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Autore: Ilaja    10/08/2011    1 recensioni
Ci troviamo in Austria, in un periodo sempre più prossimo al nostro presente. Un'Austria combattuta, che sfocia nell'oscurità. Un'Austria abitata sia da umani che da creature sovrannaturali, che dovrebbero costituire un unico gruppo, un unico branco.
Così non è. Perchè a regolarne lo svolgimento è una forza malevola e potente, una animata da un interebbe ben più alto del semplice 'dominio sul mondo'.
Lei detta legge. E non una legge uguale per tutti. L'Egalitè, la Fraternitè e la Libertè francesi sono poste contro il loro naturale opposto. Stiamo parlando dell'Adìkia, in greco letteralmente "ingiustizia". Stiamo parlando della legge della selezione naturale.
Della legge del più forte.
Storia classificata seconda al contest "Supernatural mistery" indetto da Oyzis
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Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8. La gemma della verità

 


Quando entrò nel cunicolo indicatole da Jason, Abby ebbe come primo impulso quello di tornarsene a casa. Quel posto sapeva di morte.

Bruciature sulla parete della caverna testimoniavano lo svolgersi di una battaglia, e c’erano rune minacciose a spaventare chiunque osasse dirigersi attraverso quella via. “‘Non ritentate la via del male’? Intendi dire che l’avevano già scoperto?”

“Dopo, Abby” rispose Jason, intimandole il silenzio. “Quando siamo là.”

“Ma là non …”

“Ti prego.”

Abby si zittì. Continuarono a camminare, silenziosi, tra le macerie di quella strada. Si vedeva che nessuno l’aveva più utilizzata da tre anni. Evidentemente, dopo l’evasione che era stata repressa, le Ombre avevano talmente aumentato la guardia che la gente non si era nemmeno sognata di riprovarci.

L’uomo che li conduceva sembrava conoscere bene Jason. Li era venuto a prendere dopo il crollo, creato per non destare sospetti. Delle volte scambiava con il ragazzo degli sguardi d’intesa. Parlavano con lo sguardo.

Abby si strinse ancora di più al braccio del compagno. Il buio troneggiava in quel luogo. Le ombre si addensavano per non farli passare.

Per una ventina di minuti camminarono nell’oscurità, illuminati solo dal flebile bagliore dell’orologio digitale di Abby, che a tratti spariva a tratti ricompariva, nascosto dalle rocce che passava la ragazza. Segnava le 23.11.

Jason le sussurrò: “Ancora un piccolo sforzo.”

Dopo, videro la luce.

 

Il regno delle Ombre non era affatto tetro come immaginava Abby. Luci rossastre davano luce ai lavoratori, che scavavano nuove gallerie per le Ombre, mentre un enorme raggio di luce bianca si dipanava tra mille corridoi, raggiungendo anche il loro.

Abby, tutt’un tratto, si sentì male. Si aggrappò al braccio di Jason d’istinto, facendolo cadere. La testa le girava, iniziò a sudare mentre la pressione aumentava, e un improvviso vuoto irruppe nel suo cuore, spaccandolo.

Sentì Jason imprecare. “Non pensavo …” La raccolse da terra e la tenne fra le sue braccia. “Tra un po’ passa, amore mio” udì che le mormorava in un orecchio. “Tra un po’ passa …”

Non passò, e il buio occupò anche i suoi occhi.

Amore mio, pensò, e perse conoscenza.

 

Quando si riebbe, la luce troneggiava ancora, sopra di lei. Ora che era così vicina, riusciva a capire di cosa si trattava. Erano cristalli luminosi, che spuntavano dal terreno con frequenza spaventosa. Luccicavano come lucciole la sera.

“Ti sei ripresa.” Jason le sorrise.

Lei era troppo confusa per ricambiare. C’era gente al suo capezzale. Donne, uomini, bambini piccoli e magri. La stavano fissando come si fissa un fantasma; paura, ma anche una punta d’invidia.

Abby si sentiva un fantasma.

“Dove siamo? Dov’è la mia famiglia? Che mi è successo?” articolò debolmente, cercando di tirarsi su. Jason la costrinse a sdraiarsi. “Ora sei al sicuro. Non c’è da preoccuparsi, quello che hai avuto è stata la reazione comune quando si entra in contatto con le Ombre.”

“Ma ancora non ne ho vista una!”

“Sei negli appartamenti della schiavitù, Abby. Sono lontane, ma si sentono molto forte. E’ normale che tu abbia avuto una leggera caduta. Troppo dolore per una persona come te” le fece una carezza.

Lei arrossì. “Cos’è successo?” chiese poi, sulle spine.

“Nulla di che. Manca poco all’esecuzione e …” lanciò un’occhiata al suo orologio da polso “E il Cristallo è quasi distrutto.”

“Che cosa? Come avete fatto a farlo” guardò anche lei “… in dodici minuti?” Si tirò su a sedere. La testa ancora le girava, ma adesso riusciva a concentrarsi su quanto doveva fare.

“Osserva” disse con un gran sorriso Jason. Aveva l’aria di uno appena tornato a casa.

Abby lo fece. E rimase a bocca aperta.

 

***

 

“Mio Dio. Che posto è mai questo?” Kitty caracollò con sollievo fuori dal cunicolo, felice di non dover più sopportare il puzzo di carogna e le inquietanti bruciature che segnavano il passaggio in quel luogo angusto. Seguita a ruota da Austin e Dumas, improvvisamente si ritrovò in una sala. Alta. Luminosa. Enormi colonne di pietra portanti sostenevano la struttura, mentre spuntoni di roccia rendevano arduo il sentiero, pungolandolo da lato a lato. Kitty si sarebbe aspettata un cunicolo, un buco usato come tana. Invece, si trovava di fronte a immensi siti sotterranei, ingegnosamente architettati, meravigliosi da vedere.

Impalcature in legno si affacciavano lungo la via, con al di sopra gente magra e minuta che lavorava come se ossessa, si affrettava a passarsi gli strumenti da muratore, urlava ordini e minacce, seguite da frustate che brillavano alla luce rossa dei fari artificiali, e a quella bianca di alcuni cristalli fosforescenti che si affacciavano dalla volta della grotta.

In effetti, non era una vera e propria grotta. Era più un edificio ‘interrato’, una cosa stile Signore degli Anelli: ritocchi antichi e barocchi donavano alla struttura un fascino antico, ed imponenti monumenti, come archi e altari sparsi un po’ per l’enorme sala, facevano accapponare la pelle alla povera Kitty.

Prima ancora che potesse reagire, Austin le indicò un altro fatto straordinario: il movimento della gente.

Quei poveri diavoli – che Kitty avrebbe subito liberato – si arrampicavano sulla roccia come formiche. Evidentemente, era tanto il tempo che avevano avuto a disposizione per prendere confidenza con il loro luogo di lavoro, che ne erano diventati una parte. E in senso letterale; gli schiavi non usavano scale per salire sulle impalcature, bensì le proprie gambe. Anche su steli di roccia liscia perfettamente levigata, loro facevano leva con la pianta del piede, per scivolarle sopra e aderire completamente con il materiale.

Il tutto, Kitty lo osservava da uno spuntone di roccia nascosto nell’ombra, al riparo dagli sguardi delle guardie. Che, ora che la ragazza si era leggermente ripresa dallo spavento erano …

Troppo tardi: lei, il suo ragazzo e il suo capo svennero quasi contemporaneamente, mentre molte mani li agguantavano e li tiravano via, dentro una fessura della parete. Presto essa si richiuse e non ci fu traccia dell’incursione degli agenti.

 

“Chi siete? Cosa volete?”

Al risveglio dei poliziotti, Abby e gli altri iniziarono a tartassarli di domande fino a scoppiare. Come avevano fatto ad entrare? E perché erano armati?

Una giovane donna, non molto più grande di Jason, rinvenne per prima. La ragazza accorse da lei, guardandola ostile. “Chi è lei?”

La donna la guardò senza capire. Gli occhi scuri erano segnati da rughe di stanchezza, e le ciocche lunghe di capelli castani bagnate dalla pioggia. Fuori allora era scoppiato un temporale di fine estate. “Mi chiamo Kitty Jones” rantolò debolmente. “E sono qui per cercare l’assassino di mia sorella.”

Se quella frase avrebbe dovuto sconvolgere la folla di persone che li circondava, non vinse nel suo intento. La gente non ci fece caso e continuò a raggrupparsi tra i tre nuovi venuti, nella speranza che avessero portato nuove notizie, per liberarli.

Abby non alzò un sopracciglio. “Assassino? Ah, capisco.” Sospirò. “Qui tutti stiamo cercando di farlo fuori. Se ci aiutate, riusciremo a liberare questa gente. E i miei genitori.” L’aiutò ad alzarsi. “Vede quei cavi?” disse, indicandole una serie di linee metalliche sospese sul soffitto. Erano trapuntate da piccoli portavivande, a malapena grandi per far salire un uomo. Evidentemente erano usati dai servi per girare più velocemente da una parte all’altra degli scavi, forse per consegnare qualche messaggio, o del materiale da lavoro. “Mi segua” disse la ragazza. “Abbiamo un sacco di lavoro da sbrigare. Ah, si metta questi” Le lanciò una serie di indumenti zozzi e consumati. “Così si confonderà tra la folla.”

“Ma io …” Kitty non riusciva più a capire nulla. Possibile che quel mutante abbia assoggettato tanta gente per costruirgli un palazzo sotterraneo?

Dietro di lei udì un mugugno. “Austin!” chiamò, e, gettati a terra gli indumenti, si fece strada tra i curiosi per soccorrere lui e Dumas, appena svegli.

Non fece però in tempo a parlargli che qualcuno sovrastò il chiasso degli schiavi.

“Cosa succede qui?” Una voce possente tuonò tra le mura della piccola stanza in cui si trovavano. Tra le persone si fece largo un uomo alto, dalle fattezze rozze, con una barba sfatta e lunghi capelli che celavano uno sguardo torbido come l’argilla agli occhi degli altri. Dalla deferenza con cui si rivolgevano a lui, Kitty capì che si doveva trattare di un pezzo grosso. “Sapevamo che Abigail …”

“Abby” ribatté lei, seccata. Alcuni ridacchiarono.

“… che Abby e Jason sarebbero dovuti venire qui, dal segnale che ci ha dato. Ma voi, chi siete?”

Kitty, rizzatasi in piedi, rispose con un’altra domanda. “Jason? Jason Mitchigan, residente alla malga dei Redland è qui?”

“Certo che è qui” affermò Abby in risposta. “E’ lui ad organizzare la Resistenza, in questo posto. E vorrebbe, come tutti noi, sapere come avete fatto ad entrare e se ci aiuterete entro …” guardò l’orologio “entro quaranta minuti a sabotare lo scambio che le Ombre hanno organizzato tra me, Jason e la mia famiglia.”

L’agente Jones fu colta alla sprovvista. Ma in che posto sono finita? “Perdonatemi, ma non capisco. Io, il comandante Dumas e Austin siamo venuti qui inseguendo Jason Mitchigan, indagato per omicidio da tutti i dipartimenti di polizia di Vienna. Pensavamo che fosse fuggito perché colpevole. Dov’è ora?” chiese poi, cercando il ragazzo di cui aveva la foto tra le persone che la circondavano.

La ragazza con cui stava parlando, però, non era del parere di lasciarla passare. “Signora Jones” disse, distruggendo l’autorità di Kitty con il solo sguardo sprezzante. “Posso assicurarle che c’è un errore. Jason non farebbe mai una cosa del genere. E’ fuori discussione.” Si voltò e fece per andarsene, quando fu bloccata dalla mano dura di Austin. “Il tuo amico” disse il giovane “ha ucciso cinque o sei persone in queste settimane. Desideriamo interrogarlo per accertamenti. E se pensi di fuggire” aggiunse, ringhiandole contro. “Dovrai essere indagata anche tu per collaborazione e oltraggio a pubblico ufficiale.”

La ragazzina si agitò sotto la sua presa. “Qui le regole della repubblica non contano, Cristo! Vede questa gente?” E gli indicò i lavoratori. “Sono tutti alle spese di un branco di Ombre assatanate, che tra mezz’ora, se non ci muoviamo, prenderanno anche me e la mia famiglia! E visto che voi intendete trattenere Jason, per quale diabolico motivo Dio solo lo sa, be’, ve lo impedirò! Lui sta organizzando la Resistenza a questo scambio, e, in carcere o morta, continuerò a proteggerlo, che lo vogliate o no!”

Il ragazzo in questione corse via, nell’ombra.

 

***

 

“Mamma.”

“Dimmi, tesoro.”

“Non ci uccideranno, vero? Abby e Jason verranno a prenderci, vero? Loro non ci abbandoneranno mai.” Era un’affermazione, non una speranza.

La donna sospirò. “Preferirei che lo facessero. Nessuno è in gradi di vivere tra queste mura gelide, e con quelle creature …” Le vennero i brividi al solo pensarci.

“Piccolo, come vanno le ferite?”

“Fanno male.”

“Ce la faremo, ne sono certo.”

“Sì papà. Ce la faremo.”

Le porte si aprirono e l’essere scivolò, viscido, sul pavimento in pietra levigata. “E’ il vostro turno. Rito di purificazione prima della cerimonia.”

Il bambino gemette. “Lasciaci vivere!” strillò, come impazzito. “Fa male!”

Le urla salirono fino al cielo.

  
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