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Autore: bluemary    05/08/2011    4 recensioni
La donna sollevò lo sguardo senza rispondere, rivelando gli occhi che fino a quel momento si erano rivolti altrove. Incapace di muoversi, la guardia la fissò sconvolto. L’iride nerissima era frammentata da piccoli lampi di grigio, come delle ferite che ne deturpavano l’armonia, donando al suo sguardo una sfumatura intensa quanto inquietante; ma era stato il centro stesso dell’occhio ad aver attratto da subito l’attenzione dell’uomo, che adesso la fissava quasi con terrore, le mani strette convulsamente alla lancia ed il respiro affannoso: al posto del nero della pupilla, si stagliava il bianco tipico degli Oscuri.
Cinque sovrani dai poteri straordinari, una ragazza alla ricerca della salvezza per una razza intera, un umano con la magia che sembra stare dalla parte sbagliata. Benvenuti su Sylune, una terra dove la speranza è bandita e dove gli ultimi uomini liberi lottano per non soccombere.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sylune'
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E con questo capitolo si conclude la prima parte di Twisted Souls. Grazie a chi mi ha seguito e un grazie particolare a visbs88, che con la sua segnalazione ha permesso l'inserimento di questa storia tra le scelte.




-Capitolo 26: La fine e l’inizio-

Sconvolta da quell’incontro inaspettato, Kysa arretrò fino a quando non sentì la nuda roccia dei sotterranei contro la sua schiena. A quel gelido contatto non poté reprimere un brivido, generato non tanto dal freddo che le stava penetrando nelle ossa, quanto dagli occhi sbiaditi con cui l’albino la stava squadrando da capo a piedi.
Dopo alcuni secondi di quello studio silenzioso, il volto del mago si contrasse in un guizzo di sorpresa, mentre le sue labbra rivelavano un pallido sorriso.
- Viridian.
La ragazza sussultò all’udire quel nome pronunciato con una sicurezza che non lasciava adito ad alcun dubbio e la condannava senza appello. Quasi subito sentì la mente dell’Oscuro violare la sua, penetrando in modo indolore la sua coscienza alla ricerca di una conferma alla propria affermazione, ma già nel momento in cui si stava concentrando per creare una barriera in difesa del suo segreto più grande, la presa sui suoi pensieri si allentò fino a sparire come se non ci fosse mai stata.
- Sei davvero tu, allora. - sussurrò lui a fior di labbra.
Kysa scosse freneticamente la testa, tuttavia il suo silenzioso diniego non ebbe alcun effetto sul mago, che continuava a fissarla con un’attenzione del tutto nuova nel suo sguardo malinconico.
Per un attimo Kyzler parve intenzionato ad allungare un braccio verso di lei, ma subito l’arto ricadde inerte contro il suo fianco, mentre i suoi lineamenti svelavano un tormento di difficile interpretazione.
- E Daygon ancora non sa nulla. - una strana smorfia prese forma sulle sue labbra, una piega crudele e trionfante che quasi stonava con il volto efebico del quinto Oscuro - Adesso comprendo la sua maledizione.
Sollevò la mano destra, in cui brillava già un piccolo globo di magia ed il suo ghigno si spense in un sorriso velato di tristezza, mentre fissava i propri occhi incolori in quelli azzurri della ragazza.
Pallidissima, Kysa attese l’inevitabile, ma Kyzler si limitò a voltarsi e sfiorare la porta da cui era appena passato; quasi istantaneamente essa si chiuse, fondendosi con il muro in maniera tanto perfetta da far dubitare che ci fosse stata davvero un’apertura.
Il mago riportò quindi la propria attenzione su di lei, ma nessun potere comparve ad illuminargli le mani quando le si avvicinò tanto da poterla sfiorare con il suo respiro. Per un solo istante i suoi occhi divennero quasi umani, cancellando l’indifferenza di cui si era ammantato per tutti quegli anni, mentre un giovane che non era mai stato bambino affiorava timido dai suoi lineamenti.
- Un giorno mi sarebbe piaciuto accettare il tuo invito. - mormorò, nel momento in cui la oltrepassava.
L’attimo dopo era scomparso.
Quando comprese di essere rimasta sola, Kysa scivolò a terra respirando affannosamente, con il cuore che le batteva all’impazzata nel petto.
Rimase seduta per quasi un minuto nel vano tentativo di calmarsi, ma non aveva il tempo di chiedersi per quale motivo l’Oscuro se ne fosse andato senza catturarla, né desiderava valutare la possibilità che avesse riferito a qualcuno della sua presenza nei sotterranei. Con uno sforzo quasi insostenibile per la sua mente stanca si rimise in piedi, ignorando il tremore che le pervadeva le gambe, ed a passi lenti s’incamminò verso la parte ignota di quell’ampio corridoio in pietra.
Alla prima biforcazione imboccò il tunnel con una leggera inclinazione verso l’alto, pregando silenziosamente di non incontrare nessuno.
Dopo qualche minuto di profondo silenzio, rotto solo dal leggero scalpiccio dei propri passi, cominciò a proseguire con più sicurezza, rinfrancata dalla totale assenza di soldati, nonostante sapesse di dover ancora affrontare la parte più difficile e rischiosa del castello; presto ai lati del passaggio cominciò a scorgere cunicoli più stretti, che si snodavano in profondità o continuavano allo stesso livello di quello che stava percorrendo, ma li ignorò, spaventata dalle loro dimensioni ridotte.
Infine giunse ad un nuovo bivio.
Ormai decisa a seguire il corridoio principale, svoltò a destra, nel passaggio più ampio, quando, con un urlo soffocato, si trovò di fronte il volto minaccioso del suo carceriere.
- Dove credi di andare? - sibilò l’uomo, allungando una mano nella sua direzione.
Senza respiro per il terrore, la ragazza si volse e cominciò una corsa forsennata per allontanarsi da lui, mentre Devil la seguiva con uno sguardo divertito, immobile.
- Se hai deciso di scappare ti consiglio di non fermarti, perché non ti concederò facilmente il mio perdono. – la ammonì, lasciandola svanire dietro una volta prima di gettarsi al suo inseguimento.
Guidata da una paura tanto assoluta e profonda da soverchiare ogni barlume di razionalità, Kysa corse disperatamente nella speranza di trovare un’uscita per la superficie in quel sotterraneo che pareva farsi ad ogni metro più tetro ed inospitale; con le orecchie pervase dal rapido rimbombo del proprio cuore, si accorse di non sentire nemmeno i passi del suo carceriere, ed un silenzio tanto profondo ed avvolgente alimentava in misura ancora maggiore il panico che minacciava di sopraffarla.
Combatté a lungo il forte impulso di girarsi per controllare se Devil la stesse seguendo: sapeva di non poter sperare in una tregua, una parte della sua mente si era resa conto in maniera fin troppo nitida del divertimento rispecchiato in quegli occhi di ghiaccio quando aveva cominciato quella disperata fuga per la salvezza, che per lui era solo un’occasione di cacciare una preda diversa dal solito. Ignorando il sordo dolore al fianco, continuò a scappare alla cieca, fino a perdere ogni orientamento, con le gambe sempre più pesanti ed il cuore che batteva come impazzito contro le pareti della sua cassa toracica. Senza rallentare svoltò all’improvviso in un cunicolo più stretto del precedente e crollò a terra, senza fiato.
Attenta a non fare il minimo rumore, si rannicchiò nell’angolo più buio e nascosto, controllando con un’occhiata se il suo inseguitore l’avesse vista arrestarsi.
Il corridoio da cui era venuta era deserto.
Represse a fatica l’irrazionale l’impulso di voltarsi, dando così ascolto al terrore di venire sorpresa alle spalle, e, dopo secondi intensi come minuti, riuscì a scorgere l’alta figura del generale. Come se stesse semplicemente passeggiando e non dando la caccia ad una prigioniera fuggiasca, Mizar avanzava ad ampi passi nel corridoio principale, senza alcuna fretta.
Quando ormai sembrava che avrebbe oltrepassato l’imboccatura del cunicolo dove lei si era nascosta, si voltò a fissarla con un ghigno in cui Kysa non faticò a trovare le tracce crudeli del suo trionfo, spegnendo ogni sua flebile speranza di essere riuscita a sfuggirgli.
Si rimise in piedi, pronta nuovamente alla fuga, nonostante la stanchezza le stesse attanagliando le membra in maniera quasi insopportabile, ma Mizar si era stancato di giocare. Sollevò una mano quasi svogliatamente e subito nella porzione del sotterraneo di fronte a lei comparve un muro invalicabile di fiamme nere.
Kysa si bloccò all’improvviso, ad un passo da quella barriera ardente che già cominciava a lambirle i vestiti. Una rapida occhiata ai lati spense ogni sua speranza di poter trovare una via di fuga, così si voltò, pronta ad affrontare il suo avversario in un corpo a corpo che non le lasciava alcuna possibilità di vittoria.
Lo attese senza muoversi, con la mano destra stretta convulsamente al manico del pugnale.
Quando Devil ridusse la distanza tra loro a meno di un metro, lo sfoderò all’improvviso, nel tentativo di poterlo prendere di sorpresa, ma il generale, sebbene non si aspettasse che lei avesse un’arma, schivò senza problemi il suo debole attacco, per poi afferrarle il polso con forza bastante a farglielo scricchiolare.
Kysa emise un lamento a denti stretti e fu costretta a mollare il pugnale.
Provò invano a liberarsi dalla mano sul suo braccio: la tensione e la stanchezza stavano esigendo il loro tributo e la ragazza si sentiva a stento capace di reggersi in piedi. Tuttavia, se anche fosse stata in possesso di tutte le sue forze, non avrebbe avuto alcuna speranza di sfuggire all’umano più potente di Sylune.
Al suo ennesimo, flebile tentativo di scappare, Mizar l’afferrò per la gola, sollevandola con la sola mano destra e sbattendola contro il freddo muro del sotterraneo. Nonostante l’impatto doloroso, la ragazza strinse i denti senza emettere un gemito e cominciò a divincolarsi disperatamente per allentare quella morsa che le impediva di respirare, nonostante fosse ormai certa della propria morte imminente.
Incurante degli sforzi sempre più deboli con cui lei cercava di liberarsi, l’uomo piegò le labbra in un ghigno privo di alcuna pietà. Ancora non aveva deciso se ucciderla o lasciarla in vita, tuttavia, se anche avesse optato per quest’ultima alternativa, si voleva assicurare di infliggerle una punizione che non avrebbe scordato facilmente.
Contrasse le dita attorno alla base del suo collo, insinuandole sotto la tunica in modo da migliorare la presa con cui le stava strappando la vita un secondo alla volta, ma un’inaspettata asperità sulla pelle che avrebbe dovuto essere liscia lo spinse ad esitare nell’infliggerle la stretta definitiva.
Rimase qualche secondo sospeso nel dubbio, sul volto uno sguardo di difficile interpretazione, poi la lasciò andare all’improvviso.
Mentre lei tossiva in maniera convulsa a causa della morsa con cui era quasi stata strangolata, la voltò rudemente verso la parete, in modo da poterle esaminare le spalle. Spaventata per la posizione e senza comprendere le sue intenzioni, la ragazza cercò di ribellarsi al suo aguzzino, ma subito sentì che i suoi capelli venivano imprigionati in una morsa crudele, abbastanza decisa da renderle impossibile muovere la testa.
Mizar fece un passo indietro, senza allentare in alcun modo la presa.
I suoi occhi azzurri si soffermarono sulle tracce appena visibili di quelle strisce sottili che aveva appena percepito al tatto e, dalle spalle, scendevano nell’ombra della tunica. Senza alcun preavviso gliela lacerò, rivelando la sua schiena.
Subito la ragazza si contorse contro di lui, incurante del dolore che la sua stretta le procurava ad ogni movimento, ma Mizar le premette il volto contro il gelido muro del sotterraneo, intensificando la morsa sui suoi capelli fino a strapparle un gemito soffocato.
- Stai ferma! – ordinò, mentre con la mano libera afferrava una delle torce appese alla parete.
Non appena comprese cosa stava succedendo, la ragazza s’immobilizzò di scatto; tutto il suo corpo tremava leggermente, forse per il terrore di sentire la fiaccola ardente sulla propria pelle, ma non cercava più di liberarsi e scappare.
Finalmente libero di esaminare la sua prigioniera come più gli aggradava, il generale avvicinò la torcia alla sua schiena, attento a non scottarla, ed a malapena riuscì a soffocare un’esclamazione di sorpresa: ogni centimetro della sua pelle era attraversato da linee nere, sottilissime, che dal collo scendevano fino all’orlo dei calzoni e s’intrecciavano senza alcuna logica, in fantasiosi disegni simili ai deliri di un folle.
Come ipnotizzato da quei segni contorti, appoggiò la fiaccola al supporto più vicino, in modo da liberarsi una mano per esaminare anche col tatto ciò che non riusciva a riconoscere con la sola vista. Percorse con le dita una di quelle strisce, dall’alto verso il basso, prima di comprenderne la natura: cicatrici sottili, che le attraversavano tutta la schiena, una ragnatela di dolore color tenebra simile all’indelebile decorazione creata da un artista perverso. Non ebbe bisogno di chiederle chi era stato ad infliggerle tali ferite; solamente chi possedeva la magia era capace di generare la fiamma che aveva lasciato quel marchio.
La voltò verso di sé, liberandole i capelli.
- Cosa volevano da te gli Oscuri?
La ragazza abbassò il capo senza rispondergli. Reggendo con entrambe le mani ciò che rimaneva della sua veste, ormai troppo lacerata per coprirla adeguatamente, rimase immobile nella piccola porzione di spazio compresa tra il muro ed il corpo del suo inseguitore, priva di ogni speranza di salvezza.
- Ti ho fatto una domanda. – le disse ancora lui, in tono ammonitore.
Kysa si morse un labbro senza sollevare lo sguardo.
Le parole le uscirono di bocca a fatica, dolorose come i ricordi di quel giorno lontano.
- Pensavano che io sapessi dov’era nascosta un’Eterea.
- Ed era vero?
Devil non si fece ingannare dal suo repentino diniego, troppo rapido ed accentuato per essere veritiero.
- Tu sapevi. Per questo la prima volta che ci siamo parlati eri tanto convinta che ti avrei portato da Daygon.
I suoi occhi di ghiaccio si soffermarono ancora una volta sulle fitte cicatrici che le attraversavano la schiena. Troppe perché le fossero state inflitte tutte in un unico momento senza ucciderla.
- Sapevi e non hai parlato. – continuò, tanto stupito per una simile consapevolezza da essersi dimenticato di imprimere alla sua voce la solita intonazione minacciosa.
Kysa raddrizzò il capo.
- No! - urlò, ma la sua negazione non sortì alcun effetto sull’uomo: Mizar era immobile, congelato da quella scoperta che andava a scavare nelle sue più nascoste e recondite paure, obbligandolo ad affrontare un passato di cui aveva volontariamente soppresso ogni ricordo.
I suoi occhi s’incupirono all’improvviso, lasciando trapelare le tenebre che portava racchiuse nell’animo ed ora lottavano per liberarsi dal suo controllo.
- Perché non hai parlato?
Riconobbe a stento la voce sibilante con cui la stava interrogando, ma tutto il suo essere era torturato da una scarica di rabbia e turbamento impossibile da ignorare.
I segni sulla schiena della ragazza erano andate a risvegliare le cicatrici della sua vecchia vita, ferite che non si era mai preoccupato di curare ed ora si laceravano dinanzi ad una simile rivelazione, mostrando il bruciante contenuto di quegli squarci mai completamente guariti, che la sua mente aveva preferito relegare nell’oblio e dimenticare.
Venne invaso da un’ira quasi folle, una collera che premeva e bruciava il suo petto, soffocandolo.
- Perché non hai parlato?! – urlò ancora, afferrando la ragazza per le spalle e sbattendola violentemente contro la parete – In nome di quale ideale hai subito tutto questo?!
Senza lasciare la presa si chinò alla ricerca di quel contatto visivo che la ragazza rifiutava, fin quasi ad appoggiare la propria fronte alla sua.
- E dov’è l’Eterea?
Lentamente Kysa sollevò la testa.
- Se, come dici, non ho parlato neanche quando sono stata torturata, come puoi pensare che lo farò adesso?
L’uomo la lasciò andare all’improvviso, con un movimento tanto brusco da farla quasi cadere a terra. C’era qualcosa di terribilmente sbagliato nella sua risposta: lui conosceva bene il modo in cui dolore e la paura annichilivano ogni tipo di ideale, l’aveva provato sulla propria pelle quand’era ancora un ingenuo sognatore e non poteva credere che una mocciosa tanto giovane fosse stata capace di un simile coraggio.
- Non sfidarmi, ragazzina, non sai di cosa sono capace. – tacque per un attimo, impallidendo per una volta a causa di un’emozione diversa dalla collera - E non sai di cos’è capace Daygon.
Dopo un attimo di sorpresa per l’amarezza presente nelle parole del suo carceriere, Kysa strinse le mani al petto come per prepararsi ad un attacco imminente, ma non abbassò lo sguardo mentre gli rispondeva.
- L’Eterea che cerchi è morta. Da me non saprai altro.
Devil cercò invano nei suoi lineamenti una traccia di quel terrore cieco che si divertiva a trovare nel suo volto durante i giorni passati ed aveva reso la caccia di pochi minuti prima tanto interessante: la ragazza non tremava più, ormai pareva rassegnata alla morte o ad un destino ancora peggiore; eppure gli sembrava di non aver ancora vinto contro di lei.
Venne pervaso dal desiderio quasi doloroso di piegarla, di soggiogare il suo spirito e costringerla alla resa, ma Kysa gli si stava opponendo con una fermezza ed una convinzione che mai gli aveva dimostrato prima. Per un attimo gli parve di avere di fronte una giovane donna capace di mantenere i propri ideali fino alla morte. Sentì quest’immagine trafiggerlo in profondità in un punto imprecisato del torace, prima di riuscire a reprimere quell’assurdo pensiero, che metteva in crisi gli ultimi anni della sua vita.
Ammantato dall’incrollabile certezza che nessuno sarebbe mai riuscito ad opporsi al potere ed alla tortura, non poteva nemmeno prendere in considerazione l’idea di aver sbagliato; eppure quell’insidioso turbamento persisteva, un dubbio intollerabile, che desiderava cancellare al più presto.
All’improvviso poggiò le mani sulle tempie della ragazza, lasciando che il proprio potere fluisse in lei secondo dopo secondo, una scarica di magia abbastanza intensa da sopraffare ogni sua ribellione. In quel modo avrebbe potuto sondare i suoi ricordi alla ricerca di ciò che gli serviva, ma era un espediente che utilizzava di rado: spesso chi non aveva il perfetto controllo di una simile pratica rischiava di spezzare per sempre lo spirito della sua vittima, se quest’ultima avesse provato ad opporre resistenza, inoltre ci voleva un discreto allenamento per discernere la realtà dai pensieri illusori con cui le persone cercavano di nascondere i propri segreti.
La capacità di leggere la mente si adattava ai maghi composti e riflessivi come Kyzler o Daygon, non ad un guerriero abituato a sporcarsi personalmente le mani di sangue, e lui non si era mai preoccupato di allenare un’abilità che gli sarebbe risultata utile unicamente durante gli interrogatori e non nelle battaglie.
Il disperato bisogno di conoscere la verità, tuttavia, aveva cancellato ogni sua esitazione, costringendolo a servirsi di una pratica che aveva sempre preferito evitare.
Attento a dosare il proprio potere per non causarle danni permanenti, si addentrò nella mente della ragazza. Subito la sentì irrigidirsi, nel vano tentativo di sfuggire alla sua magia, ma l’attacco con cui desiderava mettere a nudo i suoi segreti era stato tanto rapido ed inaspettato da non averle lasciato il tempo di difendersi.
Per un attimo, mentre entrava in lei, gli parve di percepire una barriera quasi impalpabile, che invece di bloccarlo si limitava a deviare la sua attenzione, ma era una sensazione tanto fuggevole che non se ne curò.
Superando senza alcun problema le deboli resistenze della sua prigioniera, si fece largo tra i frammenti del suo passato ed alcuni pensieri troppo confusi per poterli distinguere, fino a trovare ciò che stava cercando: vide il corpo di un’Eterea crollare a terra senza vita, poi una cella buia, la mano di un uomo senza volto che si sollevava incessantemente, stringendo una frusta, ed una voce, tanto distorta dall’agonia da non essere quasi riconoscibile, che urlava tutto il suo dolore…
Si staccò all’improvviso, ansimante, mentre la ragazza scivolava a terra.
Con le orecchie ancora pervase da quelle grida, si appoggiò al gelido muro del sotterraneo, incapace di accettare la verità che stava entrando in lui come un fiume in piena, impietosa ed inarrestabile.
Sentì le emozioni che aveva volutamente cancellato fuoriuscire dall’oblio in cui le aveva relegate, per tormentarlo con un’intensità insostenibile, il flusso dei suoi pensieri era lava allo stato puro, un torrente bruciante che dilaniava tutte le sue convinzioni, mentre le immagini appena scoperte gli straziavano il petto ed un soffocante senso di nausea gli corrodeva la gola, simile ad un acido. I ricordi da cui era riuscito a liberarsi anni prima gli tornarono alla mente, accorrendo dagli angoli più oscuri del suo animo, in cui aveva creduto di sopprimerli per sempre, e per un istante risentì sulla propria pelle la paura ed il disgusto provati di fronte ai corpi straziati di quelli che erano stati i suoi compagni.
Il suo volto stralunato si fissò sulla giovane prigioniera con uno sguardo bruciante d’odio represso.
Lentamente, respirando a fondo un paio di volte, riuscì a recuperare il sangue freddo e, quando tornò a fissare Kysa, sul suo volto brillavano nuovamente i soliti bagliori gelidi e spietati, gli occhi di un demone senz’anima, le cui profondità tuttavia non riuscivano ad occultare del tutto il turbamento insito in essi.
- Cosa devo fare con te? – mormorò, più a se stesso che a lei. Ma la mente della sua prigioniera non era più lì, si trovava in un passato lontano di cui ancora conservava le cicatrici.

Il fetore della paura e della morte, tra echi di dolore mai spenti del tutto e putridi corpi in cui ancora ardeva per loro maledizione una scintilla di vita.
- Te lo chiederò un’ultima volta, mocciosa. – aveva sibilato il suo aguzzino - Dov’è l’Eterea?
Il sottile piacere che trapelava dalla sua voce l’aveva fatta rabbrividire più dell’aria gelida presente nei sotterranei.
- Non lo so. - era riuscita a sussurrare, nonostante la paura le avesse invaso la gola ed i polmoni.
- Come preferisci. - le labbra dell’uomo si erano piegate in un sorriso insieme minaccioso e divertito, tipico del carnefice che pregusta l’agonia della sua vittima.
Nella sua mano destra era comparsa una fiamma nera, un piccolo concentrato di tenebra che si era fatto sempre più sottile, fino a raggiungere, sotto gli occhi pieni d’orrore della prigioniera, le sembianze di una frusta.
- Sicura di non volermi rivelare qualcosa?
Lei aveva scosso la testa, incapace di rispondere a parole per la morsa di panico che minacciava di sopraffarla, ed il sorriso dell’Oscuro si era allargato in un ghigno soddisfatto. Aveva avvicinato l’arma al suo volto quanto bastava per farle sentire il calore ardente della magia, in una muta minaccia del dolore che avrebbe dovuto sopportare se non si fosse arresa al suo volere.
- Ultima possibilità.
Con le mascelle contratte per la tensione ed il volto imperlato dal gelido sudore della paura, Kysa si era limitata a tacere, mentre l’Oscuro si posizionava dietro di lei, senza nemmeno preoccuparsi di toglierle l’effimera protezione dei vestiti.
In un silenzio agghiacciante, la ragazza aveva percepito distintamente la frusta che si alzava un centimetro alla volta, pronta a ricadere sulla sua schiena.
Aveva contato i decimi di secondo che la separavano dal colpo trattenendo il respiro, con il cuore stretto in una morsa di terrore e l’atroce consapevolezza di non poter far cessare quel tormento una volta cominciato.
E poi c’era stato solo il dolore.


Mizar squadrò lentamente la prigioniera ai suoi piedi. Rannicchiata su se stessa sul gelido pavimento in pietra del sotterraneo sembrava ancora più giovane e fragile degli altri momenti, una ragazzina indifesa che nessuno, lui per primo, avrebbe mai creduto capace di un simile coraggio.
I pugni gli si contrassero in una stretta quasi dolorosa.
Anche adesso che aveva recuperato la lucidità, il suo istinto omicida persisteva a tentarlo con il più semplice degli epiloghi.
Non poteva accettare che i principi su cui aveva basato la propria vita negli ultimi anni, la certezza di come gli ideali perissero dinanzi al potere, crollassero all’improvviso, sopraffatti dalle nere cicatrici della più indifesa tra gli umani.
Un impulso quasi irresistibile gli stava ordinando di distruggere quella piccola scheggia di passato che tornava a ferirgli la mente, in modo da cancellare in maniera definitiva quella strana amarezza che credeva di aver seppellito per sempre e da cui adesso non sapeva più come difendersi.
La guardò ancora una volta.
Kysa giaceva immobile ai suoi piedi, priva anche della volontà di difendersi.
Gli sarebbe bastato stendere la mano e richiamare quel potere a cui aveva donato tutto se stesso, un gesto compiuto migliaia di volte senza alcuna esitazione; ma ucciderla sarebbe stata solo una prova del suo turbamento ed ogni fibra del suo corpo rifuggiva una simile dimostrazione di debolezza e codardia.
Esitò ancora, restio ad accettare o anche solo riconoscere la strana confusione nel suo petto. Poi, prima che lei potesse reagire, si chinò e la prese tra le braccia, come se fosse una bambina.
Dopo il violento sfogo la sua espressione era tornata quell’impassibile maschera di severità e indifferenza che copriva ogni altra emozione, eppure, sentendola tremare mentre i ricordi che lui stesso le aveva risvegliato tornavano a tormentarla, la strinse istintivamente a sé.
Mentre attraversava i freddi corridoi del sotterraneo per poi salire la stretta scalinata con cui avrebbe raggiunto la parte abitata del castello, non abbassò mai il volto a fissarla, ma per tutto il tragitto fu stranamente consapevole dei lunghi capelli che gli sfioravano il fianco ad ogni suo passo e del volto spaventato, con i lineamenti ancora contratti in un’espressione d’orrore, affondato inconsciamente contro il suo petto.
Kysa, inerte tra le sua braccia, non parlava, si limitava a stringersi la tunica al petto ed a guardare davanti a sé con sguardo vacuo; solo quando il generale la depositò sul suo letto parve rendersi conto dell’ambiente attorno a lei.
- No! - urlò all'improvviso, cercando di divincolarsi.
Devil le strinse le spalle per costringerla a distendersi, senza tuttavia usare la violenza.
- Non ho intenzione di farti del male. - la rassicurò, lasciando vibrare per un attimo una nota meno fredda del solito nella sua voce abituata a comandare.
Subito Kysa si bloccò, i suoi occhi azzurri fissi in quelli appena più grigi del suo carceriere.
- Perché dovrei crederti?
- Non ho alcun bisogno di mentirti.
Parzialmente rassicurata da quella verità, la ragazza smise di cercare di alzarsi e rimase seduta sul letto, senza tuttavia perderlo di vista. Teneva ancora le braccia strette al petto per nascondere il seno con quel che rimaneva della tunica, ma il suo carceriere sembrava aver rivolto tutto il suo interesse verso le cicatrici che le segnavano la schiena. Sfiorò con le dita l’inizio di quella più evidente, che quasi raggiungeva l’attaccatura dei capelli.
- Chi è stato a farti questo? – chiese, senza ammettere il proprio turbamento all’idea che la risposta della ragazza fosse il nome di chi gli aveva fatto il dono della magia. Inconsciamente riportò la mano verso la cicatrice a forma di stella sul proprio petto, come per rivendicare il possesso di un simile potere, mentre vedeva la sua prigioniera deglutire a vuoto prima di parlare.
- Ghedan
- E come hai fatto a fuggire dai suoi sotterranei? Non dirmi che hai trovato anche lì un soldato disposto ad aiutarti, conosco bene il tipo di uomini di cui quel verme ama circondarsi.
Kysa chiuse gli occhi per un istante, sopraffatta da nuovi ricordi spiacevoli quasi quanto la tortura stessa: quelle mani che la frugavano senza la minima delicatezza, i volti crudeli dei soldati adibiti alle prigioni tutti attorno a lei, poi la rabbia, improvvisa e divorante, esternata da una voce che non era la sua, una luce tanto intensa da offuscare la sua coscienza ed infine il buio.
- Le guardie credevano che fossi morta. – mentì - Mi hanno slegato e buttato in mezzo ai corpi di altri prigionieri in attesa di essere bruciati. Ho aspettato che si allontanassero per prendere gli ultimi cadaveri e sono riuscita a scappare.
Abbassò la testa senza alcun desiderio di fissare in volto il suo carceriere. Non sapeva se lui le avrebbe creduto, ma la stanchezza che le ottenebrava la mente da quando era stata costretta a rivivere il proprio passato l’aveva svuotata di ogni emozione, lasciandola solo col desiderio di dormire, senza più preoccuparsi della propria sorte.
Devil le afferrò il mento, in modo da costringerla ad incrociare il suo sguardo.
Subito la ragazza si tese, per paura di subire una nuova intrusione nella sua mente, ma, quando la mano dell’uomo si fece strada tra i suoi capelli in una carezza più gentile delle volte precedenti, si permise di rilassarsi in maniera impercettibile.
- Cosa mi farai?
Lui dischiuse le labbra in un sorriso che avrebbe potuto risultare quasi rassicurante se si fosse esteso anche agli occhi gelidi.
- Non ho intenzione di torturarti, se è questo che temi.
La vide esitare un istante, prima di porgli con un filo di voce la domanda che più di tutte la tormentava.
- Mi consegnerai a Ghedan? O a Daygon?
Devil scosse la testa.
- Non ricordi cosa ti ho detto quando ti sei svegliata? Tu sei mia. – lentamente ritrasse la mano con cui le aveva accarezzato i capelli – Nessuno a parte me, né umano né Oscuro, può decidere della tua sorte.
Questa volta non provò alcun fastidio per l’impercettibile sollievo che fece capolino dagli occhi carichi di apprensione della sua prigioniera, come se risvegliare il suo terrore non rappresentasse più l’apice dei suoi desideri.
Una strana emozione non del tutto spiacevole si fece strada nel suo animo, scivolando tra le pieghe della sua indifferenza simile ad un ospite sgradito ma impossibile da ignorare. Quell’espressione meno intimorita del solito, quasi riconoscente, con cui lei lo aveva fissato, lo aveva colpito con l’intensità di un pugno, andando a stuzzicare le antiche vestigia di un’umanità che non poteva permettersi.
E questo non glielo avrebbe mai perdonato.
I suoi lineamenti si contrassero in un’espressione crudele mentre si alzava dal letto, dirigendosi verso la porta.
Prima di aprirla le lanciò uno sguardo molto diverso da quelli precedenti, talmente pervaso di minaccia che la ragazza non poté impedirsi di rabbrividire.
- Ti consiglio di rimanere immobile. Se al mio ritorno mi accorgo che hai cercato nuovamente di scappare, scoprirai quanto terribile può essere la mia collera.

Nel corridoio dove Beck era stato costretto ad affrontare Devil ed i suoi uomini, il fragore delle armi si era spento ormai da diversi minuti, sostituito da un silenzio carico di attesa.
Sul pavimento giacevano otto corpi senza vita, ma il gigante era ancora miracolosamente in piedi, con lo spadone grondante di sangue e lo sguardo determinato di chi non teme né la morte, né la sconfitta.
Spaventati di doversi scontrare con quello che prima era il loro comandante e fin troppo consapevoli del suo valore in combattimento, i soldati lo avevano attaccato con scarsa convinzione, intralciandosi a vicenda nel tentativo di sopraffarlo con il loro numero e privi della lucidità necessaria per organizzare un’efficace strategia offensiva o chiamare i rinforzi.
Per questo motivo, dopo diversi minuti di lotta c’erano solo due guardie ancora in vita ed in grado di impugnare le armi.
Beck si appoggiò alla parete, stremato.
Un profondo squarcio appena sotto la spalla gli intorpidiva il braccio sinistro ed il suo corpo era segnato da numerose ferite superficiali, non gravi ma dolorose, tuttavia si reggeva in piedi senza un tremito. Approfittando di un breve attimo di pausa, si deterse il sudore misto a sangue sulla sua fronte che gli infastidiva la vista, quindi rafforzò la presa sullo spadone e lanciò uno sguardo minaccioso ai suoi ultimi due avversari.
Gli fu sufficiente un’occhiata per leggere la paura nei loro volti.
- Pronti a morire? – li minacciò con un ghigno che smentiva la stanchezza presente nella sua voce.
Come aveva previsto, il più giovane tra i suoi avversari parve in procinto di arretrare e sottrarsi alla lotta. Lo vide stringere nervosamente l’impugnatura della sua arma e lanciare uno sguardo alle proprie spalle, alla ricerca di un’illusoria speranza di salvezza, mentre l’addestramento ricevuto e l’abitudine all’obbedienza si scontravano con l’istinto di conservazione insito in lui.
Alla fine il terrore ebbe il sopravvento sulla razionalità ed il giovane, invece di allontanarsi in guardia, si volse, commettendo l’imperdonabile errore di dare le spalle al suo avversario.
A Beck bastò compiere un improvviso passo in avanti per affondargli la lama nella schiena, lasciandolo poi a terra, in preda alle convulsioni della morte.
Sconvolto dalla rapidità con cui erano stati sterminati i suoi compagni, l’ultimo soldato non cercò nemmeno di difendersi quando vide il pesante spadone del suo comandante avventarsi contro il suo collo.
Per l’impeto del colpo e la debolezza causata dalla perdita di sangue, Beck non riuscì ad arrestare il movimento della lama, che dopo aver decapitato l’avversario si conficcò profondamente nel pavimento. Troppo stanco per estrarla, si appoggiò all’impugnatura per reggersi in piedi, ansimante.
Si concesse un paio di secondi di riposo, con le orecchie tese per percepire l’arrivo di eventuali rinforzi; poi, reprimendo un gemito di dolore, brandì la spada e si mise in cammino.
Se non fosse stato tanto ferito, avrebbe cercato quel verme di Dyz per tutto il palazzo per fargliela pagare personalmente, anche a costo di rimetterci la vita, tuttavia, nelle sue condizioni, l’unica speranza di salvezza era fuggire al più presto da quell’edificio e trovare un posto sicuro dove riprendersi
Strinse i denti, soffocando un’imprecazione.
Aveva fallito.
Il suo piano per liberare Kysa, nonostante l’avesse pianificato in maniera tale da assicurarsi una discreta probabilità di successo, era stato sventato dal ritorno imprevisto di Devil e, costretto ad abbandonare la ragazza a se stessa, sapeva fin troppo bene che avrebbe pagato anche per lui.
Si fasciò il braccio ferito come meglio poteva, senza fermarsi, consapevole che uno scontro con un altro drappello di soldati o peggio ancora con il suo generale gli sarebbe stato fatale, e si diresse verso l’uscita più vicina.
Le poche guardie che incontrò in quell’area del palazzo, prese di sorpresa e sconvolte alla vista del loro comandante ricoperto di ferite, non opposero che una debole resistenza prima di venire spazzate via dalla sua gigantesca spada.
Sanguinante ma vivo, Beck riuscì a raggiungere le scuderie e scappare con uno dei migliori destrieri del castello, uno stallone dal manto nero come la notte, abbastanza robusto da cavalcare senza sosta per parecchie ore. Per sua fortuna Devil era stato troppo ansioso di ritrovare la ragazza e quindi, invece di occuparsi personalmente di lui, aveva preferito lasciarlo ai soldati, donandogli così una possibilità di salvezza; tuttavia il pensiero di aver abbandonato Kysa nelle sue mani lo riempiva di un rimorso ed un’amarezza ben più dolorosi delle numerose ferite che gli segnavano il corpo.
Prima di venire avvistato dalle guardie mandate al suo inseguimento, spronò il cavallo verso la foresta vicina, nella speranza di poter raggiungere un villaggio sperduto dove trovare cure o semplicemente un nascondiglio in cui ripararsi; nonostante l’apprensione per il destino che sarebbe toccato alla ragazza, sapeva di dover pensare prima di tutto a salvarsi se voleva avere una qualche speranza di esserle utile.
Mentre il dolore lo sopraffaceva, spingendolo inesorabilmente verso l’incoscienza, promise a se stesso che non sarebbe finita così: una volta guarito, sperando che non fosse troppo tardi, sarebbe tornato a liberarla.

Nel castello di Daygon era scesa una notte senza luna, un cupo scenario per un momento ancor più cupo.
Un manipolo di soldati, disposti diligentemente in una fila ordinata, attendeva con un’apprensione molto simile alla paura la reazione del proprio generale: erano trascorse ormai un paio d’ore da quando Devil aveva dato l’ordine di catturare il suo ufficiale traditore, ma la lunga ricerca si era conclusa in un cocente insuccesso e gli uomini conoscevano bene l’indole collerica e poco incline al perdono del braccio destro di Daygon.
Mizar li squadrò da capo a piedi per diversi minuti.
- Dov’è Beck? – chiese, i lineamenti contratti in un’espressione insoddisfatta che i suoi subordinati avevano imparato a temere più dei loro stessi nemici.
Il capo delle guardie avanzò di un passo, umettandosi le labbra in un’evidente segnale di nervosismo.
- Ormai dev’essere uscito dal castello, generale. Abbiamo trovato i cadaveri delle sentinelle della porta nord e crediamo sia passato per quella via.
- Non m’interessano le vostre supposizioni! – lo interruppe la voce sferzante di Devil - Vi avevo chiesto Beck e voi mi portate solo vuote parole, quando sapete bene quanto io detesti gli incapaci!
Un tremito di panico serpeggiò tra la fila dei soldati, che, sospesi tra rassegnazione e paura, attendevano l’inevitabile punizione, ma in una rara dimostrazione di misericordia il loro comandante si limitò a minacciarli solo con lo sguardo.
- Trovatelo, con quelle ferite non può essere andato lontano. E ricordate che questa volta non tollererò fallimenti.
- Sì, generale!
Prima di congedarli, Devil li passò in rassegna un’ultima volta, facendo deglutire più di una persona sotto il suo sguardo minaccioso.
- Guai a voi se lo uccidete. - i suoi occhi si strinsero in una fessura spietata. - Lo voglio vivo.
Dopo aver impartito con voce dura gli ultimi ordini, si volse a fissare il cielo nero attraverso una delle finestre di fronte a lui.
Il cattivo umore per un simile fallimento si rispecchiava nei lineamenti atteggiati ad un’espressione incollerita, ma, quando i soldati uscirono dalla sua visuale, già il pensiero di Beck era scivolato via dalla sua mente, sostituito da quello ben più controverso della sua prigioniera.
Se davvero Kysa aveva conosciuto un’Eterea, forse aveva trovato il motivo per cui un Oscuro si era interessato ad Huan, tuttavia per una volta assolvere ai compiti ricevuti da Daygon aveva perso la sua priorità.
Tornò nella sua camera, indeciso in maniera quasi dolorosa su come agire, lui stesso sorpreso del dubbio che agitava la sua mente.
Lei dormiva, rannicchiata in un angolo del letto come una bambina, con le ginocchia raccolte vicino al petto ed il volto seminascosto dalle mani strette a pugno. Attraverso la tunica lacerata poteva intravedere le strisce nere sulla sua schiena, il marchio stesso di un coraggio che lui non era stato in grado di dimostrare.
Strinse i pugni, incapace di venire a patti con una simile consapevolezza.
Avrebbe dovuto svegliarla rudemente e punirla per il suo tentativo di fuga, forse perfino ucciderla; invece, dopo un attimo di esitazione, si tolse il mantello immacolato e glielo stese sul corpo come una coperta, nascondendo le tracce di quel passato di dolore a cui lui era riuscito a sfuggire in un tempo che aveva quasi dimenticato.
Incapace di risolvere lo strano tormento che si agitava nel suo petto, uscì dalla sua camera senza più voltarsi indietro, più simile all’umano di un tempo di quanto lo fosse mai stato in quegli ultimi anni.
Quella notte l’avrebbe passata in compagnia della luna.
   
 
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