmente, di potersi mettere al riparo dagli sguardi ossessivi delle sue compagne.

Facevano paura, oh, altroché.

Sembravano quasi un branco di Re dei Mari affamati che si leccano i baffi di fronte ad una povera nave indifesa.

Uhm… e lei da dove aveva tirato fuori quel paragone?

Un brivido le percorse la schiena, intuendo di aver in passato, effettivamente assistito ad una scena simile.

“Su su!!!” La incitò una voce squillante da dietro, facendola sobbalzare.

“Avanti avanti!” un’altra ragazza le piombò di lato e lei finì con l’annaspare sulla testata della branda per lo spavento.

Si guardò intorno e una lacrimuccia le apparve nell’angolo dell’occhio: era completamente circondata.

Biri! Ribi!” intervenne una terza voce colma di rimprovero.

Evidentemente quelle due infermiere che l’avevano assalita si chiamavano in quel modo.

Buffo: stava sulla Moby da almeno un mese e ancora non aveva imparato tutti i nomi delle infermiere.

Non che ne avesse avuto il tempo, in ogni caso: tra Betty e Marco che le avevano insegnato rispettivamente l’anatomia umana e la lingua a regola d’arte, in tempi ristrettissimi per giunta, lasciare un angolino per altri nomi sarebbe stato a dir poco arduo.

Seppe di essere stata in qualche modo salvata, quando i gridolini eccitati delle donne attorno a lei si tramutarono i sbuffi e lamentele.

Uuuh..! Lova sei la solita guastafeste!” esclamò una delle due imbronciandosi come una bambina. Allegra riconobbe in lei quella che per prima l’aveva bloccata durante il suo tentativo di fuga. Era una ragazza pressoché della sua stessa altezza, capelli corti a caschetto castani chiari e un paio di occhi azzurri come il ghiaccio grandi e palpitanti come quelli di una bambina.

Oooh Ribi! Falla finita!”

Riconobbe nell’ultima voce quella di Betty.

“Uffa!”

“Ma non facevamo nulla di male!”

A parlare questa volta era stata la seconda delle infermiere.

Biri!”

Nuu!”

Alla paradisea bastò un’occhiata ad entrambe le sue “assalitrici”, abbracciate l’una con l’altra, guancia contro guancia, per poter dire con assoluta certezza che erano gemelle.

Avevano gli stessi occhi, la stessa altezza e corporatura, l’unica differenza stava nei capelli differenti non solo per lunghezza ma anche per acconciatura: Biri li aveva lunghi e tenuti ordinati in una coda bassa, a differenza di Ribi, decisamente più sbarazzina della sorella.

Una cosa che però si notava subito era che entrambe possedevano una nota di infantilità che le distinguevano dalle altre.

Chissà come mai non le aveva notate prima?

“Sempre dietro i pettegolezzi piccanti voi, due.”

“Forza, chiedete scusa a Momo-chan.”  

Fu con suo immenso sollievo che la folla radunatau attorno a lei si aprì, lasciando spazio così alle due gemelle di scusarsi in grande stile, chinandosi insieme in segno di scuse.

“Scusa Momo-chan…” dissero le due assumendo un’espressione da cucciole bastonate.

Momo si guardò attorno imbarazzata, non sapendo come reagire, certo l’avevano fatta spaventare di non poco con quelle loro espressioni affamate di informazioni,…uhm… com’era quella parola?

La usava spesso Ace per riferirsi alle bistecche di carne… era… uuh…

Ah, già!

Succulente.

….

Com’era che pensando ad Ace le era venuta una fitta allo stomaco?

Si ricordò con una certa vergogna di essersi dimenticata di Ace, che sicuramente si doveva essere appostato come al solito sul ponte tutta la notte ad aspettarla.

“Momo? Che cos’hai? Momo?”

“Ah..!” sussultò accorgendosi di aver abbassato lo sguardo sul letto, coprendosi il viso con una mano.

Accidenti a lei. Si era dimenticata di rispondere a Ribi e Biri.

N-non è niente.” optò come risposta, sforzando un sorriso sulle labbra.

Ancora non capiva quello che era successo in biblioteca e si sentiva troppo confusa per cercare di lasciar perdere.

Le guance le andarono nuovamente in fiamme al solo sfiorare il ricordo di quanto accaduto istanti prima e, di nuovo, ebbe la penosa sensazione di essere sotto il centro dell’attenzione.

“La smettete di guardarmi per favore?” pigolò con una certa nota di impazienza nelle proprie parole che lasciò senza parole le presenti.

Si buttò con la testa sul cuscino sotto di lei, affondandovi talmente tanto il viso da far scomparire il più piccolo spiraglio di luce dai suoi occhi.

E sì che era una creatura in grado d vedere a giorno nell’oscurità più completa…

La paradisea riconobbe subito il tocco delicato e leggero di Penelope sulla sua testa e, come da copione, i suoi muscoli si rilassarono di riflesso.

C’erano delle volte in cui si chiedeva come mai tra tutte era riuscita ad instaurare un rapporto di fiducia solo con la bionda…, ma, a pensarci, il momento per tornare a simili ragionamenti non era dei migliori.

Il brusio delle macchine presenti nella stanza le diede un po’ di conforto, nonostante fosse ben conscia che, oltre la stoffa inodore del guanciale di cui aveva preso possesso, un intera mandria di infermiere la stavano guardando in attesa.

“Dov’è Satch?” chiese quasi in tono di preghiera.

Non era propriamente giusto chiedere di un amico per deviare un discorso, tuttavia, se ci si pensava attentamente, Satch si incontrava con Ace quasi ogni mattina presto sul ponte, ergo… Ace al momento era quasi sicuramente insieme a Satch, ri-ergo… trovare Satch significava trovare Ace, doppio-ri-ergo… trovando il moro si sarebbe potuta scusare.

Già ma di cosa?

Un formicolio sul collo le fece stringere di più il cuscino.

Ah… bene… perfetto: sensi di colpa amplificati per due.

Scattò in piedi come una molla, dirigendosi all’uscita come una scheggia.

Dove trovare Ace.

 

Atto 17, scena 5

 

Quando Arch aveva visto il rosso distrarsi dal loro scontro non aveva avuto ripensamenti scagliandosi come una scheggia contro il petto nudo dell’altro, puntando uno dei suoi coltelli in avanti come il pungiglione di un’ape.

Ma poi, con sua immensa sorpresa e delusione, quegli occhi da pazzoide si erano puntati di nuovo su di lui, accompagnati da un sorriso bianco e beffardo.

Appeal.”

Sentirsi strattonare dal nulla i coltelli non fu una bella sensazione, tantomeno quando dall’orecchio gli gocciolò del sangue, rendendogli conto quale fosse stato il destino dell’orecchino.

Lo vide luccicare a pochi centimetri dagli stivali del rosso.

 Fu solo per mantenere le apparenze che evitò di strabuzzare gli occhi, dando pieno sfoggio a quel tagliagole e i suoi scagnozzi del proprio sbigottimento.

Come diavolo aveva fatto?

“Sembra che tu abbia finito le munizioni, fatina.”

Approfittò del nomignolo per guardarlo con odio: detestava quel soprannome. Da quel che aveva capito, era un modo per alludere la sua appena accennata mascolinità.

Indietreggiò d’istinto non appena l’altro accennò ad un passo.

Lo strato di sudore sulle sue tempie si fece più fitto, tramutandosi presto in piccole, bastarde gocce.

Era finito alle spalle al muro e, per quanto si stesse scervellando, non riusciva a capire come avesse fatto a disarmarlo con così poca difficoltà.

Che Viola ci avesse azzeccato, pensando di trovare in quell’umano gli effetti collaterali di una Nota marcia?

Un altro passo in avanti. Un altro indietro.

Il suono della voce ringhiosa e strozzata di Viola gli pungolò le orecchie, ma era troppo occupato a pensare a se stesso per rispondere all’istinto di voltarsi ed assicurarsi che fosse ancora viva.

La risata che poi esplose dalla gola tozza del pirata, lanciata al cielo con la testa all’indietro, ebbe il potere di fargli rizzare i capelli fino alle punte, nonostante si trattenne con tutto se stesso dal darlo a vedere.

“Davvero angioletto, mi piaci.”

Per un attimo l’aria della piazza parve bloccarsi. Il brusio degli sgherri del pirata si erano fermati di colpo, così come il suono agghiacciante delle lame meccaniche del biondo mascherato che, il Grande Spirito non volesse, potevano benissimo aver già fatto a fettine Viola.

Lo capì dall’atmosfera che era scesa intorno a loro quanto le parole di quello schifoso dovessero risultare nuove a chi lo conosceva bene, ma sebbene l’istinto di guardarsi intorno fosse grande, non poté far altro che osservare pietrificato il suo avversario rilassarsi visibilmente, sorridendo con quel suo solito modo da iena.

Le spalle di quell’uomo, ai suoi occhi ben visibili nonostante la spessa pelliccia che le ricopriva, si sciolsero a vista d’occhio ed il suo viso, prima aggrottato, benché sempre attraversato da quella ferita larga e tagliente quale era il suo sorriso, aveva assunto dei lineamenti meno marcati e contratti.

Gli venne la nausea dalla rabbia, capendo.

Per lui il loro scontro aveva assunto il significato di un insulso inseguimento tra gatto e topo, arrivato alla sua conclusione con il roditore bloccato in un angolino e, Arch sapeva, che, al momento, il topo era lui.

Senza via di fuga né speranza alcuna, se non pregare in un po’ di pietà da parte del felino.

Eustass Kidd continuò a guardarlo, quasi gustandosi lo sforzo che stava facendo per non dare a vedere il proprio nervosismo.

Poi, inaspettatamente, tornò a parlare.

“Sai, credo di poter fare a meno di ucciderti per oggi.”

A quelle parole Arch sentì i muscoli delle gambe afflosciarsi di colpo e poco ci volle che non cadesse a terra come un mucchio si stracci.

Ormai il suo cervello lottava cercando di rimanere lucido.

Lasciarlo in vita?

Se era un perfido modo di giocare con lui prima di farlo fuori, non era affatto divertente!

Osò sfidarlo un’ultima volta con lo sguardo, ma quello, invece di cogliere a volo la provocazione, restò sereno e pacato dov’era, sempre con quel maledetto sorriso candido.

Kidd.”

La voce cavernosa del pazzoide con le lame vibrò dietro di lui pacata e calma, alle sue orecchie come la promessa di una morte indolore.

“Se lo facessi non mi gusterei affatto il momento…” disse a mo’ di spiegazione, dirigendo da una parte la testa, guardando in alto.

Quella fu l’unica volta in cui il biondo si permise di voltare la testa nella direzione indicata dal pirata.

La vista di quell’oggetto, che da settimane regnava sui suoi incubi peggiori, lo fece cadere in un breve limbo di sconforto, sostituito ben presto da un inferno di rabbia cieca.

Sopra le case dell’isola, troneggiando sui soffi di vento marino con eleganza quasi derisoria, stava il vessillo bianco e blu come la pelle dei morti.

Il simbolo del Mondo.

 

Atto 17, scena 6

 

“Dannata scimmia…” imprecò a denti stretti Ace, fulminando con gli occhi la colpevole del disastro che teneva tra le mani.

Non aveva mai pensato che trattenersi dal dare fuoco ad un’animale, fastidioso ed attaccabrighe, quale era Monster, fosse così faticoso e doloroso. I motivi per i quali stava tenendo duro erano esattamente due: Shanks e Momo.

La ragione per la quale entrambi amassero quella scimmia pulciosa rimaneva oscura a distanza di settimane persino a lui che, comunque, aveva avuto modo di stringere amicizia con la ciurma del Rosso. 

Ma perché poi quella scimmia doveva prendersela sempre con lui? O meglio.. perché doveva per forza attentare al suo cappello??!

Kuso.”

Tra le sue mani il suo adorato copricapo arancione aveva assunto l’apparenza sformata e piatta di un disco.

“Non te la prendere. Vedrai che ci farai l’abitudine.” Disse Satch finendo di aggiustarsi a tempo record il ciuffo, armato di pettine e brillantina, tenuti in tasca in caso di necessità.

Già – pensò Pugno di fuoco, guardando sconsolato il suo amato cappello per poi passare all’amico, che intanto finiva di aggiustare i danni provocati da Monster sulla propria acconciatura – un cappello però non si ripara con la brillantina.

Monster gli aveva assaliti senza motivo.

Ok, non che Monster attaccasse quelli della ciurma solo quando veniva offeso o provocato.

Sarebbe stato un miracolo poter dire il contrario…

Ora, non che volesse di fare di un caso la regola, ma… perché subire lo stesso trattamento di Satch l’aveva fatto sentire come … messo da parte?

Sob. – pensò – La strada per l’infermeria si sta facendo più lunga di quel che pensavo.

Davanti a loro, infatti, l’odiato scimpanzé del rosso ballonzolava fiero delle proprie gesta, battendo mani e piedi in successione con un ghigno animalesco ad ornargli il muso, neanche avesse steso un ammiraglio della marina tutto da solo.

Ace si limitò a scoccargli un’occhiata minacciosa, mostrando all’animale come il polpastrello del suo dito indice prendesse improvvisamente fuoco sotto il suo volere, sperando, per il bene dei suoi rapporti con il Rosso e la Paradisea, che il primate cogliesse al volo l’avvertimento.  

Monster di tutta risposta sbiancò, ma, invece di correre via con la coda pensile tra le chiappe, come aveva immaginato,  iniziò ad emettere versi striduli e grotteschi, e correre, inciampare, saltare, ruzzolare davanti a loro come un indemoniato.

“Ma che…?” sussurrò incredulo Satch, prima di notare, pochi metri più avanti lungo il corridoio qualcosa di fin troppo familiare.

Oh-o.” disse riconoscendo la natura di quell’alone giallo e zampillante che si stava intensificando sempre di più dietro l’angolo del loro percorso.

Guai.

“Ace. Spegni quel dito.” Asserì, sentendosi rigido come una statua.

Il moro seguì il suggerimento d’istinto, nonostante la voglia di provare il suo Higan sul sedere peloso di quella scimmia sfiorasse i limiti dell’ossessione, tutto prima di vedersi apparire di fronte la figura fiammeggiante di Momo, spuntata dal fondo del corridoio con la grazia di un angelo ed arrivata a pochi metri da loro con un balzo quasi istantaneo.

“Scricciolo!” esclamò il biondo battendo Ace sul tempo, guadagnandosi una breve ma intensa occhiataccia.

Quella, di certo non meno entusiasta di rivedere il comandante della quarta flotta, aprì il viso in un sorriso radioso, facendo di conseguenza schiarire considerevolmente le proprie fiamme.

Satch!!” saltellò sul posto la ragazza, trattenendosi dal balzargli addosso per abbracciarlo.

Lei e Satch dovevano rimanere distanti per almeno un mese, come d’accordo e, anche se le sue gambe protestavano, fremendo a quella vera e propria ingiustizia nei confronti suoi e dell’amico, sapeva che la scelta migliore sarebbe stata attenersi ai patti fino all’ultimo per evitare ulteriori complicazioni.

Arrossì, abbassando di poco lo sguardo, facendo finta di guardare Monster aggrappatosi a una sua gamba, invocando rumorosamente il suo aiuto.

Ciao Ace..

 Sentì il moro scattare quasi immediatamente, tornando rumorosamente sui propri passi, senza neanche degnarla di una risposta.

Cosa-?

Quando rialzò la testa l’unica faccia che incontrò fu quella altrettanto incredula del comandante in quarta, fissa su di lei con la mascella cadente.

Sc-cricciolo?” balbettò il biondo alzando a stento una mano per indicare, in modo molto approssimato, il punto che aveva, in neanche mezzo secondo, fatto il danno più grande mai provocato sulla Moby.

Allegra impallidì, capendo in pochissimo tempo dove il dito indice dell’amico stesse puntando: il suo collo, esattamente dove Betty aveva individuato una specie di ematoma.

Ematoma che lei, senza pensarci, non aveva nemmeno coperto, lasciando aperti i primi bottoni del colletto della sua camicetta a righe azzurre.

Oh no..” sospirò portandosi le mani al viso, comprendendo quella che da lì a poco si sarebbe scatenato sulla nave.

Ace!!

Le bastò un salto per bloccare l’avanzata rabbiosa del moro, curandosi ben poco di aver fatto volare via Monster a causa del suo movimento improvviso, ma, se avesse potuto tornare indietro nel tempo, avrebbe volentieri fatto a meno di affrontare direttamente il volto nero ed infuriato del comandante della seconda flotta.

Deglutì. La saliva le si era prosciugata in un istante, lasciandole la gola secca e ruvida.

Gli occhi neri di Ace sembravano nemmeno vederla, quasi la trapassassero da parte a parte, muscolo per muscolo.

Si morse le labbra, trattenendosi dal fuggire via: quello non era il solito Ace.

In quel volto contratto ed assente non c’era traccia del ragazzo gioviale, mangione e a volte distratto che si addormentava in piedi una volta no e cinque sì.

Si ricordò di un’espressione simile incontrata in passato.

Era uguale in tutto e per tutto a quella di Viola quando aveva scoperto che Archetto era un maschio.

Constatarlo non la rassicurò neanche un po’.

Ace. Calmati.”tentò mettendo le mani avanti per fermarlo, ottenendo da parte dell’altro uno sguardo che sembrava tutto fuorché calmo.

Non è successo niente ok? È solo un livido. Nulla di più-

Si fermò nel vedere il volto del moro allungarsi e sciogliersi, stavolta posseduto da qualcosa che, sul momento, non seppe se classificare migliore o peggiore della rabbia.

Assoluta incredulità.

“Livido?” ripeté con voce totalmente piatta il moro, sondando la sua faccia con attenzione, come per cogliere il minimo segno di incertezza o tentennamento che smascherassero in pieno la sua bugia.

Non che Allegra avesse mentito. Credeva fermamente in quello che aveva detto.

D’altro canto sul suo vocabolario decisamente ristretto non esisteva la parola “succhiotto” e Betty non si era nemmeno presa la briga di spiegarglielo.

Per questo, non consapevole della bugia, la paradisea annuì decisa, smontando così sul nascere l’aura furiosa di Pugno di Fuoco.

“Oh.”

Scusami.” Concluse la ragazza serrando gli occhi ed arrossendo sulle guance rosate “Mi sono addormentata in biblioteca e tu sarai certamente rimasto sul ponte tutta la notte ad aspettarmi come al solito…

Fu sollevata di risentire la risata nervosa e sincera del vecchio Ace.

“Già, come un idiota.” Sorrise l’altro, giocherellando coi resti del suo povero cappello per nascondere il proprio imbarazzo.

Maledizione, aveva quasi dato in escandescenze davanti a Momo.

Scusa…

Daaai! Non preoccuparti. Sono stato io a saltare a conclusioni affrettate!” sdrammatizzò facendo vorticare casualmente il copricapo sulla punta di un dito, accentuando le proprie lentiggini con un sorrisone così luminoso da fare invidia al sole.

Sorrise di rimando, pensando a quanto la sua convinzione che lo spirito di Ace urlasse calore da tutti pori si rafforzasse giorno dopo giorno.

“Però..”

Il sorriso le si congelò.

L’atteggiamento del comandante assunse una nota maliziosa che non la fece sentire affatto tranquilla.

“Se proprio ci tieni a scusarti…

Un braccio più muscoloso e di poco più scuro le si avvinghiò attorno alle spalle.

Le sue guance diventarono pallide.

“… avrei una proposta.”

La presa gentile ma decisa si rafforzò appena, proprio quando gli occhi neri di Ace erano talmente vicini da sembrare pozzi neri.

Realizzò di essere stata baciata da Ace solo quando questo era già scattato nella direzione opposta, saltando ed esultando con le braccia al cielo, lasciando come unica traccia della sua presenza accanto a lei il cappello a disco.

Lo raccolse ancora intontita, cominciando poco a poco a stringerlo ai bordi e serrando i denti finché il calore del suo fuoco, ora bianco, non provocò un *POP* improvviso, facendolo tornare al suo aspetto originale.

ACEEE!!!” strillò, gettandosi al suo inseguimento con il viso rosso come un pomodoro.

 

 Atto 17, scena 7

 

L’urlo straziato di una paradisea non era niente paragonato a quello di un Re dei Mari affamato, ma per Arch le differenze erano sempre state minime quando si trattava di Viola.

Quando aveva finalmente deciso di voltarsi in direzione della cugina, convincendosi che rimanere a fissare con odio quella bandiera non avrebbe portato a nulla se non ad altri guai, si maledì per non aver preparato a sufficienza il proprio stomaco.

Completamente aperta su braccia e gambe. Era un miracolo solo rendersi conto che i tagli non erano andati a recidere vene o punti vitali.

Quel maledetto macellaio dal volto coperto era riuscita a colpirla.

Non in profondità, ma a colpirla sì.

A pensarci bene però, mentre se la caricava sulla schiena, subendo impassibile le sue grida nelle orecchie, Viola non era mai stata né veloce né brava a scansare come lui ed Allegra.

Il suo unico talento, a parte l’indole di comando, se si poteva definire tale, era la forza fisica, superiore di almeno dieci volte quella di un normale maschio umano.

Quel pregio però le era completamente inutile se l’avversario era in grado di cogliere i suoi difetti e neutralizzare la sua forza.

Così era stato.

Il macellaio di nome Killer doveva essere un tipo non solo agile, ma anche sveglio e prudente.

Soprattutto prudente.

Passare accanto a Morgan fu la parte più difficile: il peso di Viola sulla schiena gli gravava come non mai, nemmeno fosse stato un masso da 1000 tonnellate, e le gambe gli tremavano a un ritmo preoccupante che seguiva l’accentuarsi della sensazione del sangue di Viola scivolargli lungo la schiena.

Fu un miracolo se riuscì a chinarsi in avanti, accostando un orecchio al muso squamoso di Morgan, cogliendone con sollievo il respiro che odorava di legno grezzo.

“Guarda guarda,… allora non sei solo parole, fatina.”

Evitò di guardare il pirata di nome Kidd, mentre, rimessosi in piedi, tornava dai propri pugnali, ancora abbandonati a terra assieme all’orecchino.

“E tu non sei così pazzo come credevo all’inizio.” Affermò, calciando in aria il primo dei suoi coltelli per poi afferrarlo con la bocca, stringendone il manico tra i denti.

Quell’affermazione lasciò il rosso confuso, tanto che, un po’ per curiosità e un po’ per sadismo, lo incalzò con una altra domanda.

“Ovvero?”

Recuperato il secondo pugnale allo stesso modo del primo, si concesse di scoccargli uno sguardo pieno di significato.

Eustass Kidd sorrideva come sempre.

Riuscì a liberarsi le labbra dai propri pugnali riuscendo, con gesti rapidi e precisi, a levarseli con una mano ed infilarli nelle fondine sotto il gilet, tornando in poco tempo a reggere la cugina.

“Stai interrompendo il massacro mio e di Viola per scappare da quello.” Affermò, riferendosi alla bandiera in quel momento alle sue spalle.

“Ammetto di averti scambiato per un idiota.”

“Quindi hai già avuto a che fare con la Marina.”

Le parole di Killer ebbero il potere di bloccarlo mentre tornava da Morgan.

“Una volta è stata abbastanza.” Rispose lugubre, prima di tornare dal bambino, poco a poco tramutatosi alla propria forma originale.

Kidd scambiò un’occhiata d’intesa con il proprio vice, non riuscendo a capire altro da quella risposta più arida di un deserto, almeno per i loro gusti.

Lo osservarono chinarsi sul bambino, certamente detentore di un Frutto del Diavolo, cominciando a chiamarlo e stuzzicarlo con un ginocchio per riportarlo alla realtà.

“Morgan. Svegliati, dobbiamo andarcene.” Disse con voce ferma, nonostante fosse palese quanto si sentisse stanco.

Il bambino ci mise poco a cercare di raddrizzarsi sulle gambe tremolanti, ma, tempo di focalizzare le condizioni della persona sulle spalle del biondo, il terrore gli riempì nuovamente gli occhi, ributtandolo a terra per lo sconforto.

“S-s-s-s-signorina…!” sussurrò a voce tremolante con le lacrime agli occhi. “Signor Arch! V-v-..!”

“Sbrighiamoci a tornare alla nave.” Sentenziò il ragazzo senza troppi preamboli, rialzandosi di nuovo e cominciando a camminare in direzione del molo, dove-...

Morgan si stupì di vedere il signor Arch bloccarsi sui propri passi, ma il suo pensiero fu presto rivolto ad altro quando la risata grottesca di quel demone rosso esplose dietro di loro, facendolo sobbalzare ed aggrappare ai pantaloni del biondo.

D’altro canto Arch sembrò non aver sentito la voce del pirata, troppo occupato a darsi dello stupido per aver realizzato solo in un secondo momento un dettaglio fondamentale.

“Che c’è fatina?” fu la domanda ironica di Kidd, accentuata dai versi divertiti della sa ciurma, tutta presa dal gustarsi lo spettacolo.

“Non dirmi che hai ormeggiato la tua barca proprio al molo.” Terminò il capitano, sentendosi il petto gonfiarsi di trionfo, vedendo le spalle di quel biondino effeminato tremare sotto i peso della sconfitta.

Arch non rispose.

Si limitò a guardare l’ostacolo che separava lui, Morgan e Viola da una rapida fuga.

La stessa odiata bandiera, situata esattamente dove stava il molo principale.

Lo stesso posto dove aveva ormeggiato la Clara.

 

 

Fine prima parte Atto Diciassettesimo

 

EEEeeeeee…?

*cri-criii*

Spero vivamente che la desolazione non sia una conseguenza permanente del mio periodo difficile.

Cmq bentornate donne e… uomini?

Uhm… idea!

Visto che sono tornata voglio fare una domanda personale a tutti i miei lettori e recensori:

1)      Siete maschio o femmina?

Lo ammetto una cavolata più grande di questa non c’era, ma se non le faccio non sono io XD

Domande specifiche per ora non le ho. Solo una scheda personaggio qui sotto ed un bel disegno di Momo da parte di una lettrice! ^^ (che avresti dovuto postare nello scorso capitolo Nd Momo)

Chiedo scuuuusaaaaa!!!

Alla prossima kisskiss

PS l’atto era troppo lungo e quindi l’ho diviso per il bene di chi vuole leggere al più presto la continuazione! Ciaaoooo!!!

 

 

 

 

File #001: Amaterasu Ryogan

Amaterasu Ryogan, padrone indiscusso dell’isola del nuovo mondo, Inari Fountain, detto Signore dei Demoni. La sua taglia è una delle più alte del Nuovo Mondo, ma nonostante questo la Marina non mobilita più le proprie forze per catturarlo da alcuni anni, nonostante sia risaputo che ha residenza fissa sull’isola da lui presieduta.

Amaterasu Ryogan, personaggio di dubbia sessualità, è temuto dalla maggior parte dei pirati che abbiano avuto la sfortuna di incontrarlo o sentir parlare di lui, fatta eccezione per i 4 imperatori, a causa della sua pessima abitudine di “collezionare ed elaborare” uomini e creature delle specie più rare.

È conosciuto come alleato ufficiale di Barbabianca, ma permette a chiunque di mettere piede sulla propria isola, a patto che sia in grado di uscirne da solo.

 

 Lo so lo so, i capelli dovrebbero essere neri….

 

 

E DA PARTE DI NOEMIIIII!!!!

MOMO! ^^

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È CARINISSIMA! L'HO MESSA COSì SOLO PERCHè NON POTEVO METTERLA PER INTERO NELLA PAGINA ALTRIMENTI NON SISAREBBE CARICATA MAI PIù! X3

 

   
 
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