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Autore: _Frah    08/08/2011    4 recensioni
«Sono in una costante caduta libera»
«E tu, in questa caduta, stai cercando di trascinare anche me?»
Frah ©
Genere: Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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I suoi capelli castani mischiati a qualche sfumatura rossiccia le arrivavano a metà schiena. Nel silenzio di quel venerdì mattina mi ritrovai a fissarle ogni centimetro del suo corpo, seguivo il suo respiro regolare e mi sorpresi di quanto fosse davvero bella. Mi avvicinai a lei e infilai il naso tra la spalla e il collo inspirando quel profumo di pesca che portava sempre addosso. Con la mano le sfiorai tutto il profilo destro partendo dal fianco e arrivando, lentamente, vicino al seno. Dimenticare i problemi e tutto quello che mi circondava e pensare a lei era diventato il mio hobby preferito da quando, quel tre dicembre, entrò prepotentemente nella mia vita rendendola, pian piano, migliore.

«I find my paradise, when you look me in the eyes...»
Inconsapevolmente mi ritrovai a bisbigliare una strofa di una canzone che scrissi qualche anno prima insieme ai miei fratelli, per un futuro album. Sorrisi per qualche secondo per poi sospirare per l’ansia di rivedere mia madre che ricominciò a farmi compagnia. Più che altro sembrava che il mondo volesse accelerare il tutto anticipando il volo facendo si che mancassero una manciata di ore a quell’incontro. Chiusi gli occhi e mi strinsi e lei, che continuava a dormire serena e lontana dal caos che la mia testa stava creando.
«Joseph...»
Il dolce suono della sua voce impastata riempì la stanza, visibilmente troppo vuota, ma che andava bene così. Mi avvicinai di più e le sfiorai la guancia con il naso.
«Sssh. Sssh... dormi. è ancora presto»
Mugugnò qualcosa e le baciai la guancia. I battiti del suo cuore risuonavano sulla superficie del mio braccio stretto intorno a lei. Portai la testa nell’incavo del suo collo e ci soffiai piano sopra. L’amavo. Dio se l’amavo quella ragazza. Socchiusi gli occhi e sentii qualcosa esplodermi nel petto. Lei era la miglior parte di me. Lei Lei Lei. La mia testa non faceva altro che pensare a lei. Come si chiamava questo? Amore? Non sapevo definire quelle sensazioni non avendole mai provate prima di incontrarla. Dovevo alzarmi, dovevo preparami ed entrare in macchina, anche velocemente se non volevo rimanere fermo nel traffico per ore, e finalmente arrivare in aeroporto. Mi alzai svogliatamente e coprii Fel con il lenzuolo che fino a poco prima condividevo con lei. Raccolsi i vestiti lasciati sul pavimento la sera prima e m’infilai i boxer e i pantaloncini grigi della tuta. Rivolsi il mio sguardo per l’ultima volta su Felicity e la sua schiena nuda, sorrisi e scesi in cucina. Erano ormai dei movimenti ordinari i miei. Mettere il caffè nella macchinetta e aspettare ansiosamente che esca, caldo e fumante. Intanto prendere, dalla mensola vicino alle spezie, la tazza bianca con il manico sbeccato e ormai ingrigita dai troppi lavaggi, sicuramente da cambiare.  Rubare due o tre, o meglio quattro, biscotti al cioccolato dal barattolo di Fel e osservare cosa facesse quel pazzo gatto di George, quel musetto arancione ne combinava sempre una più del diavolo appena sveglio. E poi finalmente sentire il caffè uscire e correre hai fornelli dove cerco ogni volta di non scottarmi versando il liquido bollente in quella tazza strausata. E poi? E poi mi ritrovo a pensare di aver aspettato dieci minuti buoni per qualcosa che ho consumato in meno di quindici secondi.

 

 

Graffiare il bracciolo della sedia sulla quale ero seduto con la chiave della macchina mi stava aiutando a farmi scaricare l’ansia. Stavo tutto stravaccato con l’estremità dell’indice tra i denti e giravo le testa a intervalli di cinque minuti verso la vetrata che dava sullo spiazzale dove atterravano i voli più importanti. Buttai la testa all’indietro lasciandola penzolare e mi abbandonai a uno di quei sospiri che ti libera di tutta l’aria cattiva. Avevo un caldo tremendo anche con l’aria condizionata dell’aeroporto sparata al massimo sulla mia faccia ma, conoscendomi, mi sarei stancato di tenere in mano la giacca di pelle. Mi girai verso destra e chiusi gli occhi. Quanto volevo che Felicity fosse li, in quel momento, affianco a me. Con le sue battute pessime, le sue esclamazioni capaci di attirare l’attenzione di mezzo aeroporto, semplicemente averla affianco con le dita affondate nella sua mano. Ma forse era meglio così, stare solo. Solo ad affrontare quella situazione che solo io sarei riuscito a rendere migliore, in un modo o in un altro. Socchiusi gli occhi e mi ritrovai la solita sedia di ferro, vuota. Scoppiai in una tenera risata e presi il cellulare dalla tasca dove, una foto di George e Felicity con una faccia buffa, riempiva lo sfondo. Feci il numero di quest’ultima e i tuu tuu snervanti iniziarono a riempirmi la testa.
«Hey»
Appena sentii la sua voce dall’altro lato sul mio viso si aprii un sorriso rendendo la mia faccia visibilmente più serena.
«Hey stupida»
Risposi con un tono scherzoso buttando lo sguardo sul tabellone degli arrivi. Ancora niente.
«Senti... stupida ci chiami la tua ragazza»
«Stupida»
Ribattei senza pensarci troppo e mi alzai, lasciando il posto a delle ragazze italiane, presumibilmente. Infilai la mano nella tasca destra del jeans e mi appoggiai a un pilastro.
«Allora Fel... tutto bene?»
Chiesi spezzando quel silenzio venutosi a creare.
«Oh beh. Si... certo. Tua madre?»
«Dovrebbe arrivare a momenti»
«Perché mi hai chiamata?»
La sentii ridere. Il miglior suono mai sentito in vita mia dopo quello del mio nome sussurrato da lei. Dio, stavo diventando troppo sdolcinato per i miei gusti.
«E che... ieri sera»
«Bellissimo. Ѐ stato bellissimo»
Si intromise. Mi morsi il labbro e alzai lo sguardo sorridendo.
«Ora però mi fai il piacere di recuperare tua madre?»
Annuii inconsapevole che potesse vedermi
«Certo. A dopo allora?»
«Ovviamente» Chiamata conclusa. Feci scivolare il telefono in tasca e solo allora notai la scritta “atterrato” vicino al volo Atlantic City - Los Angels. Mi avvicinai velocemente alle rampe delle scale mobili dove tutti quelli che arrivavano in città prendevano almeno una volta. Iniziai a guardare ogni volto femminile cercando di trovare quello impossibile da non riconoscere di mia madre. Ero così agitato che ogni volta che mi asciugavo le mani sfregandole sul jeans queste, ricominciavano a sudare ancora di più. Sbuffai nervoso e m’infilai una mano tra i capelli continuando a fissare le rampe. E poi me la ritrovai con i suoi occhi marroni puntati addosso, che mi osservava mentre scendeva la rampa. Preso dal panico cominciai a correre verso di lei, sbattendo anche contro qualche persona che passava di la, e salii la rampa al contrario ritrovandomela davanti.
«Ti vedo bene, Joseph»
Esclamò sorridendo. Incapace di dire qualsiasi cosa feci l’unica cosa che mi mancava fare da tempo, semplicemente l’abbracciai.
«Mamma...»
Le sussurrai soffiando sulla sua spalla mentre ancora la stringevo tra le braccia. Mi invogliò a continuare facendo un piccolo cenno di testa. 
«Ti voglio bene»



No, non è una visione ahahahaha
Sono tornata, dopo una pausa di mmm... quattro mesi. Non potete nemmeno immaginare quanto mi dispiace per tutto questo tempo che vi ho fatto aspettare e no, non ho una scusa che regga tutto questo xD. Solo che questa storia doveva e deve andare avanti e non potevo lasciarla senza una fine :3 quindi eccomi qua.
*cerca di evitare i pomodori*
Non prendendo di avere lo stesso numero di recensioni che avevo, mi basta che vi piaccia (certo, se recensite è meglio ahahaha). L'immagine sopra il capitolo l'ho fatta prima per smorzare la tensione che avevo di postare. Perché l'ammetto, avevo una paura tremenda xD ahahaha Sono già a lavoro per il capitolo successivo e anche quello è quasi finito. quindi nulla, spero che siate contente di riavermi qui con voi, perché io lo sono :3

un bacio, ƒrah

   
 
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