A due amiche speciali, vi voglio bene,
con tutto il cuore.
L’Istinto
del Lupo
Remus
Lupin
desiderò di morire, quella notte, per la prima volta.
Tante di quelle volte si era detto che era fortunato, in fin dei conti,
aveva
amici che lo accettavano per quello che era senza giudicarlo, aveva
ancora una
famiglia, degli affetti.
Remus Lupin aveva sempre avuto voglia di vivere. Sempre.
Quella sera però, tutto, drasticamente, mutò.
Ormai era rassegnato, calmo in quei giorni, nonostante sapesse
la sofferenza che sarebbe stato costretto a provare, per tutta la
notte, per
tutta la vita.
Quella sera di metà ottobre era simile a tante altre, alla
fine.
Tic Tac
è quasi ora
Il
vecchio
pendolo del soggiorno suonava nove rintocchi quando Remus
uscì da casa sua.
Come ogni volta, e si recò a passo lento e cadenzato verso
la foresta, dove
sarebbe stato al sicuro, dove gli altri sarebbero stati al sicuro. Da lui.
Una vecchia quercia si stagliava maestosa nella notte fredda, un vento
gelido
che scuoteva le fronde;
la luna, sua fedele compagna, proiettava le ombre dei tronchi sul
terreno e
Remus si sentì quasi meno
solo laggiù, osservandole.
Era iniziato tutto come sempre, aveva sentito la familiare morsa al
petto che
dava inizio a tutto.
Il dolore si diffondeva lungo le sue membra come acqua calda, bollente
che
bruciava senza che potesse liberarsene, fuoco vivo nelle sue vene.
Il suo aspetto aveva iniziato a mutare in una danza antica e terribile,
per chi
aveva la sventura di assistervi; la sua mente si svuotò,
nulla più della vita
aveva importanza, in quel frangente, mentre Remus svaniva, lasciandosi
dietro
l’uomo, lasciandosi dietro ogni traccia di umanità.
C’era il Lupo, quella notte, solo la bestia.
Inarcò la schiena e ululò alla
luna, in un grido straziante.
Tic Tac
è notte,ormai! Dove sono?
Il vecchio orologio
giù in paese segnava la Mezzanotte ma lui non poteva sentirlo. Correva, correva e si dimenava, tra i
tronchi secolari, tra le felci alte quanto un uomo. Sono i suoi
migliori amici,
adesso. E ancora correva, gridava, il suo verso che rimbombava cupo e
spaventoso, mentre i rintocchi si susseguivano lenti e profondi, come i
battiti
del suo cuore.
Aveva sprazzi di lucidità e di follia, e quasi era cosciente
di quello che faceva,
per un secondo, poi scompariva definitivamente, lasciando spazio solo
all’istinto.
Di solito graffiava, mordeva, dilaniava il suo stesso corpo in mancanza
di
prede, in mancanza di tutto. Sapeva che al mattino avrebbe trovato
nuove
ferite, nuove cicatrici ma ne era felice ogni volta: nessuno si
è imbattuto nel
suo cammino.
Un odore diverso però colpì Remus, quella notte.
Un odore nuovo, terribilmente
allettante per il lupo, seducente,
quasi. Seguì quella traccia, con la foga di una belva
affamata a caccia di
prede che soddisfino il suo appetito famelico.
Era così vicina, quella preda sconosciuta, quasi come se
potesse toccarla,
sfiorarla, assaporarla…
Tic Tac quasi le
tre, che Luna Rossa
adesso, in cielo!
Tutto
diventò
confuso, frenetico, diverso. Nella
sua mente irrazionale quella era stata certamente la serata
più appagante della
sua intera esistenza. Ululava il lupo senza sosta, come non aveva mai
fatto,
mentre qualcuno dal villaggio affrettava il passo, spaventato,
chiudendosi al
riparo delle proprie case.
Quella volta fu diversa, da ogni altra. Quella notte tra il frinire dei
grilli,
tra il lento e monotono canto degli uccelli notturni si udì
un suono diverso.
Quella notte, un grido lacerò il musicale silenzio della
foresta.
Tic Tac sorge il
sole, è tanto presto
ancora! Dov’è il lupo cattivo?
Remus
si
svegliò, alle pendici della collina boscosa, con le vesti
lacere e
insanguinate. Dolorante e instabile sulle gambe deboli si mise seduto
contro la
corteccia spessa dell’albero più vicino, gemendo
sommessamente per il dolore.
Quando riuscì a mettere bene a fuoco l’ambiente in
cui si trovava, sospirò, con
sollievo. Anche questa volta era rimasto nei confini.
Si guardò distrattamente le braccia, le gambe indolenzite,
il torace asciutto e
li trovò, come spesso accadeva, coperti di sangue rappreso.
Sospirò e con sforzo immenso cercò con le dita le
ferite sulla pelle ma con
sorpresa mista a
terrore i polpastrelli
sfiorarono solo i segni delle cicatrici di notti passate.
Un grido lontano distolse per un secondo Remus dai suoi pensieri, dal
tormento
che prendeva piede in lui, dalla paura che gli stava pian piano
artigliando il
cuore e le membra.
Qualcuno chiamava un nome, ostinatamente, una voce di donna che
invocava lamentosa,
seguita da un eco confuso di altre persone. Il cuore di Remus
sembrò quasi sul
punto di fermarsi.
Era così inconsolabile il richiamo di quella
donna… chi stava cercando? Chi si
era smarrito nella foresta?
Chi cercavano così disperatamente?
Poi,un’ immagine vivida, chiara e inspiegabile si fece largo
nella sua mente,
travolgendolo come fosse qualcosa di tangibile, solido: la foresta, nel
chiaro
della notte appena passata, bagnata dal candore della luna. Ogni tanto
accadeva, ogni tanto scopriva di ricordare,come in un sogno o in una
visione.
Ricordò l’erba bagnata sotto le sue zampe,
ricordò i rami bassi che gli
sferzavano il viso durante la sua folle corsa. Poi, ricordò
tutto.
Gemette, sorreggendosi ai rami solidi del sottobosco per tenersi in
piedi, guardandosi
le mani come fosse una bestia immonda. Non aveva ferite, ne graffi; il
suo
corpo non era minimamente scalfito, quella mattina. Nella sua bocca un
sapore
acre, metallico. Sangue.
Chiuse gli occhi come se desiderasse che la realtà svanisse,
mentre nella sua
mente si susseguivano altre immagini, sempre peggiori sempre
più terribili. Non
riusciva a parlare, ne a gridare ne a chiedere aiuto. Era impietrito,
disgustato, spaventato a morte da se stesso.
Si accasciò nuovamente al suolo con le mani sulle orecchie
come volesse
ripararsi da un suono assordante.
In quel momento, Remus Lupin invocò la morte.
Nello stesso momento in cui nella sua mente comparvero gli occhi
azzurri, pieni
di lacrime, di una bambina.
*