Erick Miller viene definito dai suoi colleghi uno
“scherzo della natura”. Trentacinque anni suonati, il sogno di trasferirsi in
California con l’attrice Liv Ullman, la passione per la tecnologia nelle vene,
una laurea in Lingue Straniere, una in Informatica e una in Archivistica.
Un genio incompreso, insomma, con la perenne
sindrome di Peter Pan in corpo.
L’uomo entra a passo svelto nell’open space, notando con disappunto la scrivania dell’amico
vuota, come quella della sua collega. Si guarda attorno, trovando David
all’angolo ristoro chiacchierare vicino- troppo vicino- a Connie White.
Dave è il suo migliore amico. Darebbe un rene se
glielo chiedesse. Anzi, glieli darebbe entrambi se fosse necessario. Il vecchio
signor Canter, padre dell’amico, lo aveva aiutato ad uscire da un brutto giro
in cui si era inserito, guadagnandosi la sua imperitura gratitudine che, alla
morte dell’uomo, era stata ereditata dal figlio.
-Dave!- lo chiama ad alta voce, bloccando quella
che, a giudicare dagli sguardi languidi dei due, doveva essere una discussione
poco professionale.
-Hai qualcosa?- gli domanda sbrigativo l’amico,
afferrando senza tanti complimenti le carte che Erick teneva in mano.
L’agente archivista Miller accenna un sorriso alla
ragazza che, lesta, gli offre un caffè come ricompensa.
All’inizio si era fatto delle grosse risate con
Dave, prendendo in giro sottovoce la ragazza e il fratello. E lui avrebbe
continuato a farlo, così come lo faceva con tutti (eccetto Dave, ovvio), se non
fosse stato per l’amico che, serio, gli aveva imposto di portarle maggior
rispetto.
E la cosa a Erick proprio non piaceva.
Non perché Constance fosse effettivamente una
cattiva ragazza, ma quegli sguardi troppo intensi che aveva visto fare
all’amico sulla figura della partner non lasciavano spazio a molti dubbi.
In ufficio era il pettegolezzo dell’anno.
Le relazioni fra colleghi erano proibite dal
regolamento e, proprio per questo, la questione si faceva ancora più piccante.
-Sono tutte cose che sappiamo già queste, Erick!-
lo rimprovera sottovoce Dave, chiudendo la cartellina e facendo cenno di no a
una fiduciosa Connie.
-E’ tutto quello che sono riuscito a trovare- si
giustifica Miller, recuperando le carte.
Non ci vuole molto a capire in che situazione si è
andato a cacciare David. L’ostinata ricerca della vera causa della morte del
padre da parte di Connie White non è un segreto per nessuno e, da qui,
collegare tutti i nomi su cui gli hanno detto di indagare con quello di Peter
Minus, altra vittima della Strage di Tooley
Street, è stato facile. Se poi si aggiungono le richieste di Chester White,
il puzzle è completo.
Ma per Dave, questo e altro.
Anzi, quel caso lo intriga parecchio a giudicare
dalle informazioni da lui trovate.
-E sulla scuola?- domanda speranzosa Connie,
appropriandosi del cestino delle ciambelle e addentandone una famelica.
-Ho cercato dovunque White, dovunque- spiega,
ripercorrendo quegli ultimi mesi di scartoffie e ricerche computerizzate.
–Niente. Ho cercato sotto Ogwats,
Oghwarts, Hogwarts, Hogwatz… niente! La signora Minus si sarà confusa-
conclude, osservando la ragazza estrarre una voluminosa agendina e cerchiare il
nome della scuola su una pagina bianca, segnando poi un gran punto di domanda.
-E l’altro?- lo interroga David, massaggiandosi
pensieroso il mento.
-Il Centro di Massima Sicurezza San Bruto per
Giovani Criminali Irrecuperabili?- domanda retorico, estraendo un foglio dalla
cartellina. –Sorpresa sorpresa… esiste. Fra gli iscritti ho trovato un Harry
James Porter, un Henry James Potter, un Harry Jakob Potter… ma nessun Harry
James Potter- chiarisce Erick, indicando i nomi sull’elenco degli iscritti.
-Novità dal Mago
dell’Alambicco?- s’informa, sicuro ormai del coinvolgimento di Chester
White in quella storia.
Connie sfoglia a ritroso le pagine, soffermandosi
su quella che le interessa. –Ha trovato le stesse particelle anche su tutte le
prove di Tooley Street. Dice che ha
bombardato tutto con delle radiazioni che ancora non avevano al tempo della Strage
e che probabilmente per questo non sono stati individuati prima. Ci sono anche sul dito di Minus!- lo
informa poi, abbassando la voce e facendo attenzione che nessun altro li
sentisse.
-Ma non ha ancora capito di cosa diavolo si tratti-
sbotta infastidito David.
Quella situazione lo stava facendo impazzire. Erano
ormai otto mesi che erano a un punto morto.
Certo Erick aveva trovato informazioni su questo
Piton. Poche ma c’erano.
Nato il nove gennaio del 1960 da Tobias Piton e una
certa Eileen Prince, del tutto sconosciuta a qualunque registro inglese. Il
padre, al contrario, ha un certificato di nascita, una patente di guida,
diversi contratti di lavoro, un paio di multe e, infine, un testamento aperto
qualche anno prima, qualche giorno dopo la sua morte.
Di Severus Piton, invece, si sapeva poco. Oltre al
certificato di nascita gli unici atti che lo riguardassero che Erick era stato
in grado di trovare erano stati l’iscrizione a una scuola elementare, la stessa
di Lily Evans, e come residenza la stessa dimora di famiglia del padre.
Però, da otto mesi lui e Connie bussavano a quella
porta senza ottenere risposta e nessuno a Spinner’s End sembrava sapere nulla.
E pensare che quella doveva essere la pista giusta!
Frequentava la stessa scuola della donna, da ragazzini abitavano vicini… era la
persona sicuramente più informata nei fatti che potessero trovare! E invece no,
quel dannatissimo Piton doveva sparire così, nel nulla!
-Io vado-.
David scosse la testa, bloccando Constance per un
braccio. –Ne abbiamo già parlato…- le spiega, paziente.
-Eugene dovrà ascoltarmi questa volta!- sbotta
inviperita, liberandosi con poca grazia dalla presa ferrea del collega.
–Abbiamo le prove che la morte dei Potter non è stato un incidente, sappiamo
che Minus e Black erano in qualche modo coinvolti in questa storia e nella
Strage… dovrà ascoltarmi!- ripete, convinta, prima di dirigersi a passo di
marcia verso l’ufficio del Commissario.
Eugene Scott espira lentamente, massaggiandosi gli
occhietti sottili con due dita.
-Allora, White?- ripete, stanco.
-Non puoi farlo!- lo aggredisce la ragazza,
sbattendo con impeto le mani sul tavolo e facendo cadere il portapenne sul
pavimento.
-Lo sto facendo, invece- ripete, lentamente,
alzandosi in piedi e allungando la mano verso di lei.
-Avanti Constance, non fare storie. Consegnami
pistola e distintivo- le chiede, gentile, con un peso terribile sullo stomaco.
-Perché?!- domanda preoccupata la ragazza,
stringendo convulsamente il tanto amato distintivo.
-Perché sei sospesa fino a data da destinarsi- le
ribadisce, facendole cenno di consegnargli gli oggetti.
-Eugene, ho scoperto che
-Perché ti avevo chiaramente ordinato di stare alla
larga da tutta questa storia!- la rimprovera, alzando la voce tanto da, ne è
sicuro, far sobbalzare anche gli agenti Canter e Miller appostati curiosi
dietro la porta del suo ufficio.
-Questa storia non riguarda più solo me, Eugene!
Riguarda tredici famiglie che hanno perso i loro cari, riguarda il piccolo
Harry Potter rimasto orfano a causa di un assassino, riguarda Emily Ross,
paralizzata dalla vita in giù a causa dell’esplosione… tutte queste persone
hanno diritto di sapere!-
-E infatti sanno quello che devono sapere!-
-Non sono stati incidenti! Qualcuno ha ucciso tutte
queste persone!-
-Basta, Connie!- urla il Commissario, ritrovandosi
sudato come mai in vita sua.
Con passo deciso, raggiunge la ragazza, fissandola
minaccioso.
-Pistola e distintivo, agente White- ripete,
ostile.
Connie sbuffa, consegnandogli la pistola
d’ordinanza e giocherellando con l’amato distintivo.
-Sono coinvolti anche Canter e Miller?- la
interroga, con aria contrariata.
Constance gli sbatte in mano il distintivo,
fissandolo torva. –Secondo te la “sindrome dell’eroe” di cui soffre Canter gli
avrebbe permesso di aiutarmi in un’indagine non autorizzata? E Miller mi
scondizolerebbe dietro senza averne avuto il permesso dal divin David?- gli
chiede, inghiottendo a fatica l’ansia.
Scott fa un verso roco con la gola, fissando la
propria porta chiusa.
-Saranno curiosi di sapere che cosa avevo da dirti
di così urgente, tanto per potermi prendere in giro come al solito- bofonchia
di nuovo Connie, sperando di essere riuscita a salvare almeno le carriere degli
amici.
-E Chester?- chiede serio il Commissario, aggirando
la propria scrivania e lasciando cadere pistola e distintivo della ragazza in
un cassetto.
-Pensi davvero che il Patriota delle Beute userebbe le sue preziosissime macchine
scientifiche per aiutare me?- urla,
punta sul vivo. Non si sarebbe mai perdonata se Chaz fosse stato coinvolto in
quella storia.
-Mmm…- brontola Eugene Scott, decidendo di credere
alla ragazza, spinto più dall’affetto paterno che dalla rigidità della logica.
-Bene White, puoi andare. E non tornare fino a
nuovo ordine- comanda, osservando la schiena curva della giovane uscire
dall’ufficio, linciare con lo sguardo i colleghi e correre fino all’ascensore
in fondo al corridoio.
Eugene espira, si asciuga il sudore sulla fronte e
accarezza la cornice che tiene alla scrivania, dove la famiglia White e una sua
copia di almeno quindici anni più giovane lo salutano gioviali. Mercy lo odierà
a vita per quello che ha fatto, se lo sente. Però si sente responsabile per
Connie, come per Chaz. Da quando il suo migliore amico è scomparso si è
impegnato al massimo per aiutarli, per quanto poteva. E adesso Connie si è
messa in un grosso pasticcio. La conosce, sa che se non l’avesse fermata
avrebbe continuato, come un toro, a caricare a testa bassa, finché non avesse
raggiunto la verità.
Ma anche solo avvicinarsi, alla verità, con quella gente lì, può essere
pericoloso.
Le aveva evitato quell’intervento dodici anni
prima, sperando che dimenticasse tutto, ma così non era stato. Se solo Connie
avesse seguito il suo consiglio…
Alza la cornetta del telefono, scorrendo i numeri
lentamente.
-Commissario Scott, Scotland Yard- recita,
composto. –Passatemi il Primo Ministro-.
Connie inserisce il caricatore nella sua pistola
personale, lucidandola ancora una volta con lo strofinaccio apposito, proprio
mentre il telefono inizia a squillare insistente.
Deve essere Erick pensa, spazientita. Sua madre
l’ha chiamata appena Chaz glielo ha detto, poche ore dopo la sua sospensione.
Le ha promesso di sgridare Eugene la prossima volta che lo vede e, se non
sentirà ragioni, lo minaccerà anche di non essere più invitato alla cena di
Natale!
Chaz invece l’aveva accompagnata a casa in
macchina, dopo che se l’era ritrovata nel laboratorio, in lacrime e furiosa
come poche volte l’aveva vista. Le aveva promesso di parlare per lei con il Commissario
e, se proprio Scott non avesse voluto sentire ragioni, avrebbe dato le
dimissioni, sissignore! Non poteva permettersi di trattare così sua sorella,
soprattutto non dopo che aveva scoperto un particolato chimico così
interessante!
Connie aveva impiegato un’ora buona a farlo ragionare,
impedendogli di salire all’ufficio del Commissario e di minacciarlo con una
boccetta d’acido.
L’agente Miller si era limitato invece a chiamarla
circa tre volte ogni cinque minuti, rendendole quasi impossibile ascoltare la
canzone dei Duran Duran che la radio stava trasmettendo in quel momento.
Dave, invece, quello che meno fra tutti avrebbe
voluto vedere, si era attaccato al campanello di casa sua e, fino all’ora
prima, aveva continuato a suonare con insistenza e a urlare verso la sua
finestra di aprirgli, che ne avrebbero parlato e risolto la cosa.
Alla fine, quando la signora Smith che abitava al
piano di sotto gli aveva versato addosso una pentola di acqua fredda,
minacciandolo di usare quella bollente se avesse fatto ancora tutto quel
baccano, si era calmato.
Constance quella mattina si era alzata dal letto di
buonora, aveva fatto una colazione abbondante, aveva scambiato due chiacchiere
con il postino che le aveva consegnato una raccomandata, aveva fatto zapping
alla tv e poi si era messa al tavolo del soggiorno a lucidare la pistola
personale, rimuginando su quando accaduto e lasciandosi andare a qualche
piccolo singhiozzo di nostalgia per il distintivo.
Cosa diavolo le era venuto in mente di fare? Trovare la verità!
Beh, complimenti, eccola lì la verità: sospesa.
Papà non ne sarebbe stato per nulla contento.
L’unica cosa buona in tutta quella storia, come le
aveva urlato David, era la prova che ci doveva essere sotto qualcosa di grosso
se Eugene era arrivato persino a sospenderla.
Dovevano essere vicini alla verità.
Ma, per Connie, saperla così vicina e non poterla
raggiungere, è davvero frustrante.
-Mi spieghi ancora perché siamo qui?- si lamenta
Tonks, inciampando in un tombino sbilenco sul marciapiede.
-E’ il protocollo- le risponde rigido Alastor
Moody, zoppicando fino al portone d’ingresso di quel fatiscente palazzo,
squadrandolo con l’occhio sano con aria critica.
-Per una Babbana?-
domanda stupita la ragazza, voltandosi vero l’uomo che, lento, camminava
qualche passo dietro a loro.
-E’ un’agente di polizia.
-Perché? Hanno forse paura che opponga resistenza?-
insiste incuriosita la ragazza mentre Moody si guarda attorno con aria vigile.
-Vogliono essere sicuri che l’operazione vada in
porto, ritengo…- chiarisce l’uomo, mentre Alastor estrae la bacchetta dalla
tasca e sussurra con tono minaccioso Alohomora
alla serratura del portone d’ingresso.
-Sarà una noia!- si lamenta Dora, accentrando su di
sé le ire dell’Auror più esperto e incaricato della sua formazione durante i tre
anni di pratica da Auror.
-Vigilanza costante, Tonks!- la rimprovera
aspramente, nascondendo veloce la bacchetta –Anche una missione semplice come
questa potrebbe avere complicazioni- le ricorda, infilandosi poi nella tromba
delle scale.
-Deve cancellarle la memoria! Che razza di
complicazioni vuoi che succedano?- domanda, alzando le braccia spazientita.
Arnold Peasegood espira sconsolato. –Non sarà così
semplice- avverte, iniziando a salire la ripida rampa di scale e facendo ben
attenzione a non toccare la ringhiera dall’aria instabile. –Devo cancellare i
ricordi degli ultimi mesi, a partire dal trenta luglio dell’anno scorso ma
selezionando solo le informazioni riguardanti il nostro mondo, e poi devo
risalire a quelli del due novembre 1981, eliminando completamente tutto ciò che
ci riguardi- spiega alla ragazza che, incuriosita, gli si è avvicinata per
ascoltarlo meglio.
-Non può semplicemente cancellarle tutto negli
ultimi dodici anni?- lo interroga perplessa, mentre Moody estrae nuovamente la
bacchetta e la indirizza verso il piano inferiore, dove si vede un ragazzo
uscire di corsa sul proprio pianerottolo e caracollare giù per le scale.
-E’ una follia! Dimenticherebbe tutto!- scatta isterico l’uomo, facendo
inciampare Tonks su un gradino scivoloso. –Non ricorderebbe più nulla in dodici anni! Le cose studiate,
le persone incontrate, neppure la colazione di questa mattina!- continua,
agitando le braccia preoccupato mentre la ragazza, dolorante, cerca di
recuperare la posizione eretta. –Riesci a immaginare il danno? Un momento hai
undici anni e un attimo dopo ventitre, nel mezzo nulla!- insiste, cercando appoggio nello sguardo fisso di Moody
che, dal canto suo, controlla con sospetto un gatto miagolare contro la porta
che deve essere della sua padrona. –Non si scherza con la mente- conclude,
funebre.
Dora e Alastor si lanciano uno sguardo perplesso,
per poi riprendere la salita.
-Hai capito Tonks? Vigilanza costante!- ripete
l’Auror, fermandosi di fronte alla porta d’ingresso dell’appartamento di
Constance White.
-E questo cos’è?- domanda la ragazza, incuriosita,
indicando lo spioncino della porta. –E quest’altro?- insiste, segnando agli
altri due il campanello della casa.
-Non toccarli! Aggeggi babbani- brontola Moody,
estraendo la bacchetta e facendo cenno agli altri due di imitarlo.
-Siete pronti?- domanda alla fine, squadrando la
porta con aria minacciosa. –Al mio tre…-
-Non è necessario fare irruzione, per l’amor del
cielo! La spaventeremmo a morte! E’ una Babbana troppo curiosa, non una
criminale!- li ferma Arnold, appena in tempo.
-E allora come facciamo a entrare?- si lamenta
Tonks, grattandosi i corti capelli rosa con la punta della bacchetta,
pensierosa.
-Lasciate fare a me!- borbotta Alastor, prima di
avvicinarsi alla porta e battere due secchi colpi sull’uscio.
Connie sobbalza sulla sedia, facendo cadere per lo
spavento l’agenda che aveva incominciato a rileggere sul tavolo.
-Chi è?- domanda poi, raccogliendo veloce il
piccolo taccuino e riassemblando i fogli che, per l’eccessiva grossezza, si
sono staccati.
-Posta!- grida una voce roca e poco gentile
dall’altra parte della porta.
-Oh, arrivo subito!- trilla la ragazza, nascondendo
l’agenda nel retro dei pantaloni.
Prima di muovere un passo, però, si blocca
all’improvviso.
Il postino è già passato quella mattina.
E poi lei ha il campanello, non è necessario
bussare. Certo, a meno che non si voglia evitare di lasciare impronte…
Afferra con impeto la pistola dal tavolo,
avvicinandosi con circospezione alla parete di fianco alla porta.
Contando fino a tre, vi si pone davanti e guarda attraverso
lo spioncino.
Da quando la posta viene portata da tre persone?
Un uomo dall’aria folle, una ragazza punk e un
signore distinto.
Sicuramente non sono postini.
Ok, niente panico.
Connie torna a nascondersi dietro la parete,
analizzando veloce la situazione e studiando un piano.
Lesta, fa scattare la serratura della porta,
allontanandosi di cinque o sei passi e dando il benvenuto agli ospiti con la
pistola puntata.
-Mani in vista!- intima, mentre quello dei tre con
l’occhio di vetro zoppica dentro il suo appartamento.
-Vuoi che la schianti, Arnold?- domanda Moody,
fissando con disgusto la pistola a qualche metro da lui.
-Ma come ha capito che non eravamo postini?-
borbotta Tonks, inciampandosi nel tappetino d’ingresso e facendo qualche passo
veloce in avanti per non cadere.
-Va tutto bene agente White…- le dice cordiale
Arnold, estraendo lentamente la bacchetta dalla tasca. -… e fra un po’ andrà
ancora meglio, mi creda- le promette, immaginando la confusione mentale in cui
deve versare.
Connie, dal canto suo, mantiene l’arma puntata sui
tre visitatori, con le braccia tremanti per la paura e la sorpresa. –Chi
siete?- urla, agitata, spostando la canna dell’arma ora sul pazzo, ora sulla
punk, ora sul gentiluomo.
-La mia proposta è sempre valida, Arnold- abbaia
Alastor all’indirizzo dell’Oblivatore che, perplesso, muove qualche altro passo
verso di lei mentre Tonks, indifferente, ha iniziato a vagare curiosa per la
cucina, soffermandosi in particolare di fronte a una calamita del frigorifero.
-Un altro passo e apro il fuoco!- gli intima la
ragazza, ritrovandosi presto con le spalle al muro.
Deve trovare una via di fuga, alla svelta.
-Non le faremo del male…- tenta l’Oblivatore,
avvicinandosi un altro po’.
-Indietro!- insiste, la ragazza agitando l’arma.
-La situazione vi sta sfuggendo di mano?- domanda
Tonks, affacciandosi incuriosita dalla cucina e osservando la collezione di
monete appese alla parete.
Arnold sospira sconsolato, capendo perché il
Protocollo preveda la presenza degli Auror in casi come quello. -Alastor,
saresti così gentile da… sì beh, ammansirla un po’? Se continua così va a
finire che si farà del male- prega alla fine l’uomo all’indirizzo dell’Auror.
-Con molto piacere, Arnold-.
Moody avanza, claudicante e minaccioso, verso la
ragazza, estrae la bacchetta e …
BANG!
-Vi avevo avvertiti!- urla Connie, ormai sull’orlo
di una crisi di nervi.
Moody si tampona il braccio colpito di striscio,
sorpreso, per poi, poco alla volta realizzare quanto accaduto. Beh, a essere
sinceri sperava che la sua ultima missione da Auror, prima della pensione,
fosse qualcosa di più interessante.
-TONKS!- ringhia alla fine, obbligando la ragazza a
lasciare l’interessante studio sul forno per correre in soggiorno. -La
disarmo?- domanda poi, brandendo a sua volta la bacchetta verso la ragazza che,
con un moto di follia, si era avvicinata alla finestra aperta.
-No, la pistola potrebbe cadere e partire un colpo,
ferendola- le chiarisce l’uomo, mentre l’Oblivatore, a disagio in una
situazione di quel tipo, si è andato a riparare dietro il divano del piccolo
soggiorno.
-E allora?- insiste quindi mordendosi un labbro.
-Niente di aggressivo, non è un soggetto pericoloso
e non ha vie di fuga- analizza l’uomo, spiegando alla giovane Auror come
affrontare situazioni simili. –Un incantesimo Confundus dovrebbe essere sufficiente-.
Constance, intanto, si è portata di fronte alla
finestra e, sulla schiena, può sentire la brezza di quel pomeriggio estivo.
-Sei pronta? Al mio tre. Uno, due…-
Ma prima che Moody possa arrivare al tre, partono
diversi colpi di pistola.
Quando però gli incantesimi scudi evocati dai due
maghi per difendersi dai proiettili svaniscono, Constance White è sparita.
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Note:
- “Ciao, Arnie...
Arnold Peasegood, è un Obliviatore...” da Harry Potter e il Calice di Fuoco