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Autore: small    10/08/2011    0 recensioni
Amanda Sprint è una strega, ma non è affatto contenta di esserlo... così, un guaio tira l'altro, si trova a cercare di diventare una fata, con scarsissimo successo e con molto, ma veramente molto, da perdere.
Dal I cap.
"Con aria melanconica le streghe apprendiste infilarono i loro libri nelle borse e si trascinarono fuori dal bar, lasciandosi alle spalle l’insolita conversazione che avevano avuto sulle fate."
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Amanda (parte II)
 



- Amanda! – strillò la madre, non perché volesse rimproverarla, ma semplicemente perché quello era il suo consueto tono di voce – Era ora che tornassi, cominciavo a preoccuparmi. Ricorda che sei una Strega Minore, di appena diciassette. Mentre tuo fratello è uno Stregone Maggiore, che fra poco diventerà anche un membro del Parlamento Stregato, il PS. Devi tornare prima a casa! A proposito…dov’è Elseto?
Amanda sospirò, non per la critica, che ormai le veniva rivolta quasi ogni giorno, ma per la risposta che doveva dare.
- Ho incrociato mio fratello al bar…molto probabilmente poi sarebbe passato da Malincona.
La reazione della madre non si fece attendere. Cominciò ad ingiuriare contro tutti, dicendo che quella stregaccia della biblioteca avrebbe rovinato l’avvenire del figlio. E giù, con altre tirate, ancora, ancora e ancora…
Amanda si concesse un secondo per guardarla, come se la vedesse per la prima volta. Aveva ombre grigie dietro la pelle, cosa che però le donava immensamente. Gli occhi erano tondi proprio come quelli della figlia, anche se la madre li aveva color ambra chiaro, in perfetta sintonia con i capelli gialli che le cadevano flosci sulle spalle. Le labbra sempre contorte e quel naso…lungo, piegato, orribile al punto giusto. Amanda aveva infinite foto della fanciullezza della madre e adesso si accorse di quanto fosse cambiata. La sua pelle non era liscia, ma rugosa, incavata, le guance non erano di colore vivo, ma scure e piegate verso il basso, come le mascelle di alcuni cani. Continuò così per un po’, fino a quando la Strega Minore, disgustata da quello che aveva appena visto, decise di porre fine alla sua angoscia.

-  Madre, vi dispiace se andiamo a cena? Probabilmente mio padre ci aspetta.
La madre guardò stizzita la figlia, come se avesse interrotto qualcosa di molto importante. Si domandò perché non capisse quanto lei, madre, desiderava vedere il figlio occupare un’alta carica. Ma rinunciò a spiegarlo ad Amanda, convinta che la ragazza non l’avrebbe mai capita, e qui si sbagliava di grosso. Appese alla coda dell’animale impagliato, che faceva da attaccapanni, il mantello nero della figlia ed entrarono insieme nel salotto. In quest’ultima stanza vi era un uomo ben piazzato, con le spalle larghe e una costituzione robusta, che leggeva affabilmente un giornale, il “Quotidiano delle Streghe-Cronache Mondane e Altro”. Aveva corti capelli verdi e occhi strabici, di color nero. Il naso era lungo e all’insù, con un foruncolo tra gli occhi. Le sopracciglia occupavano tutta la fronte del padre di Amanda, dandogli un aspetto che poteva pretendere solo il più intenso rispetto. La strega si sedette vicino all’uomo, poggiando le mani sulle ginocchia. Il padre la guardò sottecchi.

- Dov’è Elseto? Sarebbe dovuto tornare da un pezzo. Tra una settimana ha gli esami e deve solo riposare. Allora, Amanda, dov’è tuo fratello? Vuoi darmi una risposta!
La fanciulla si costrinse ad interrompere la sua conversazione mentale, quando intervenne la madre, appena entrata nel salotto.
- Da quella bibliotecaria di un pipistrello. Ho detto mille volte che non volevo più vederlo uscire o anche solo conversare con quella, ma ti pare che mi dia retta?! No! In fondo, io non parlo certo per il suo futuro…scherzi? Io, che mi preoccupo per il suo futuro? Ma ha preso una botta di sole? In fin dei conti…sono solo sua madre!
Si interruppe, aspettando la reazione del marito, lieta di essersi nuovamente lamentata per quanto e per come la facesse soffrire Elseto, trascurando il suo dolce amore materno.
- Odiata Infelicita, su! Capisco il tuo grande ardore, anche la tua immensa angoscia, che condivido in pieno, poiché tengo tantissimo alla carriera di nostro figlio. Ma ti prego, datti una calmata. Sono le venti ed è da tredici scope che non tocco cibo. Forza, servi la cena e poi penseremo ad Elseto. Fallo per me, Infelicita, per il tuo triste Derido.
La signora, benché molto contrariata, andò in cucina e prese la zuppa calda, con gli occhi di rospo. Portò il pentolone nell’altra camera e cominciò a fare i piatti. Stavano giusto iniziando a cenare quando arrivò Elseto. Aveva sul volto quella strana smorfia simile ad un sorriso. Subito la madre si alzò, tempestiva, pronta ad attaccare con una nuova tirata per far capire al figlio la sua “grande angoscia materna”.
- Eccoti! – urlò, aveva una voce esasperata ed acuta, da far rizzare la pelle – E io? Io, io che ti aspettavo a casa, io che ti ho allevato, io che ti ho rimboccato le coperte per anni, io che sono tua madre, io…io cosa sapevo di te? NULLA!!!!
Nonostante l’impressionante sfuriata, il fratello di Amanda non mosse ciglio, anzi non parve minimamente sorpreso. Alzò le spalle, guardò un attimo la madre, poi il padre e rispose, tranquillamente.
- Avevo chiesto ad Amanda di dirtelo. Non credevo servisse che passassi io ad informarti. La prossima volta, benché io non sia più un bambino, lo farò. Ma ora, madre, calmati.
Il volto della madre si addolcì in modo innaturale. Lasciò persino curvare gli occhi all’insù. Camminò veloce fino alla cucina, prese un piatto per il figlio e gli servì la cena, tutta contenta. Amanda fece finta di ingoiare una cucchiaiata, mentre in realtà pensava a quello che era successo. Il fratello non temeva per niente i genitori, consapevole del loro appoggio. Ma lei, lei non aveva mai avuto l’appoggio di nessuno, tranne di una zia che, tra l’altro, avevano anche cacciato dalla famiglia perché non le riusciva di cucinare una brodaglia decente. Ora quell’unica parente con una briciola di umanità viveva ai margini del Regno, schifata dalla società e dai concittadini, dedita alla più profonda solitudine. Amanda odiava essere una strega e adesso, seduta su quella sedia dura con davanti un piatto pieno di minestra di rospi, vedeva tutto molto chiaramente. Non aveva mai voluto quella vita, che in un qualche modo la obbligava a fare cose che odiava: sezionare animali morti, mangiare parti del corpo di animali che le facevano riluttanza, nascondere la propria allergia ai gatti, studiare materie e argomenti che trovava inutili e noiosi. Tuttavia non vedeva nessun raggio di sole che potesse aiutarla e, visto che non desiderava essere allontanata come la zia, sapeva che avrebbe continuato a condurre quella misera esistenza fino alla morte. Sospirò, una cosa molto comune nel Regno Stregonesco, e mandò giù un boccone disgustoso, contenente anche un occhio di rospo. I suoi pensieri su come fosse viscido quel coso, furono interrotti dalle parole del padre.
- Elseto, dopo ripasseremo un po’ di storia, che è la tua materia debole, così sarai prontissimo per l’esame.
Ma il figlio si batté una mano sulla fronte.
- Accidenti, padre, ho dimenticato il libro in biblioteca. Questa sera non potremo fare nulla. Ma domani andrò personalmente a prenderlo.
L’uomo si arrabbiò, ma fu abile nel mascherarlo.
- Non importa per oggi non farai nulla, ma domani mattina presto ripasseremo. Quindi, Amanda, quando hai finito va a prendere il libro di tuo fratello da quella tua amica, Meriga.
La ragazza si alzò, pronta, e consegnò il piatto ancora pieno alla madre, mormorando che il libro di Elseto era più importante della minestra. Uscì di casa e imboccò una stradina secondaria, una specie di scorciatoia, ben decisa ad entrare dal retro. Arrivata di fronte ad una piccola porticina, bussò tre volte e venne ad aprirle proprio la sua compagna di studi Meriga. Era un po’ più pallida del solito, ma si mostrò ugualmente cortese.
- Mio padre sta nel suo studio – spiegò ad Amanda, mentre entravano nell’immenso salone per prendere i libri sul tavolo – Ogni volta che è un po’ troppo giù va là. Lo fa da quando è morta la mamma.
La guidò al tavolo vicino al camino. Era nero, stonato con il resto della casa, addobbata di mobili viola, verde, blu e marrone, ma era di gran classe. Aveva quattro zampe fine che terminavano con una delicata e ben fatta arricciatura. La superficie era liscia, sempre rigorosamente lucidata, mai opaca, e lasciava intravedere il pavimento. Sopra vi era poggiata una scatola che, Amanda lo sapeva bene, conteneva svariate fotografie della famiglia prima della triste perdita.
- Senti – disse Meriga – Perché non ti fermi un po’ in biblioteca? C’è la parte dedicata alle altre razze che sono sicura ti piacerà. Io devo studiare e lo faccio sul bancone grande, ma non mi va di stare là, senza nessuno che conosco…anzi, senza nessuna amica. Anche se ti metti lontana da me, mi farebbe piacere sapere che si sei. Allora?
Amanda, con sotto il braccio il libro del fratello, annuì e si lasciò guidare da Meriga in quel reparto di cui aveva parlato tanto entusiasta. La strega lasciò scivolare il libri su uno dei banchi e si sedette, mentre l’altra prendeva dagli scaffali un libro gigantesco che porse ad Amanda. Poi si andò a sedere al bancone grande e tirò fuori un libro, che probabilmente leggeva per il tema di cucina del giorno dopo: “Le parti migliori dei topi e dei rospi”. Amanda sorrise sotto i baffi, poi aprì il librone. Era foderato di rosso, il classico rosso morto che caratterizzava il Regno, ma aveva qualcosa di affascinante.

 

FOLLETTO:

Queste creature differiscono dalle altre per molti aspetti. Hanno orecchie a punta che li accomunano agli elfi e piccole ali, non in grado di volare, che li fanno sembrare fate. Il naso lungo ricorda vagamente quello delle streghe, mentre i capelli, solitamente lisci e sciolti, ricordano i centauri. Tuttavia possiedono lunghe unghie, di color pelle, con cui, secondo alcune voci popolari, infilzano i loro nemici. Sono di carattere introverso e per lo più divisi in due gruppi: Rosa e Verde. I folletti verdi sono solitamente più buoni e meno permalosi, mentre quelli rosa eccellano in quest’ultima virtù tipica delle streghe. I folletti hanno anche dei piccoli foruncoli lungo il corpo, cosa che li distingue dalle semplici creature…

 

Amanda sbadigliò. Guardò la buffa illustrazione e si lasciò scappare una risatina. Rapida premette le mani sulla bocca, temendo che qualcuno avesse potuto sentirla. La foto ritraeva un essere tutto verde con indosso un berretto giallo e tante bolle blu su tutto il corpo. La strega si disse che, probabilmente, un vero folletto era assai diverso. Sfogliò annoiata un altro paio di pagine.

 

NANI:

Attenzione a non confondere questa razza con gli gnomi, loro avversari, o con i goblin, che odiano. I nani sono la parte buona di quella che si ritiene una sola grande stirpe. Infatti le tre razze sopra citate sembra discendano da un membro comune. Il nome di questo membro è ignoto. I nani si differenziano dagli altri discendenti per il naso più peloso e le gambe più larghe, oltre al colore della pelle, solitamente marrone. Questa razza odia…

 

Amanda sospirò e voltò altre pagine, in cerca di qualcosa un po’ più interessante. Era arrivata quasi alla fine dell’immenso volume, fermandosi ogni tanto per dare un’occhiata alle figure tanto buffe, quando trovò ciò che desiderava leggere.

 

FATE:

Abbiamo già descritto, tre capitoli precedenti (cfr pag. 1112 cap. 13), le Streghe. Ora ci occupiamo delle loro eterne antagoniste. Le fate sono personcine aggraziate, per nulla spaventevoli e per questo tanto ripudiate dalla nostra razza. Hanno ali di svariati colori, solitamente seguono le sfumature dell’arcobaleno, e vestono solo con i petali di fiori selvatici, per lo più rose e violette. Hanno un carattere tendente all’amicizia, che le porta spesso alla solidarietà. Questa è, come tutti sanno, un gran difetto per tutte le streghe, mentre le fate la considerano una virtù. Hanno molti passatempi e svariati giochi. Odiano i rospi verde scuro e i tritoni viola. Nel loro mondo compaiono molte creature strane, molto probabilmente stregate dai loro subdoli incantesimi. Le fate sono tutte di carnagione chiara e raramente si mostrano infelici, una cosa che non gioca a loro favore. Infatti è deplorevole essere sempre allegre e spensierate perché non forma il carattere. Sulle informazioni circa le fate ci fermiamo qui, poiché il resto sarebbe troppo spiacevole per essere letto o udito da una qualunque strega o stregone per bene. Inoltre sono proibiti i contatti con questi insulsi esseri; solo Sua Maestà detiene ottimi rapporti con la loro regina, ma a fini esclusivamente commerciali. FINE

Amanda chiuse il libro di scatto e lanciò un’occhiata mezza preoccupata all’orologio. Segnava le ventitre. Salutò in tutta fretta Meriga e si diresse verso casa, camminando di buon passo, con i libri di Elseto sotto braccio. Mentre poggiava i piedi sul selciato non poteva fare a meno di ripensare a quello che aveva letto. Le fate. Quegli strani esseri, di cui tutti parlavano in modo spregevole, la attraevano. Non sapeva dire perché li trovasse interessanti, né cosa la colpisse con tanta forza, ma sentiva di adorarli. Amanda si ritrovò davanti alla porta di casa mentre sospirava e diceva, rivolta ad un’enorme zucca:
- Come vorrei non essere una strega, ma una fata. Sai che bello poter sorridere tutto il giorno! Io non so nemmeno come si fa!
Entrò pigramente nel salotto, poggiò i libri sul tavolo e si sedette vicino al camino, spento come sempre, per assaporare un attimo di calma e solitudine. Lì, noncurante di ciò che avrebbe detto la madre il giorno successivo, si addormentò sulla poltrona logora. 

***

Ovviamente era stata sgridata per essersi accasciata sul divano, nel salotto. La cosa, aveva detto la madre, era inammissibile. Sarebbe stata punita in seguito, non avevano ancora deciso come. Amanda sperava di non dover dividere i rospi buoni da quelli cattivi. Quando arrivò a scuola nessuno fece caso al suo umore triste e mesto, cosa tra l’altro frequente nel Regno Stregonesco, ma a nessuno sfuggì il fatto che gli occhi della streghetta sembravano lampeggiare. Aveva, disse Verdognola ad Odretta, un nonsoché che la rendeva squisitamente perfetta. Forse, spiegò Odretta, era riuscita a trovare la Vera Infelicità o giù di lì. Solo Meriga parve vagamente turbata dal brusco cambiamento dell’amica, poiché non riusciva a spiegarselo e si riteneva in parte colpevole, anche se non capiva cosa le desse quella sensazione. Arrivate nel Grande Palazzo degli Studi Selettivi, la scuola del Regno Stregonesco, si sedettero come sempre ai loro banchi e fecero per due ore il noiosissimo tema di cucina “Il mio piatto prelibato”. Per Amanda fu difficile concentrarsi, più difficile del solito, perché ombre scure le agitavano i pensieri e non le permettevano di pensare alla corretta preparazione delle lingue di salamandra infarinate. Chiuse gli occhi, sperando che in quel modo il suo cervello si sarebbe fermato, anche per un solo attimo. Ma quello continuava ad elaborare dati su dati, frenetico e implacabile. Tutte le informazioni lette sulle creature fatate il giorno prima la mettevano in soggezione. Ora, molte più domande di quanto avrebbe realmente voluto, le affollavano la mente. Si chiese cose senza senso, a cui probabilmente nessuno sarebbe mai stato in grado di rispondere. Perché tutto quell’odio tra due mondi che erano nati come uno solo? E chi aveva dato inizio a quella battaglia di ideali? Chi aveva per primo iniziato a vedere tutto come un qualcosa di disgustoso? Chi l’aveva condannata all’infelicità per il suo odio verso le fate? Amanda riaprì gli occhi. Ormai era tutto diventato troppo, non poteva andare avanti così, lei sapeva che c’era qualcosa che doveva fare, ma non capiva cosa. Era tutto così confuso e ombroso e misterioso. Sospirò, per quella che forse era la trentesima volta in un giorno. Non si sarebbe arresa, si disse. Avrebbe lottato per dominare quel nuovo istinto incontrollabile che si era impadronito di tutta la sua persona. Certo, sarebbe stato molto più facile attuare il suo piano, se avesse saputo di cosa si trattava. Lasciò perdere i pensieri angoscianti, timorosa di non essere più in grado di controllarli, e, con uno sforzo sovraumano, terminò quel lungo e noioso tema. Sapeva di aver fatto un pessimo lavoro, per questo si avviò alla fine del tempo nell’aula di Volo con espressione ancora più triste. Amanda, come abbiamo già detto, non apprezzava il volo sulla scopa. Nel Regno Stregonesco bisognava lanciare una sorta di incantesimo-filastrocca sull’oggetto da far volare e impegnare tutta la propria concentrazione nell’intento. Molte streghe non riuscivano a volare splendidamente, ma tutti alla fine della scuola dovevano sapersi districare in questo difficile settore. Nel suo corso Amanda non era l’unica ad avere non pochi problemi con il volo, anche Meriga, Odretta, Verdognola, Dorseca e tante altre non brillavano, benché riuscissero a sollevarsi da terra. Solo tre persone erano abili nell’uso dell’incanto e il professore Gattimorti si districava in infinite lodi. Erano le tre sorelle gemelle Fullenor, Grazia, Panzia e Zranzia. Erano tutte e tre grasse, basse e brutte, ma nonostante ciò volteggiavano in aria con la grazia degli usignoli. Amanda le odiavano più di ogni altro, perché più di una volta i rimproveri di Gattimorti l’avevano paragonata a quelle tre. Amanda odiava ammettere che fossero così brave nell’utilizzo di un incantesimo tanto complesso da non riuscire bene neanche a Meriga, ma la realtà la obbligava ad ammettere che quelle tre erano proprio brave. Le ore di Volo erano quelle che odiava di più proprio per questo motivo. Le dava la nausea veder volteggiare in aria Grazia, mentre scuoteva i corti capelli rosso ispido, con Panzia, bionda come un’annegata, che la imitava sbeffeggiandola. Infine, per completare il quadretto, Zranzia si lasciava andare in balletti aerei, scuotendo le grasse braccia e mulinando la lunga chioma bruna, sempre untuosa. Lo spettacolo era riluttante e Amanda non poteva far altro che guardarlo dal suo angoletto della stanza, imprecando sottovoce contro la loro ineguagliabile bravura. Se solo avesse colto il loro segreto! Durante queste noiose lezioni Amanda si concedeva il lusso di pensare e rilassare le membra e la testa. Sognare non era una cosa ben vista nel Regno Stregonesco, per questo stava ben attenta che nessuno la notasse quando si abbandonava al miele dei sogni.
- Devi stare più dritta – la interruppe il professore, urlandole contro e indicandole la scopa – anche la postura è importante! Su, Amanda! RIPROVA!
Pigramente montò di nuovo in sella alla scopa, pronunciò la parolina magica, si concentrò al massimo, ma l’attrezzo parve non gradire e, per tutta risposta, la fece scivolare all’indietro. Come è prevedibile il professore la sgridò e le diede dei compiti supplementari. Quando Amanda uscì da scuola era stanca, ma decisa. Chiese a Meriga di avvertire i genitori che sarebbe uscita per un po’, anche se dubitava che avrebbero notato la sua assenza, e partì alla volta della Foresta Bruciata: per una volta nella vita aveva capito cosa voleva Amanda (cioè lei). 


 


















ANGOLO DELL'AUTRICE:
Mi sono resa conto che è passato moltissimo tempo dall'ultimo aggiornamento, così ho deciso di porre immediatamente rimedio... XD RIngrazio chiunque abbia letto la storia e soprattutto coloro che l'hanno recensita (a cui risponderò)... Beh, che dire? Come lo trovate? Fatemi sapere!!!



ANGOLO 

  

***

Ovviamente era stata sgridata per essersi accasciata sul divano, nel salotto. La cosa, aveva detto la madre, era inammissibile. Sarebbe stata punita in seguito, non avevano ancora deciso come. Amanda sperava di non dover dividere i rospi buoni da quelli cattivi. Quando arrivò a scuola nessuno fece caso al suo umore triste e mesto, cosa tra l’altro frequente nel Regno Stregonesco, ma a nessuno sfuggì il fatto che gli occhi della streghetta sembravano lampeggiare. Aveva, disse Verdognola ad Odretta, un nonsoché che la rendeva squisitamente perfetta. Forse, spiegò Odretta, era riuscita a trovare la Vera Infelicità o giù di lì. Solo Meriga parve vagamente turbata dal brusco cambiamento dell’amica, poiché non riusciva a spiegarselo e si riteneva in parte colpevole, anche se non capiva cosa le desse quella sensazione. Arrivate nel Grande Palazzo degli Studi Selettivi, la scuola del Regno Stregonesco, si sedettero come sempre ai loro banchi e fecero per due ore il noiosissimo tema di cucina “Il mio piatto prelibato”. Per Amanda fu difficile concentrarsi, più difficile del solito, perché ombre scure le agitavano i pensieri e non le permettevano di pensare alla corretta preparazione delle lingue di salamandra infarinate. Chiuse gli occhi, sperando che in quel modo il suo cervello si sarebbe fermato, anche per un solo attimo. Ma quello continuava ad elaborare dati su dati, frenetico e implacabile. Tutte le informazioni lette sulle creature fatate il giorno prima la mettevano in soggezione. Ora, molte più domande di quanto avrebbe realmente voluto, le affollavano la mente. Si chiese cose senza senso, a cui probabilmente nessuno sarebbe mai stato in grado di rispondere. Perché tutto quell’odio tra due mondi che erano nati come uno solo? E chi aveva dato inizio a quella battaglia di ideali? Chi aveva per primo iniziato a vedere tutto come un qualcosa di disgustoso? Chi l’aveva condannata all’infelicità per il suo odio verso le fate? Amanda riaprì gli occhi. Ormai era tutto diventato troppo, non poteva andare avanti così, lei sapeva che c’era qualcosa che doveva fare, ma non capiva cosa. Era tutto così confuso e ombroso e misterioso. Sospirò, per quella che forse era la trentesima volta in un giorno. Non si sarebbe arresa, si disse. Avrebbe lottato per dominare quel nuovo istinto incontrollabile che si era impadronito di tutta la sua persona. Certo, sarebbe stato molto più facile attuare il suo piano, se avesse saputo di cosa si trattava. Lasciò perdere i pensieri angoscianti, timorosa di non essere più in grado di controllarli, e, con uno sforzo sovraumano, terminò quel lungo e noioso tema. Sapeva di aver fatto un pessimo lavoro, per questo si avviò alla fine del tempo nell’aula di Volo con espressione ancora più triste. Amanda, come abbiamo già detto, non apprezzava il volo sulla scopa. Nel Regno Stregonesco bisognava lanciare una sorta di incantesimo-filastrocca sull’oggetto da far volare e impegnare tutta la propria concentrazione nell’intento. Molte streghe non riuscivano a volare splendidamente, ma tutti alla fine della scuola dovevano sapersi districare in questo difficile settore. Nel suo corso Amanda non era l’unica ad avere non pochi problemi con il volo, anche Meriga, Odretta, Verdognola, Dorseca e tante altre non brillavano, benché riuscissero a sollevarsi da terra. Solo tre persone erano abili nell’uso dell’incanto e il professore Gattimorti si districava in infinite lodi. Erano le tre sorelle gemelle Fullenor, Grazia, Panzia e Zranzia. Erano tutte e tre grasse, basse e brutte, ma nonostante ciò volteggiavano in aria con la grazia degli usignoli. Amanda le odiavano più di ogni altro, perché più di una volta i rimproveri di Gattimorti l’avevano paragonata a quelle tre. Amanda odiava ammettere che fossero così brave nell’utilizzo di un incantesimo tanto complesso da non riuscire bene neanche a Meriga, ma la realtà la obbligava ad ammettere che quelle tre erano proprio brave. Le ore di Volo erano quelle che odiava di più proprio per questo motivo. Le dava la nausea veder volteggiare in aria Grazia, mentre scuoteva i corti capelli rosso ispido, con Panzia, bionda come un’annegata, che la imitava sbeffeggiandola. Infine, per completare il quadretto, Zranzia si lasciava andare in balletti aerei, scuotendo le grasse braccia e mulinando la lunga chioma bruna, sempre untuosa. Lo spettacolo era riluttante e Amanda non poteva far altro che guardarlo dal suo angoletto della stanza, imprecando sottovoce contro la loro ineguagliabile bravura. Se solo avesse colto il loro segreto! Durante queste noiose lezioni Amanda si concedeva il lusso di pensare e rilassare le membra e la testa. Sognare non era una cosa ben vista nel Regno Stregonesco, per questo stava ben attenta che nessuno la notasse quando si abbandonava al miele dei sogni.

  • Devi stare più dritta – la interruppe il professore, urlandole contro e indicandole la scopa – anche la postura è importante! Su, Amanda! RIPROVA!

Pigramente montò di nuovo in sella alla scopa, pronunciò la parolina magica, si concentrò al massimo, ma l’attrezzo parve non gradire e, per tutta risposta, la fece scivolare all’indietro. Come è prevedibile il professore la sgridò e le diede dei compiti supplementari. Quando Amanda uscì da scuola era stanca, ma decisa. Chiese a Meriga di avvertire i genitori che sarebbe uscita per un po’, anche se dubitava che avrebbero notato la sua assenza, e partì alla volta della Foresta Bruciata: per una volta nella vita aveva capito cosa voleva Amanda (cioè lei). 

 

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Ovviamente era stata sgridata per essersi accasciata sul divano, nel salotto. La cosa, aveva detto la madre, era inammissibile. Sarebbe stata punita in seguito, non avevano ancora deciso come. Amanda sperava di non dover dividere i rospi buoni da quelli cattivi. Quando arrivò a scuola nessuno fece caso al suo umore triste e mesto, cosa tra l’altro frequente nel Regno Stregonesco, ma a nessuno sfuggì il fatto che gli occhi della streghetta sembravano lampeggiare. Aveva, disse Verdognola ad Odretta, un nonsoché che la rendeva squisitamente perfetta. Forse, spiegò Odretta, era riuscita a trovare la Vera Infelicità o giù di lì. Solo Meriga parve vagamente turbata dal brusco cambiamento dell’amica, poiché non riusciva a spiegarselo e si riteneva in parte colpevole, anche se non capiva cosa le desse quella sensazione. Arrivate nel Grande Palazzo degli Studi Selettivi, la scuola del Regno Stregonesco, si sedettero come sempre ai loro banchi e fecero per due ore il noiosissimo tema di cucina “Il mio piatto prelibato”. Per Amanda fu difficile concentrarsi, più difficile del solito, perché ombre scure le agitavano i pensieri e non le permettevano di pensare alla corretta preparazione delle lingue di salamandra infarinate. Chiuse gli occhi, sperando che in quel modo il suo cervello si sarebbe fermato, anche per un solo attimo. Ma quello continuava ad elaborare dati su dati, frenetico e implacabile. Tutte le informazioni lette sulle creature fatate il giorno prima la mettevano in soggezione. Ora, molte più domande di quanto avrebbe realmente voluto, le affollavano la mente. Si chiese cose senza senso, a cui probabilmente nessuno sarebbe mai stato in grado di rispondere. Perché tutto quell’odio tra due mondi che erano nati come uno solo? E chi aveva dato inizio a quella battaglia di ideali? Chi aveva per primo iniziato a vedere tutto come un qualcosa di disgustoso? Chi l’aveva condannata all’infelicità per il suo odio verso le fate? Amanda riaprì gli occhi. Ormai era tutto diventato troppo, non poteva andare avanti così, lei sapeva che c’era qualcosa che doveva fare, ma non capiva cosa. Era tutto così confuso e ombroso e misterioso. Sospirò, per quella che forse era la trentesima volta in un giorno. Non si sarebbe arresa, si disse. Avrebbe lottato per dominare quel nuovo istinto incontrollabile che si era impadronito di tutta la sua persona. Certo, sarebbe stato molto più facile attuare il suo piano, se avesse saputo di cosa si trattava. Lasciò perdere i pensieri angoscianti, timorosa di non essere più in grado di controllarli, e, con uno sforzo sovraumano, terminò quel lungo e noioso tema. Sapeva di aver fatto un pessimo lavoro, per questo si avviò alla fine del tempo nell’aula di Volo con espressione ancora più triste. Amanda, come abbiamo già detto, non apprezzava il volo sulla scopa. Nel Regno Stregonesco bisognava lanciare una sorta di incantesimo-filastrocca sull’oggetto da far volare e impegnare tutta la propria concentrazione nell’intento. Molte streghe non riuscivano a volare splendidamente, ma tutti alla fine della scuola dovevano sapersi districare in questo difficile settore. Nel suo corso Amanda non era l’unica ad avere non pochi problemi con il volo, anche Meriga, Odretta, Verdognola, Dorseca e tante altre non brillavano, benché riuscissero a sollevarsi da terra. Solo tre persone erano abili nell’uso dell’incanto e il professore Gattimorti si districava in infinite lodi. Erano le tre sorelle gemelle Fullenor, Grazia, Panzia e Zranzia. Erano tutte e tre grasse, basse e brutte, ma nonostante ciò volteggiavano in aria con la grazia degli usignoli. Amanda le odiavano più di ogni altro, perché più di una volta i rimproveri di Gattimorti l’avevano paragonata a quelle tre. Amanda odiava ammettere che fossero così brave nell’utilizzo di un incantesimo tanto complesso da non riuscire bene neanche a Meriga, ma la realtà la obbligava ad ammettere che quelle tre erano proprio brave. Le ore di Volo erano quelle che odiava di più proprio per questo motivo. Le dava la nausea veder volteggiare in aria Grazia, mentre scuoteva i corti capelli rosso ispido, con Panzia, bionda come un’annegata, che la imitava sbeffeggiandola. Infine, per completare il quadretto, Zranzia si lasciava andare in balletti aerei, scuotendo le grasse braccia e mulinando la lunga chioma bruna, sempre untuosa. Lo spettacolo era riluttante e Amanda non poteva far altro che guardarlo dal suo angoletto della stanza, imprecando sottovoce contro la loro ineguagliabile bravura. Se solo avesse colto il loro segreto! Durante queste noiose lezioni Amanda si concedeva il lusso di pensare e rilassare le membra e la testa. Sognare non era una cosa ben vista nel Regno Stregonesco, per questo stava ben attenta che nessuno la notasse quando si abbandonava al miele dei sogni.

  • Devi stare più dritta – la interruppe il professore, urlandole contro e indicandole la scopa – anche la postura è importante! Su, Amanda! RIPROVA!

Pigramente montò di nuovo in sella alla scopa, pronunciò la parolina magica, si concentrò al massimo, ma l’attrezzo parve non gradire e, per tutta risposta, la fece scivolare all’indietro. Come è prevedibile il professore la sgridò e le diede dei compiti supplementari. Quando Amanda uscì da scuola era stanca, ma decisa. Chiese a Meriga di avvertire i genitori che sarebbe uscita per un po’, anche se dubitava che avrebbero notato la sua assenza, e partì alla volta della Foresta Bruciata: per una volta nella vita aveva capito cosa voleva Amanda (cioè lei). 

 

***

Ovviamente era stata sgridata per essersi accasciata sul divano, nel salotto. La cosa, aveva detto la madre, era inammissibile. Sarebbe stata punita in seguito, non avevano ancora deciso come. Amanda sperava di non dover dividere i rospi buoni da quelli cattivi. Quando arrivò a scuola nessuno fece caso al suo umore triste e mesto, cosa tra l’altro frequente nel Regno Stregonesco, ma a nessuno sfuggì il fatto che gli occhi della streghetta sembravano lampeggiare. Aveva, disse Verdognola ad Odretta, un nonsoché che la rendeva squisitamente perfetta. Forse, spiegò Odretta, era riuscita a trovare la Vera Infelicità o giù di lì. Solo Meriga parve vagamente turbata dal brusco cambiamento dell’amica, poiché non riusciva a spiegarselo e si riteneva in parte colpevole, anche se non capiva cosa le desse quella sensazione. Arrivate nel Grande Palazzo degli Studi Selettivi, la scuola del Regno Stregonesco, si sedettero come sempre ai loro banchi e fecero per due ore il noiosissimo tema di cucina “Il mio piatto prelibato”. Per Amanda fu difficile concentrarsi, più difficile del solito, perché ombre scure le agitavano i pensieri e non le permettevano di pensare alla corretta preparazione delle lingue di salamandra infarinate. Chiuse gli occhi, sperando che in quel modo il suo cervello si sarebbe fermato, anche per un solo attimo. Ma quello continuava ad elaborare dati su dati, frenetico e implacabile. Tutte le informazioni lette sulle creature fatate il giorno prima la mettevano in soggezione. Ora, molte più domande di quanto avrebbe realmente voluto, le affollavano la mente. Si chiese cose senza senso, a cui probabilmente nessuno sarebbe mai stato in grado di rispondere. Perché tutto quell’odio tra due mondi che erano nati come uno solo? E chi aveva dato inizio a quella battaglia di ideali? Chi aveva per primo iniziato a vedere tutto come un qualcosa di disgustoso? Chi l’aveva condannata all’infelicità per il suo odio verso le fate? Amanda riaprì gli occhi. Ormai era tutto diventato troppo, non poteva andare avanti così, lei sapeva che c’era qualcosa che doveva fare, ma non capiva cosa. Era tutto così confuso e ombroso e misterioso. Sospirò, per quella che forse era la trentesima volta in un giorno. Non si sarebbe arresa, si disse. Avrebbe lottato per dominare quel nuovo istinto incontrollabile che si era impadronito di tutta la sua persona. Certo, sarebbe stato molto più facile attuare il suo piano, se avesse saputo di cosa si trattava. Lasciò perdere i pensieri angoscianti, timorosa di non essere più in grado di controllarli, e, con uno sforzo sovraumano, terminò quel lungo e noioso tema. Sapeva di aver fatto un pessimo lavoro, per questo si avviò alla fine del tempo nell’aula di Volo con espressione ancora più triste. Amanda, come abbiamo già detto, non apprezzava il volo sulla scopa. Nel Regno Stregonesco bisognava lanciare una sorta di incantesimo-filastrocca sull’oggetto da far volare e impegnare tutta la propria concentrazione nell’intento. Molte streghe non riuscivano a volare splendidamente, ma tutti alla fine della scuola dovevano sapersi districare in questo difficile settore. Nel suo corso Amanda non era l’unica ad avere non pochi problemi con il volo, anche Meriga, Odretta, Verdognola, Dorseca e tante altre non brillavano, benché riuscissero a sollevarsi da terra. Solo tre persone erano abili nell’uso dell’incanto e il professore Gattimorti si districava in infinite lodi. Erano le tre sorelle gemelle Fullenor, Grazia, Panzia e Zranzia. Erano tutte e tre grasse, basse e brutte, ma nonostante ciò volteggiavano in aria con la grazia degli usignoli. Amanda le odiavano più di ogni altro, perché più di una volta i rimproveri di Gattimorti l’avevano paragonata a quelle tre. Amanda odiava ammettere che fossero così brave nell’utilizzo di un incantesimo tanto complesso da non riuscire bene neanche a Meriga, ma la realtà la obbligava ad ammettere che quelle tre erano proprio brave. Le ore di Volo erano quelle che odiava di più proprio per questo motivo. Le dava la nausea veder volteggiare in aria Grazia, mentre scuoteva i corti capelli rosso ispido, con Panzia, bionda come un’annegata, che la imitava sbeffeggiandola. Infine, per completare il quadretto, Zranzia si lasciava andare in balletti aerei, scuotendo le grasse braccia e mulinando la lunga chioma bruna, sempre untuosa. Lo spettacolo era riluttante e Amanda non poteva far altro che guardarlo dal suo angoletto della stanza, imprecando sottovoce contro la loro ineguagliabile bravura. Se solo avesse colto il loro segreto! Durante queste noiose lezioni Amanda si concedeva il lusso di pensare e rilassare le membra e la testa. Sognare non era una cosa ben vista nel Regno Stregonesco, per questo stava ben attenta che nessuno la notasse quando si abbandonava al miele dei sogni.

  • Devi stare più dritta – la interruppe il professore, urlandole contro e indicandole la scopa – anche la postura è importante! Su, Amanda! RIPROVA!

Pigramente montò di nuovo in sella alla scopa, pronunciò la parolina magica, si concentrò al massimo, ma l’attrezzo parve non gradire e, per tutta risposta, la fece scivolare all’indietro. Come è prevedibile il professore la sgridò e le diede dei compiti supplementari. Quando Amanda uscì da scuola era stanca, ma decisa. Chiese a Meriga di avvertire i genitori che sarebbe uscita per un po’, anche se dubitava che avrebbero notato la sua assenza, e partì alla volta della Foresta Bruciata: per una volta nella vita aveva capito cosa voleva Amanda (cioè lei). 

 

   
 
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