2-
Gelosia
La notte era stata piena di sogni confusi e sfuggenti,
così particolari da rendere
Blaine agitato perfino nel sonno, come dimostravano i suoi movimenti
repentini
tra le coperte e la sua espressione corrucciata. Si era anche svegliato
in un
momento particolare della nottata, alquanto spaesato, ma dopo essersi
guardato
intorno un paio di volte era ripiombato con la testa sul cuscino di
lana,
riprendendo immediatamente sonno. Il risultato era stato che, quando il
gallo
aveva cantato, il suo risveglio era stato contornato da un brutto mal
di testa
e un terribile senso di spossatezza, come se avesse camminato per ore e
ore
sotto il sole cocente senza mai riposarsi. Si
stropicciò appena il viso stanco, toccando
la barba incolta che non aveva ancora avuto modo di rasare e a petto
nudo si
diresse fuori dalla stanza; scendendo le scale, poteva già
sentire i rumori
tipici della madre, sicuramente sveglia già da molto. La sua
supposizione non
si rivelò sbagliata: il tavolo in legno sembrava ancora
più piccolo con sopra tanta
roba. Su un piccolo tagliere, anch’esso in legno, vi era
poggiata una pagnotta
di pane, vicino vi erano poggiate delle fette di formaggio, un piattino con
sopra
delle more fresche e dentro una scodella poteva già
intravedere il colorito
bianco del latte di capra appena munto. Sorrise leggermente al
premuroso
pensiero della donna, si
sedette e
cominciò a gustare la magra colazione che aveva preparato
appositamente per
lui. Dopo una decina di minuti in cui si era preso tutto il tempo
possibile per
rimuginare sul giorno prima, si alzò dal tavolo, e sotto
intimazione della
madre a lasciare tutto così com’era,
andò ad infilarsi un paio di calzoni, la
cui lunghezza arrivava sino al ginocchio, e una casacca in lino che
lasciava
libere le braccia muscolose e abbronzate; così vestito, si
diresse fuori casa,
nel piccolo campo dietro la costruzione dove coltivavano piccole dosi
di ciò
che ritenevano necessarie. Non era una coltura grande ne
particolarmente
produttiva, ma grazie ai loro sforzi quando arrivava la stagione il
raccolto era
abbastanza da sostenerli senza troppi sacrifici. Per fortuna, di anni
difficili
ve ne erano stati pochi, almeno da quello che Blaine ricordava: quando
accadeva
una qualche disgrazia che vanificava i mesi passati dietro al raccolto,
come ad
esempio un lungo periodo di siccità, allora ci si faceva
forza a tirare avanti
come meglio si poteva, oppure si barattava ciò che si poteva
con dell’altro
cibo. Non era una soluzione allegra o che si prendeva alla leggera, ma
quando
c’era bisogno andava fatto e nessun contadino poteva tirarsi
indietro senza
rischiare di soccombere e mandare la sua anima
nell’Aldilà.
Il lavoro manuale non gli dispiaceva, sebbene fosse
stancante.
Gli piaceva stare a contatto con la natura,
aspirando l’aria
pulita, beandosi del calore del sole e dei canti degli uccelli che
riempivano
il cielo; gli piaceva sentire i muscoli tesi sotto sforzo, il sudore
che gli
imperlava la fronte, le braccia che si tonificavano e abbronzavano
giorno per
giorno. Aveva una costituzione a suo dire particolare,
benché condivisa da
molti villani: una statura media, che confrontata con gli altri popoli
del
mondo sarebbe stata considerata alquanto bassa per un giovane uomo, un addome scolpito
dall’esercizio fisico
giornaliero, braccia e gambe muscolose quanto bastava a non dargli un
aspetto
tozzo. Le mani, nonostante la gran quantità di calli, erano
comunque curate e
affusolate, fattore alquanto strano per una persona che le utilizzava
giornalmente, maltrattandole nei modi più diversi. Blaine
non si riteneva un
uomo avvenente, benché molte donne del villaggio, con figlie
in età da marito,
lo osservassero spesso con occhi compiaciuti, studiandone la figura
come fosse
stato una statua; eppure nonostante la sua umiltà faceva
particolare attenzione
alla cura del suo corpo, unica arma che non lo avrebbe mai abbandonato.
Rimanere storpio avrebbe significato avere difficoltà nel
badare a se stesso e
alla famiglia per il resto della sua vita.
Ma il giovane sapeva che il suo fascino nulla era
messo a
confronto con quello degli Dei, i quali avevano tenuto per loro la
più
ammirevole delle bellezze, poiché solo essere divini ne
erano degni. La sua
mente vagò per alcuni istanti sul giorno prima, a rimuginare
ancora una volta
sul corpo del Dio Kurt, il sorriso stampato sulle labbra senza nemmeno
essersene reso conto; iniziò quindi a lavorare, le guance
rosse, riscaldate non
più soltanto dal sole.
*******
Le lenzuola bianche era scompostamente poggiate sul
grande letto
dalla struttura dorata, con il solo scopo di coprire, seppur in parte,
i due
corpi nudi che stavano distesi l’uno accanto
all’altro, le membra intorpidite
dalla piacevole stanchezza che il sesso portava con se, i capelli
scomposti, un
forte odore di passione nell’aria.
Kurt
aveva la testa poggiata sul soffice cuscino di piume, un braccio sotto
di essa
a sorreggerla, l’altro mollemente poggiato
sull’addome piatto, lasciato
scoperto dalla stoffa di cotone; il suo corpo era nudo fino alla linea
immaginaria che delimitava l’inizio del pube, una gamba
ripiegata, così che il
lenzuolo si alzasse, dando una forma alquanto strana a ciò
che stava sopra il
letto. Gli occhi azzurri di lui erano socchiusi, le labbra rese rosse
dai baci
ricevuti e dati fino a poco tempo prima, l’espressione sul
viso un misto di
piacere e soddisfazione. Si
stava
cullando nel dolce far nulla, complice la fioca luce che proveniva da
fuori la
stanza e che sembrava brillare a causa dell’arredamento
totalmente chiaro.
Un mugugno accanto a se lo distrasse dai pensieri
che fino a poco
prima gli affollavano la mente – pensieri talmente diversi
tra loro che
andavano dall’incontro del giorno prima, a una vecchia
chiacchierata con
Rachel, al sesso appena fatto fino alle parole che andavano dette
all’Oracolo
di Delfi. Voltò appena il capo verso sinistra, lasciando che
gli occhi
indugiassero qualche secondo di troppo sull’addome scoperto
dell’uomo che
sembrava essersi svegliato proprio in quel momento.
-Per Finn, concedimi almeno un’ora di
pausa, non vorrai già
ricominciare!- la voce era assonnata e leggermente lamentosa, segno che
il
proprietario era tutt’altro che contento di essere sveglio.
Il tono, però, era
ironico e divertito, come d’altronde notò subito
Kurt, il quale si avvicinò al
viso squadrato di lui, per toccargli le labbra morbide.
-Oh Dave, certo che vorrei, per quale motivo
altrimenti saresti
nelle mie stanze?- gli chiese il castano con aria maliziosa, dopo
avergli
posato quel casto bacio che tanto contrastava con le parole appena
pronunciate
dalla sua voce cristallina. In risposta ebbe solo un grugnito, che
nascondeva
il disappunto per la frase appena sentita.
Era un rapporto strano, il loro. A volte sembravano
mal
sopportarsi, a volte sembravano amiconi, e sempre più spesso
si ritrovavano a
rotolarsi tra il cotone delle fini lenzuola profumate. Quasi sempre i
luoghi
dell’incontro erano le stanze di Kurt, dove le ancelle erano
così abituate a
vedere uomini diversi entrare e uscire da non farci più
nemmeno caso; e poi
Dave doveva ammettere che era un ambiente completamente diverso da
quello dove
viveva lui. Li era tutto bianco e sembrava risplendere, contornato da
un’aura d’innocenza
simile a quella del proprietario, che però spariva
immediatamente quando si
ritrovava avvinghiato a un bell’uomo.
La dimora di Dave, invece, era un po’
diversa: era tutto più cupo,
con affreschi di lotte e caccia e rappresentazioni sanguinarie. Era
elegante e
lussuoso come ci si aspettava da un Dio, ma il tutto era molto
più crudo; c’era
da dire che lo rispecchiava alla perfezione.
-Hm. – il Dio rispose soltanto quello,
prima di portare un braccio
muscoloso ad afferrare il viso dell’altro e portarlo
più vicino a se,
nonostante tutto felice di ricominciare la loro attività
preferita. Al resto
avrebbero pensato dopo.
*******
Alcune ore dopo Kurt era seduto sul suo scranno,
accarezzando con
il dito il bracciolo su cui vi era inciso un cerchio dorato circondato
da raggi,
una riproduzione fedele ma più piccola del simbolo che stava
sullo schienale e
che rappresentava il Sole. L’aspetto era composto e ordinato,
il chitone bianco
a metà gamba che lo vestiva perfettamente, lo sguardo fisso
sulla sfera al
centro del cerchio. Immagini nitide di un uomo intento al lavoro si
palesavano
alla sua vista curiosa; non sapeva perché stava osservando
di nuovo quel
ragazzo: forse voleva sapere che effetti aveva avuto il loro incontro
sulla sua
fragile mente umana, o semplicemente voleva bearsi della vista di quel
corpo
muscoloso dalla carnagione tipicamente mediterranea, benché
il suo viso aveva
lineamenti vagamente orientali. La
linea
dei suoi pensieri deviò per alcuni secondi verso il discorso
intrapreso il
giorno prima con Rachel, la quale sosteneva che avrebbe dovuto vederlo
di
nuovo, anche se non aveva saputo dargli motivi precisi. Kurt sapeva che
la
sorella era in grado di prevedere ciò che sarebbe successo
prima ancora che
avvenisse, un fattore che molti tra loro Olimpi avevano in comune, ma
sapeva
anche che lei in particolare vi riusciva meglio degli altri. Quel fatto
lo
incuriosiva e al tempo stesso lo inquietava, perché quando
la gemella prevedeva
qualcosa che lo riguardava, di solito questo causava solo guai. Era
abituato ad
avere problemi a causa di Rachel sin dalla loro nascita, tanti secoli
prima.
Stava dunque osservando Blaine già da un
po’, lottando contro il
se stesso che gli suggeriva di scendere sulla terra e provare ad
incontrarlo,
quando sentì il forte rumore di una porta sbattuta e dopo
pochi istanti una
figura femminile si avvicinò a grandi passi verso di lui, il
camminare veloce e
pesante, il bellissimo viso deturpato dalla rabbia. Quella prese posto
sul suo
scranno, contrassegnato dalla figura di un’elegante uccello
dalla larga coda, ad
un paio di posti di distanza da Kurt, gli occhi acquamarina che
dardeggiavano
fissi davanti a se, i lunghi capelli raccolti all’indietro e
tenuti fermi dal
Polos, il copricapo che la identificava.
Il Dio sospirò senza farsi udire,
guardò un’ultima volta le
immagini che si muovevano velocemente all’interno della
sfera, prima che queste
sparissero nel preciso istante in cui alzava lo sguardo, posandolo
sulla bionda
donna.
-Quinn, forse non ti sei accorta che ero
impegnato..- buttò lì
come se nulla fosse, giusto per richiamare a se l’attenzione
della Dea. Ella lo
fulminò con lo sguardo.
-E tu forse non ricordi che sono la consorte di
Finn, tuo padre?
Dovresti portare un po’ di rispetto, tu che tanto lo
gradisci. – sbottò lei, un
sorriso cattivo sul bel volto, le parole taglienti come coltelli. Kurt
aggrottò
gli occhi, offeso: Quinn poteva anche essere la moglie di Finn, ma non
era
certo sua madre, e non l’aveva mai considerata tale. Certo,
in quanto compagna
del padre degli Dei tutti la guardavano con riverenza e ammirazione
–- cosa che
lei adorava – ma lui sapeva benissimo che quel rispetto non
era meritato.
Dopotutto, c’era un motivo se veniva ripetutamente tradita
dal marito; molti
degli Olimpi erano nati da quelle relazioni extraconiugali, e quasi
tutti
trattavano Quinn al pari, se non al di sotto, degli altri.
L’unico a cui
veramente venivano riservati trattamenti preferenziali era solo Finn.
-Sai, dovresti smetterla di farti del male con
questa gelosia immotivata.
Per Finn, siamo divinità! Nessuno può eguagliare
il nostro potere e il nostro
splendore, possiamo avere tutti gli uomini e le donne ai nostri piedi,
trovati
un po’ di compagnia!- esclamò il castano con
enfasi, gonfiando il petto d’orgoglio
mentre parlava. Nubi, doveva esser proprio lui a farle presente
quell’ovvietà?
Lui che tra tutti gli Olimpi era forse il più innocente, il
che era tutto dire,
a meno che non si prendeva in considerazione Rachel; ma lei non faceva
testo,
dato che era stata sua espressa richiesta di essere e rimanere vergine.
Il
fratello a volte la prendeva in giro Non
sai cosa ti perdi, tesoro!, ma quella rimaneva sulla sua
idea. E dire che,
per ironia del destino, era anche la prediletta di Finn.
-Come fai tu, Kurt? Sappiamo tutti che ti porti
perfino David
nelle tue stanze, le ancelle parlano, lo sai? Anche l’umano
che hai
incontrato.. vuoi fare entrare anche lui, nelle tue grazie?- Quinn
rise, divertita
dalle sue stesse parole – Io sono una regina, figliolo.
E sono devota ad un unico uomo, io.- detto ciò, si
alzò
con grazia, ergendosi in tutta la sua maestosa bellezza, e a passo
svelto
ritornò da dove era venuta, il lungo chitone di un chiaro
azzurro che le
carezzava le forme durante il passo.
Kurt sospirò nuovamente, appoggiando la
fronte sulla mano, stanco.
Aveva passato solamente cinque minuti in compagnia di quella donna, e
aveva già
un cerchio alla testa. Mentalmente, si chiese quanto male dovesse stare
Finn
dopo tutti quei secoli.
-Che cosa l’avrà fatto
innamorare, poi?- la voce gli uscì quasi
come un sussurro, così che nessuno a parte lui avrebbe
potuto sentirlo. Scosse
appena la testa, si alzò facendo perno sulle braccia e
lanciò un ultimo guardo
all’ Orasep ormai vuoto, prima di voltargli le spalle e
uscire dal tempio,
pensieroso.
Spazio
dell’autrice:
Buonasera, miei adorati! Si, so di essermi fatta
attendere più del
previsto, purtroppo non avevo considerato che torno a casa dei miei una
volta
ogni 4 mesi, e che questo comporta un gran numero di pranzi in
famiglia, pranzi
con i suoceri, con le nonne, gli zii.. aaaah, la famigghia!
Innanzitutto, dove
sono le recensioni? Ç_ç Il primo capitolo ha
superato le 160 letture, il
secondo le 100! Insomma, fatemi sapere se aprite la pagina e basta, o
se almeno
leggete!
Allora, in questo capitolo si vede un personaggio
nuovo. Io AMO
Quinn, specialmente quando è cattiva. Non ci sono molte
novità, e spero non vi
stiate annoiando, ma ci vorrà ancora un po’ per
entrare nel vivo… e posso solo
anticiparvi che Quinn sarà molto, molto utile al riguardo.
Come? Se sono impazzita per la scena Kurtofsky? Ma
no, no! Anche
quella mi serviva, infondo.
Piccole curiosità: il chitone
è la tipica tunica dell’antica
grecia, unisex, anche se gli uomini la portano a metà coscia
mentre le donne
fino alla caviglia. Il Pelos è un copricapo circolare che
indica la Madre, e lo
si può vedere nelle statue di Era, che come avrete capito
è rappresentata da
Quinn. Non lo avevate capito? Ripassate un po’ di storia, su!
Vi
lascio con il capitolo mentre io corro a prepararmi
all’ennesima
cena con i suoceri! Alla
prossima
settimana, spero!