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Autore: ClaryMorgenstern    03/08/2011    4 recensioni
«Senti, Jace. » lo rimproverò con dolcezza. «Non lo sai che non bisogna giocare con i vetri rotti?»
Soffocò la risata che sentiva salire. Lei lo aveva salvato. In ogni modo in cui una persona può essere salvata. Lo aveva reso ciò che era adesso, lo aveva reso felice, per qualche strano motivo. Le gettò le braccia al collo, la strinse forte a sé e ripeté ancora il suo nome. Una, dieci, cento volte. All'infinito se possibile, come se quella lenta e dolce litania potesse salvarlo dal dolore per la perdita del primo vero amore della sua vita.
 
La città di Ossa, Vista dagli occhi di Jace. Hope you like it!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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The Mortal instruments; La città di ossa - Jace Wayland.
 

Capitolo XXIV; Come Prima

 
Possibile che fosse tutto uguale a prima? Ogni piccolo frammento dell'istituto, di casa sua, era uguale a prima. E allora com'è che si sentiva come se vi stesse entrando per la prima volta? Sentirsi veramente a casa era più difficile di quello che sembrava.
Era rientrato all'istituto solo. Clary era andata via con Lucian dalle rovine di Renwick. E lui era rimasto solo, con più di venti chilometri a distanziarlo dalla vecchia cattedrale. Decise di non prendere la metro, forse farsi una lunga, lunga passeggiata sotto il caldo cocente di una New York in piena estate gli avrebbe alleggerito il peso che portava sulle spalle.
Passo dopo passo aveva ripercorso tutta la sua vita.
Quando era piccolo, Quando giocava con Valentine.
L'armadio del sottoscala, il ventaglio di sangue.
L'arrivo a New York, I Lightwood.
Il demone del Pandemonium Club. Clary.
Jace sospirò. Calciò una lattina di birra vuota che brillò alla luce del sole per poi cadere con tonfo metallico sulla strada solitaria. Ora che finalmente tutti i pezzi del puzzle di quel gran casino erano al loro posto, riusciva a vedere quelle piccole sfumatura, quei piccoli momenti di buio che non si era mai spiegato.
 E che in realtà non aveva mai voluto sapere! Era più facile crogiolarsi in una comoda bugia, piuttosto che lottare con le unghie e con i denti per sopravvivere ad un orrenda verità.
Non ho mai visto una foto di mio padre. Valentine le aveva distrutte tutte.
Forse Maryse lo sapeva, anche se inconsciamente. Forse lei aveva sempre saputo che non assomigliava per niente al suo amico Wayland.
Gettò un occhiata all'East River. Brillava di una sporcizia non ben definita che gorgogliava dal fondale.  Clary gli somiglia. Si ritrovò a pensare. Forse non era così evidente per tutti, men che meno per loro. Ma per Jace, che aveva passato ore della sua vita a contemplare il viso di Clary e che aveva riportato alla memoria il viso del padre così tante volte, non era così difficile vedere quei piccoli dettagli trasmessi da padre in figlia.
Quando si mettono un idea in testa, non c'è niente al mondo che possa fargli cambiare idea. E poi c'era quel luccichio negli occhi che avevano entrambi quando avevano un idea. Forse non era poi così tanto, ma era sufficiente. Almeno per Jace.
Come aveva fatto a non accorgersene prima? La risposta era davvero semplice. Quando stava con Clary, quando parlava con lei, quando rideva con lei, non pensava mai a suo padre. Quando era con lei, esisteva solo lei.  Forse è questo l'amore. Abbandonarsi totalmente alla felicità che ti procura quella persona. Non sapeva dare una definizione a quella parola. Aveva provato una elettrica attrazione per la piccola e minuta mondana che per la prima volta nella sua vita era riuscita a fargli cadere di mano un arma per la sorpresa dalla prima volta in cui aveva posato lo sguardo su di lei. Non si era mai sprecato a darle un nome. Era come una fissazione, pensare a lei giorno e notte, ma più intenso. Qualcosa di più profondo di un pura e semplice curiosità.
«Clary è mia sorella.» sussurrò. Era la prima volta che lo diceva. E solo ora che le aveva dette, quelle parole gli sembrarono reali. Troppo reali per poterle sopportare. Sorella.
E allora perché non lo sentiva reale?  Perché non sentiva Clary come sua sorella? Perché sentiva che non era reale? Anche se era assurdamente vero, non era reale.
Era stata una coincidenza? Incontrare Clary al Pandemonium Club quella sera, e non smettere più di pensare a lei? Era stato tutto uno schema del destino per fargli ritrovare suo padre e sua sorella?
Jace scosse la testa. Lui non ci credeva nel destino. I Nephilim scrivono da soli la propria storia. Non era stato il destino a fargli venire l'ossessione per quella ragazza. Ogni Nephilim sulla terra avrebbe denunciato la cosa, poi se ne sarebbe dimenticato.
Jace no. E, questo lo sapeva con assoluta e limpida certezza, non se ne sarebbe mai pentito.
 
Era tardo pomeriggio quando arrivò all'istituto. Le porte erano chiuse e aleggiava il silenzio. Jace vide la carrozza nera dei fratelli Silenti parcheggiata con attenzione nel vasto cortile. Forse fratello Geremia stava ancora con Alec. Salì le scale ed estrasse dalla cintura l'unico pugnale che gli era rimasto, dato che aveva perso definitivamente quello dei Morgenstern. Praticò un piccolo taglio poco profondo sulla mano destra e con delicatezza la posò sulla massiccia porta di legno. Quella si aprì con uno scatto, facendo entrare un fascio di luce argentea dall'interno. Appena mise un piede all'interno dell'istituto Un groviglio di capelli neri poco più bassa di lui gli si gettò incontro, gettandogli le braccia al collo.  «Ci hai fatto preoccupare da morire, Brutto idiota!» disse Izzy staccandosi piano da lui. Aveva gli occhi neri arrossati, e la guance ancora bagnate dalle lacrime versate. Per il resto sembrava ancora la vecchia Izzy, sua sorella. «Ora mi racconterai tutto, Jace. E Spero che tu abbia una valida ragione per essere sparito per giorni con Hodge, Clary e la coppa mortale mentre Alec..» Le tremò la voce per un secondo. «..Stava per morire.»
Jace le prese il volto tra le mani. «Ti spiegherò tutto, Izzy. Ma prima voglio vedere Alec.»
 
In un primo momento Jace pensò che Alec se ne fosse andato e che la stanza fosse vuota.  Le lenzuola del letto erano disfatte e gettate di lato con foga. Che lo odiasse tanto da non volerlo vedere mai più?
Poi si rese conto di una figura scura accanto alla finestra aperta da cui entrava la luce sanguinante del tramonto. Era decisamente Alec. Avrebbe riconosciuto ovunque le spalle larghe ed il fisico asciutto del giovane, forse perché quelle spalle erano state tanto tempo a contatto con le sue in battaglia, per proteggerlo come lo proteggeva lui. Era in piedi, stranamente saldo sulle proprie gambe, teneva un braccio alzato e stringeva la tenda con flebile forza. Lasciate  ad impolverarsi accanto al muro c'erano un paio di stampelle, che l'orgoglio del giovane Nephilim probabilmente non le avrebbe mai sfiorate. Per il resto, la stanza di Alec era uguale a come Jace e il ragazzo l'avevano decorata molti anni prima. Le pareti erano rimaste bianche perlacee, non come quelle di izzy che assomigliavano ad un cielo di notte pieno di fuochi d'artificio dorati,  ma a differenza di quelle della sua stanza Alec vi aveva appeso miriadi di foto. Della sua famiglia, di Idris, di Isabelle, e a ridosso della parete di fronte al letto, ce n'era una che raffigurava Jace e Alec mentre si allenavano insieme per la prima volta, quando Jace aveva tredici anni e Alec Quattordici. Una enorme libreria di mogano scuro occupava quasi tutta una parete, quasi interamente piena di libri su come torturare, decapitare, e parlare con i demoni. Da qualche parte c'era un dizionario di lingue già morte da secoli, mentre sui ripiani alti libri dalle copertine nere come la pece e risvolti in bronzo brillante che Alec aveva acquistato parecchio tempo prima in un mercatino di nascosti, attratto dall'aspetto, ma che non aveva mai avuto il coraggio di aprire per paura che ne spuntasse fuori un demone a sei teste. Jace aveva più volte tentato di aprirli, e più volte era finita in un duello tra i due giovani.
Naturalmente Alec si era accorto di non essere più da solo nel suo piccolo rifugio, ma i suoi sensi da Nephilim non sembravano al massimo della loro normale finezza, perché quando parlò disse: «Padre? Sei tu?»
Jace non rispose. Si avvicinò all'amico e si accostò alla finestra. Guardando il viso di Alec vide il tramonto dare colore alle sue guancie, ancora pallide e perlacee, che ancora recavano il fantasma del dolore. Si chiese se il viso del suo parabatai sarebbe mai tornato quello di prima, non prima di Abbadon o prima della cura, ma prima che quella sera andassero al Pandemonium, prima di Clary.
«Non sei mio padre.» concluse Alec. Il suo tono non era come l'aveva immaginato, aspro e duro. Era quasi il tono normale alla Alec: Secco, un po' saccente a dir la verità.
«No.» ribadì Jace. Non trovava nessuna battuta da dire in quel momento, nessuna ilarità. «Robert è qui?» chiese invece.
Alec staccò la mano dalla tenda facendo un passo indietro. Si allontanava dalla luce o da lui? «Dovrebbe tornare a giorni. Massimo una settimana.»
«Bene.»
Silenzio. Quand'erano diventati così loquaci i due ragazzi?
«Come stai?» chiese allora Jace, stanco del silenzio.
Ma forse il silenzio sarebbe stato di meglio di quello che venne dopo.
Alec sgranò gli occhi azzurri e strinse le mani a pugno, tanto forte che le nocche sbiancarono. «E' tutto quello che hai da dire? "Come stai?"» sibilò il cacciatore mentre la furia si impossessava di lui.
«Avrei dovuto chiederti come va?»
Alec si avvicinò di un passo, decisamente minaccioso anche se ancora evidentemente malato. «Sei il più grande stronzo che sia mai esistito sulla faccia di questo e di tutti gli altri mondi!» sputò il ragazzo. «Solo l'Angelo sa perché ho deciso di diventare amico di un cretino come te! Sei arrogante, presuntuoso, egoista e soprattutto non te ne frega niente di quelle persone che ti sono sempre state vicine, quando non avevi nessuno!» riprese fiato con calma, e Jace lo lasciò finire. «Hai la minima idea di quanto Izzy si sia mangiata le mani in questo tempo?  Con me in fin di vita e te e la mondana scomparsi?» Jace sussultò nel sentire Alec rivolgersi a Clary con quella durezza. «Poi rispunti qui, di punto in bianco e tutto quello che sai dire, dire a me! Il tuo Parabatai, l'unico fratello che tu abbia mai avuto, è "Come stai?"»
«Io..» cominciò a dire Jace.
«No tu niente!» urlò Alec con molte più energie di quanto in realtà ne avesse. «Tu devi essere grato all' Angelo che io sia ancora in convalescenza, se no ti avrei già preso a calci nel culo fino a spedirti in un'altra dimensione!»
Alec prese profondi respiri e chiuse gli occhi serrandoli bene. Jace prese quel gesto come la fine della sfuriata, quindi cominciò a parlare. «Hai ragione.» disse soltanto.
Alec sgranò gli occhi. «Certo che ho ragione! Sei un coglione Jace Wayland! Un emerito e grandissimo coglione! Sei… Sei… »   Il viso di solito bianco di Alec era diventato color sangue.
Il pugno sul naso arrivò subito dopo. Per l'angelo se faceva male!  Era piuttosto seccante continuare ad essere picchiato da Alec. In parte perché sapeva di meritarselo, e in parte perché Se poi Jace l'avesse picchiato a sua volta gli sarebbe venuto il senso di colpa. Diavolo!
 L'impatto lo sbilanciò e cadde sulla libreria di mogano, portandosi giù alcuni volumi scuri. Uno in particolare gli cadde sull'addome strappando a Jace un mugolio di dolore.
Meno male che è appena uscito dalla convalescenza, se no sarei volato dalla finestra. Pensò appena il dolore alla testa gli permise di formulare un pensiero coerente.
Il peso del libro aperto sull'addome sparì, e Jace aprì gli occhi vedendo Alec in ginocchio accanto a lui, studiare con uno strano sguardo negli occhi il libro che gli era caduto addosso. Jace gettò uno sguardo sulla copertina e riconobbe il codice dei cacciatori, con la rilegatura scura ed i caratteri dorati. Ci volle un attimo perché si rendesse conto che Alec stava leggendo il codice dopo avergli dato un pugno sul naso. Se Alexander Lightwood si era fatto distrarre da un libro, doveva decisamente essere qualcosa di davvero interessante, constatando la repulsione del ragazzo verso lo studio. Si mise a sedere con le gambe incrociate e posò lo sguardo sulla pagina del codice.
La pagina a sinistra portava solo un'immagine . Rappresentava due uomini adulti mentre si stringevano la mano sinistra e impugnavano una spada angelica con la destra. Il primo a sinistra era sulla trentina. I capelli dovevano essere molto scuri data l'immagine in bianco e nero. Era alto e muscoloso, come ogni cacciatore, e la cosa strana e che aveva solo qualche marchio. Quasi tutta la pelle era libera dal segno dello stilo. Esattamente come l'uomo alla sua destra, che però aveva capelli più chiari e corti, il fisico asciutto e lineare ed era meno alto del compagno.
 
I due primi Parabatai della storia dei Nephilim: Jonathan Shadowhunters e James Herondale, nella promessa di difendersi da qualunque cosa, da qualunque demone, da qualunque angelo.  Recitava la didascalia.
 
Jace alzò lo sguardo su Alec che fissava rapito la pagina. Lentamente spostò lo sguardo sul fratello a terra e perse tutto il rossore della furia, tutta la rabbia era sparita. Rimaneva soltanto un ragazzo che guardava il suo migliore amico.
«mi dispiace di averti colpito.» sussurrò.
«E' stato un bel colpo.» ammise Jace.
Alec si rialzò in piedi, offrendo una mano al fratello. Jace l'accettò sollevato.
«Penso ancora che tu sia un idiota, però.» e quindi, Abbracciò il suo parabatai.
 
«...»
«Pronto?»
«Clary?»
«Si, chi Parla?»
«Sono Jace.»
La ragazza perse un respiro, dall'altro capo del telefono.
«Che succede?»
Jace si morse piano il labbro inferiore ed immaginò la ragazza, dall'altro capo del telefono fare lo stesso.
«Volevo solo informarti di quello che è accaduto qui mentre noi..» piccola pausa, quasi impercettibile. Mentre La mente del giovane Nephilim ripercorreva tutta la permanenza alle Rovine di Renwick. «eravamo via.»
l'orecchio fine di Jace sentì un rumore di sottofondo provenire dall'altro capo del telefono. Un suono acuto, che si ripeteva ogni pochi secondi, ed il suono di un respiro lento e regolare, ma molto debole.
Clary sospirò dal suo capo del telefono. «Ti prego, dimmi che non è morto nessuno.»
Jace fece un sorriso amaro che lei non potè vedere. «Sono tutti vivi, credo. Non ho controllato i mostri in cantina.»
Un verso soffocato. Rideva? «Allora che è successo?»
«Alec sta bene. Merito del sommo stregone di Brooklyn. Isabelle sta bene, anche se piuttosto spossata. Robert e Maryse stanno per tornare, e con loro Max. Questione di un paio di giorni. »
Jace tacque all'istante, incerto su cosa dire.
Clary lo anticipò. «Cos'altro, Jace?» dannazione.
«Gli ho detto la verità.»
Clary aspettò un secondo, quindi disse: «Hai fatto bene, credo»
«credo anche io.»
«...»
«Clary..»
«Si?»
«Niente. Ci vediamo.»
«Ci vediamo.»
Jace chiuse la chiamata, quindi gettò il telefono contro la parete. Spaccandolo a metà.
 
«Sto bene, Izzy. Davvero. Ho solo bisogno di allontanarmi dall'attacco da primadonna di Alec.» e detto ciò Jace uscì dall'infermeria, con Alec che ancora borbottava con Isabelle su quando si sarebbe potuto alzare di nuovo. La ragazza, esattamente come Jace, non sopportava più le lamentele del ragazzo e a Jace quasi venne da ridere all'idea che potesse soffocarlo con un cuscino.
Salì le piccole scale a chiocciola che portavano alla serra. L'aria del mattino solleticava i suoi sensi. Era bellissimo poter tornare lì dopo essere stato ore chiuso nell'infermeria a Raccontare ogni particolare ad Alec e Izzy. Gli occhi azzurri di Alec avevano brillato di una strana luce quando aveva detto loro del segreto di Valentine. Jace sapeva benissimo che Alec sapeva di quello che c'era tra Jace e Clary. Molto da prima che lo sapesse Jace. Sperò con tutte le sue forze che quello sguardo fosse compassione verso di lui. Anche se c'era quell'idea, quel piccolo spiraglio che gli faceva pensare..
Scosse la testa sotto i caldi raggi del sole. Si era seduto al centro della serra, su una panca di marmo bianco. Gli alberi quasi coprivano quella panca alla vista. Era perfetta per il suo stato d'animo.
Si lasciò cadere sul marmo riscaldato dalla luce del sole passandosi una mano tra i capelli. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che era salito lassù?
Quella notte con Clary. Gli ricordò una vocina fastidiosa nella sua testa. Sospirò, mentre il ricordo si faceva spazio nella sua mente confusa. Quella notte, però, era nitida nei suoi ricordi, come se non fosse passato che qualche minuto.
Qualcosa nella giacca gli premeva contro il petto, infastidendolo. Si tolse l'indumento lasciandolo cadere accanto a sé nella panca. Dalle volte di tessuto si intravedeva un minuscolo frammento di cielo azzurro, un lembo di prato verde.
Jace prese il pezzo di vetro dalla tasca interna, rigirandoselo tra le mani. Suo padre era troppo intelligente da mostrarsi nel portale, questo lo sapeva. Ma una piccola parte di lui ci sperava. Non voleva rivivere l'esperienza di essere alla mercé di Valentine, assolutamente. Ma un figlio, per quanto in collera e deluso dal proprio genitore, Ha sempre voglia di rivivere i momenti felici in sua compagnia. Valentine non era stato il padre peggiore del mondo per lui.
 Ed era questo che non riusciva a sopportare.
Fu riscosso dai suoi pensieri sentendo il frusciare delle foglie davanti a lui. Apparve una ragazza. Bella, senza dubbio. Capelli rossi e lunghi stretti in due lunghe trecce che davano al suo viso un aspetto da bambina felice. Occhi grandi, luminosi e verdi, che brillavano sotto la luce del sole. Non molto alta, a dir la verità. Chiunque la vedesse penserebbe che fosse una mondana. Portava dei Jeans scoloriti ed una maglia colorata. Non c'erano marchi scuri a rovinarle la pelle candida e lattea. Non c'erano ferite o cicatrici a rovinare la morbidezza che, Jace lo sapeva, aveva la sua pelle. Non aveva ossa rotte ne lividi, Né mani sporche di sangue.
Era pura, semplicemente troppo pura per quel mondo sporco.
E Jace, Jace faceva parte di quel mondo sporco, solo per il semplice fatto di guardare così sua sorella.
«Clary.» sussurrò sorpreso. Nascose il pezzo del portale dentro le mani. Un gesto alquanto stupido dato che lei lo aveva visto sicuramente. «Cosa ci fai qui?» chiese piano.
«Sono venuta a trovarti» rispose lei, avvicinandosi di qualche passo.  «Volevo vedere come stavi.»
«Bene.» Rispose meccanicamente. Erano giorni che gli chiedevano come stava.  -Bene-  aveva sempre risposto. Non sapeva come sentirsi, se doveva essere sincero. Deluso? Arrabbiato? Triste? E' normale non sapere come ci si sente?
«Cos'hai in mano?» Ah, lo aveva visto.
Aprì le mani, schiudendo il piccolo pezzo di Idris che teneva stretto a sé. «Un pezzo del Portale.»
Clary si sedette vicino a lui, sulla panca di pietra. Era così vicina che riusciva a sentire il suo profumo. Vaniglia, forse. Con un tocco di fragole. «Ci si vede qualcosa?» chiese.
Mosse il piccolo pezzo di vetro, così che la luce solare vi si riflettesse sopra, mandando bagliori colorati su tutta la serra.  «Pezzi di cielo. Alberi. Un sentiero... Continuo a girarlo per cercare di vedere la casa. Mio padre...»
«Nostro padre» lo corresse lei.  Jace non disse nulla. «Perché vorresti vederlo?»
Questa, era proprio una bella domanda. «Ho pensato che magari sarei riuscito a vedere cosa stava facendo con la Coppa Mortale» anche se come risposta non soddisfava nemmeno lui.  Di Certo se Valentine Morgenstern stava macchinando qualcosa, non l'avrebbe fatto dove sapeva di essere osservato. «Dove si trovava.»
«Jace... non è più una nostra responsabilità. Non è un nostro problema. Adesso finalmente il Conclave sa cos'è successo, i Lightwood stanno tornando a casa di corsa. Lascia che se ne occupino loro.»
Jace la guardò, e si rese conto che, anche se tutto lasciava credere che fosse così, non si assomigliavano affatto come dovevano Fratello e sorella. Certo, Clary doveva essere decisamente più simile a Jocelyn, ma in quel viso che aveva osservato tanto, non vedeva nulla, niente che ricordasse il suo. O forse era il suo cervello che glielo impediva. «Quando ho guardato attraverso il Portale e ho visto Idris, ho saputo esat-tamente cosa stava cercando di fare Valentine. Ho capito che voleva vede-re se avrei ceduto. E non ha avuto importanza... desideravo tornare a casa più di quanto avrei potuto immaginare.» ammise, piano d'amarezza. Non era da lui fare certe confessioni.
Clary scosse la testa. I riccioli rossi le ricaddero intorno al viso come molle cremisi. Cosa non avrebbe dato per spostarle via i capelli dai delicati occhi verdi, sfiorandole la pelle magari.
«Non capisco cosa ci sia di così eccezionale, a Idris. È solo un posto. Dal modo in cui ne parlate tu e Hodge...» fece una piccola pausa nervosa. «Dal modo in cui lui ne parlava, volevo dire.»
Strinse di nuovo il pezzetto di Idris stretto in mano, convulsamente. Una piccola goccia rossa scivolò dalla mano. «Lì sono stato felice.» Rispose con semplicità. Era vero. Non si era mai sentito così felice a New York come si era sentito ad Idris. Era l'unico posto al mondo che avesse mai considerato casa prima di allora. «È stato l'unico posto in cui sia mai stato veramente felice.»
La ragazza strappò un rametto dall'albero di fronte a loro, pensierosa.
Lo faccio anche io. Si ritrovò a pensare Jace. E' assurdo, siamo davvero fratelli.
«Hai avuto pena di Hodge. È per questo che non hai raccontato ad Alec e Isabelle quello che ha fatto veramente.» disse Clary.
Jace scrollò le spalle, risvegliandosi dai suoi pensieri.
«Alla fine lo scopriranno, lo sai, vero?» chiese la ragazza guardandolo di sbieco.
Jace abbassò gli occhi nei suoi. «Lo so. Ma non sarò stato io a dirglielo.»
Non gli piaceva mentire ad Alec e Izzy, ma con tutto quello che era successo, non voleva essere proprio lui a dargli quell'ennesima batosta.
«Jace...» disse Clary guardando il piccolo stagno di fronte a loro.
«Come potevi essere felice lì? So cosa pensavi, ma Valentine è stato un padre terribile. Ha ucciso il tuo falco, ti ha mentito e so che ti picchiava... non pro-vare nemmeno a fingere che non lo facesse.»
Jace sorrise amaro. «Solo un giovedì sì e uno no.»
La vide fremere. Sperò che fosse per la foga del discorso. «E allora...»
«È stato l'unico periodo in cui io mi sia sentito sicuro di chi fossi. Di quale fosse il mio posto. Sembra stupido, ma...» Sospirò. Perché le diceva tutto questo?  Perché so che mi capirà. Non mi giudicherà sbagliato o inopportuno, o debole. Mi capirà, lo so. «Io uccido i de-moni perché è la cosa che mi riesce meglio ed è quello che mi è stato inse-gnato, ma non è quello che sono. E in parte mi riesce bene perché dopo la morte di mio padre io sono stato... libero. Nessuna conseguenza. Nessuno da rimpiangere. Nessuno che contasse nella mia vita per il fatto che aveva contribuito a donarmela. Adesso non mi sento più così.»
Clary guardò il rametto ormai privo di foglie prima di gettarlo lontano.  «Perché no?»
«Per te» disse lui. «Se non fosse stato per te, avrei seguito mio padre attraverso il Portale. Se non fosse per te, andrei da lui anche adesso.»
Si sentiva strano dopo averglielo detto, eppure non se ne pentiva. Era come averle confessato il suo più profondo e intimo segreto, una sua debolezza.
Lo sguardo di Clary era basso. Non riusciva a guardarlo. Jace pensò che neanche lui aveva molta voglia di guardarsi.  «Credevo di farti sentire spaesato.» disse.
«È passato tanto tempo» rispose sospirando. «Ero spaesato all'idea di sentirmi come se appartenessi a qualsiasi posto. Ma tu mi fai sentire come se ci fosse un posto per me.»le sorrise piano
Finalmente, Clary alzò lo sguardo guardandolo negli occhi. Erano belli gli occhi di lei. Verdi, grandi, le davano quasi un espressione di perenne sorpresa. Jace pensò che avrebbe potuto guardare quegli occhi per tutta la vita. «Voglio che tu venga con me.»
Jace pensò ai suoni che aveva sentito al telefono, quando l'aveva chiamata. Era all'ospedale, da sua madre. L'aveva capito solo dopo, ma questo non gli aveva impedito di pensarci. Avrebbe riconosciuto sua madre, in quella donna? Avrebbe riconosciuto l'affetto che si dovrebbe provare per la propria mamma? Non credeva di riuscirci.  «Dove?» chiese comunque.
«Speravo che volessi venire con me all'ospedale.»
«Lo sapevo.» disse piano.
«Clary, quella donna...»
«È tua madre, Jace.» disse Clary con dolcezza, interrompendolo.
«Lo so» disse lui. «Ma per me è un'estranea. Ho sempre avuto un solo genitore, e se n'è andato. Peggio che se fosse morto.»
«Lo so. E so che non serve a niente dirti quanto è fantastica mia mam-ma, e che persona affascinante, pazzesca e magnifica è, e quanto saresti fortunato a conoscerla. Non lo sto dicendo per te, lo dico per me. Penso che se sentisse la tua voce...»
«Se sentisse la mia voce...?»
«Potrebbe svegliarsi.» lo guardò dritto negli occhi.
E Jace capì. Voleva che ci fosse anche lui per avere conforto. Clary avrebbe tentato qualunque cosa per riavere sua madre. La invidiò terribilmente in quel momento. E decise che lui avrebbe fatto qualunque cosa per renderla felice. Le sorrise, un sorriso vero, stavolta. «Ricattatrice. Va bene. Verrò con te.» Si alzò in piedi. «Non serve che mi parli bene di tua madre» aggiunse poi. «Le so già tutte, le cose belle che la riguardano.»
Clary lo guardò con sorpresa. «Davvero?»
Scrollò le spalle con noncuranza. «Ha cresciuto te, no?» sollevò lo sguardo al cielo. Il sole stava sparendo su New York city lasciando spazio alla notte, e a ciò che le appartiene. E a Jace venne un idea.  «Il sole è quasi tramontato.»
Clary si alzò in piedi. «Andiamo all'ospedale. Il taxi lo pago io. Luke mi ha dato un po' di soldi.»
«Non sarà necessario.» Le tese una mano. «Vieni. Ho una cosa da farti vedere.»
 
«Ma dove l'hai presa?» Clary si portò le mani sulle labbra, per coprire l'espressione di sorpresa nel vedere la nuovissima, fiammante e -Verde?- moto demoniaca di Jace.
Si okay, infrangeva circa una quindicina di leggi dell'alleanza possederne una ma al diavolo! Jace aveva sempre voluto una moto.
«Magnus si stava lamentando che qualcuno l'ha lasciata davanti a casa sua, dopo l'ultima festa» disse Jace con falsa innocenza. «E io l'ho convinto a darla a me.»
«E sei volato fino a quassù?»
«Uh uh. Sto diventando abbastanza bravo.» Salì sulla moto. Si stava da Dio là sopra. Le fece cenno di salire dietro di lui.  «Vieni, ti faccio vedere.»
«Be', almeno questa volta sai già che funziona» Ma dai! Solo perché l'aveva fatta salire su una moto demoniaca senza sapere se volasse o no ed essere caduto da trenta metri d'altezza. Che sarà mai!
La sentì salire in sella dietro di lui e stringere le minute braccine al suo petto. «Se precipitiamo nel parcheggio di un supermercato ti uccido, lo sai, vero?»
«Non essere ridicola» disse Jace. «Non ci sono supermercati nell'Upper East Side.» Rise, ma il suono venne offuscato dal rombo della moto che voleva volare.
Poi volarono. E come la prima volta, il vento gli frustava addosso. Salivano sopra la cattedrale, salivano sopra i tetti dei palazzi e dei grattacieli vicini. E si rese conto che questa città fosse più affollata e affascinante di quanto avesse mai immaginato. D'altronde era casa sua. Central Park era un piccolo rettangolo verde smeraldo, dove le corti delle fate si incontrano nelle notti di mezza estate, c'erano le luci dei locali e dei bar di Downtown, Con vampiri sbronzi di sangue caldo e vodka fredda. c'erano i vicoli di Chinatown, Con i licantropi schiavi della luna che si rifletteva sul loro manto, e gli stregoni, Strafatti di magia.
Jace si volto verso Clary. Aveva gli occhi aperti, e guardava New York sotto di loro, come si guarda una vecchia amica.
«A cosa stai pensando?» le urlò.
Lei strinse la presa sul suo petto. Era piacevole sentirla così vicina. «A quanto è tutto diverso laggiù, adesso che posso vedere.»
«Laggiù è tutto esattamente come prima» rispose virando verso l'East River. «Sei tu che sei diversa.» virò verso il basso, vicino all'acqua.
«Jace!» sentì gridare la ragazza.
 «Tranquilla.» urlò Jace. Si stava divertendo da morire. Era come sentirsi di nuovo libero. «So quello che faccio. Non ti farò annegare.»
«Vuoi mettere alla prova quel che diceva Alec sul fatto che alcune di queste moto possono andare sott'acqua?» chiese Clary con la bocca vicina al suo orecchio.
«No.» rispose. «Credo che sia solo una storia.»
«Jace» lo rimproverò Clary con dolcezza. «Tutte le storie sono vere.»
E Jace rise. Una risata che contagiò anche la ragazza. Virando verso il ponte di Brooklyn, verso l'ospedale sui cui letti giaceva sua madre, verso la famiglia che tentava di ricostruire.
Verso la vita, che finalmente riusciva a comprendere.


Note dell'autore:
Salve a tutti ** Prima di tutto vorrei ringraziarvi per essere arrivati fino qui, è stato fantastico scrivere questa storia, entrare nella testa bionda di Jace e tentare di capire quello che c'è dentro, E vorrei ringraziarvi tutti, uno a uno, per avermi incoraggiata ad arrivare alla fine. Ma mi dispiace dirvi che questo capitolo non chiude questa storia, in quanto sto scrivendo un capitolo 26, con il quale alla fine si chiuderà, non vi dirò che succederà, lo scopriremo dopo la pubblicità! (?) okey basta la smetto xD Grazie ancora a tutti voi, non sapete quanto mi sia piaciuto scrivere con i personaggi di Miss Clare (Io la sposerò quella donna♥). E pensare che all'inizio pensavo non l'avrebbe letta nessuno, e adesso con tanta gente che mi scrive che adora la mia storia credo di essermi montata la testa ** Grazie, Grazie, Grazie!
Un saluto a tutti, al prossimo - e ultimo - Capitolo.
ClaryMorgenstern.

 
  
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