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Autore: coshicoshi    10/08/2011    3 recensioni
Tonks indaga su dove abiti Remus e lo raggiunge. Vuole parlargli e possibilmente distrarlo un po' dai suoi pensieri. E' esattamente il giorno seguente alla morte di Silente.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Ed ecco qui la seconda parte dopo sole due settimane. :) Buona lettura a tutti quanti!




Pochi istanti dopo Remus aprì gli occhi.
La prima cosa che avvertì fu un brivido di freddo a contatto con il duro selciato in pietra.
Era scalzo e vestiva ancora con gli stessi pantaloni e la stessa logora canottiera di poco prima, dato che Tonks non gli aveva concesso tempo per cambiarsi.
Sorrise tra sé: sapeva ormai da tempo che certe sottigliezze non rientravano nella mentalità della ragazza, così si guardò attorno per capire dove diavolo fosse.
Si trovava nella piazzetta circolare di quello che pareva un villaggio di poca importanza.
Nel centro si trovava una fontana in marmo, annerita da scritte di varie coppiette, in cui diversi paffuti angioletti reggevano cornucopie da cui in teoria sarebbe dovuta sgorgare l’acqua.
Remus si avvicinò al bordo della fontana per osservarne il fondo.
Era arido. In qualche punto si potevano perfino scorgere delle crepe sottili e ciuffi d’erba.
“Benvenuto nella ridente cittadina di Sandwell.” gli disse Tonks arrivando al suo fianco.
Lui alzò un sopracciglio e si guardò nuovamente attorno, arrivando alla conclusione che Sandwell di ridente aveva ben poco, ma evitò di dirlo ad alta voce, temendo di offenderla.
“Lo so, a prima vista non è un granché.” ammise lei, evidentemente indovinando i suoi pensieri . “Ma come in tutte le cose non bisogna fermarsi alle apparenze. Dico bene?”
Sicuro che le sue parole non fossero più riferite al mero giudizio del paesaggio, Remus si affrettò a cambiare argomento.
“Dici bene, Ninfadora. Ma probabilmente lo apprezzerei molto di più con qualcosa di decente addosso. La mia uniforme da casa non è proprio adatta ad una visita turistica, no?”
Tonks lo squadrò dall’alto in basso, sorpresa come se si fosse accorta solo in quel momento del suo vestiario. Il che probabilmente era vero.
“Già. Ti ci vuole qualcosa di adeguato.” osservò seriamente.
“Allora mi lasci tornare indietro per qualche istante? Solo per recuperare dei vestiti normali.”
“Per poi rimanere qui ad aspettarti come un’idiota mentre tu scappi senza avvisare? Non credo proprio!”.
Fece una smorfia, senza tuttavia apparire davvero divertita e si incamminò verso una via laterale.
“Tu aspettami qui!” gli intimò. “Tanto ormai so dove venirti a cercare!”
Remus sospirò, sapendo che era inutile insistere e si sedette sul margine della fontana, guardando la chioma color topo di Tonks allontanarsi sempre più con una sorta di stretta al cuore, non desiderando altro che prenderla tra le sue braccia.
Ma che stai facendo, Remus? si disse mentalmente l’uomo. Ancora una volta dimostri di non essere nient’altro che un egoista. Non la puoi avere e non la avrai mai, fattene una ragione.
E come puoi pensare a certe cose in un momento come questo? Lei è in pericolo, tu sei in pericolo... Tutti lo siamo. Ed ora Silente è morto. Non c’è più. Silente…
Remus si prese il capo tra la mani, per impedirsi di urlare dal dolore.
Lo stava rifacendo. I suoi pensieri, ormai incontrollati, stavano deviando in una zona pericolosa, in una zona dove i ricordi e i fantasmi erano troppo vividi per poter essere sopportati.
Se non si fosse dominato, era sicuro che sarebbe impazzito per davvero.
“Eccomi di ritorno. Vedo che hai fatto il bravo bambino e mi hai ubbidito.. Saggia scelta.”
Remus alzò lo sguardo, grato per quell’improvvisa ancora che gli era stata offerta, per posarlo sulla ragazza in piedi davanti a lui.
 Gli stava porgendo un involucro di carta bianca e sul viso aveva uno sguardo serio, tanto per cambiare.
“Che cos’è?” domandò Remus sospettoso, accettandolo.
“Lo apri e vedi, no?”
Remus rialzò lo sguardo su di lei, che lo ricambiò, perplessa.
Un pensiero improvviso gli aveva attraversato la mente.
Forse ottenere un suo sorriso non era un’impresa poi così difficile.
Sarebbe bastato alzarsi, prenderla tra le braccia e dirle che la amava, che la desiderava.. Tutto quello che lei avrebbe voluto sentirsi dire. Sarebbe stato facile, e probabilmente dopo lei non avrebbe avuto esitazioni a donarsi a lui e avrebbero potuto.. stare insieme.
Remus rabbrividì all’idea di fare l’amore con lei, di sentire le sue mani su tutto il corpo, il suo calore, di poterla toccare…
“Remus? Ti decidi o devo darti una mano?”
Tonks lo stava fissando, un po’ sconcertata dalla lunga esitazione.
“Sì, certamente. Scusami.”
E iniziò a scartare il pacchetto, vergognandosi profondamente delle proprie fantasie.
Come poteva anche solo pensare di cedere? Sarebbe stato sbagliato, malsano e soprattutto pericoloso.
Dovrei esserci abituato ormai, pensò Remus con amarezza, finendo di scartare un paio di quelli che avevano tutta l’aria di essere..
“Pantaloni?”
Tonks lo guardò soddisfatta e gli fece cenno di continuare.
Remus inarcò le sopracciglia e continuò la sua opera, estraendo infine una camicia e un paio di scarpe.
Il tutto era indiscutibilmente nuovo e di ottima fattura.
“Per Morgana, Tonks!” esclamò Remus. “Questi.. Questi non sono i miei vestiti! Mi spiace, ma non posso accettarli!”
E con queste parole ficcò gli indumenti nel pacchetto dal quale erano usciti, appoggiandolo sul bordo della fontana, il più lontano possibile.
“Remus!” esclamò la ragazza, indignata “Poco fa mi hai detto che avresti fatto quello che ti dicevo, ricordi? Non vorrai rimangiarti tutto?”
“Io avevo detto che potevi portarmi dove volevi, non che avrei fatto tutto quello che volevi, Tonks. Quindi, mi spiace, ma non li indosserò.”
Incrociò le braccia sul petto, rimarcando la propria decisione e fissandola furente.
“Sai bene che l’ultima cosa che voglio è la carità. E in particolare da te.”
“E questo cosa vorrebbe dire?”
“Vorrebbe dire che mi voglio tenere stretto quell’ultimo briciolo di dignità che mi rimane.”
Tonks lasciò passare qualche istante prima di rispondere, ma sul suo volto apparve un’espressione intenerita.
“Sei così orgoglioso.”. Sospirò. “Tipico di voi Grifondoro. E va bene, mettiamola così. Questi..” disse estraendo nuovamente i pantaloni  “Sono il mio regalo anticipato di Natale.”
“Tonks..” la interruppe Remus, suo malgrado sorridendo.
“Aspetta, testone d’un lupo. Fammi finire! Questa camicia invece è il regalo anticipato per il tuo compleanno..”
“Che non cadrà prima di nove mesi..”
“E quanto alle scarpe..” proseguì lei senza badargli “Beh, loro sono il mio dono pasquale.”
“A Pasqua non si fanno regali, se ben ricordo.” osservò Remus, sapendo tuttavia di essere stato sconfitto.
“E tu fai conto di averle trovate nell’uovo di Pasqua, allora.” concluse lei soddisfatta. “Avanti, fila a cambiarti. Io ti aspetto qui.”
E quando si sedette sulla fontana e alzò il suo sguardo su di lui, piegò le labbra in un sorriso dolcissimo.
Era la prima volta da mesi che Remus la vedeva a sorridere.
Fu questo, più di ogni altra cosa a convincerlo a raccogliere il pacchetto e a dirigersi nel più vicino vicolo appartato.
 
“Stai benissimo.” disse Tonks non appena Remus fece ritorno, mangiandoselo con gli occhi.
Lui si guardò dall’alto. In effetti i vestiti che Tonks gli aveva regalato gli rendevano più giustizia del solito, ma da lì a poter sembrare attraente per qualcuno..
“Fidati!” esclamò lei, captando la sua occhiata scettica. “Smettila di sminuirti sempre così. E ora andiamo! Non crederai che ti abbia portato fin qui per farti ammirare una fontana sbeccata, spero!”
“Beh, io lo trovo un interessante cimelio storico. Ma mi piacerebbe sapere la nostra destinazione finale, se devo essere sincero.”
Lei non rispose, ma sul suo volto apparve un sorrisetto enigmatico e indicò alle proprie spalle, in direzione della fontana.
Remus obbedì e strabuzzò gli occhi, stupefatto dalla trasformazione.
Le cornucopie che reggevano i paffuti angioletti erano sparite. Al loro posto si erano materializzati dei bicchieri e delle bottiglie. Uno di loro reggeva un cartello con la scritta Il dragone zoppo in una mano e un calice di pietra nell’altra.
Da quest’ultimo sgorgava un liquido ambrato in cui Remus immerse l’indice.
“Whiskey Incendiario?” chiese stupito, dopo averlo assaggiato. “Tonks, dove diavolo mi portato?”
“Ti scandalizzi per così poco, professore?” chiese lei divertita. “Pensavo che la vita dissoluta ti piacesse. Insomma, tra le tue amichette e il gioco d’azzardo..”
Remus addocchiò un cherubino che teneva ben stretto un mazzo di carte da poker nel pugno grassoccio e inarcò le sopracciglia.
“Molto divertente.”  disse, pur non riuscendo a trattenere un sorriso.
“Allora?” lo incalzò lei. “Ti ci porto? Se pensi che sia un posto troppo ‘spinto’ per te, possiamo sempre andare a prendere un the da Madama Piediburro..”
Remus represse una smorfia al ricordo della nauseante saletta piena di pizzi in cui l’aveva portato Sirius anni addietro, facendogli credere che si trattasse di una nuova libreria.
“Grazie, ma.. No, grazie. Andiamo dove dici tu.”
E cogliendo sia lei che sé stesso di sorpresa, la prese per mano, intrecciando le dita alle sue.
Remus la avvertì irrigidirsi per un istante, prima che ricambiasse la stretta con forza.
“Allora siamo d’accordo.”
E si avviarono in una strada spaziosa, in silenzio, lasciandosi cullare dal calore della mano dell’altro, camminando lentamente per prolungare quei momenti di pace.
Remus cercava in tutti i modi di non pensare, e mai come in quel momento la cosa gli era riuscita così semplice.
Si era giusto scoperto a desiderare che quella piccola passeggiata non finisse mai, quando Tonks si stoppò.
“Eccoci arrivati.” disse.
Si trovavano giusto sulla soglia di un portone laccato verde. Un’insegna con su disegnato un drago senza una zampa cigolava piano sopra di loro.
Era ormai arrivato il tramonto.
“Allora entriamo?” gli si rivolse Tonks.”Di solito è un posto molto frequentato anche non durante la notte, immaginati un po’ tu il motivo.”
Spinse l’uscio, che ruotò sui cardini senza un solo rumore, ed entrarono, ritrovandosi in un’unica grande sala, che pareva però immersa nella nebbia a causa del fumo multicolore tipico delle pipe usate dai maghi.
Quando la cortina si dissipò, Remus notò che il locale era molto accogliente, arredato con tavoli e sedie in legno scuro. In un angolo si trovavano due tavoli da biliardo e dall’altro lato della stanza un lungo bancone adornato da quelle che parevano vere squame verdi.
Remus notò perfino un paio di teste di drago appese alle parete.
Un trofeo piuttosto insolito,  pensò divertito.
Come aveva predetto Tonks, il locale era decisamente affollato, nonostante fosse appena calata la sera, ma Remus percepì che c’era qualcosa che non andava.
Tanto per iniziare l’atmosfera era piuttosto deprimente. Pareva che l’unico suono, per così dire allegro, provenisse da un vecchio baffuto che suonava una fisarmonica in un angolo e, inoltre, non vi era traccia del cicalio consueto di una folla.
Tutti i vari avventori erano riuniti a coppie o a gruppetti di poche persone e le poche parole che si scambiavano avevano un tono lugubre.
Molte persone avevano sguardi cupi. E alcuni di loro, invece di unirsi alla conversazione, sedevano ai tavoli da soli, con la sola compagnia di un bicchiere di Odgen Stravecchio.
All’improvviso un ometto calvo con gli occhiali uscì di gran fretta da una porticina alla loro destra e, senza degnarli di uno sguardo, agitò la bacchetta per evocare un lungo drappo nero.
“Scusi, e quello per cosa sarebbe?” gli domandò Tonks, indicandolo.
Remus sentì improvviso un crampo allo stomaco e si scostò da lei come se si fosse scottato: lui aveva già intuito a che scopo servisse.
L’uomo staccò gli occhi dal suo lavoro solo per lanciarle un’occhiata sdegnosa e indicò in silenzio una bacheca in sughero alle loro spalle.
Ad essa era affissa una pagina di giornale ingrandita di diverse volte.
Recitava così.
La morte di Albus Silente, un duro colpo per l’intera comunità magica.
Sottotitolo: Invitiamo l’intera popolazione a riunirsi per una giornata di lutto nazionale.
E seguiva un lunghissimo articolo, completo di foto mobile.
E, sostenendo lo sguardo di quei penetranti occhi azzurri, Remus sentì un potente senso di nausea impadronirsi di lui.
Come aveva potuto pensare anche solo per un attimo di sfuggire alla realtà e ai suoi problemi?
Silente se n’era andato, non c’era più e non poteva più aiutare nessuno. E tutte le conseguenze di questa tragedia gli piombarono sulle spalle con il peso di una cascata.
“Remus, io..”.
Le parole di Tonks parevano arrivare da molto lontano.
“Remus, io non immaginavo che.. Ti prego, scusami.”
Lui finalmente le prestò attenzione e notò che la ragazza era praticamente in lacrime.
“Se avessi saputo del lutto non ti avrei mai portato qui.” disse lei a testa bassa. “Ho peggiorato le cose.. Mi sento così stupida. Ora vorrai tornartene a casa, suppongo..”
Sembrava davvero umiliata. Ed era stata così premurosa a venirlo a cercare nella topaia dove abitava, così insistente nel farlo distrarre. Così innamorata…
“No.” le disse infine. “Se fossi rimasto là da solo, sarei solamente stato peggio. Tu sei stata fantastica, Tonks e io te ne sono grato.”
Lei rialzò lo sguardo, un po’ consolata.
Remus si sforzò di sorriderle di rimando e la sospinse verso il bancone.
“Forza, andiamo a prenderci da bere!”
 
                                                                                              ***
 
Erano passate un paio d’ore dal loro arrivo, quando dalla spessa cortina di fumo e calore addensato emerse uno sconosciuto dall’andatura incerta. Li stava fissando e dopo un attimo di incertezza decise di avvicinarsi.
Appoggiò il gomito al bancone e avvicinò sfrontatamente il viso all’orecchio di Tonks.
“Ehi, dolcezza.”
La ragazza avvertì subito sentore di alcol nel suo alito e si irrigidì nell’esaminarlo.
Vigilanza costante! Tuonò invadente la voce di Malocchio nella sua mente.
Era imponente e piuttosto largo di spalle; indossava una camicia aperta per metà che lasciava intravedere un folto cespuglio di peli neri sul suo petto  ed evidentemente non si rasava da diversi giorni: le guance paonazze si intravedevano appena sotto alla foresta di pelo ispido.
Tonks si chiese distrattamente se si fosse lanciato da solo un Incantesimo Parruccone, ma parve trovarlo piuttosto inoffensivo e così gli rispose affabile.
“Salve a te.” Dopotutto aveva avuto a che fare con ubriachi peggiori nel corso della sua adolescenza e
l’uomo parve lusingato che gli avesse rivolto la parola.
“Mmm. Non ti ho mai visto da queste parti.”
“Sono di passaggio.”
“Ah, mi sembrava. Sono sicuro che ti avrei notato, sai. Non passi certo inosservata.” Osservò languido.
Un momento. A cosa si stava riferendo?
“Ehm.. di cosa..?”
“I tuoi capelli.” Fece lui e le prese tra le dita una ciocca di capelli. Che tipo intraprendente.
Sembrò pensare così anche Remus, che al fianco della ragazza s’irrigidì e sbatté il suo boccale sul bancone con stizza.
Ma lui non sembrava avere cattive intenzioni. Gliela tirò semplicemente davanti agli occhi.
Rosa.
Ma quando diavolo erano tornati così? Dopo mesi di grigiore erano ritornati agli antichi splendori e lei non se n’era neanche accorta!
“Un colore piuttosto aggressivo.” Continuò lui in tono lezioso. “Per sfoggiare una chioma simile devi essere anche molto focosa..”
“Ora basta.” A sorpresa Remus si era alzato dal suo sgabello e le aveva passato una mano intorno alla vita con fare protettivo. “La signorina è con me.”
A Tonks cadde di mano il boccale per lo stupore. Nonostante l’ubriacone non l’avesse toccata e non le avesse fatto avance troppo spinte lui si era sentito in dovere di intervenire. Quasi fosse geloso. La ragazza non  si aspettava un gesto così tenero da parte sua e ne fu commossa. Il fianco su cui lui aveva poggiato la sua mano le scottava.
L’uomo in compenso ne parve meno felice.
Sembrava stesse per ribattere qualcosa, ma poi i suoi occhi lucidi si soffermarono sulle varie cicatrici che solcavano il viso e gli avambracci di Remus e sembrò valutare che non ne valeva la pena.
“Oh, scusami tanto! Non sapevo ci fosse anche l’accompagnatore! Ora tolgo il disturbo!”
Fece per voltarsi e andarsene, ma all’ultimo cambiò idea.
“A meno che.. il tuo cavaliere non mi conceda di offrirti un paio di drink. O una birra. Non può certo andarsene senza aver provato le nostre specialità, no?”
Aggiunse, rivolgendosi a Remus, che si rilassò un po’ e rispose “Direi che questo si può fare.”.
“Molto bene!” Ruggì allora quello, fregandosi le mani. “Barman! Voglio che servi da bere alla signorina qui.. e a chiunque ci sia in sala. Pago io!”
Un’ovazione entusiasta si diffuse al suo annuncio e qualcuno batté le mani.
“Tra parentesi,  io sono Dag.”
“Piacere.” Fece Remus, evitando di dire il proprio nome.
“Piacere, io sono Tonks.”
Dag inarcò un sopracciglio.
“Tonks e..?”
“Tonks e basta! Ti conosco da troppo poco per dirti cosa viene prima.”
“Così orribile..?”
“Sì.”
Dag sbuffò nel boccale che il cameriere gli aveva appena servito e si allungò dietro la schiena di Tonks per sussurrare qualcosa all’orecchio di Remus, che lo guardò insieme divertito e scocciato.
“Ehi, voi due!” Protestò lei. “Non mi escludete!”
Loro la ignorarono e continuarono, o meglio, Dag continuò a infastidire il licantropo, che si limitava a rispondere a cenni.
Alla fine Remus sospirò e si allungò a bisbigliare poche sillabe nell’orecchio dell’altro che scoppiò a ridere.
“Mi stai prendendo in giro?” ululò.
“No. E’ la pura verità. Ora che vuoi farci con questa informazione?”
“Lo vedrai.” Rispose Dag enigmatico, prima di salire in piedi sul bancone, rischiando di sfracellarsi addosso al barman, e di richiamare l’attenzione di tutti i presenti.
“Un attimo di attenzione, prego!” Ruggì. “Prima che vi scoliate tutta quest’ottima birra vorrei interrompervi un secondo e invitarvi a fare un brindisi a..  Ninfadora! Che, se ve lo state chiedendo  è la signora seduta proprio sotto di me!”
In sala esplose un coro collettivo di “A Ninfadora!” seguito da un ululato della diretta interessata che si coprì platealmente le orecchie.
“Remus! Sei un bastardo!” urlò. “Gliel’hai detto tu! Già è da brividi sentirlo pronunciare da una persona sola, ma da una sala intera è terrificante! Tu brutto..”
Ma non parve sentire una sola parola di quello che Tonks gli aveva detto. Era scoppiato a ridere pure lui.
Così forte che aveva le lacrime agli occhi.
Tonks sentì allargarsi il cuore a quella vista.
Da quanto tempo era che non lo vedeva ridere? Almeno dalla morte di Sirius. E ora invece.. sembrava così rilassato, così spontaneo. Ed era merito suo.
Per la gioia di essere riuscito a distrarlo la ragazza dimenticò la sua furia.
Tirò uno spintone a Dag, che questa volta si schiantò effettivamente addosso a un ignaro avventore, e afferrò il suo boccale abbandonato.
“Ora vorrei fare io un brindisi!” Decretò, attirando di nuovo gli sguardi del pubblico mentre si alzava in piedi sullo sgabello. Nel silenzio partì un fischio e un apprezzamento non molto fine, che lei ignorò.
“Voglio fare un brindisi a.. tutti coloro che devono sopportare un nome di merda come il mio! Per incoraggiarli! Brindiamo a loro!”
Tutti obbedirono tra le risate generali e Dag riemerse da sotto il bancone.
“Sì!” esclamò soddisfatto. “e a tutti gli sfigati che stasera non sono riusciti a rimorchiare!”.
Anche il suo secondo brindisi fu accolto da risate e urla di consenso e tutti bevvero di nuovo.
“Barman! Vogliamo un altro giro! Avanti con i brindisi!”
Quando l’ormai sfiancato cameriere ebbe obbedito, da un solitario tavolo in un angolo si alzò un uomo di mezza età, stempiato, con addosso un mantello rattoppato.
“E io vorrei brindare invece a tutti quei poveracci a cui la civetta.. non spicca più il volo!” Esclamò con voce gracchiante.
E quello fu l’inizio di una lunga serie di brindisi demenziali dedicati alle cose e alle persone più disparate.
“Un brindisi ai diciotto falci al pacchetto di sigarette!”
“A quel vecchio felino di Scrimgeour!”
“Brindiamo alla pace nel mondo!”
“a quella santa donna di tua madre!”
“Ai mezzosangue!”
“Ai disoccupati!”
“Alle mutande di Merlino!”
“E alle mogli che non si sentono in dovere di depilarsi le ascelle!”
“E un brindisi doppio per il Whiskey Incendiario!”
“Alèè!”
“E ora!” Schiamazzò Dag allegro in un momento di pausa. “Tocca a te fare un brindisi, Lupo!”
Si stava rivolgendo a Remus.
L’interessato si voltò di scatto, irrigidito.
“Com’è che mi hai chiamato, scusa?”
“Ti ho chiamato Lupo! Perché sei un lupo solitario. Con quell’aria misteriosa e tutte quelle cicatrici..”
Ridacchiò ebbro e all’improvviso si sentì così in confidenza con Lupin da dargli una pacca sulla spalla.
“..Ma ormai la nostra signorina l’hai conquistata! Sciogliti un po’! Vogliamo un altro brindisi!”
Alle sue parole Tonks arrossì. E’ così evidente che sono pazza di lui, accidenti?
E si voltò per evitare di attirare l’attenzione sul suo imbarazzo.
Ma ovviamente non funzionò. Tutti gli avventori presenti in sala si erano voltati verso il loro angolo e tenevano già il boccale alto, pronti per il prossimo brindisi.
“Se proprio insisti.. Non voglio certo deludervi.” mormorò lui, accettando il bicchiere che gli offriva Dag.
Si alzò in piedi e Tonks notò che nei suoi occhi si accendeva una scintilla maliziosa.
“Molto bene, signori. A questo punto facciamo tutti insieme un brindisi.. “
S’interruppe e il suo sguardo si fissò negli occhi di Tonks.
Si chiese se anche lui provasse quella sensazione di calore allo stomaco che l’assaliva ogni volta che la guardava così e desiderò con tutto il suo cuore che lui fosse davvero suo, che ci tenesse a lei.
Perché in quel momento capì che non avrebbe mai smesso di amarlo. Che non gli avrebbe lasciato un solo attimo di pace finché quel testone non si sarebbe arreso a lei.
E non le importava se presto o tardi perché era certa che sarebbe accaduto.
Sorrise, soddisfatta della conclusione a cui era arrivata e ascoltò Remus terminare il suo brindisi.
 “..Alle donne che riescono sempre a tirarti su il morale! Alla loro salute!”
E inclinò platealmente il boccale verso di lei, fugando ogni dubbio sulla persona alla quale si riferiva.
Scoppiarono risate collettive e fischi d’incoraggiamento. Da qualche parte risuonò perfino un “Avanti, Lupo, dalle un bacio focoso!” e lui si voltò verso di lei, gli occhi lucidi e il viso arrossato per tutto l’alcol che aveva bevuto.
Il suo cuore schizzò in orbita quando avvicinò il viso al suo , ma lasciò solo un breve bacio sulla punta del naso della ragazza.
Nel bar esplosero boati di disappunto e lei non poté fare a meno di sentirsi un po’ delusa.
Ma qualunque sensazione negativa che avesse provato fu dimenticata nelle ore che seguirono, perduta nell’entusiasmo di un festino improvvisato su due piedi a cui parteciparono persone che nulla avevano in comune.
Se non il fatto di trovarsi in quello sperduto locale nello stesso istante quella sera e di voler dimenticare la disperazione e l’aspettativa di un futuro oscuro.
 
Del resto in seguito a quel giorno Tonks non poté certo affermare di ricordarsi un granché di quella notte, ma nella sua mente rimasero sempre sprazzi improvvisi e colorati di quei momenti, scollegati tra loro eppure perfettamente sensati.
Per esempio la musica che diventava sempre più assordante e allegra e il sapore di birra sulla lingua.
O i balli scatenati e quella volta in cui lei e Remus avevano tentato qualche passo di danza , tra l’ilarità generale.
Le continue risate sguaiate di Dag nelle sue orecchie.
Le barzellette, le risa e gli scambi di confidenze tra persone che a mala pena si conoscevano tra loro.
Una quarantenne obesa mai vista prima che l’aveva trascinata al bancone per offrirle a tutti i costi un Whiskey Incendiario e per invitarla nella sua villa con piscina nel Surrey.
Remus che rideva accaldato, la camicia arrotolata sulle braccia, in mezzo a una dozzina di uomini mentre tentava di giocare a Poker.
Il fumo delle pipe accese dovunque.
Le urla della sedicente moglie di Dag che aveva scoperto casualmente dove si recasse il marito ogni volta che “usciva ad osservare il cielo stellato”.
E soprattutto ricordò una costante, confortante sensazione che una lucina avesse messo le radici nel suo stomaco, facendole dimenticare qualunque pensiero che non fosse quello di procurarsi una pinta.
 
Molto più tardi, quando a giudicare dalla luce rosata doveva essere ormai l’alba, Remus e Tonks uscirono dal locale, ancora ebbri per i festeggiamenti.
Tonks aveva un vago ricordo di aver rabbrividito al contatto con la fresca aria mattutina e fu piacevolmente sorpresa quando Remus la avvolse nel suo logoro cappotto e le passò un braccio attorno alle spalle per riscaldarla.
“E questo da dove sbuca? Pensavo non avessi vestiti con te.”
“Dove pensi che fossi finito mentre sfidavi a braccio di ferro quel tizio con uno Keazle tatuato sul braccio?”
“Ehm. In bagno?”
“No.”
“Sei proprio iperprotettivo.”
“Qualcuno ci deve pur pensare a queste cose.”
Avrebbe voluto che non finisse mai, ma naturalmente non fu così.
Dopo quello che le parve troppo poco tempo Remus la lasciò andare e avanzò di qualche passo per porsi giusto di fronte a lei.
“Forse sarebbe meglio che ti accompagnassi a casa.” esordì con un tono di voce secco, l’affettuosità di poco prima sparita nel nulla.
Per la seconda volta nel giro di poche ore una cocente delusione assalì Tonks.
“Perché? Hai fretta per caso?”
“No. Piuttosto trovo inutile il fatto di camminare per ore senza una meta.”
“Beh, io invece trovo le gite programmate piuttosto noiose.”
E resa audace dall’alcol afferrò la sua mano e se la portò al viso, godendosi di nuovo quel tocco così ruvido delle sue dita.
Lui la spostò quasi subito e distolse gli occhi dal suo volto.
“Devo proprio andare.”  disse asciutto e si voltò per andarsene, ma non fece in tempo a fare pochi passi che una rabbia improvvisa esplose nella ragazza.
“Perché?” gli sibilò dietro “Spiegami il perché, Remus, ogni volta deve finire in questo modo.”
Lui si girò per guardarla, gli occhi inespressivi.
“In questo modo come?”
“Che tu mi illuda così spudoratamente per poi freddarmi poco dopo.”
“Io non ho fatto niente per illuderti.”
“Ah, no?” esclamò lei, tormentandosi le maniche del cappotto.
“Quello era solo un gesto di gentilezza..” mormorò Remus “non ti ho detto nulla per farti pensare..”
“Sì, invece, dannazione!” urlò Tonks così all’improvviso da sorprendere perfino sé stessa. Lui invece non batté ciglio. “Con ogni tuo gesto, ogni tuo sorriso mi illudi e questo non lo posso sopportare!”
“Mi spiace che la pensi così.” rispose lui sempre con quella calma esasperante “Ma io sono stato chiaro con te fin dall’inizio. Ti ho spiegato mille volte le mie ragioni. Io sono..”
“Non ricominciare con le tue solite tre stronzate!” lo interruppe subito. “Io ho sempre ascoltato  le tue ragioni, ma tu ti sei sempre rifiutato di ascoltare le mie! Non m’importa, non m’importa niente.. di tutto quanto!”
Non si stupì di trovare i propri occhi perfettamente asciutti. Né di sentire una profonda inquietante stanchezza crescere dentro.
Era stufa. Stufa, si disse, di essere continuamente respinta, di combattere una battaglia infinita per non ottenere poi nessun risultato.
Da quasi un anno Tonks era ormai l’ombra di sé stessa e ora voleva avere la sua rivincita.
“O forse il motivo è un altro.” Continuò ormai implacabile “Forse il problema sei davvero tu. Il problema è che sei troppo, troppo codardo per uscire dalla tua comoda bolla d’isolamento in cui ti sei rinchiuso. Tu non vuoi accettare il fatto che ci sia qualcuno che a te ci tiene sul serio! E’ così,non è vero?”
Lui chiuse gli occhi, come per invocare una sorta di energia interiore e Tonks rimase ad aspettare una risposta che non venne.
“Allora?” lo esortò quasi urlando. “Che cazzo di scusa vuoi tirare fuori ora?!”
“Dimmi, Tonks..” esordì infine lui, ignorando l’ultima parte “Non ti è mai passato per la mente che il motivo per cui io ti resisto da così tanto tempo sia semplicemente il fatto che tu non m’interessi?”
Non ebbe bisogno del guizzo che ci fu negli occhi di Remus per intuire che i suoi capelli erano appena sfioriti nel fin troppo famigliare color topo.
“E’ così?” sussurrò con un filo di voce la ragazza.
“Mi dispiace.” Disse lui, senza guardarla negli occhi. Pareva che non riuscisse a sostenere il suo sguardo un minuto di più e senza una sola parola di congedo si voltò per incamminarsi nel viale deserto.
“Io non ti credo.” sussurrò, pur sapendo che lui non l’avrebbe udita. “Le tue sono solo bugie.”
Tonks, tuttavia, rimase imbambolata a guardare la sua figura sottile rimpicciolirsi sempre più per poi sparire con un flebile ‘pop’, ma non distolse gli occhi da quel punto neanche quando non ci fu più niente da osservare.
In compenso, pensò, i suoi occhi erano miracolosamente tornati nella modalità ‘fontanella’ e si affrettò ad asciugarli prima che le lacrime le bagnassero le guance.
Non aveva intenzione di piangere mai più.
 
Almeno mezzora più tardi si ritrovò raggomitolata su una panchina di quello stesso viale con un gelo innaturale che le attanagliava la bocca dello stomaco, ma nemmeno il cappotto che Remus le aveva lasciato pareva riscaldarla.
Per Merlino, è congelato.. quel bastardo non ci ha lasciato nemmeno un briciolo del suo calore.
Forse avrebbe fatto meglio ad alzarsi, infilarsi nel suo lettuccio accogliente e provare a dimenticare ogni cosa con una bella ronfata,pensò, ma dato che non riuscì a trovare la minima energia per alzarsi rimase ancora su quella scomoda panchina a fissare il vuoto.
Dopo quelle che le parvero ore udì dei passi alle sue spalle.
Si dirigevano verso di lei.
Avrebbe di gran lunga preferito rimanere nel suo stato comatoso, ma la voce di Malocchio che blaterava di prudenza e vigilanza nella sua testa era davvero troppo insistente, e così si voltò per affrontare lo sconosciuto e intimargli di sloggiare.
Ma la persona che si ritrovò davanti era davvero l’ultima che si sarebbe aspettata.
“Remus!” esclamò inebetita, balzando in piedi “T-tu..che accidenti ci fai qui?”
Remus non le rispose, ma si limitò a fissarla con occhi attenti, come a valutarla.
Tremava leggermente, probabilmente perché era ancora vestito con la camicia leggera che indossava all’interno del locale.
“Sei venuto a riprenderti il tuo stupido cappotto, non è vero?” sibilò Tonks, ricordandosi di avercela a morte con lui “Beh, sappi che non ho intenzione di ridartelo. Se lo vuoi, devi venire a prendertelo!”
Sapeva di essere estremamente infantile a dire questo, ma non voleva separarsene e se lo strinse ancora più addosso in un gesto di sfida.
Ormai era diventato quasi un cimelio per lei.
“D’accordo.” Disse semplicemente lui e le si avvicinò.
Forse era solo l’ombra della sua immaginazione, ma le parve di scorgere l’ombra di un sorriso sul suo volto segnato quando afferrò i baveri della giacca per togliergliela.
Tonks chiuse gli occhi, pronta a lasciarsi spogliare anche da quell’ultimo ricordo, ma lui non fece nulla di tutto questo.
Sempre tenendola per il cappotto l’avvicinò ancora di più a sé e quando Tonks riaprì gli occhi si ritrovò il viso a pochi centimetri da quello di Remus, i respiri che si confondevano tra loro.
“Perdonami..” le sussurrò “Perdonami, ma in questo momento ne ho troppo bisogno per poterci riflettere meglio.”
Lei rimase immobile, come pietrificata.
Possibile che lui volesse davvero.. ma non fece nemmeno in tempo a formulare il pensiero. 
Un istante, un guizzo nello sguardo e Remus la baciò, posando le labbra su quelle di Tonks come se non desiderasse fare altro da secoli.
Lei rispose con passione, gettandogli le braccia al collo e passandogli le dita tra i capelli, mentre cercava di assaporare ogni istante di quel momento tanto desiderato.
Con il cuore che batteva come un tamburo avvertì il bacio approfondirsi, mentre le mani di Remus superavano i vestiti per posarsi sui suoi fianchi nudi, incendiando ogni centimetro di pelle che sfioravano e facendo sentire Tonks viva come non si sentiva da anni.
Remus non si fermò alla sua bocca e, sempre senza smettere di accarezzarla, passò le sua labbra prima sulla sua guancia, poi sulla mandibola e infine sul collo, facendole emettere diversi gemiti di apprezzamento.
Giudicando insopportabile la mancanza delle labbra di Remus contro le sue, Tonks avvicinò poco dopo famelica la sua bocca alla sua, trascinandolo nuovamente in un bacio così intenso da lasciare entrambi senza respiro.
Quando infine si separarono, lasciandosi diversi baci a fior di labbra, Tonks pensò che era durato davvero troppo poco e riaprì gli occhi a malincuore per incontrare i suoi, che improvvisamente brillavano.
Erano vivi. Vivi, quasi avessero riacquistato una qualche scintilla di vita perduta da tempo.
“I-il cappotto..” iniziò Remus, ancora senza fiato “il cappotto puoi tenerlo.”
Tonks, ancora incapace di spiccare parola si limitò ad annuire e lui, esattamente come poco prima si incamminò per il viale senza congedarsi.
Ma stavolta, poco prima di Smaterializzarsi, le lanciò un’occhiata intensa e Tonks capì tante cose che non le aveva detto a voce.
Più importante di tutte,  che qualcosa era cambiato.
Ormai Tonks conosceva troppo bene Remus per potersi illudere di aver vinto, che non ci sarebbero più stati ulteriori ripensamenti.
Ma finalmente, dopo così tanto tempo, era riuscita ad aprire una breccia in quel maledetto muro attorno a lui e lei sapeva che non si sarebbe data pace finché non lo avesse abbattuto definitivamente.  








Ok, finita. Noiosa? Troppo sentimentale? Spero davvero che vi sia piaciuta! Pubblico ora nella speranza di tornare viva dal viaggio distruttivo che sto per andare a fare. Come sarebbe niente internet? Aiuto! PS. Un grazie a Xela182 che ha corretto la mia piccola svista. :)
   
 
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